Vangelo di Giovanni – Cap 10,1,21 a 10,22-42

Gesù il buon pastore

Il buon pastore

Capitolo 10, 1-21

* In verità in verità vi dico: chi non entra nell’ovile delle pecore passando per la porta ma arrampicandosi da un’altra parte, è un ladro e un predone. *Chi invece entra passando per la porta è il pastore delle pecore. *Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce. Egli le chiama e le conduce fuori. *Quando le ha condotte fuori, cammina davanti ad esse. Le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. *Un estraneo invece non lo seguirebbero, anzi lo fuggirebbero, perché non conoscono la voce degli estranei . *Gesù raccontò loro questa parabola, ma non ne compresero il significato. *Gesù prese di nuovo la parola: In verità in verità vi dico, io sono la porta delle pecore. *Tutti quelli che sono venuti prima di me sono ladri e predoni. Ma le pecore non hanno dato loro ascolto. *Io sono la porta. Chiunque entra attraverso di me, sarà salvo: entrerà, uscirà e troverà pascoli. *Il ladro viene solo per rapire, uccidere e distruggere. Io invece sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in grande abbondanza. *Io sono il buon pastore. Il vero pastore rischia la sua vita per salvare le pecore. *Il mercenario invece – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – appena scorge il lupo abbandona le pecore e fugge. Così il lupo le azzanna e le disperde. *Chiaro: è un mercenario e le pecore non gli interessano. * Io sono il buon pastore. Conosco le mie pecore, ed esse mi conoscono. *come il Padre conosce me e io conosco il Padre. E do la mia vita per le pecore. *Ma ho pure altre pecore che non fanno parte di questo ovile. E’ necessario che io guidi anche quelle. Un giorno ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, con un solo pastore. *Per questo il Padre mi ama, perché do la mia vita per poi riprenderla. *Nessuno me la strappa, io la do da me. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla. E’ questo il comando che ho ricevuto dal Padre mio. *Queste parole fecero scoppiare un nuovo diverbio fra i giudei. *Alcuni dicevano: E’ un indemoniato, vaneggia; perché gli date retta? *Ma altri ribattevano: Queste parole non sono da indemoniato. Può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?

La guarigione del cieco nato e le relative discussioni ebbero ancora degli strascichi, per vari giorni a Gerusalemme. Gesù allora ricorre ad una parabola, parzialmente allegorizzata e ricavata dai comuni usi palestinesi, e paragona la propria operosità a quella di un buon pastore. Nei vv.1-5, inizia il discorso con la similitudine della porta. Teniamo presente che in Palestina, ai tempi di Gesù, l’ovile si riduceva ad un appezzamento di terreno cintato da un muro di pietre dove si radunavano di sera le pecore, di uno o più greggi, che di giorno avevano pascolato nei dintorni. Una porta bassa e stretta aperta nel muro permetteva alle pecore di entrare e uscire ad una ad una, per essere più facilmente contate ambedue le volte. Di notte un solo pastore montava la guardia all’ovile contro i ladri e i lupi; ma verso l’alba quando venivano gli altri pastori a prendersi ciascuno il suo gregge, il pastore di guardia apriva regolarmente ad essi la porta: il nuovo arrivato lanciava il segnale particolare di riconoscimento, e allora le sue sole pecore si affollavano alla porta, uscivano ad una ad una e seguivano per tutta la giornata il pastore nella steppa. Le altre pecore attendevano finché non udivano anch’esse il segnale conosciuto del loro pastore, e si avviavano all’uscita. Così, gregge dopo gregge, le pecore partivano tutte attraverso l’unica porta. Lo stesso accadeva al rientro serale. La porta, dunque, è il punto più delicato dell’ovile, ed essa sola ispira fiducia; chiunque non passi attraverso essa ma salga per il muro scavalcandolo, si dimostra con ciò stesso nemico, e non può essere che un ladro o un lupo. Ecco perché Gesù disse: “In verità in verità vi dico: chi non entra nell’ovile delle pecore per la porta ma arrampicandosi da un’altra parte, è ladro e un predone “(=lupo). Si evince che Gesù è il pastore che si prende cura del suo gregge. E lo fa con affezione, con cura premurosa e diligente, di sollecitudine.

Tuttavia l’allusione non fu compresa. Nei vv.6-10, Gesù vi ritorna sopra per cercare di far capire ciò che significava ” Io sono la porta” e “Tutti coloro che sono venuti prima di me sono ladri e predoni. Ma le pecore non hanno dato loro ascolto”. Si tratta di una frase molto dura e polemica. Egli si riferisce ai capi religiosi che trascinavano la gente dietro di loro, ma non rispondevano alle attese del fedeli. Non erano interessati al bene del popolo, ma piuttosto ai loro soldi e ai loro interessi. Ingannavano la gente e l’abbandonavano alla loro sorte. Il criterio fondamentale per discernere tra il pastore ed il ladro e brigante sono la difesa della “vita delle pecore”. Gesù aggiunse ancora: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza”. Ecco entrare per la porta significa imitare l’atteggiamento di Gesù in difesa della vita delle pecore, e chiede alla gente di prendere l’iniziativa di non seguire colui che si presenta fingendosi pastore, ma che non è interessato della vita della gente. Nei vv.11-15, Gesù cambia la similitudine. Prima lui era la porta, ora è il pastore. Tutti sapevano com’era un pastore e come viveva e lavorava. Ma Gesù non è un pastore qualsiasi, è il buon pastore! Del buon pastore abbiamo l’immagine dall’A.T. in Ezechiele 34 e nel Salmo 23. Non scordiamo che la parabola suona familiare agli orecchi degli ascoltatori: pastore e gregge sono una cosa sola. Dio, il vero pastore, si preoccupa delle pecore più deboli, fascia quelle ferite e riunisce le disperse. Gesù, allo stesso modo, ci mostra che la sua accoglienza dei peccatori e di quanti soffrono è conforme alle Scritture. Gesù, il buon pastore, si presenta come colui che viene a compiere le promesse dei profeti e le speranze del popolo. Due sono i punti su cui insiste: a) difesa della vita delle pecore: il Buon Pastore dà la sua vita. b) nella mutua intesa tra il pastore e le pecore: il Pastore conosce le sue pecore e loro conoscono il pastore.

Quindi la mancata comprensione di scribi e di farisei contraddicono proprio quelle Scritture che essi dicevano di venerare. Essi, in definitiva disprezzavano le pecore e le chiamavano gente maledetta ed ignorante. Al contrario Gesù dice che la gente ha una percezione infallibile per sapere chi è il buon pastore, perché riconosce la voce del pastore. Scribi e farisei pensavano di avere la certezza di discernere le cose di Dio. Ma in realtà erano ciechi. Gesù dunque, da vero pastore e non da mercenario, è pronto a perdere la vita per il bene dei suoi discepoli. Inoltre, nei vv.16-18, egli è il pastore non soltanto di quest’ovile dell’eletto popolo ebraico, ma anche d’altre pecore le quali un giorno udranno la sua voce: si formerà allora un solo gregge di suoi discepoli, tratti indifferentemente dal popolo d’Israele e da altri popoli, e il nuovo gregge collettivo avrà per comune pastore il Messia Gesù. Infatti, già gli antichi profeti, trattando dei tempi del futuro Messia, avevano contemplato questo allargamento dl ristretto ovile d’ Israele entro cui sarebbero entrate pecore d’altri ovili, Isaia 2,2-4; Michea 4,13. Giovanni con il suo vangelo intende mettere in linea il senso della vita, i gesti, e le parole di Gesù. Non desidera tanto narrare dei fatti a sé stanti, quanto rilevarne il significato spirituale profondo. Nei versetti del brano (10,1-18), Gesù viene presentato come il buon pastore. Il simbolo ci fa cogliere nei tratti più caratteristici e intimi la sua personalità e missione. Non è venuto per prendere o per rubare, ma per dare in abbondanza; è venuto per conoscere e per guidare: egli è pastore. Egli è il punto di passaggio obbligato per giungere alla salvezza: è la porta, in altre parole il sacramento fontale da cui proviene ogni grazia.

Tre sono i segni per riconoscere il buon pastore. “Egli dà la vita per le sue pecore”: il tema del pastore riecheggia nei versetti in oggetto e richiama quello fondamentale del Servo sofferente (Is.53,10); “egli conosce le sue pecore” (in senso biblico la “conoscenza” va molto al di là di un semplice atteggiamento intellettuale; richiama una comunanza di vita fondata sull’amore): si parla qui di una conoscenza esistenziale che permette di arrivare alla persona come essere vivo, di entrare nel mistero profondo del cuore; egli si preoccupa dell’unità e del raduno del gregge: Giovanni qui pensa molto probabilmente alla profezia di Geremia 23,3, nella quale si annuncia che le pecore “di tutte le nazioni” saranno “radunate”. Osservazione importante: il pastore va alla ricerca delle pecore; Dio cerca sempre il suo popolo, non viceversa. In altre parole: la religione della fede è sempre un’iniziativa divina, una rivelazione; non è tanto una via che conduce l’uomo a Dio, quanto piuttosto una via che conduce Dio all’uomo.

Alla festa della Dedicazione

Capitolo 10,22-42

*In quei giorni si celebrava a Gerusalemme la festa della Dedicazione del tempio. Era inverno. *Gesù si aggirava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I giudei fecero crocchio attorno a lui e gli chiesero: Fino a quando terrai il nostro animo sospeso? Se sei il Messia, dillo apertamente. *Rispose loro: Ve l’ho già detto, ma non volete credere. Le opere che io faccio in nome del Padre mio, queste testimoniano in mio favore. *Ma voi non credete, perché non appartenete alle mie pecore. *Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono. *Io do loro la vita eterna e non periranno mai. Nessuno me le strapperà. *Il Padre mio, che me le ha date, è più forte di tutti, e nessuno può strapparle dalla sua mano. *Io e il Padre siamo una cosa sola. *Di nuovo i giudei raccolsero pietre per lapidarlo. *Ma Gesù disse: Io vi ho mostrato molte opere buone che vengono dal Padre; per quale di queste opere buone volete lapidarmi? *Gli risposero: Non vogliamo lapidarti per un’opera buona, ma perché bestemmi: sei un uomo e ti fai uguale a Dio. *Riprese Gesù: Non sta scritto nella vostra legge: Io ho detto: voi siete dèi? *Se la legge chiamò figli di Dio gli uomini ai quali è stata rivolta la parola di Dio – e la scrittura non può essere contraddetta – *perché a me, che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, voi dite: tu bestemmi, per aver detto: sono figlio di Dio? *Se non faccio le opere del Padre mio, non credetemi. *Ma se le faccio, se non volete credere a me, credete alle opere: riconoscete che il Padre è in me e io nel Padre. *A questo punto cercarono nuovamente di arrestarlo. Ma egli sfuggì dalle loro mani. *Di nuovo Gesù attraversò il Giordano, dirigendosi verso il luogo dove Giovanni era stato a battezzare, e li si fermò. *Molti andavano da lui e dicevano: Giovanni non fece nessun segno, ma tutto quanto disse Gesù è risultato vero. *In quella regione molti cedettero in lui.

I vv. 22-42 sono una specie d’epilogo dei versetti precedenti. Lo prova la ripresa dei medesimi temi e dei medesimi termini: le pecore, il conoscersi, la sequela, l’ascoltare la voce, il dono della vita. Ci troviamo sempre nel tempio, e il dibattito fra Gesù e i giudei assume l’andamento di un pubblico processo. I giudei pongono una domanda chiara e pretendono una risposta altrettanto chiara: Se sei il Messia dillo apertamente (v.24). La risposta di Gesù avviene in due tappe (vv.25-31 e 32-39) e ciascuna finisce con una minaccia di morte. La controversia su Gesù-Messia e la fede è intrecciata con l’allegoria pastore-pecore. Ne sono ben determinati tempo e luogo (vv.22-23). I giudei chiedono a Gesù di dire apertamente se è il Messia. Ma egli sa che essi non vogliono credere e sa anche il perché: non sono delle sue pecore, in pratica non vogliono appartenere a lui. Le pecore di Gesù invece ascoltano la sua voce, ed egli dona loro la vita e nessuno gliele rapiscono dalle mani. Sono un dono del Padre. Da notare l’affermazione finale: “Io e il Padre siamo una cosa sola” Chi respinge Gesù quindi respinge il Padre.

Nei primi versetti del brano si tratta del mistero della persona di Gesù. Egli fa comprendere che non è tanto un problema di chiarificazione da parte sua, poiché non si tratta di chiarezza d’enunciati (=scienza), ma della fede dei suoi interlocutori. La fede non è il risultato di un ragionamento o di una serie d’argomentazioni. Per intendere Gesù e per avvicinarsi al suo mistero, bisogna appartenere al suo gregge e ascoltare la sua voce. Al contrario del cieco-nato, meditato nel capitolo 9, i giudei non capiscono: essi non hanno fatto nessuno sforzo per accettare Gesù e riconoscerlo come Messia. Il loro accecamento è, in questo senso, volontario e responsabile: si sono radicalmente dimostrati incapaci di appartenere al gregge; non hanno voluto stabilire quei rapporti di comunione, di dialogo, di ricerca sincera che sono alla base d’ogni incontro e d’ogni approccio con un a persona. Negli altri versetti (31-39) i giudei non solo non credono, ma tentano di lapidare Gesù perché, a loro parere, ha bestemmiato, essendosi fatto figlio di Dio. Gesù risponde loro con due argomenti: a) nella Scrittura (Salmo 82,6) tutti sono chiamati dèi, tanto più lo deve essere colui che il Padre ha santificato e inviato nel mondo; b) credano almeno alle opere e comprenderanno la mutua immanenza fra Padre e Figlio e la conseguente sua uguaglianza col Padre. Tuttavia, la risposta è sempre la violenza.

Coloro, invece, che credono, genericamente classificati come “molti cedettero in lui”, vanno a Gesù nel luogo dove prima il Battista battezzava. L’argomento per la fede in Gesù è proprio preso dal Battista: egli non fece nessun segno (al contrario di Gesù che ne fece molti), e per di più si è verificato in Gesù tutto quello che il Battista disse di lui. La fede è il riconoscimento di una persona viva in mezzo agli uomini, di uno che cammina con noi e che ci propone di vivere la sua vita. La fede è accoglienza di questo dono, di questa vita nuova. Chi si offre in questo modo a noi è Dio: Dio che ha preso in Gesù Cristo un volto che l’uomo possa conoscere. La fede non è un’ideologia, non è un comportamento; è l’incontro con Cristo Figlio di Dio. Perciò Cristo insiste sulla sua unione col Padre che fa di loro due uno solo. Le opere che egli compie dovrebbero, se non abbattere ogni ostacolo a questo riconoscimento, almeno portare ad una riflessione seria che aprisse alla luce di Cristo e determinare l’incontro. Questo non avviene nei giudei: essi non s’interrogano; hanno già sentenziato: “Tu che sei un uomo…” (v.33). manca in loro ogni apertura al dialogo, alla ricerca, quindi a nulla valgono persino le opere cui egli fa appello.

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