Vangelo di Giovanni -Cap. 6,1-15 a 6,60-71

moltiplicazione dei pani

Il miracolo del pane

Capitolo 6,1-15

*Poi Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, detto anche Tiberiade. *Lo seguiva molta folla, vedendo i segni che egli operava sugli infermi. *Gesù salì sopra un’altura e là sedette con i suoi discepoli. *Era vicina la Pasqua, la festa dei giudei. *Alzando lo sguardo, Gesù vide molta folla che veniva verso di lui e disse a Filippo: Dove possiamo comperare del pane per dar loro da mangiare? *Parlava così per mettere alla prova la sua fede; egli già sapeva ciò che avrebbe fatto. *Gli rispose Filippo: Duecento denari di pane non basterebbero neppure per darne un pezzetto a ciascuno. Soggiunse uno dei discepoli, Andrea, il fratello di Simone: *C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci, ma che cosa sono per tutta questa gente? *Disse Gesù: Fateli sedere. C’era molta erba. Si sedettero: erano quasi cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani, recitò la preghiera del ringraziamento e li distribuì alla gente seduta. Lo stesso fece dei pesci, quanti ne vollero. *Quando ebbero mangiato,ordinò ai discepoli: Raccogliete le porzioni avanzate perché nulla vada perduto. *Le raccolsero, e con gli avanzi di quei cinque pani d’orzo – e dopo – riempirono ben dodici canestri. *Quanti avevano assistito al miracolo dicevano: Costui è davvero il profeta che deve venire nel mondo. *Ma Gesù, accortosi che volevano rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo, solo, sulla montagna.

La partenza di Gesù con il suo gruppo fu notata dalle folle di Cafarnao, le quali dalla direzione presa dalla barca capirono facilmente qual era la meta; allora molti presero la via di terra, risalendo lungo la curva settentrionale del lago e attraversando il Giordano nel punto ove il fiume entra nel lago, e così riuscirono a prevenire la barca di Gesù. Quando egli scese a terra nella solitudine oltre Betsaida trovò la gente che già l’attendeva. Con ogni probabilità, durante il viaggio a piedi, i volenterosi partiti da Cafarnao erano aumentati di numero; infatti, nell’imminenza della pasqua tutta la regione era percorsa da carovane dirette a Gerusalemme. L’incontro con tanta folla fece subito svanire il progetto di solitudine e di riposo; tanto più che Gesù, appena vide i volenterosi accorsi, s’impietosì di essi e iniziò a guarire miracolosamente gli infermi e parlare a tutti del regno di Dio. Frattanto le ore trascorrevano velocemente, la giornata volgeva al termine. La folla scordandosi d’ogni cosa, non si stancava né si staccava da Gesù; però i pratici apostoli s’avvicinarono a Gesù e gli fecero osservare che il posto era solitario, l’ora tarda, e quindi sarebbe stato opportuno lasciare la folla affinché si recasse nelle borgate più vicine per trovare un po’ di pane e companatico. Gesù disse a Filippo dove potevano acquistare del pane da dar loro per mangiare. Filippo rispose che duecento denari erano insufficienti per sfamarli tutti. A questo punto entra in scena Andrea, il quale dice a Gesù che c’era un ragazzo in possesso di cinque pani e due pesci.

Gesù ordinò ai discepoli che facessero sedere la folla nell’erba. Quando tutti furono adagiati in tanti circoli, ciascuno di una cinquantina di persone, a questo punto, Gesù presi i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, benedisse il tutto e spezzò i pani distribuendoli ai discepoli perché li spartissero tra la folla insieme ai pesci. I discepoli vanno verso la gente e distribuiscono il cibo ricevuto dal Maestro. Servono quelli che sono più vicini, poi gli altri e i loro panieri restano sempre pieni. Hanno già servito venti, cinquanta, cento persone…, e hanno ancora tanti pani e pesci quanti ne avevano all’inizio. E’ davvero meraviglioso: riescono a nutrire centinaia di uomini, di donne e bambini senza difficoltà. Essi credono in Gesù e sono entusiasti di lui. Assieme al loro Maestro, i futuri pescatori di uomini moltiplicano i pani e i pesci. Nutrono il popolo di Dio, il popolo affamato di verità, così affamato delle cose spirituali da seguire il maestro fino a dimenticare di tornare a casa a rifocillarsi. Il popolo ha fame del Signore, del suo messaggio, della sua presenza. Tutta la gestualità di Gesù è un’anticipazione dell’Eucaristia. Poi Gesù consigliò loro di raccogliere gli avanzi perché nulla andasse perduto.

Tutta quella gente per l’intera giornata aveva cercato il regno e la sua giustizia ossia il pane dello spirito, ma senza pensarci trovò il pane del corpo. La folla aveva inteso parlare da Gesù del “regno” e n’erano state commosse, infine avevano visto moltiplicarsi fra le mani di quel taumaturgo e banditore del regno il cibo dei loro corpi. La conclusione fu immediata, in conformità alle loro attese messianiche chi operava simili prodigi, poteva altrettanto facilmente sterminare eserciti nemici come Isaia, poteva ricoprire di tenebre un’intera regione come Mosè, attraversare fiumi all’asciutto come Giosuè, correre vittorioso su tutta la terra come il pagano Ciro chiamato “messia” dallo stesso Dio d’Israele (Is.45,1), poteva insomma attuare in pochissimo tempo il tanto sospirato “regno del messia” a maggior gloria d’Israele. Per la folla, dunque, Gesù era l’atteso Messia: la sua potenza lo rivelava indubbiamente tale. Davanti ad una conclusione così chiara e stringente, gli ardenti Galilei passarono subito all’azione: Costui è davvero il profeta che deve venire nel mondo. Tuttavia Gesù, accortosi che volevano farlo re, si ritirò nuovamente, solo, sulla montagna.

Gesù va incontro ai discepoli

Capitolo 6,16-21

*Venuta la sera, i discepoli scesero al mare. *Salirono su una barca e salparono per l’altra riva, verso Cafarnao. Era già buio, e Gesù non li aveva ancora raggiunti. *Si sollevò un forte vento e il mare si ingrossò. *Avevano già remato per diversi chilometri, quando scorsero Gesù camminare sul mare e accostarsi alla barca. Ne ebbero paura. *Ma egli disse: Sono io non temete. *Allora lo volevano prendere nella barca, ma questa subito toccò la riva alla quale erano diretti.

I versetti di Giovanni, se confrontati con i sinottici, appaiono incompiuti. Infatti, ci attenderemmo che Gesù cammini sul mare per venire in aiuto ai discepoli (com’è nel racconto sinottico) e che il miracolo consista precisamente nel placare la tempesta. Invece nulla di tutto questo. Evidentemente l’intenzione di Giovanni è un’altra. Al posto di una tempesta placata si parla di uno sbarco miracoloso. Me neppure questo è di rilevante interesse per Giovanni. Egli non sta sviluppando il tema del Cristo che viene in aiuto dei discepoli che si trovano in difficoltà, ma vuole piuttosto dirci che Gesù è il Signore maestoso, esente dai limiti imposti all’uomo dalla natura. In Gesù si manifesta la presenza di Dio meravigliosa e potente, libera, salvifica. Tutto questo è racchiuso nell’affermazione “Sono io”, che è l’equivalente del nome divino ed è indubbiamente il punto centrale dell’intero episodio. Gesù sceglie la via del mare non tanto per affrettarsi in aiuto dei discepoli quanto per affermare che è il Signore, l’Io sono.

Fatta la premessa, analizziamo la narrazione. Nel momento in cui la barca si staccò da terra era notte fatta; prima d’imbarcarsi i discepoli probabilmente attesero, nella speranza che Gesù liberatori dalle folle li raggiungesse, ma non vedendo nessuno ed essendo già tardi presero il largo. Non si tratta di un comportamento di menefreghismo. Il Maestro l’aveva comandato, e perciò obbedivano; ma non erano soddisfatti, non si sentivano tali sia perché il maestro si era staccato da loro, sia perché quel viaggio notturno non era né piacevole né sicuro. Loro sapevano, poiché pescatori, che sul lago di Tiberiade, dopo una giornata calda e tranquilla, al tramontare del sole, si scaricava dalle montagne sovrastanti un vento freddo e violento in direzione meridionale, che continuava incessante e cresceva sempre più fino al mattino rendendo la navigazione molto difficoltosa. Così avvenne quella notte; sorpresi di fianco dal vento e spinti verso mezzogiorno invece che verso ponente, i discepoli ammainarono la vela, divenuta pericolosa per la barca stessa, fecero forza sui remi. Tuttavia tra lo sballottamento delle onde, la barca avanzava a fatica. Inoltre la stanchezza veniva ad accrescere il malumore dei naviganti. Ad un tratto, in mezzo alla foschia mattutina e agli spruzzi delle onde, essi notarono a pochi metri dalla barca un uomo che camminava sull’acqua. Uno dei discepoli lanciò un grido, e indicò una direzione. Tutti guardarono, Indubbiamente si trattava di una figura umana che camminava di fianco alla barca, come se tentasse di sorpassarla. Tutti sono turbati. Allora Gesù parlò loro dicendo: Sono io, non temete.

Ora col camminare sulle acque Gesù manifesta la sua identità profonda, la sua natura divina: egli è indipendente dai condizionamenti naturali, è Signore della natura. Diversamente dai sinottici, questo segno non è tanto un aiuto ai discepoli in pericolo, quanto un segno d’attendibilità per il discorso “duro” che metterà alla prova la loro fede. Gesù è la presenza di Dio in mezzo a noi, ed è questo che l’episodio intende mostrare. In tal modo, il succedersi degli avvenimenti (moltiplicazione dei pani, tentativo di rapire Gesù, partenza dei discepoli e cammino di Gesù sulle acque) non fa che suggerire il medesimo schema del discorso, in altre parole l’opposizione fra la concezione messianica della folla (falsa e inadeguata) e il vero significato di Gesù, la presenza maestosa e salvifica di Dio in mezzo agli uomini. Ancora attoniti, tremanti e terrorizzati, i discepoli pensarono che chi poche ore prima aveva moltiplicato i pani e i pesci, poteva ben camminare sulle onde. Sbarcarono a Gennesareth (tre chilometri a sud di Cafarnao) e l”arrivo di Gesù fu segnalato all’istante, e iniziò l’affluenza degli ammalati, che toccati dal Maestro, guarivano all’istante.

Il discorso nella sinagoga di Cafarnao

Capitolo 6,22-59

*Il giorno seguente la folla rimasta sull’altra riva si accorse che c’era là una sola barca e che Gesù non era partito in barca con i discepoli, ma questi erano partiti soli. *Con altre barche, partite da Tiberiade, si avvicinarono al luogo, nel quale, dopo che Gesù ebbe recitato la preghiera di ringraziamento, essi avevano mangiato il pane. *Quando videro che non c’era né Gesù né i suoi discepoli, risalirono in barca e si diressero verso Cafarnao in cerca di Gesù. *Lo trovarono sull’altra riva e gli dissero: Maestro, quando sei giunto qui? *Rispose: in verità in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete veduto dei segni, ma perché avete mangiato i pani e vi siete saziati. *Impegnatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura per la vita eterna, quella che il Figlio dell’uomo vi darà, perché Dio Padre ha segnato proprio lui col suo sigillo. *Chiesero: Che cosa dobbiamo fare per impegnarci nelle opere di Dio? *Rispose Gesù: Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato. *Replicarono: ma tu che segno fai perché noi possiamo vedere e credere in te? Qual è la tua opera? *I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Ho dato loro da mangiare un pane disceso dal cielo. *Disse Gesù: In verità in verità vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane venuto dal cielo, è il Padre mio che vi dà il vero pane venuto dal cielo: *il pane di Dio è infatti colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo: *Ed essi: Signore, dacci sempre di questo pane. *Gesù precisò: Sono io il pane di vita. Chi viene a me non avrà più fame. Chi crede in me non avrà più sete. *Ma ve lo dissi: Voi mi avete veduto e tuttavia non credete. *Tutti coloro che il Padre mi dà verranno a me, e chi viene a me io non lo respingerò *poiché sono disceso dal cielo non per fare la mia propria volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. *Ora è questa la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nessuno di coloro che egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno. *Mormoravano i giudei perché aveva detto: Io sono il pane disceso dal cielo. * E dicevano: Ma costui non è Gesù, il figlio di Giuseppe? Non conosciamo forse suo padre e sua madre? Come osa dire: io sono disceso dal cielo? *Gesù intervenne: Non mormorate fra di voi: *Nessuno viene a me se il Padre che mi ha mandato non lo attira. E io lo risusciterò nell’ultimo giorno. *Sta scritto nei Profeti: tutti saranno ammaestrati da Dio. Dunque chi ha ascoltato il Padre e si è lasciato da lui ammaestrare viene a me. *Ma nessuno ha veduto il Padre, tranne colui che viene da Dio, lui lo ha veduto. * In verità in verità vi dico, chi crede ha la vita eterna. *Sono io il pane della vita. *I vostri padri mangiarono la manna nel deserto, eppure sono morti.. *Questo è il pane disceso dal cielo: chi ne mangia non muore. *Sono io il pane disceso dal cielo. Chi mangerà di questo pane vivrà in eterno. Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo. *I giudei si misero a discutere fra di loro: Come può darci la sua carne da mangiare? *Rispose Gesù: Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete la vita in voi. *Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. *Poiché la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. *Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me e io in lui. *Come il Padre, il vivente, ha mandato me, e io vivo grazie al padre, così chi mangia di me vivrà grazie a me. * Questo è il pane disceso dal cielo. Non quello che mangiarono i vostri padri e sono morti. Chi mangia di questo pane vivrà eterno. *Gesù insegnò queste cose nella sinagoga di Cafarnao.

In questo lungo discorso sono riprese diverse tematiche già a noi familiari: per esempio la solenne e ripetuta rivelazione cristologia contenuta nell’io sono, la ribadita affermazione di Gesù nei confronti del Padre, l’opposizione al giudaismo e alle sue speranze, il rapporto segno e parola, e altri ancora. Possiamo dire che in ciascun episodio e discorso sia contenuto l’intero vangelo. Tuttavia nonostante la presenza d’argomenti familiari, il discorso non è di facile lettura. Occorre uno sforzo per individuare la struttura e la successione della costruzione. E occorre un secondo sforzo per chiarire i principali temi teologici e le loro peculiarità.

vv.22-29 I versetti descrivono la ricerca di Gesù da parte della folla. Inizia quindi il dialogo con la domanda della folla: “Maestro, quando sei venuto qua?”. Gesù non risponde, come forse noi ci aspetteremmo, narrando il miracoloso raggiungimento degli apostoli, ma richiamandosi al primo segno, quello della moltiplicazione dei pani. “In verità in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Cercate il cibo che non perisce, ma quello che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà, perché su di lui il Padre ha messo il suo sigillo”. Nel breve dialogo si vedono contrapposte due mentalità: quella giudaica che si fonda sulle opere, quella cristiana che si fonda sulla fede.

I Giudei, infatti, pensano sia necessario compiere certe opere per meritare il cibo che rimane per la vita. Per Gesù invece unica è l’opera richiesta, che non è opera dell’uomo, ma opera di Dio nell’uomo: la fede in colui che il Padre ha mandato. In dettaglio il discorso del pane di vita a Cafarnao è un dialogo serrato tra Cristo e i galilei. Si svolge su due soddisfazione dei loro bisogni, hanno guardato al dono, non al donatore. Non hanno letto il segno. Devono procurarsi perciò il cibo vero. I galilei comprendono di nuovo male : il cibo per la vita eterna consiste per loro nelle opere che Dio esige dagli uomini. Essi sono pronti a farle. Dalla risposta di Gesù appare subito la profonda opposizione tra la sua e la loro concezione religiosa: Dio non chiede molte opere che l’uomo deve come ammucchiare. Si tratta solo di un’opera, che però non è un’opera: “Credere in colui che Dio ha mandato”.

Così Gesù conduce gli ascoltatori al nocciolo della questione: la decisione vitale e radicale da prendere: la fede in lui. Fede come scelta definitiva e adesione totale alla sua persona.
vv.30-35 I versetti trattano della manna e del pane di vita che dà il Padre. Il discorso, come nelle omelie giudaiche dell’epoca di Gesù, inizia con una citazione dal libro della Legge (Es.16,13-15), che doveva corrispondere al brano letto intorno al tempo di Pasqua, tempo in cui Gesù tiene il presente discorso. I Giudei chiedono un segno sul tipo della manna. Ma Gesù contrappone Mosè, donatore della manna, al Padre e il pane dal cielo al cibo della manna, il “diede” al “dà” continuamente a voi. Il v.34 è già orientato all’autorivelazione finale che identifica il pane vero con Gesù stesso, chiara allusione all’incarnazione (v.33) e all’eucaristia (v.35).

Gesù ha chiesto la fede in lui, come inviato da Dio, come Messia. Gli ascoltatori chiedono una nuova prova miracolosa come condizione per la loro fede. Essi esigono anche da Gesù un “operare”. La fede razionale che si fonda sui miracoli resta di per sé esposta al dubbio e richiede di sempre nuove e maggiori prove. Se Cristo Gesù è il Messia, il liberatore che inizia il nuovo esodo, pensa la folla, deve dare come Mosè un pane dal cielo. A questo punto Gesù si rivela: il pane della vita è lui in persona. E’ lui solo che dà significato alla vita umana. E’ l’unico pane per la fame dell’uomo, pane di vita, di pienezza, di felicità. Senza di lui la vita dell’uomo e dell’umanità intera non ha futuro. Il centro vivo della fede è Gesù. Solo per mezzo di lui gli uomini possono salvarsi; da lui ricevono il fondamento e la sintesi d’ogni verità; in lui trovano la chiave, il centro e il fine dell’uomo e di tutta la storia umana.

vv.35b-40 I versetti di tradizione orale, sono raggruppati insieme e trattano lo stesso tema: la volontà universale di salvezza di Dio, nonostante il rifiuto degli uomini. I versetti cono contrapposti: il primo parla della fede, il secondo della mancanza di fede. Ad essi corrisponde anche il v.40, in cui la fede è oggetto della volontà salvifica del Padre. Il risultato della fede è la vita eterna e la risurrezione finale . I vv.37-39 parlano del dono degli uomini fatto dal Padre al Figlio: chi accetta questo dono, va a Gesù (=crede in lui) e Gesù non permette che si perda. Il v.38, centrale, rivela il motivo ultimo della volontà salvifica che s’incarna in Gesù.

Il Maestro sviluppa il tema della fede come “comunione con la sua persona”. Credere è “vedere” il Figlio, è riconoscere le sue relazioni col Padre, espresse attraverso la sua obbedienza e la sua missione. Credere significa anche “venire a lui”, essere dati a lui come discepoli. Discepoli perciò che non aderiscono a Gesù per propria iniziativa, per attrattiva o entusiasmo, ma per il dono di Dio, che non si “legano” a lui per quello che egli dice, ma per quello che egli è. Il sì della fede a Gesù è un sì definitivo, una donazione incondizionata a lui di tutto se stesso. Il credente si “unisce” così a Cristo e forma con lui una cosa sola, per questo ha già fin da ora la vita eterna. Il destino dell’uomo è fissato dal suo confronto con Gesù. Per quanto dipende da Gesù questo destino, non può più cambiare. Nulla cambierà nell’ultimo giorno: non sarà che lo sviluppo, l’epilogo del presente. Solo colui che possiede fin d’ora la vita eterna risorgerà, vivrà.

vv. 41-51 I versetti caratterizzano due autorivelazioni di Gesù: “Io sono il pane di vita, il pane disceso dal cielo”. (v.51). Attorno a questa rivelazione che non può essere accolta se non nella fede, due pensieri fondamentali. Il tema dell’attrazione interiore del Padre per andare a Gesù (=credere), confermata dalla citazione d’Isaia 54,13 e Geremia 31,33-34. L’attrazione del Padre viene configurata come un ascolto e un’istruzione interiore di carattere cristologico, che apre alla fede nella rivelazione del Padre in Cristo. I vv. 50-51 invece contrappongono, in una prima conclusione, la manna del deserto al pane disceso dal cielo. Morte e vita caratterizzano l’uno e l’altro pane. I profeti avevano annunciato che negli ultimi tempi non si sarebbe conosciuto Dio “per sentito dire”, ma per esperienza personale: gli uomini sarebbero stati ammaestrati direttamente da lui. In Gesù, Dio assume figura umana e gli uomini possono conoscerlo. Gesù è per l’uomo il pane disceso dal cielo, il pane che lo mette in comunione con Dio. L’espressione “pane disceso dal cielo” designa Gesù stesso in relazione con il Padre e nella sua missione di recare la vita divina agli uomini. Ma qui il discorso passa dal Pane -persona al pane eucaristico. E quindi proprio mediante l’eucaristia che s’instaurano le relazioni tra noi e Gesù, ed è in questo sacramento che si vede meglio il vincolo che unisce Gesù col Padre suo. Il mistero eucaristico appare a giusto titolo il mistero della fede.

vv.52-59 I versetti sono esplicitamente sacramentali del discorso sul pane di vita. Ed è di struttura circolare. Al centro del cerchio sta l’affermazione solenne “La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda” (v.55). Le proposizioni precedenti (vv.53-54) indicano l’assoluta necessità di cibarsi di Gesù eucaristia per avere la vita e tendere alla risurrezione; mentre le seguenti (vv.56-57) dicono che la vita consiste in quella comunione con lui che è simile alla comunione di vita che egli ha col Padre. Infine nel v.58 si afferma che il pane, che Gesù dà, è superiore alla manna, perché è un pane vivo, Gesù stesso; e perciò può dare la vita eterna e quindi è il vero pane disceso dal cielo, di cui la manna non era che una pallida figura.

Il discorso di Gesù si fa provocatorio. La sua pedagogia d’urto raggiunge il massimo. Porta fino in fondo la rivelazione di sé. Colui che è disceso dal cielo è il pane della vita perché è il crocifisso. Perciò mangiare il pane è credere nel crocifisso. Cosa terribilmente urtante la mentalità e le attese degli ascoltatori a proposito del Messia. Ma Gesù accresce ancora la durezza e il realismo del suo discorso parlando non solo di mangiare la carne del Figlio dell’uomo, ma anche di bere il suo sangue, idea particolarmente scandalosa e ripugnante per i Giudei cui era severamente proibito, per motivi religiosi, di bere in qualsiasi modo del sangue (Lev.17,10-14). Con queste espressioni Giovanni vuole alludere al significato redentore e sacrificale dell’eucaristia e farci comprendere che non si può assimilare il mistero della persona di Gesù se non si tiene conto della sua dimensione pasquale. Incarnazione, redenzione ed eucaristia sono tre aspetti inseparabili del mistero di Gesù.

L’incredulità dei discepoli e la fede dei dodici

Capitolo 6,60-71

*Molti dei discepoli che lo avevano ascoltato dicevano: Questo è un linguaggio duro, come possiamo accettarlo? *E Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano, disse loro: Questo vi scandalizza? *e se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima? *E’ lo Spirito che vivifica, la carne non giova a nulla. Le mie parole sono spirito e vita; *ma vi sono tra voi alcuni che non credono. Gesù infatti sapeva fin dal principio chi erano coloro che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. *E soggiunse: Ecco perché vi ho detto che nessuno può venire a me se non gli è dato dal Padre. *Da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. *Allora Gesù disse ai dodici: Volete forse andarvene anche voi? *Simon Pietro gli rispose: Signore, da chi andremmo? Tu hai parole di vita eterna. *Noi abbiamo creduto e sappiamo che tu sei il Santo di Dio. *Rispose Gesù: Non sono forse stato io a scegliere, voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. *Alludeva a Giuda, figlio di Simone Iscariota, il quale stava per tradirlo, lui, uno dei dodici.

In questo breve brano si ha la reazione dei discepoli al discorso sul pane di vita. Quanta tristezza traspare dal volto di Gesù nei versetti 60-71. Oramai i Giudei lo hanno rifiutato e i discepoli non riescono a comprenderlo. Dicono che il discorso di Gesù è duro, impossibile. Nella situazione che si è creata le parole di Gesù sono per loro uno “scandalo”. Com’è possibile vedere in Gesù, figlio di Giuseppe, il Messia, il Figlio di Dio “disceso dal cielo” e per di più uno che cammina verso la morte per diventare “pane che dà la vita eterna?” Gesù, che “sa quello che c’è nell’uomo”, li guarda e si accorge che stanno mormorando contro di lui e dice: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire in cielo dov’era prima?” Annuncia loro quell’evento che darà la pienezza della rivelazione del suo mistero, ma che può essere accolto soltanto da coloro che si lasciano guidare dallo Spirito Santo, perché “le sue parole sono spirito e vita” (v.63). Bisogna lasciarsi “ammaestrare dal Padre” e non chiudersi in ragionamenti puramente umani: “la debolezza umana (la carne) non giova a nulla” Ma Gesù si accorge che anche le parole non dicono nulla: “Da quel momento, infatti, molti dei suoi discepoli si allontanarono e non andavano più con lui” (v.66). Solo chi accetta il dono del Padre può entrare nella sfera dello Spirito e andare a Gesù, in altre parole credere. Gesù rimasto solo con i dodici, dice loro: “Volete andarvene anche voi” (v.67). Per i dodici risponde Simon Pietro, guidando gli apostoli alla fede in Gesù e nella medianicità. La parola di Gesù è spirito e vita. E qui Pietro dice: “Tu hai parole di vita eterna”. Questa solenne professione di fede spicca sullo sfondo tragico e nero del tradimento di Giuda.

Osservando le cose in prospettiva, si può ancora dire che il Cristo crocifisso è uno scandalo? Un ostacolo alla fede? Anzi! La morte è necessaria. Infatti la carne (ossia Gesù nella sua vita terrena) non serve a nulla, non vivifica; solo la donazione di essa nella morte spiana la strada all’opera creativa dello Spirito, che sarà sperimentata da colui che mangia la carne, che crede nel Crocifisso e lo riceve nell’eucaristia. La risposta di Gesù ha significato anche riferita all’eucaristia. Essa, infatti, suppone non solo la morte, ma anche l’esaltazione celeste del Salvatore. E’ infatti l’Ascensione che permette alla carne di Cristo, trasfigurata nella gloria mediante lo Spirito, di ridiscendere in forma di cibo eucaristico a conferire agli uomini la vita divina. E il Cristo, anche il Cristo sacramento, resta carne che non giova a nulla se non viene accolto nella fede.

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