Vangelo di Giovanni – Cap 7,53-8,11 a 8,31-59

Alessandro Turchi, detto l'Orbetto - Gesù e l'adultera

Dio perdona e invita alla conversione (donna adultera)

Capitolo 7,53- 8,11

*Ciascuno ritornò a casa sua. *Gesù invece se ne andò al monte degli Ulivi. *Ma all’alba era di nuovo nel tempio, e tutta la gente accorreva da lui. Egli, messosi a sedere, insegnava. *Gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero nel mezzo, bene in vista, *e gli dissero: Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. *Ora Mosè ci ha ordinato nella legge che tali donne siano lapidate: tu che ne pensi? *Parlarono così per tendergli un’insidia e avere poi un pretesto per accusarlo. Ma Gesù si chinò e col dito si mise a scrivere per terra. *E poiché quelli insistevano, egli alzò il capo e rispose: Chi di voi è senza peccato scagli per primo la pietra contro di lei. Poi si chinò di nuovo e continuò a scrivere in terra. *Udite queste parole, se ne andarono tutti, uno dopo l’altro, cominciando dai più vecchi. *Rimasero soltanto Gesù e la donna che continuava a stare lì, in piedi. *Allora Gesù, alzatosi, le chiese: Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannato? *Rispose: Nessuno, Signore. Le disse Gesù: Neppure io ti condanno, và e non peccare più.

Per comprendere appieno il senso di questi episodio, non scordiamo ciò che è scritto in Lv.20,10 e Dt. 22,22. Si precisava che l’adulterio fosse punito con la morte per lapidazione. Questo offre agli Scribi un’occasione per mettere Gesù alla prova. Il brano è molto limpido e non esige una lunga analisi. Basta stare attenti ad alcuni aspetti che emergono dal racconto, suscettibili, di qualche applicazione anche per noi. Era l’ottava delle Capanne, Gesù, dopo aver trascorso la notte sul prediletto monte degli Ulivi, di buon mattino ne scese, attraversò il Cedron, risalì ad occidente ed entrò nel Tempio. Il popolo accorse da lui nell’atrio esterno, ed egli sedutosi iniziò ad insegnare. Ad un certo punto irrompe nell’atrio un gruppo di Scribi e Farisei seguiti da alcuni esagitati; si guardarono intorno nell’atrio, e scorto il cerchio di coloro che ascoltavano Gesù vanno direttamente da quella parte. Giunti che furono, si aprono un varco tra la folla interrompendo l’insegnamento; tra coloro che seguono gli Scribi e i Farisei si fanno avanti due o tre uomini che trascinano a forza una donna riluttante, e con un ultimo spintone la cacciano nello spazio rimasto vuoto davanti a Gesù; la donna, scarmigliata e coprendosi con le mani il volto per la vergogna, si accascia a terra come un ciarpame di stracci.

Si tratta di una donna che vive una sua storia fatta di bisogni e d’attese ( proprio come oggi). Non le basta quello che ha. Una storia forse che non ha neppure scelto né voluto. Una cosa in ogni caso è certa: non ha trovato quello che cercava con tanta insistenza all’interno di un legame familiare e nell’intimità di uno sposo. Non è riuscita a saziare la sua sete d’amore ricevuto e dato. Ha ceduto ad un incontro. Solo umano. Fatto di sotterfugi. Si accontenta. Si lascia andare in una ricerca di soddisfazione che forse sa già si rivelerà un’altra volta deludente e umiliante. Un incontro che non modificherà la sua esistenza, non la colmerà nella sua sete d’amore. Tuttavia accade l’imprevisto. E’ un fatto molto drammatico. Ancora una volta essa prende coscienza di essere stata solo un oggetto. Strumento di piacere di un uomo che, in effetti, ha approfittato di lei per poi abbandonarla al suo destino, senza cercare di difenderla. Strumento nelle mani di coloro che vogliono usarla per scopi reconditi che neppure lontanamente immagina. In pratica lei è la vittima di una violenza, che le toglie l’intimità, l’identità, la dignità, scoprendo l’amarezza e il disgusto. E’ a questo punto e con questo stato d’animo che incontra Gesù. Certamente un incontro altamente drammatico poiché ne va della sua vita. Lei è sola, posta al centro degli sguardi perfidi e perversi dei suoi accusatori: certi nei loro sotterfugi meschini di agire secondo la legge di Dio. Gli Scribi e i Farisei spiegano allora a Gesù di che si tratta. Quella è una donna sorpresa in flagrante adulterio: il complice, come per lo più succede, pare sia riuscito a fuggire, ma la donna è stata presa; lei non può negare la flagranza del delitto di cui si è macchiata, e quindi deve essere punita secondo la Legge mosaica (la lapidazione).

Gli Scribi non ricorrono a Gesù con sincerità di cuore ma per metterlo alla prova. Lo sanno amico di peccatori e di pubblicani, pronto al perdono: perdonerà anche all’adultera, rifiutandosi di applicare la Legge? In tal caso si potrà fare contro di lui una denuncia precisa e procedere di conseguenza. Costoro dunque non cercano la verità. Hanno già condannato Gesù e la donna a priori: cercano soltanto un pretesto giuridico, una copertura legale nei confronti di Gesù…e per la donna la lapidazione. I sassi della folla battono ritmicamente nelle loro mani pronti per essere scagliati. L’angoscia e il terrore assalgono la donna. L’uomo dal quale l’hanno condotta non la guarda neppure al momento. Addirittura pare che Gesù non abbia intenzione di rispondere. Si comporta come se Scribi e Farisei e la folla, i tentatori, non esistessero: scrive con un dito per terra. Il fatto è che non sono persone da ascoltare, non sono in cerca della verità, ma di un capo d’accusa. Ma ecco che alla loro perdurante insistenza Gesù risponde ponendo la questione in termini completamente capovolti, insospettati: li coinvolge.

Qui sta il nocciolo della questione. Gesù non nega il giudizio di Dio, questo è bene rammentarlo, ma vuole che ciascuno lo rivolga a se stesso. Adulterio o no, siamo tutti peccatori e bisognosi di conversione, di perdono, di misericordia. Inoltre Gesù vuole che il giudizio di Dio provenga da Dio, non dagli uomini. Soltanto Dio può giudicare: come possono farlo gli uomini se sono essi stessi peccatori? Infine Gesù esprime il giudizio. Il suo atteggiamento di fronte alla donna non esclude il problema, non è un disimpegno. Gesù è il Figlio di Dio e non è peccatore, quindi pronuncia il giudizio, ma è un giudizio fatto di perdono e d’invito alla conversione.

E’ VERAMENTE IL GIUDIZIO DI DIO.
E’ a questo punto che Gesù scacciato il sofferente silenzio, dietro le loro insistenze, alza lo sguardo verso la donna, un sussulto d’infinita tenerezza e dolcezza. Egli sente di doverla riconsegnare a se stessa, liberarla dalla mano degli assassini. Con una frase terribile Gesù la isola, la libera. Si abbassa e scrive: i nomi dei peccatori sono scritti nella polvere: “Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Se ne vanno tutti. Finalmente sono soli lui e la donna. Avviene l’incontro nella dignità, nella libertà, nasce il desiderio dell’incontro salvifico. La donna lo guarda in modo interrogativo e al tempo stesso affascinata. La donna si rende conto di essere stata salvata da quell’uomo: ma perché? Si rasserena. Una domanda: Nessuno ti ha condannata? Una domanda evasiva, scontata. Un ponte gettato tra lui e lei. Finalmente vi può essere l’incontro che riconsegna la donna a se stessa rimettendola in cammino nella sua dignità.

Una sola parola le dice ancora Gesù: Va e non peccare più”. Un invito a non continuare a sbagliare il bersaglio della sua ricerca di vita e d’amore. La legge fu data da Mosè, ma la grazia e la verità da Gesù Cristo. In pratica due ere e due concezioni diverse della giustizia, che dominano l’episodio che abbiamo meditato. Cristo non nega la legge ma ne supera gli inevitabili limiti. La legge giudica soltanto gli atti, non le persone: Gesù invece giudica le persone e sa che di là dello stato di giustizia legale o di peccato si può inserire in loro un dialogo con Dio nella pura fede. In tutt’altra posizione sono gli accusatori: dalla loro interrogazione emerge la mentalità legalista, priva di pietà e d’umanità, ed è evidente l’intenzione di accusare Gesù. Ma egli non si cura di loro: scrive per terra, avrebbe potuto apostrofarli, ma cerca il bene anche dei suoi nemici; pressato perché si pronunci risponde: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. Gli incensurati eccoli sul banco degli accusati. La donna rimasta merita la grande parola: “Neanche io ti condanno; va e d’ora in poi non peccare più”. Colui che era venuto non ad abolire la Legge di Mosè ma a compierla, non aveva violato quella Legge e per di più ne aveva raggiunto l’intimo spirito; l’intimo spirito d’ogni legge onesta non può essere che distogliere dal male e indirizzare al bene. La giustizia era stata sublimata nella misericordia. L’adultera rappresenta il popolo dei credenti: di là dei nostri peccati noi accettiamo l’incontro e il dialogo di fede con Cristo che deve sfociare nel “non peccare più”, non per sola obbedienza alla Legge, ma per rispondere alle esigenze di una coscienza che ha incontrato l’Amore.

Gesù luce del mondo

Capitolo 8,12-20

*Gesù prese nuovamente la parola e disse: Io sono la luce del mondo. Chi mi segue non camminerà nelle tenebre ma avrà la luce della vita. *Gli dissero i Farisei: Tu rendi testimonianza a te stesso: la tua testimonianza non è vera. *Gesù rispose: Anche se rendo testimonianza a me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so donde vengo e dove vado. Voi invece non sapete né donde vengo né donde vado. *Voi giudicate secondo la carne: io non giudico nessuno. *E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché io non sono solo, ma con me c’è il Padre che mi ha mandato. *Anche nella vostra legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. *Io rendo testimonianza a me stesso, ma anche il Padre che mi ha mandato testimonia in mio favore. *Gli chiesero: Dov’è tuo padre? Rispose: Voi non conoscete né me né il Padre mio. Se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio. *Gesù pronunciò queste parole nella sala delle offerte, insegnando nel tempio. E nessuno lo arrestò perché non era ancora giunta la sua ora.

Uno dei simboli caratteristici della festa delle Capanne, oltre all’acqua di Siloe, era la luce: a sera, infatti, si accendevano grandi falò e lampade che illuminavano la notte a Gerusalemme. Gesù si presenta arditamente come “la luce del mondo” e si apre subito un dibattito con i Farisei, ma il tema è ora la testimonianza. Contro la rivendicazione di Gesù i Farisei sollevano l’obiezione che la testimonianza che egli rende a se stesso deve essere convalidata dalla testimonianza di un altro, un principio di prassi legale che Gesù aveva precedentemente accettato. E’ vero, Gesù attesta per se stesso, ma il Padre celeste avalla le sue parole. L’evangelista segnala con ironia l’incomprensione degli interlocutori di Gesù che scambiano il Padre divino con una semplice paternità umana. Nonostante l’ostilità crescente, incapace però di bloccare la parola e l’opera di Gesù “perché non era ancora giunta la sua ora” (cioè il momento decisivo della morte e della glorificazione), egli prosegue la rivelazione.

I Farisei, maldisposti nei confronti di Gesù, non sono lì per ascoltare, ma, come i loro colleghi dell’episodio dell’adultera, sono lì in qualità di giudici. Per loro la parola di Gesù va immediatamente catalogata nella categoria della menzogna (Tu dai testimonianza di te stesso). Ma quale mezzo hanno gli uomini per constatare che la testimonianza di Gesù è valida? Il nocciolo della questione è tutto qui: si tratta di trovare qualcuno che già sappia chi è Gesù. Nessun uomo ha la capacità di portare un giudizio valido su Gesù. L’uomo può solo giudicare secondo le apparenze (secondo la carne). Tuttavia la verità è che Giovanni ci ha già spiegato chi è Gesù, nel capitolo 6, quando ha detto che si può andare da Gesù solo se il Padre ci guida con la sua potenza(v.41); si può conoscere Gesù solo se ci lasciamo ammaestrare da Dio (v.45); in altre parole, se ci lasciamo ammaestrare dall’antica parola delle Scritture con le quali Dio ci guida verso il Figlio e, a poco a poco, ci fa capire che ora si rivela a noi perfettamente attraverso la parola e la persona del Figlio suo. Solo Gesù può dare testimonianza e formulare un giudizio su se stesso, perché solo lui sa da dove viene e dove va e perché quando egli giudica lo fa secondo quel che ascolta: egli, infatti, non è mai solo; è sempre in comunione con il Padre.

Gesù è venuto in questo mondo per illuminare gli uomini, per indicare la via che conduce al Padre. Egli dissipa le tenebre dell’ignoranza circa tutto quello che si riferisce a Dio. Sopprime la superstizione, le incertezze e gli errori. Gesù è il “sole che sorge” davanti al quale fuggono le tenebre della notte, dell’ignoranza e del peccato. La sua luce penetra nelle case di coloro che l’accolgono, e trasforma la loro visione del mondo trasportandola ad un livello superiore. Gesù dirà a Filippo: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv.14,9-10), perché “il Padre è in me e io sono nel Padre”. Conoscere Gesù, credere a Gesù, seguire il suo insegnamento, camminare nella sua luce: questa è la vita. Immergersi nella sua luce, trovare la felicità nel suo splendore: questo è vivere. Gesù elargisce la luce, una luce che penetra il nostro intimo, ci trasforma e ci eleva.

Morirete nel vostro peccato.

Capitolo 8,21-30

*Gesù disse di nuovo: Io me ne vado, voi mi cercherete e morirete nel vostro peccato. Dove vado io voi non potete venire. *Dicevano allora i giudei: Che voglia uccidersi, dato che dice: dove vado io voi non potete venire? *Gesù proseguì: Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. *Vi ho detto: morirete nei vostri peccati. Infatti, se non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati. *Gli domandarono: Tu chi sei? Rispose: E’ dal principio che ve lo sto dicendo. *A vostro riguardo ho molto da dire e da giudicare. Ma chi mi ha mandato è veritiero, e ciò che ho udito da lui lo dico al mondo. *Quelli non compresero che egli parlava del Padre. *Gesù continuò: Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io sono e che nulla faccio da me, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. *Colui che mi ha mandato è con me. Non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre ciò che gli piace. *Per aver detto questa cose molti cedettero in lui.

L’argomento di discussione è quello della prossima dipartita in rapporto alla fede e alla salvezza. Gesù annuncia la morte dei giudei nel loro peccato, quando cercheranno Gesù dopo la sua dipartita. Essi non possono andare dove va lui. I giudei lo interpretano nel senso di un suicidio. Ma Gesù qualifica questo pensiero come materiale, vale a dire dal basso, mentre il giudizio su di lui che è dall’alto, dovrebbe partire dall’alto.

Alla domanda: “Tu chi sei?”. La risposta verrà dopo l’innalzamento sulla croce e alla gloria: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io sono”. Gesù, non forzando troppo i termini, risponde: “Quello che vi sto dicendo fin dall’inizio”; cioè:” Io sono il Figlio dell’uomo disceso dal cielo” (3,13); “Io sono il pane vivo disceso dal cielo” (6,58); “Io sono la luce del mondo” (8,12); “Io sono di lassù…non appartengo a questo mondo” (8,23); “Io sono il Figlio che dà la vita a chi vuole” (5,21) e che ho ricevuto, come Figlio dell’uomo, “il potere di giudicare” (5,27) e, sotto questo aspetto. “ho da dire e da condannare molte cose che vi riguardano2 (8,26). Gesù potrebbe continuare su questa falsariga, ma non lo fa, appunto perché ora la sua missione esige di cercare la salvezza dei suoi ostili interlocutori. Per questo, dopo avere rivelato la loro triste situazione, dice: “Ma colui che mi ha mandato è fedele”, cioè fedele alla sua parola, e ha mandato il Figlio suo non per condannare, ma per salvare; e il Figlio, anch’egli fedele alla sua missione, dice al mondo soltanto ciò che ha udito dal Padre (8,26); dice cioè parole di salvezza. Tuttavia l’incomprensione è totale e l’evangelista annota che essi “non capivano che parlava loro del Padre” (8,27). Nello stesso tempo che rivela la sua divinità, rivela anche la sua continua dipendenza dal Padre nella rivelazione (udire) e nella vita pratica (ciò che piace a lui). E’ il Figlio, il Servo obbediente in tutto al Padre.

Gesù traccia il suo destino ultimo, che trascende l’orizzonte terreno perché le sue origini erano oltre il tempo e lo spazio (“voi siete di quaggiù, io sono di lassù”). Se si vuole comprendere questa realtà, è necessario lasciarsi illuminare dalla fede. Gesù continua nella definizione del suo mistero e della sua missione indicando come vertice finale “l’innalzamento” sulla croce, dove svelerà a tutti la sua divinità (“Io sono”). Questa gran rivelazione suscita la fede in molti ascoltatori, ma, come si vede subito dopo, si tratta di una fede fragile, pronta a trasformarsi in rifiuto. Infatti, il dialogo che Gesù intesse con “quei Giudei che avevano creduto in lui”, manifesta una forte tensione.

Voi avete per padre il diavolo.

Capitolo 8,31-59

*Gesù disse ai giudei che avevano creduto in lui: Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli; *conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi. *Gli risposero: Noi siamo stirpe di Abramo, non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: diventerete liberi? *Gesù ribatté: In verità in verità vi dico, chi commette il peccato è schiavo del peccato. * Il servo non dimora nella casa in permanenza, invece il Figlio vi libererà, allora sarete liberi nel vero senso della parola. *Lo so che siete stirpe di Abramo, ma voi cercate di uccidermi, perché la mia parola non penetra in voi. *Io racconto le cose che ho udito dal Padre mio; e altrettanto voi, fate le cose del padre vostro. *Risposero: Abramo + nostro padre. E Gesù: Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. *Invece state cercando di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita dal Padre. Questo Abramo non l’avrebbe fatto. *Voi fate le opere del padre vostro. Ripresero: Noi non siamo nati da adulterio, abbiamo un padre solo, Dio. *Gesù precisò: Se Dio fosse vostro padre, voi mi amereste: infatti io sono uscito e vengo da Dio. Non sono venuto da me stesso: lui mi ha mandato. *Il motivo per cui non comprendete il mio linguaggio? Questo: non siete in sintonia con la mia parola. *Voi avete per padre il diavolo e volete soddisfare i desideri del padre vostro. Egli fu omicida fin dal principio, non stette nella verità: in lui non c’è verità. Gli è naturale affermare il falso, perché è menzognero e padre di menzogna. *Proprio perché dico la verità voi non mi credete. *Chi di voi può accusarmi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? *Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Ecco perché non ascoltate: perché non siete da Dio. *Risposero i giudei: Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un samaritano e un indemoniato? *E Gesù: Io non sono un indemoniato; ma onoro il Padre mio, e voi mi disprezzate. *Io non cerco la mia gloria: c’è chi la cerca e giudica. * In verità in verità vi dico, chi custodisce la mia parola non morirà. Dissero i giudei: Ora siamo sicuri che sei indemoniato. Abramo è morto, e anche i profeti, e tu dici: chi custodisce la mia parola non morirà! * Sei tu più importante di Abramo, nostro padre, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi pretendi di essere? *E Gesù: Se fossi io a esaltare me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Ma è il Padre che mi esalta, lui del quale dite: è il nostro Dio. *Ma voi non lo conoscete! Io invece lo conosco. E se dicessi di non conoscerlo, sarei bugiardo come voi. Ma lo conosco e custodisco la sua parola. *Il padre vostro Abramo esultò al pensiero di vedere il mio giorno. Lo vide e ne gioì. *Gli osservarono: Non hai ancora cinquant’anni e hai veduto Abramo? *Gesù disse: In verità in verità vi dico; prima che Abramo fosse Io sono. *Presero allora delle pietre per lanciarle contro di lui, ma egli si nascose e uscì dal tempio.

Un duplice argomento s’intreccia in questi versetti: la parola rivelata da Gesù diventa interiore (=abita nei credenti); la verità (rivelata), così praticata, rende liberi. Il dibattito procede in tre battute: nella prima (vv.33-38) i giudei dicono di non avere bisogno di essere fatti liberi, perché non sono mai stati schiavi e sono invece figli di Abramo. Gesù replica che sono schiavi del peccato, quello di volerlo uccidere, perché non abita in loro la sua parola (=non hanno fede profonda). Nella seconda (vv.39-40) Gesù contesta che siano figli di Abramo, perché non fanno le opere di Abramo (=credere), ma vogliono uccidere lui, che dice la verità. Il padre di cui fanno le opere, è il diavolo. Nella terza parte (vv.41-42) i giudei affermano di avere Dio per padre. Ma Gesù replica ancora che, se avessero Dio per padre, amerebbero anche lui, che viene dal Padre e ritorna a lui. Poi il tema si sposta su “sulla morte nel confronto con la parola di Gesù e il patriarca Abramo” che alla fine diviene un confronto fra Abramo e Gesù nel quadro della storia della salvezza. All’inizio l’affermazione fondamentale: chi osserva la parola di Gesù, non morirà. La risposta è una contestazione, in cui entra in azione la tipica ironia giovannea, che fa dire ai nemici di Gesù la verità su di lui: “Sei tu più grande del nostro padre Abramo?”. E Gesù lo è. L’identità di Gesù è fatta notare nell’ultima parte, dove Gesù afferma che Abramo vide il suo giorno e ne godette (allusione alle promesse a lui fatte in Genesi 12,1-3; 17,7). Allo scandalo dei giudei replica: “Prima che Abramo fosse, Io Sono”. La reazione finale è la violenza.

Come abbiamo visto, un trittico domina l’intero brano dei vv.31-37: parola-verità-libertà, a cui fanno da contrasto il binomio: servo-peccato. Al servo si oppone il concetto di figlio, così come si oppongono le due frasi che racchiudono e danno unità ai versetti: Se rimanete fedeli alla mia parola….La mia parola non trova spazio in voi. Gesù appare “non accolto”. Eppure le parole che qui rivolge a coloro che credettero in lui (v.30) sono parole di salvezza. Anche per chi cerca di ucciderlo. A coloro che hanno creduto in lui Gesù dice: “Se rimarrete nella mia parola, sarete veramente miei discepoli” (v.31). Non basta ascoltare Gesù; non basta accogliere la sua parola. E’ necessario che la sua parola penetri dentro, intimamente, come il seme nel campo; è necessario aderirvi con tutte le forze, uniformare a d essa la propria vita. Al v.33 Gesù parla di libertà, ma di quale libertà sta parlando? Per i molti che credettero in lui, la parola suona come un insulto: “Noi siamo stirpe di Abramo, non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: diventerete liberi?”. Nel loro modo di esprimersi si avverte tutto l’orgoglio di un popolo che, nato da Abramo, trova nella propria Legge, quella rivelata da Dio, il senso vero della libertà, anche in periodo di dominazione romana, come lo erano gli uditori di Gesù.

Gesù con la formula delle dichiarazioni solenne (=giuramenti), dice: “In verità in verità vi dico: Chiunque fa il peccato è servo del peccato” (v.34). Si contrappongono quasi due filiazioni: c’è quella che risale ad Abramo (e quindi viene da Dio) e quella che rimanda a Satana. Gli interlocutori di Gesù sono convinti di appartenere alla discendenza di Abramo, ma Gesù dimostra loro il contrario: la loro discendenza è diabolica perché hanno l’odio nel cuore. Omicidio e menzogna, infatti, sono l’espressione della presenza demoniaca insediata nei loro cuori, quindi sono schiavi del peccato. Con l’affermazione: “Il padre nostro è Abramo” (v.39). I giudei intendono sancire di essere figli e non servi nella casa (v.35). Gesù non rifiuta di riconoscerli come figli, ma cerca di far capire che la vera figliolanza non si può determinare geneticamente: è la prassi, intesa come vita di fede e di ascolto della parola di Dio, che dice chi è vero figlio di Abramo. E dovrebbero compiere le opere di Abramo. Ma lo fanno davvero? No! I fatti dimostrano che essi fanno quello che Abramo non avrebbe mai fatto; essi cercano di uccidere Gesù che ha parlato loro della verità che ha udito presso Dio. (v.40). Questo loro atteggiamento dimostra che sono nel peccato e che perciò non sono nella linea della paternità di Abramo. E’ chiaro, a questo punto, che il loro padre è un altro di cui fanno le opere (v.41). La parola di Gesù risuona come un’offesa enorme, quindi ribattono che non sono figli illegittimi e vigorosamente aggiungono che loro hanno un solo padre: Dio .

Due paternità e due figliolanze. I due padri sono Dio e il diavolo e la figliolanza viene stabilita per gli uomini dal rapporto che si instaura tra loro e Gesù, il Figlio. E’ figlio di Dio chi ama Gesù, chi riconosce che la sua missione non nasce da un’iniziativa personale, ma afferma che è Dio colui che lo ha mandato. Ha Dio come padre colui che crede che le parole di Gesù sono parole di Dio e perciò che Gesù dice la verità (v.47). Chi non è su questa linea non può avere Dio come Padre, perché è nell’incapacità di comprendere il linguaggio di Gesù e perciò di ubbidire alla sua parola e di aderire alla verità. Allora da dove nasce la situazione di peccato? Chi sta all’origine di tanto male? Chi è l’omicida, il menzognero, il falso per eccellenza? Solo il diavolo, il grande seduttore dell’umanità, colui nel quale abita la menzogna, che ha desideri di morte e sollecita altri a compiere i suoi desideri. Gesù sembra crudele, eppure afferma il vero quando, analizzando la prassi di chi lo rifiuta, dice che si autoescludono dalla verità che li rende figli e liberi, per assoggettarsi al maligno. I Giudei ritorcono su Gesù quest’accusa, considerandolo come un indemoniato e un Samaritano a causa delle sue pretese di divinità. Infatti, egli afferma di essere in grado di strappare per sempre dalla morte chi crede in lui. Ora, Abramo e i profeti, come creature, erano votati alla tomba, nonostante la loro grandezza: come può quest’uomo pretendere di dare per sempre la vita, facendosi più grande di Abramo e dei profeti? A questa domanda Gesù risponderà ripetendo quel legame unico che lo unisce al Padre celeste e che lo rende il Figlio per eccellenza, Signore della libertà e della vita.

Il dibattito serrato di Gesù con i “Giudei che avevano creduto in lui” si avvia verso una conclusione drammatica. Egli ha denunciato la falsa fede che costoro ostentavano: più che figli di Abramo il credente, essi sono discendenti di Satana il menzognero. Gesù con la ben nota formula della rivelazione dell’Esodo (Es.3,14), dichiara la sua divinità. E’ il momento della gran rivelazione. Ognuno di noi lo percepisce, sentendo Gesù che dice: “In verità in verità vi dico: prima che Abramo che fosse, IO SONO” (v.58). Allora quei Giudei afferrano le pietre per lapidarlo, ma Gesù si sottrae a loro e continua la sua rivelazione nella cornice della festa delle Capanne, durante la quale compie un altro dei suoi sette “segni” miracolosi: la guarigione del cieco nato.

Indice Vangelo di Giovanni