Le ultime parole…

Flagellazione di Cristo (Caravaggio Rouen)Cari Fratelli e sorelle,

Tre elementi, concorrono alla realizzazione di ogni grande messaggio: un pulpito, un uditorio e una verità.

Questi tre elementi li troviamo nei due messaggi più importanti di Gesù Cristo, nostro Signore, vale a dire nel primo e ultimo da Lui consegnati all’umanità.

Questi pensieri mi sono ritornati alla mente dalla panchina dell’oceano, il mio eremo.

Il pulpito del suo primo messaggio (insegnamento) è stata la montagna, il monte Tabor; l’uditorio, ossia la moltitudine dei Galilei ignoranti (così perché volevano i Farisei); la verità, lo spirito delle Beatitudini (per entrare nel regno dei cieli).

L’ultimo messaggio (insegnamento) da Lui enunciato ha avuto per pulpito la Croce; e per uditorio, Scribi, Farisei blasfemi, sacerdoti del Tempio, Soldati romani intenti a giocare d’azzardo con la sua tunica, discepoli esitanti e vigliacchi, poi la Maddalena in pianto, Giovanni tutt’amore, e Maria dolorante come solo un madre può essere.

Maria Maddalena, Giovanni e Maria sua madre rappresentano: la penitenza, il sacerdozio, l’innocenza: I tre tipi di anime che in ogni tempo si riverseranno ai piedi della Croce di Gesù Cristo.

Dopo l’ultima cena, dove aveva istituito l’Eucarestia, Gesù con gli apostoli sono nel Getsemani. Qui In agonia Gesù pregava intensamente. E Diede un sudore come di gocce di sangue che cadevano fino a terra. Il solo evangelista che riporta il fatto è un medico, Luca. Lo fa con una precisione di un clinico. Il sudar sangue, o ematoidrosi, è un fenomeno rarissimo. Si produce in condizioni eccezionali: a provocarlo ci vuole una spossatezza fisica, accompagnata da una scossa morale violenta, causata da una profonda emozione, da una grande paura. Il terrore, lo spavento, l’angoscia terribile di sentirsi carico di tutti I peccati dell’umanità devono avere schiacciato Gesù.

Tradito, catturato, portato nel Sinedrio. Conosciamo la farsa di processo imbastito dal Sinedrio, l’invio di Gesù a Pilato e il ballottaggio della vittima fra il procuratore romano ed Erode. Pilato cede ed ordina la flagellazione di Gesù. Della massa di persone riunitasi nella piazza antistante il palazzo di Pilato, nessuno cade in ginocchio, stavolta, nemmeno per deriderlo. Coloro che dovevano testimoniare con coraggio e senza vergogna la fede in Lui, i beneficiari delle guarigioni, sono tutti scomparsi, impauriti.

Dove sono, in quei tremendi eterni istanti I lebbrosi sanati, gli indemoniati liberati, i ciechi che hanno riacquistato la vista, gli apostoli, I discepoli, coloro che hanno conosciuto il suo amore? Intanto i Soldati spogliano Gesù e lo legano per i polsi a una colonna dell’atrio. E inizia la flagellazione che viene effettuata con strisce di cuoio multiplo su cui sono fissate due palle di piombo o degli ossicini. Le tracce sulla Sindone di Torino sono eloquenti e innumerevoli; la maggiore parte delle sferzate è sulle spalle, sulla schiena, sulla regione lombare e anche sul petto.

I carnefici devono essere stati almeno in due, uno da ciascun lato, di ineguale corporatura. Colpiscono a staffilate le pelle, già alterata da milioni di microscopiche emorragie del sudor di sangue. La pelle si lacera e si spacca; il sangue zampilla.

Ad ogni colpo il corpo di Gesù trasale in un soprassalto di dolore. Le forze gli vengono meno: un sudor freddo gli imperla la fronte, la testa gli gira in una vertigine di nausea, brividi gli corrono lungo l schiena. Se non fosse legato molto in alto per I polsi, crollerebbe in una pozza di sangue.

Ma non è finita. Poi la scherno dell’incoronazione. Con lunghe spine, più dure di quelle dell’acacia, gli aguzzini intrecciano una specie di casco (corona) e glielo applicano sulla testa. Le spine penetrano nel cuoio capelluto e lo fanno sanguinare (I medici sanno quanto sanguina il cuoio capelluto). Dalla Sindone si rivela che un forte colpo di bastone dato obliquamente, lasciò sulla guancia destra di Gesù una orribile piaga contuse; il naso è deformato da una frattura dell’ala cartilaginea (questi rilievi sono stati effettuati da un medico).

Pilato, dopo avere mostrato lo straccio di uomo alla folla inferocita, glielo consegna per la crocifissione.

A questo punto caricano sulle spalle di Gesù il grosso braccio orizzontale della croce; pesa una cinquantina di chili. Il palo verticale è già piantato sul Calvario. Gesù si trascina a piedi scalzi per le strade dal fondo irregolare cosparso di ciottoli. I Soldati lo tirano con le corde. Il percorso, fortunatamente, non è molto lungo, circa 600 metri. Gesù a fatica pone un piede dopo l’altro; spesso cade sulle ginocchia. E sempre quella trave sulla spalla. Ma la spalla di Gesù è coperta di piaghe. Quando cade a terra la trave gli sfugge e gli scortica il dorso.

Sul Calvario, care sorelle e Fratelli, inizia la crocifissione. I carnefici spogliano il condannato; ma la sua tunica è incollata alle piaghe e il toglierla è semplicemente atroce. Ogni filo di stoffa aderisce al tessuto della carne viva; a levare la tunica, si lacerano le terminazioni nervosa messe allo scoperto nelle piaghe. I carnefici danno uno strappo violento. Eppure quel dolore atroce non provoca una sincope.

Il sangue riprende a scorrere; Gesù viene steso sul dorso. Le sue piaghe s’incrostano di polvere e ghiaietta. Lo distendono sul braccio orizzontale della croce. Gli aguzzini prendono le misure. Un giro di succhiello nel legno per facilitare la penetrazione dei chiodi e l’orribile supplizio ha inizio. Il carnefice prende un chiodo (un lungo chiodo appuntito di forma quadrangolare), lo appoggia sul polso di Gesù; con un colpo netto di martello glielo pianta e lo ribatte saldamente sul legno.

Gesù deve avere spaventosamente contratto il volto. e nello stesso medesimo istante il pollice, con un movimento violento, si è posto in opposizione nel palmo della mano: il nervo mediano è stato leso. Un dolore lancinante, acutissimo che si è diffuso nelle sue dita, è zampillato, come una lingua di fuoco, nella spalla, folgorandogli il cervello. Un dolore più insopportabile che un uomo possa provare, quello dato dalla ferita dei grossi tronchi nervosi. Tutto ciò di solito provoca una sincope e fa perdere la conoscenza. In Gesù no. Il nervo è stato distrutto solo in parte: la lesione del tronco nervoso rimane in contatto col Chiodo. Nel momento in cui il corpo di Gesù verrà sospeso sulla croce il nervo si tenderà, e a ogni movimento, ogni scossa, vibrerà risvegliando il dolore straziante in Gesù.

Anche per l’altro braccio si ripetono gli stessi gesti, gli stessi dolori. Gesù viene messo in piedi e, rapidamente, lo issano sul palo verticale.

Le spalle di Gesù strisciano dolorosamente sul legno ruvido. Le punte taglienti della grande corona di spine hanno lacerate il cranio impedendo a Gesù di riposare sul legno, infatti la sua testa è inclinata in avanti. Poi gli inchiodano I piedi. I suoi lineamenti sono tirati, il volto una Maschera di sangue. La bocca è semi aperta e il labbro inferiore già inizia a pendere. La gola è secca e gli brucia, ma Gesù non riesce a deglutire.

Ma tutto ciò non è che l’inizio di una tortura atroce. Uno strano fenomeno si produce nel corpo martoriato di Gesù. I muscoli delle braccia si irrigidiscono in una contrazione nervosa che va accentuandosi. Si tratta di crampi. Alle cosce e alle gambe gli stessi mostruosi rilievi rigidi; le dita dei piedi si incurvano. In medicina viene chiamata “tetania”, quando I crampi si generalizzano: I muscoli si irrigidiscono in onde immobili; tutti, nessuno escluso, anche quelli respiratori. Gesù respira con l’apice dei polmoni. Ha sete di aria: simile ad un asmatico in piena crisi, il suo volto pallido a poco a poco diventa rosso, indi trascolora nel violetto purpureo e infine nel cianotico. Gesù è colpito da asfissia, soffoca. I polmoni, gonfi d’aria non possono più svuotarsi. La fronte è imperlata di sudore, gli occhi escono fuori dall’orbita. Che dolori atroci devono avere martellato il suo cranio.

A questo punto avviene qualcosa di sorprendente. Lentamente, con uno sforzo sovrumano, Gesù ha preso un punto di appoggio sul chiodo dei piedi. Facendosi forza, a piccolo colpi, si tira su, alleggerendo la trazione delle braccia. I muscoli del torace si distendono. La respirazione diventa più ampia e profonda, I polmoni si svuotano e il volto riprende il pallore primitivo.

Pur nella sofferenza atroce, sono convinto che Gesù fosse nella pace, dal momento che compiva la volontà del Padre. Potrei azzardare anche che, nel profondo della sua anima, fosse soddisfatto, poiché lui il Figlio Unigenito era giunto, con piena libertà e accettazione all’ora del Suo sacrificio, un atto d’amore per il Padre e per l’umanità, un atto d’amore senza precedenti per il riscatto degli uomini.

Da quella Croce, da quel pulpito ci lasciò il suo testamento:

1 – PADRE PERDONA AD ESSI, PERCHÉ NON SANNO QUEL CHE FANNO:

Dalle cronache storiche sappiamo che quanti erano crocefissi imprecavano contro il giorno della loro nascita, contro I carnefici, contro le proprie madri, sputavano su chiunque alzasse gli occhi a osservarli. Addirittura le cronache ci rammentano che talvolta, a quelli cui si infliggeva la croce, erano costretti a recidere la lingua, per porre termine alle orribili bestemmie. Ecco perché I carnefici si trovavano sotto la croce. Attendevano un grido, ma certamente non quello che udirono. Anche gli Scribi, I Farisei, I Sacerdoti, e tutta la canea attendevano un grido, anzi erano certi che Gesù che aveva predicato di ‘’Amate I vostri nemici’’ e ‘’Fate del bene a chi vi odia’’, in quegli istanti avrebbe scordato la predicazione della Buona Novella.

Tutti attendevano un grido di dolore, ma nessuno, tranne i tre ai piedi della Croce, si aspettavano il grido che udirono. Grido? Assolutamente, no! Si trattava di una preghiera, mite, dolce, umile preghiera del perdono e della remissione: ‘’Padre, perdona ad essi…’’Perdono a chi? Al soldato che nell’atrio del Sinedrio lo aveva violentemente percosso con un pugno; Pilato, il politico, il vile che ha condannato un Dio per non perdere il favore di Cesare; Erode che ha rivestito l’Amore col manto di un folle; I Soldati Romani che hanno sospeso sulla Croce il Re dei Re……Perdona loro? Perché’? Perché non sanno quel che fanno? Se sapessero quello che stanno facendo e tuttavia continuassero a farlo; se sapessero quale orrendo crimine stanno commettendo nel mandare a morte la Vita; se sapessero quale pervertimento della giustizia è stato l’aver preferito Barabba a Gesù; se sapessero quale crudeltà è stato l’aver inchiodato a un legno I piedi che hanno calcato I colli eterni; se sapessero quel che stanno facendo e tuttavia continuassero a farlo, scordando che quello stesso sangue da essi sparso ha il potere di redimerli, allora non potrebbero mai essere salvati! Perché sarebbero dannati. E’ soltanto l’ignoranza del loro grande peccato a portarli dentro la cerchia di coloro cui è pervenuto quel grido dalla Croce.

Se tutti noi sapessimo, nella profondità del nostro intimo, quanto amore di sacrificio c’è nel Sacrificio della Croce e tuttavia ricusassimo di riempirne il calice del nostro cuore; se sapessimo quanta misericordia c’è nel Sacramento della Penitenza e tuttavia ricusassimo di piegare umilmente il ginocchio davanti a una mano che ha il potere di assolvere tanto in cielo quanto in terra; se sapessimo quanta vita c’è nell’Eucaristia e tuttavia ricusassimo di mangiare quel Pane che dà la vita eterna e di bere quel Vino che genera, se sapessimo tutta la verità che c’è nella Chiesa in quanto Corpo mistico di Cristo……

2 – IN VERITÀ’ TI DICO: OGGI SARAI CON ME IN PARADISO:

Nel clamore della folla vociante e frenetica, nel lugubre sibilo universale del peccato, in tutto quel delirio della rivolta dell’uomo contro Dio’ nessuna voce si era levata a pregare e riconoscere Dio tranne la voce di un condannato. Quello fu un grido di fede in Colui che tutti gli altri avevano abbandonato, e fu soltanto la testimonianza di un ladro. Quanti avrebbero potuto riconoscerlo. Il figlio della vedova di Naim, Pietro sul monte della trasfigurazione, il cieco di Gerico….se avessero proclamato la sua divinità, noi oggi non avremmo avuto modo di stupirci. Se qualcuno di questi avesse emesso un grido, forse I vigliacchi discepoli e amici avrebbero ripreso coraggio, forse anche gli scribi e i farisei avrebbero creduto. Ma nel momento in cui la morte stava per coglierlo, nel momento in cui la sconfitta pareva agguantarlo, la sola persona, fuori dal piccolo Gruppo ai piedi della Croce, a riconoscerlo Signore di un Regno, Salvatore di anime, fu un ladro alla destra della Croce. Nell’istante stesso in cui si produsse la testimonianza del ladro, Gesù riportava una vittoria quale nessuna vita può riportare, e spiegava un’energia che neanche ‘’Niagara con le sue cascate’’ poteva contenere: Gesù perdeva la sua vita e salvava al tempo stesso un’anima. E il giorno stesso in cui Erode e l’intera sua corte non sono riusciti a farlo parlare, e tutte le forze di Gerusalemme non sono riuscite a farlo discendere dalla Croce, e le ingiuste accuse di un tribunale non sono riuscite a rompere il silenzio, e una folla urlante ‘’Ha salvato gli altri,e non può salvare se stesso!’’ non è riuscita a strappare una risposta dalle sue labbra brucianti. Lui si rivolge a un uomo che vibra accanto a Lui, parla e salva un ladro: ‘’In verità ti dico, oggi sarai con me in paradiso’’.

3 – DONNA ECCO TUO FIGLIO:

La fanciulla di nome Maria stava in ginocchio in preghiera quando l’angelo le disse: “Ti saluto, piena di grazia!” Non era un saluto, quella era la parola di Dio.

‘’E la Parola si fece carne’’.

Se ben ci pensiamo questa fu la prima Annunciazione. Dal pulpito dell Croce avvenne la seconda Annunciazione. Non fu un angelo stavolta. La fece direttamente la dolce voce di Dio incarnato. ‘’Ecco tuo figlio!’’ Maria che aveva partorito il suo primogenito senza travaglio, nella stalla di Betlemme; ora partorisce il suo secondogenito, Giovanni nel travaglio della Croce. In quegli istanti Maria soffre I dolori del parto, non soltanto per il suo secondogenito, Giovanni, ma anche per I milioni di esseri umani che nelle varie epoche cristiane nasceranno da lei: altrettanti ‘’Figli di Maria’’. Fratelli e sorelle amatissime, Maria non è soltanto la Madre di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, ma è anche la Madre nostra, e ciò non a titolo reverenziale, né per lecita immaginativa, né per mera figura retorica, ma per il diritto da lei acquisito di partorirci in travaglio ai piedi della Croce. Eva perdette ai piedi dell’albero del Bene e del Male in quanto debole e disobbediente, il titolo di madre dei viventi; Maria, invece, tutta sacrificio ed obbedienza riacquistò per noi, ai piedi della Croce, il titolo di Madre degli esseri umani tutti.

Quale grazia è la nostra per avere per Madre la Madre di Dio e per fratello Gesù! Non è meraviglioso?

4 – DIO MIO, DIO MIO, PERCHÉ MI HAI ABBANDONATO?

5 – HO SETE.

Le prime parole pronunciate dal pulpito della Croce erano state rivolte alle tre categorie predilette da Dio: nemici, peccatori e santi. La 4 e la 5 parola raffigurano le sofferenze del Dio-Uomo sulla Croce. La quarta parola che stiamo meditando simboleggia le sofferenze dell’uomo abbandonato da Dio; la quinta, le sofferenze di Dio abbandonato dall’uomo.

Nel momento in cui Gesù pronunciò la quarta parola dalla croce, le tenebre avvolsero la terra. Si, tutto fu tenebra! Gesù aveva abbandonato sua Madre e il suo discepolo prediletto, e ora Dio pareva abbandonare Lui.

‘’Eli, Eli, lamma sabactani?’’

Cioè: ‘’Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’’ Questo, nel linguaggio misterioso della Sacra Scrittura, è un grido che esprime il tremendo mistero di un Dio ‘’abbandonato’’ da Dio. Il Figlio chiama suo Padre con nome di Dio. Quale contrasto con la preghiera che un giorno Lui ci ha insegnato: ‘’Padre nostro che sei nei cieli….’’Pare addirittura, in quell’istante, che la sua natura umana sia separate dal suo Padre Celeste, eppure separata non è, perché altrimenti come avrebbe potuto gridare: ‘’Dio mio, Dio mio……? Dunque perché questo grido? Come la luce ed il calore del sole possono distogliersi da noi a causa del frapporsi delle nuvole, similmente, il Volto del Padre suo si distolse da Gesù nel terribile attimo in cui Lui si addossava I peccati del mondo. I tremendi dolori, la pena che provava, la desolazione Lui la soffrì per noi affinché potessimo sapere come è tremendo, per la natura umana, essere senza Dio, mancare di una Consolazione divina.

Questo atto supremo di espiazione lo ha compiuto per tre categorie di persone: quelle che abbandonano Dio, quelle che dubitano della presenza di Dio, quelle che rimangono indifferenti a Dio. Espiò per gli atei, cioè per quelli che in quel tenebroso pomeriggio miscredettero di Dio. Espiò anche per coloro che, pur conoscendo Dio, vivono come se non ne avessero mai sentito pronunciare il nome. Espiò per coloro I cui cuori sono simili a sentieri quali l’amore di Dio cade soltanto per essere calpestato dal mondo. Espiò per coloro i cui cuori sono simili ai sassi sui quali la semenza di Dio cade soltanto per essere ben presto dispersa. Espiò per coloro I cui cuori sono simili a spine sulle quali l’amore di Dio discende soltanto per essere soffocato dai rumori del mondo. Espiò per tutti coloro che avevano avuto la fede e l’avevano perduta. Espiò per coloro che un tempo erano stati santi e adesso sono peccatori.

In un modo o nell’altro, come lo si voglia chiamare, quello fu un Divino Atto di Redenzione per chiunque.

Ma espiò anche per tutti coloro che negano la presenza di Dio, per tutti quei cristiani che tralasciano ogni sforzo quando non possono sentire Dio vicino a loro; per tutti coloro che identificano l’essere buoni col sentirsi buoni. Espiò per tutta l’indifferenza del mondo che vive come se non ci fosse mai stata una mangiatoia a Betlemme o una Croce sul Calvario. Espiò per tutti coloro che giocano ai dadi mentre si prepara il dramma della Redenzione. Espiò per coloro che si credono dei, al di là di qualsiasi obbligo di religione.

Ma fu anche la riparazione di tutte le assidue domande di un mondo dubbioso: Perché c’è il male?…..Perché Dio non esaudisce le mie preghiere?……Perché Dio ha fatto morire mia madre?……perché….perché…….perché……..

La riparazione di tutti questi interrogativi che travagliano l’essere umano si è avuta nel momento in cui Dio chiese un ‘’perché’’ a Dio.

‘’HO SETE’’ è la più breve Parola pronunciata dal pulpito della Croce. Gesù non maledice I suoi crocifissori, non ha parole di biasimo per I vili discepoli ai margini della folla, non un grido di disprezzo per I Soldati romani, ma neanche una parola di speranza per la Maddalena, non una parola di amore per Giovanni, non una parola di addio per sua Madre. Neppure al Padre, adesso. Non si rivolge più a Dio. Dalle profondità del suo essere scaturisce attraverso le labbra arse nel supplizio una parola sola e terribile: ‘’Ho sete!’’

La quinta parola ha rivelato le sofferenze di un Dio senza uomo. Il Creatore non può vivere senza il creato, né il pastore senza le pecore, né la sete dell’amore di Gesù senza l’acqua che si identifica con l’anima Cristiana. Che cosa ha fatto per avere diritto al nostro amore? In che misura Dio ci ha amati? Beh, se vogliamo sapere in che misura Dio ci ha amato, allora scandagliamo le profondità del significato della parola ‘’amore’’: una parola tanto usata, abusata e non compresa. Amore, significa anzitutto, dare, e Dio ha dato il suo potere al nulla, la sua luce alle tenebre, il suo ordine al caos: Vale a dire la CREAZIONE.

Amore significa confidare I segreti alla persona amata, e Dio ha confidato nelle Scritture I segreti della sua Natura e le sue sublimi speranze per l’umanità caduta: ossia la RIVELAZIONE. Amore significa anche soffrire per la persona amata, ecco perché parliamo dei tormenti dell’amore, ossia un sentimento che ferisce, e Gesù sulla Croce soffre per noi, perché non esiste amore più grande di quello che dà la vita per un amico. Amore significa anche diventare un tutt’uno con la persona amata, non soltanto nell’unità della carne ma pure nell’unità dello spirito, e Dio ci ha amato tanto da istituire l’Eucaristia, in modo che noi possiamo dimorare in Lui e Lui in noi nell’ineffabile unità del Pane di Vita. Amore significa anche unione eterna con la persona amata, e Dio ci ha amati tanto da prometterci le dimore del Padre suo, dove regna pace, gioia, che il mondo, il regno della terra non può dare, né il tempo togliere: il PARADISO.

L’ amore non c’è dubbio, ha donato tutto se stesso. Tutto quello che Gesù poteva fare per la sua vigna, lo ha fatto. Ha riversato nei nostri poveri cuori assetati tutte le acque del suo amore, quindi non dobbiamo stupirci che abbia sete di amore. Se l’amore è reciproco, Lui ha certamente diritto al nostro amore. E allora perché non lo corrispondiamo?

Gesù termina la sua vita con un’affermazione: TUTTO E’ COMPIUTO! E con PADRE, NELLE TUE MANI RIMETTO IL MIO SPIRITO.

Nell’economia della Redenzione, le medesime tre cose che avevano concorso alla nostra caduta dall’Eden partecipano alla nostra redenzione. Invece del disobbediente uomo chiamato Adamo, abbiamo l’obbediente uomo chiamato Gesù Cristo; invece dell’orgogliosa donna chiamata Eva, abbiamo l’umile Vergine Maria; invece dell’albero del bene e del male del giardino, abbiamo l’albero della Croce. La Redenzione, ora, è completata.

Il Figlio di Dio ha assolto il compito assegnatogli dal Padre, ha pagato con la vita il Prezzo del nostro riscatto. Nelle ultime tre ore di vita Gesù aveva atteso all’opera del Padre suo. L’artista, il pittore, ha dato l’ultimo tocco al suo capolavoro,e con la felicità dei forti ha emesso il canto del trionfo: ‘’TUTTO E’ COMPIUTO!’’

Gesù, care sorelle e fratelli, ha portato a termine le fondamenta: su di esse noi dobbiamo edificare.

Sia lodato Gesù Cristo.

Sergio dalla panchina sull’oceano.