Vangelo di Giovanni – Cap 19,1-16 a 19,38-42

Peter Paul Rubens - elevazione della croce

Flagellazione e condanna

Capitolo 19, 1-16

*Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare. *Poi i soldati intrecciarono una corona di spine e gliela misero sul capo, lo rivestirono di un manto di porpora *e gli si avvicinarono dicendo: Salve re dei giudei. E lo prendevano a schiaffi. *Pilato uscì di nuovo dal pretorio e disse loro: Ora ve lo conduco fuori perché sappiate che non trovo in lui alcun motivo di condanna. *Gesù uscì con in capo la corona di spine e rivestito del manto di porpora. E Pilato disse: Ecco l’uomo (Ecce Homo). *Appena lo videro, i sacerdoti e le guardie si misero a gridare: Crocifiggilo, crocifiggilo. Pilato disse loro: Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non trovo in lui nessun motivo di condanna. *Risposero i giudei: Noi abbiamo una legge e secondo questa legge deve morire perché si è proclamato figlio di Dio. *Sentendo questo, Pilato si impaurì ancora di più. *Rientrò nel pretorio e disse a Gesù: Di dove sei? Ma Gesù non gli diede risposta. *Allora Pilato gli disse: Non mi rispondi? Non sai che io ho il potere di liberarti e il potere di crocifiggerti? *Gesù rispose: Non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha una colpa ancora più grande. *Da quel momento Pilato cercò di liberarlo. Ma i giudei gridarono: Se lo liberi, non sei amico di Cesare. Chi si fa re si oppone a Cesare. *A queste parole Pilato fece condurre fuori Gesù e lo fece sedere sulla predella del tribunale, nel luogo detto Lastricato, in ebraico Gabbata. *Era la preparazione della pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai giudei: Ecco il vostro re. *Ma essi gridarono: A morte, a morte, crocifiggilo! E Pilato: Devo crocifiggere il vostro re? I sacerdoti risposero: Noi non abbiamo altro re che Cesare. *Allora Pilato lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

Nel vangelo di Giovanni la flagellazione non è presentata come l’inizio del castigo che culminerà sulla croce, né come una prova fisica per indebolire il condannato o estorcere confessioni, ma tende piuttosto ad assimilare Gesù al servo sofferente che “presentava il suo dorso ai flagellatori” (Is 50,6). Pilato fa flagellare Gesù (19,1-3), e con questo egli mostra di cercare “una via di mezzo”. Ma non è possibile alcuna via di mezzo, e il suo gesto diventa un arbitrio. Ciò che accade in quegli attimi di sofferenza atroce, sono il centro dell’intera narrazione del processo: riunisce i due temi maggiori, vale a dire la rivelazione della regalità di Gesù e il suo rifiuto da parte del mondo. Gli insulti e gli scherni dei soldati romani, descritti anche nei sinottici, avevano come loro bersaglio tanto Gesù quanto i giudei in generale. Per i soldati costui era semplicemente uno dei tanti rivoltosi giudaici con i quali avevano già avuto a che fare nel passato. Essi trovavano completamente ridicola l’idea che ci potesse essere un “re dei giudei”. Anche in questa scena, come nelle precedenti, per Giovanni, Cristo manifesta la sua regalità proprio nell’umiliazione e nella sconfitta.

Gesù è rivestito delle insegne regali (19,4-7), é per la prima volta è presentato alla folla, e costituisce un parallelo con la scena finale (19,12-16). In pratica l’annuncia e la prepara, e vi si trovano gli stessi motivi: il tentativo di Pilato di liberare Gesù, la sua pubblica presentazione alla folla, ormai il dramma si sta per compiere. Pilato dice alla folla Gesù (“Ecce homo”) torturato come re e come uomo. La folla urla: Crocifiggilo! L’atteggiamento di Pilato è palesemente contraddittorio: dichiara innocente Gesù e cerca di liberarlo (v.4), ma poi lo condanna (v.6): Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non trovo in lui alcun motivo di condanna. Ormai Pilato non lotta più per la giustizia, ma soltanto per la propria salvezza, poiché i giudei l’avevano minacciato: Se lo liberi non sei amico di Cesare. I giudei reagiscono ricattando Pilato, accusandolo di slealtà nei confronti dell’imperatore e d’infedeltà nelle sue funzioni. Gesù allora viene affidato all’esecuzione capitale per la crocifissione. Al v.9 Pilato chiede a Gesù: Di dove sei?. Si tratta della tipica domanda di chi si sente in qualche modo provocato da Gesù e tuttavia vuole sfuggire al rischio della fede. Ormai il processo non verte più semplicemente sulla regalità di Gesù, ma sulla sua origine, sulla sua filiazione.

I versetti conclusivi, 12-16, rappresentano una scena di grande umiliazione e insieme di gloria. Gesù è fatto sedere sulla predella del tribunale, nel luogo detto Lastricato, in ebraico Gabbata. La scena diventa una vera e propria intronizzazione: Ecco il vostro re (v.14). La derisione raggiunge il suo vertice, ma anche la rivelazione: Gesù è giudice. La contraddizione che ha accompagnato tutto il processo, raggiunge il suo apice. Pilato è minacciato dai giudei, e dunque umiliato e ricattato. Tuttavia a sua volta costringe i giudei ad acclamare Cesare come loro re. Strano processo, oltre che ingiusto. I giudei sembrano avere ottenuto il loro scopo: hanno costretto Pilato a condannare Gesù. Ma per far questo hanno dovuto rinunciare al loro orgoglio nazionale, alla loro libertà e alla loro fede: Non abbiamo altro re che Cesare. E Pilato ha dovuto rinunciare all’essenza della sua funzione, in pratica al compito di essere il difensore della verità. I giudei e Pilato non sono i vincitori ma gli sconfitti; non sono i giudici ma gli accusati. Gesù è il vero vincitore che costringe il mondo a proclamarlo re e giudice.

La crocifissione e morte

Capitolo 19, 17-37

*Presero dunque Gesù. Portando egli stesso la Croce, si diresse al luogo detto il Cranio, in ebraico Golgota. *Là lo crocifissero, e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. *Pilato scrisse un cartello e lo fece porre sulla Croce. Vi era scritto: Gesù, il Nazareno, il re dei giudei. *Quel cartello fu letto da molti giudei, essendo il luogo dove Gesù fu crocifisso vicino alla città, ed era scritto in ebraico, latino e greco. *I sacerdoti ei giudei dissero a Pilato: Non scrivere il re dei giudei, ma che egli disse: sono il re dei giudei. *Pilato rispose: Quello che ho scritto ho scritto. *I soldati, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e le divisero in quattro parti, una per ciascun soldato e, la tunica. La tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo. *Dissero perciò tra loro: Non dividiamola, ma tiriamo a sorte per vedere a chi tocchi. Così si adempì la Scrittura che dice: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. I soldati fecero proprio così. *Vicino alla croce di Gesù stavano sua madre, la sorella di sua madre, Maria, moglie di Cleofa, e Maria di Magdala. *Gesù, vedendo sua madre, e accanto a lei il discepolo che amava, dice alla madre: Donna, ecco tuo figlio. *E al discepolo: Ecco tua madre. Da allora il discepolo la accolse come sua madre. *Detto questo, sapendo che tutto era compiuto, perché si compisse la Scrittura, Gesù disse: Ho sete. *C’era là un vaso pieno di aceto. Inzuppata una spugna nell’aceto e fissata in cima a un ramo d’issopo, l’accostarono alla sua bocca. *Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: Tutto è compiuto. Poi, chinato il capo, rese le Spirito. *I giudei, perché i corpi non restassero sulla croce durante il sabato (era infatti il giorno della preparazione e quel sabato era molto solenne), chiesero a Pilato di far loro spezzare le gambe e di far rimuovere i cadaveri. *Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi al secondo che era stato crocifisso con lui. *Giunti però da Gesù e vedendolo già morto, non gli spezzarono le gambe. *Ma uno dei soldati gli trafisse il fianco con la lancia, e subito ne uscirono sangue e acqua. *Chi ha veduto ne dà testimonianza, e la sua testimonianza è attendibile: egli sa di dire la verità affinché anche voi crediate. *E ciò avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato nessun osso. *E anche un’altra Scrittura che dice: Guarderanno a colui che hanno trafitto

Anche in questo racconto si continua a sottolineare l’aspetto positivo della glorificazione di Cristo. Non si fa alcuna menzione di Simone di Cirene, perché Giovanni ci tiene e presentarci un Gesù che ha costantemente un assoluto dominio della situazione. In questa cornice di trionfo non c’è spazio per il pianto delle donne di Gerusalemme o per le derisioni di cui Gesù fu oggetto sulla croce. Gesù muore dopo aver annunciato di aver compiuto fino all’ultimo l’opera che gli era stata affidata. E la motivazione della condanna affissa in tre lingue[ sulla croce serve come annuncio al mondo intero. Giovanni frattanto descrive l’atto di divisione della tunica senza cuciture di Gesù e lo interpreta alla luce del Salmo 22,19. C’è poi una scena solenne, tanto cara alla tradizione cristiana successiva: quasi come in un estremo testamento Gesù affida la madre al discepolo amato perché le sia figlio e viceversa. E’ l’investitura per una missione che i Padri della Chiesa interpretano in senso ecclesiale.

L’evangelista descrive gli ultimi istanti di Gesù come atti liberi di colui che padroneggia il proprio destino fino alla fine e che dice e fa ciò che deve essere detto e fatto. Il verbo “compiere” apre e chiude questa sequenza. Nel vangelo di Giovanni l’espressione: “Ho sete” è vista come adempimento della Scrittura “Per bevanda mi hanno offerto aceto” (Salmo 69,22). La morte di Gesù è il ritorno del Figlio al Padre suo, la sua ultima parola: “Tutto è compiuto” significa che egli ha condotto a buon fine la sua missione.

I fatti immediatamente susseguenti alla morte di Gesù riferiti da Giovanni si trovano soltanto nel suo vangelo: i giudei chiedono a Pilato di spezzare le gambe ai crocifissi per affrettare la loro morte (togliendo ogni appoggio al condannato, si accelerava la morte per asfissia) e rimuovere i corpi dalla croce. L’abitudine dei romani, invece, era quella di lasciare i cadaveri in croce per accrescere il terrore nella popolazione. I soldati non spezzano le gambe di Gesù e il senso viene chiarito con riferimento all’agnello pasquale, di cui “non sarà spezzato alcun osso” (Nm 9,12). Così morendo nell’ora e in prossimità degli agnelli di Pasqua, Gesù diventa misteriosamente il nuovo agnello pasquale, per mezzo del quale si riattualizza la grande festa della liberazione.

Poi invece di spezzare le gambe di Gesù come gli altri due, un soldato gli trafigge con la lancia il fianco da cui escono sangue e acqua. L’evangelista non pretende che sia un fatto miracoloso, ma da questo accertamento Giovanni trae una testimonianza solenne e la mette in risalto. Essa attesta che la morte di Gesù introduce al mistero della salvezza annunziato in Gv 7,38: “Come dice la Scrittura: dal suo ventre sgorgheranno fiumi d’acqua viva”. Nella morte di Gesù, l’ora della glorificazione è arrivata e lo Spirito è dato ai credenti (7,38). Il lettore cristiano attualizza questa vita data da Gesù nei due sacramenti del battesimo (rinascere dall’acqua e dallo Spirito 3,5) e dell’eucarestia (6,54).

L’insistenza di Giovanni (“Chi ha visto ne dà testimonianza”) ha lo scopo di radicare i suoi lettori nella fede che la morte di Gesù è fonte di salvezza. Due citazioni confermano che il lui si adempie le Scritture: la prima si riferisce all’agnello pasquale (Es 12,46) e Gesù è l’agnello sacrificale della nuova Pasqua. La seconda citazione è tratta da Zaccaria 12,10 qui il profeta presentava gli Ebrei pentiti mentre contemplavano un misterioso pastore trafitto. Giovanni vede compiersi nel Cristo crocifisso quest’annuncio.

La sepoltura

Capitolo 19, 38-42

Dopo queste cose, Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù ma in segreto per paura dei giudei, chiese a Pilato il permesso di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo permise. E allora venne a prendere il suo corpo. *Venne anche Nicodemo, colui che una volta era andato a trovare Gesù di notte, portando quasi cento libbre di una mistura di mirra e aloe. *Presero il corpo e lo avvolsero in bende, come usano fare i giudei per la sepoltura. *Nelle vicinanze del luogo dove era stato crocifisso c’era un orto, e nell’orto un sepolcro nuovo, dove non era ancora stato deposto nessuno. *Siccome era il giorno della preparazione, lo deposero là, perché il sepolcro era vicino.

Giovanni ritrova qui in parte il racconto sinottico attribuendo a Giuseppe d’Arimatea “discepolo di Gesù” l’intervento presso Pilato allo scopo di ottenere il corpo del Signore. L’evangelista è il solo a precisare il carattere clandestino della fede di Giuseppe d’Arimatea e ad introdurre Nicodemo. I sinottici attribuiscono alle donne l’unzione di Gesù e la situano al momento della visita al sepolcro. In Giovanni, sono questi due uomini che fanno l’unzione la sera stessa della morte di Gesù, che viene avvolto con bende e posto in un sepolcro nuovo in un orto.

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