Vangelo di Giovanni – Cap 5,1-9 a 5,31-47

Bartolomé Esteban Murill, Miracolo del paralitico

La guarigione del paralitico

Capitolo 5,1-9

*Dopo questi avvenimenti ci fu una festa dei giudei, e Gesù salì a Gerusalemme. *In Gerusalemme, presso la porta delle pecore, c’è una piscina, chiamata in ebraico Betesda, con cinque portici. *Sotto questi portici giaceva una folla di ammalati, ciechi, zoppi e paralitici, in attesa del movimento dell’acqua. *Infatti un angelo scendeva di tanto in tanto nella piscina e agitava l’acqua: il primo che correva a immergersi, quando l’acqua veniva agitata, guariva d ogni malattia, qualunque fosse. *C’era là un uomo infermo da 38 anni. *Gesù, vedendolo sdraiato e saputo che da molto tempo si trovava in quella condizione, gli disse: Vuoi guarire? *Rispose l’infermo: Signore, io non ho nessuno che, quando si agita l’acqua, mi immerga nella piscina: mentre cerco di arrivarci, un latro vi si immerge prima di me. *Gli disse Gesù: Alzati, prendi il tuo giaciglio e cammina. *L’uomo fu guarito all’istante; prese il suo giaciglio e cominciò a camminare. Quel giorno era un sabato.

Gesù, salito a Gerusalemme, passa accanto ai cinque portici dove si radunano gli infelici di Israele. L’ambiente è Betesda, che significa “casa della misericordia”, una specie di rifugio per ammalati d’ogni genere, al centro del quale c’era la piscina dell’acqua miracolosa. La figura del paralitico viene descritta con pochissimi tratti; ma se ne sottolinea l’importanza e, forse, l’apatica rassegnazione. Giovanni intende mettere in risalto il gesto di Gesù, la sua iniziativa: nessuna preghiera da parte del paralitico, nessun segno di fede; anzi, egli non sapeva chi fosse il suo guaritore. La descrizione degli ammalati sotto i portici della piscina sono indicati da tre categorie: ciechi, storpi e paralitici. Giovanni, con queste tre immagini, vuole indicare anche la reale condizione dell’uomo, nel momento in cui Gesù lo raggiunge: la cecità, la mancanza di libertà di movimento e la paralisi. L’attenzione del lettore si concentra subito su uno di quei malati. Il tema della guarigione diviene così centrale; il termine guarito ritorna tre volte a scandire la narrazione. Si tratta di un termine tecnico usato nei santuari pagani. Santuario della devozione popolare agli dèi salvatori, molto diffusa nel paganesimo. Santuari di tal genere pullulavano nel mondo antico un po’ dovunque, anche nel giudaismo dell’epoca.

Il tema di Gesù Salvatore deve essere precisato, soprattutto nella sua direzione polemica. Non basta affermare che Gesù è l’unico salvatore, occorre affermare che la sua salvezza ubbidisce ad una logica diversa. Infatti, la domanda di Gesù, “vuoi guarire?”, intende rilevare la necessità di un’adesione consapevole e volitiva della persona all’opera di guarigione compiuta dal Messia. Non avrebbe nessun altro scopo chiedere ad un malato se voglia guarire. Potrebbe perfino sembrare superfluo. Ma il punto cruciale sta proprio qui: Gesù ha bisogno dell’ adesione della fede, per agire con la sua potenza nella vita delle persone. Da qui la domanda. Il malato risponde riferendosi all’unica speranza che egli conosce: l’agitazione dell’acqua della piscina, unitamente all’attesa di qualcuno che l’aiuti a calarsi dentro. Queste attese, però, sono state deluse da qualche tempo. L’acqua della piscina sembra a questo punto assumere un significato simile al pozzo di Giacobbe, nel dialogo con la samaritana. Come quell’acqua non è capace di dissetare definitivamente, così quest’acqua promette una guarigione che non si realizza mai. Il pozzo di Giacobbe e la piscina di Betesda sono destinati così ad essere sostituiti dall’acqua viva donata da Gesù. Quest’ acqua messianica disseta e guarisce, mantenendo sempre ciò che promette. L’acqua che guarisce le ferite dell’umanità, sgorgherà, di fatto, insieme al sangue della redenzione, dal costato aperto del Messia crocefisso.

E’ a questo punto che Gesù ordina all’uomo, invitandolo ad una speranza insospettata: “Alzati!” L’uomo si alzò e iniziò a camminare. Nel guarire il paralitico, l’obiettivo di Gesù non è quello di ridargli solamente la salute, ma quello, ben più alto, di restituirgli la condizione d’uomo libero. Non si tratta quindi di guarire la parte malata, ma di condurre l’uomo alla pienezza della vita. Infatti, il lettuccio sul quale stava poco prima adagiato, ora se lo carica sulle spalle. La parola di Gesù rende l’uomo signore di ciò che prima lo dominava. Il lettuccio c’è ancora, ma ha smesso di opprimere la persona. Tuttavia la parola che guarisce contiene insieme l’ordine di violare la legge del sabato(v.9).

La polemica sull’osservanza del sabato

Capitolo 5,10-18

*I giudei dissero all’uomo guarito: E’ sabato, non puoi portarti via il giaciglio. *Rispose loro: Chi mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo giaciglio e cammina. *Gli domandarono: Chi è l’uomo che ti ha detto: prendi e cammina? *Ma egli non sapeva chi fosse. Gesù infatti si era confuso tra la folla che si trovava in quel luogo. *Gesù lo ritrovò, più tardi, nel tempio e gli disse: Ecco, sei guarito: non peccare più perché non ti accada di peggio. *L’uomo se ne andò e riferì ai giudei che a guarirlo era stato Gesù. *Per questo i giudei incominciarono a perseguitare Gesù perché faceva tali cose di sabato. *Ma Gesù disse loro: Il Padre mio continua ad agire e io pure agisco. *In questo i giudei trovarono una ragione ancora più forte per ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

La violazione del” sabato” offre lo spunto ad una polemica che i Giudei intessono con Gesù, ma il dialogo si apre progressivamente verso una direzione più alta. Infatti Gesù “chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”. Si delinea la divinità e la trascendenza di Gesù, che vengono illustrate in un discorso che egli stesso pronunzia in modo solenne, occupando la maggior parte del capitolo quinto. Giovanni dà alla polemica con i capi giudei una direzione più marcatamente cristologica. Gesù attira l’attenzione sulla sua relazione col Padre. E’ la sua filiazione divina la ragione profonda per cui è padrone del sabato. L’affermazione centrale, da comprendere bene per capire il ragionamento di Gesù, si trova nelle parole:Il Padre mio continua ad agire e io pure agisco. Gesù, guarendo di sabato, mette in atto la prerogativa divina dell’azione continua, non interrotta neppure il sabato: egli è associato all’azione salvifica del Padre che non ammette soste. L’incomprensione dei giudei ha diverse sfumature, i quali accusano Gesù di disobbedienza e di bestemmia. Nel gesto di Gesù essi vedono la violazione del sabato, e non la guarigione di un uomo. I giudei accusano Gesù di non sottomettersi al comandamento di Dio, mentre è proprio il contrario: egli è la trasparenza dell’azione salvifica di Dio che non ha soste. Infine intravedono la relazione fra Gesù e il Padre: lo accusano di farsi uguale a Dio e non comprendono che è precisamente questa la sua natura. Poiché lo ritengono un bestemmiatore, tramano per ucciderlo.

Le opere del Padre e del Figlio

Capitolo 5,19-30

*Allora Gesù prese la parola e disse: In verità in verità vi dico, il Figlio non può fare nulla da sé, ma solo ciò che vede fare dal Padre: ciò che fa il Padre lo fa anche il Figlio. *Infatti il Padre ama il Figlio e gli manifesta tutte le cose che fa: e gli mostrerà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati. *Come il Padre risuscita i morti e dà loro la vita, così anche il Figlio vivifica chi vuole. *Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio *affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che l’ha mandato. *In verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna: non incorre nel giudizio, me è passato dalla morte alla vita. *In verità in verità vi dico: l’ora viene, ed è questa, nella quale i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e coloro che l’avranno udita vivranno. *Il Padre, che ha la vita in se stesso, ha dato anche al Figlio di avere in sé la vita; *e gli ha dato il potere di esercitare il giudizio, perché è il Figlio dell’uomo. *Non vi meravigliate di questo, perché viene l’ora nella quale tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce *e usciranno: quelli che hanno fatto il bene per una risurrezione di vita, quelli che hanno fatto il male per una risurrezione di condanna. *Io non posso fare nulla da me stesso: come ascolto, giudico, e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Il potere che Gesù si attribuisce come Figlio di Dio, potere ricevuto da Dio stesso, è quello di dare la vita e di essere giudice dell’umanità: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a coloro che vuole. Il Padre, infatti, non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio” (vv. 21-22). Sono queste “le opere più grandi” dei miracoli che Gesù compie su mandato del Padre. La risurrezione dei morti a vita nuova non riguarda solo la risurrezione finale, ma la vita nuova qui e adesso: la vita di grazia è l’inizio della vita di gloria: “Chi crede in me anche se morisse, vivrà, e chiunque crede in me, non morirà mai” (Gv. 11,25 ss.). Anche il giudizio, non ha luogo solo alla fine dei tempi, ma qui e adesso, sulla base dell’accettazione o del rifiuto di Cristo. Questa duplice autorità di Gesù sulla vita e sul giudizio sono visti come una “escatologia realizzata”. Il duplice tema della risurrezione e del giudizio, ribadito in questo testo, esalta la profonda connessione tra Dio e Gesù: ascoltare (il Figlio) e credere (al Padre) è una sola e medesima realtà: rifiutare Gesù è rinnegare il Padre. Identificando la sua opera con quella di Dio, Gesù si dichiara uguale a Lui. Per i capi giudaici, fermi assertori del monoteismo, queste affermazioni di Gesù sembravano una chiara affermazione di dualismo nella divinità.

Questa unità tra il Padre e il Figlio, può apparire poco chiara leggendo il v. 19: “Il Figlio non può far nulla da sé, se non ciò che ha veduto nel Padre”. Qui Gesù, però, non intende affermare una subordinazione della sua natura umana da Dio (rinnegherebbe tutto quello che ha già affermato prima), insiste piuttosto sull’assoluta armonia che esiste tra l’attività del Padre e quella del Figlio, il che ovviamente esige radicalmente un’identità di natura. In Gv 16,12 ss., si utilizza lo stesso procedimento per precisare la relazione che esiste tra lo Spirito Santo e il Figlio. Tuttavia, in tutto il vangelo, la Trinità non viene mai presentata e trattata come una tesi di teologia astratta; se ne parla sempre a proposito della salvezza: il Figlio – che è sia Dio che Uomo – si trova nel mondo per compiere l’opera del Padre, che è quella di portare agli uomini la salvezza. Il principio di questa comunanza d’attività tra il Padre e il Figlio è l’amore. L’amore è anche il principio dell’attività dello Spirito poiché santificatore, attività che mira a rendere anche gli uomini partecipi della vita comunitaria della Trinità (cfr. Gv 14,16.21). Il credente che aderisce in uno slancio al Padre e al Figlio riceve il dono immediato della vita e non incorre nel giudizio. Con la venuta di Gesù gli ultimi tempi sono iniziati, il giudizio si basa sull’accoglimento o sul rifiuto di lui. “E’ venuta l’ora, ed è questa”, con Gesù siamo entrati nel “già”, in cammino verso la risurrezione finale, ma “non ancora” avvenuta. Il mediatore di questa vita eterna porta il duplice nome di “Figlio di Dio” (v. 25) e di “Figlio dell’uomo” (v. 27). La sola condizione è di ascoltare la sua voce. Ogni uomo, anche dopo la dipartita di Gesù, può mettersi in ascolto della “parola” e ottenere così fin d’ora la vita eterna. L’escatologia realizzata non sopprime la risurrezione finale, in Giovanni l’escatologia futura è parte integrante del suo insegnamento.

Testimonianza a favore del Figlio

Capitolo 5,31-47

*Se io testimoniassi in mio favore, la mia testimonianza non sarebbe accettabile. *C’è un altro che mi rende testimonianza, e io so che la sua testimonianza è conforme alla verità. *Non che io riceva testimonianza dall’uomo, ma vi dico questo perché siate salvi. *Egli era una lampada luminosa e splendente, e voi avete voluto godere per un poco alla sua luce. *Ma io ho una testimonianza più grande di quella di Giovanni, cioè le opere che il Padre mi ha dato da portare a compimento: queste opere che io compio testimoniano che il Padre mi ha mandato. *Il Padre che mi ha mandato, ecco il mio testimone. *Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né veduto il suo volto, e non avete la sua parola in voi, poiché non credete a colui che egli ha mandato. *Voi scrutate le Scritture, pensando di trovare in esse la vita eterna. Infatti esse testimoniano di me, *ma ciò nonostante voi non volete venire a me per avere la vita. * Io non accetto la gloria che viene dagli uomini. *D’altronde vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. *Io sono venuto in nome del Padre, e voi rifiutate di ricevermi. Se un altro venisse in nome proprio, lo ricevereste. *Come potete credere, voi che mendicate gloria gli uni dagli altri, e no n cercate la gloria che viene dall’unico Dio? *Non pensate che io voglia accusarvi presso il Padre. C’è chi vi accusa: Mosè nel quale sperate. *Se davvero credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli ha scritto di me. *Ma in realtà voi non credete alle scritture, e allora come potete credere alle mie parole?

Lo sfondo ideale di quest’ultima parte del discorso è un immaginario tribunale nel quale si sta svolgendo un processo fra Gesù e i giudei, la fede e l’incredulità. Il discorso ora si sposta sulla testimonianza e Gesù accetta il principio generale della giurisprudenza umana, secondo la quale la testimonianza che uno rende a se stesso, va suffragata con l’attestazione d’altre persone, e Gesù chiama in causa a suo favore tre testimoni (vv. 31-40): Giovanni Battista, mandato da Dio (Gv 1,6); i miracoli di Gesù e il Padre stesso. La testimonianza del Padre, più che ad un singolo avvenimento (come il battesimo di Gesù), rimanda alla testimonianza complessiva dell’Antico Testamento (sono proprio le Scritture che mi rendono testimonianza, v. 39). Le testimonianze non possono acquisire il loro peso se non vengono percepite nella loro realtà profonda. Gli oppositori di Gesù non hanno voluto intendere la voce del Padre in quella di Gesù, né vedere il suo volto, né cogliere la sua presenza nelle opere. Essi cercano la vita e rifiutano di riceverla da colui che gliela deve dare. Persino lo studio delle Scritture risulta vano e controproducente, perché tolto Gesù Cristo vengono svuotate del loro unico e profondo contenuto. Il motivo di questo accecamento è la ricerca di se stessi, la mancanza d’amore di Dio. Così l’attacco si fa violento (vv. 41-47): i giudei non credono perché non hanno in loro l’amore di Dio. Alla fine il testimone che accuserà il popolo ebreo sarà proprio Mosè, vale a dire quelle Scritture sulle quali essi si fondano per rifiutare Gesù.

Finiamo queste riflessioni evidenziando alcuni titoli cristologici presenti in questo capitolo quinto:

  • Gesù, il guaritore, colui che è attento al più debole.
  • Gesù, il padrone del sabato, perché così imita suo Padre.
  • Gesù, il Figlio, in unione con il Padre.
  • Gesù, l’uguale a Dio: accusa dei giudei, ma vera agli occhi dei cristiani.
  • Gesù, centro delle Scritture.
  • Gesù salvatore.

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