Vangelo di Giovanni – Cap 15,1-17 a 15,18-16,4

Luca Signorelli - comunione con gli apostoli

Io sono la vera vite

Capitolo 15,1-17

*Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. *Ogni tralcio che in me non dà frutto, egli lo recide, e ogni tralcio che dà frutto egli lo monda perché dia frutti più abbondanti. *Voi siete già mondi grazie alla Parola che vi ho annunciato. *Rimanete in me e io rimarrò in voi. Come il tralcio non può dare frutto se si stacca dalla vite, allo stesso modo voi se non rimanete in me. *Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, questi porta molto frutto: perché senza di me non potete fare nulla. *Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio, e si dissecca: lo si raccoglie in fascio, lo si getta nel fuoco e lo si brucia. *Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, allora chiedete ciò che volete e vi sarà dato. *Ecco ciò che glorifica il Padre mio: che voi portiate molto frutto e diveniate miei discepoli. *Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi: rimanete nel mio amore. *Se osservate i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre e rimango nel suo amore. *Vi ho detto questo perché la mia gioia sia in voi, e la vostra gioia sia perfetta. *Ecco il mio comandamento: che vi amiate reciprocamente come io ho amato voi. *Nessuno ha un amore più grande di chi dà la vita per i suoi amici. *Voi siete miei amici, se fate quanto vi comando. *Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il padrone. Vi ho chiamati amici, perché vi ho confidato tutto ciò che ho ascoltato dal Padre mio. *Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto sia durevole: qualunque cosa chiederete al Padre nel mio nome, egli ve la darà. *Questo vi comando: amatevi scambievolmente.

L’immagine della vite/vigna è molto frequente nell’A.T. per indicare il popolo eletto, che molte volte ha prodotto soltanto uva acerba anziché vino buono (Is.5,1-5). Il richiamo che qui fa Gesù è per riferimento, ma anche in opposizione alla vigna di Jahvè. Egli è la vigna fedele che ha corrisposto alle cure e alle attese di Dio e ha prodotto il vino buono della fedeltà all’alleanza. Tuttavia l’allegoria di Giovanni nel c.15 non si esaurisce con questa spiegazione. Gesù si serve di quest’immagine per rilevare la comunicazione e circolazione di vita divina che esiste tra Gesù e coloro che credono in lui. In questi vv. si ha un’immagine di Gesù “vite della vita”, parallela a quella di Gesù “pane di vita” (Gv.6). L’immagine assume allora un sapore eucaristico, perché l’unione intima con Gesù vera vita, s’inizia con la fede, ma si consuma e termina con l’eucaristia. Ed è a questo punto che la comunicazione e la circolazione di vita di cui abbiamo accennato, danno il via ad una comunicazione e ad una circolazione d’amore. L’iniziativa dell’amore è naturalmente del Padre, da cui trae inizio ogni cosa. Il ragionamento di Gesù è semplice: il Padre ha amato il Figlio, il quale è rimasto nel suo amore, osservando il suo comandamento. Gesù ha amato i suoi con lo stesso amore del Padre di cui egli godeva, e nel quale i suoi possono a loro volta rimanere, osservando il comandamento del loro Maestro. Gesù non chiede tanto di essere amato, ma piuttosto di accogliere l’amor discendente da lui e dal Padre suo. Questo non comporta un atteggiamento passivo, ma un aprirsi senza frapporre resistenza alla presa di possesso di Dio. Sembra un paradosso, ma è profondamente vero: per l’uomo, amare Dio significa prima di tutto lasciarsi amare da lui, perché amare Dio non è un’iniziativa dell’uomo ma sempre risposta ad un dono.

Gli ultimi vv. del brano si aprono e si chiudono col comandamento di Gesù di amarsi gli uni gli altri “come io vi ho amati”. Il comandamento è suo perché l’ha dato con la parola e con la vita. All’interno, due gruppi di detti di Gesù. Il primo e incentrato sulla parola “amici”. La legge dell’amicizia porta a dare la vita. Gli apostoli sono amici di Gesù se osservano i suoi comandamenti, mentre egli ha dimostrato che sono suoi amici perché ha confidato loro tutto quello che ha ascoltato dal Padre (la rivelazione). Il secondo gruppo di detti è legato insieme dal tema dell’elezione. Attraverso l’immagine della vite-vigna (Isaia 5, 1-7; 27, 2-6; Ezechiele 15, 1-8; 17, 5-10; Salmo 80, 9- 17), che Gesù ha applicato a se stesso, si è mostrato il rapporto di comunione che deve intercorrere tra Gesù e i discepoli. L’immagine usata da Gesù è una similitudine. I tralci della vite sono i discepoli di Gesù (v. 5), se non portano frutto il Padre li taglia, d’altra parte è soltanto in virtù del suo potere che essi possono produrre frutti. Nel paragone di chi non “rimane in Gesù” con i “tralci gettati nel fuoco e bruciati” non bisogna vedere una descrizione dell’inferno e dei suoi castighi. Anche se la prospettiva è minacciosa bisogna inquadrare questi versetti nelle correnti spesso dualistiche di certe comunità cristiane primitive che dovettero fronteggiare delle crisi interne. Il richiamo alla conversione rimane sempre presente nella proposta dal vangelo.

Portare frutto significa dunque, per Giovanni, essere discepolo, ossia aderire a Gesù nella fede e nell’amore, in un atteggiamento di conversione permanente. Questa dimensione cristologica la troviamo nei versetti successivi: “Senza di me non potete far nulla” (vv. 5-6). Per il credente moderno, sollecitato da tante proposte, la Parola di Gesù deve essere un’àncora di salvezza di cui non bisogna disfarsi. La comunione di vita, infatti, è la condizione per produrre frutti, per piacere a Dio (v. 8). La seconda parte del discorso (15, 9-17) si rivolge solamente ai discepoli che hanno fatto la buona scelta. Per dodici volte risuonano le parole “amore-amare-amici”. Qui le immagini allegoriche sono spiegate parola per parola. “Portare frutto” equivale ad “amare”. Nel momento in cui Gesù ama fino alla fine, invita i suoi discepoli ad innestarsi sullo stesso amore.

La reciprocità, che è la legge dell’amore, è il fulcro di questo passo: “Come il Padre ha amato me, così io ho amato voi”. “Come io ho amato voi, così voi amatevi gli uni gli altri”. In questo caso, la restituzione e il contraccambio del dono, legge d’ogni amore, si rivolge sempre verso un destinatario diverso da quello che è stato all’origine del dono: l’amore del Padre è destinato al Figlio – l’amore del Figlio è destinato ai discepoli – l’amore dei discepoli è destinato a tutti gli uomini.

Il “come” ripetuto due volte non è un semplice paragone, ma esprime il fondamento della rivelazione: l’amore del Padre si manifesta nell’incarnazione e nella morte di Gesù. In questa seconda parte del discorso la minaccia del castigo non ha più ragione d’essere; gli avversari sono scomparsi lasciando il posto soltanto agli amici. E qui Gesù indica il criterio per riconoscere i suoi amici: sono quelli che fanno ciò che egli comanda loro (v. 14), ossia che si amino gli uni gli altri (vv. 15-17).

La persecuzione del mondo e la testimonianza dello Spirito

Capitolo 15,18 -16,4

*Se il mondo vi odia, sappiate che ha odiato me prima di voi. *Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo. Ma poiché non siete del mondo e io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia. *Ricordate la parola che vi ho detto: non c’è servo più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. Se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. *Faranno tutto questo contro di voi e causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. *Se non fossi venuto e non avessi parlato, non avrebbero colpa. Ora invece la loro colpa è senza scuse. *Chi odia me, odia anche il Padre mio. *Se non avessi fatto in mezzo a loro opere tali che nessun altro ha fatto, sarebbero senza colpa. Ma ora hanno veduto e hanno odiato me e il Padre mio. *Doveva compiersi la parola che è scritta nella loro legge: MI hanno odiato senza ragione. *Quando verrà il Paraclito che io manderò a voi da parte del Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli testimonierà in mio favore. *Anche voi testimonierete, perché siete con me dall’inizio. *Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. *Vi cacceranno dalle sinagoghe. Anzi viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà penserà di dare gloria a Dio. *In realtà agiscono così perché non hanno conosciuto né il Padre né me. *Vi ho rivelato queste cose, perché quando verrà la loro ora abbiate a ricordarvi che io ve le ho dette. Non le ho dette prima perché ero con voi.

Il brano comprende un avvertimento e una promessa. Gesù avverte i discepoli che saranno odiati dal mondo e perseguitati e insieme li rassicura che l’odio del mondo e la persecuzione sono l’ambiente in cui si manifesterà la testimonianza dello Spirito e la loro. L’odio del mondo è descritto nei versetti iniziali (vv.18-25) e ripreso nel quadro finale (16,1-4). I due quadri si corrispondono: nel primo l’odio del mondo è descritto in termini generali, validi per il discepolo d’ogni tempo e per tutte le forme che la persecuzione può assumere nel corso della storia; nel secondo si descrive l’odio del mondo nella precisa modalità storica che esso assumeva al tempo di Giovanni: Vi cacceranno dalle sinagoghe. Al centro del discorso, in risalto, la promessa dello Spirito consolatore (15,26-27). È in questa certezza della presenza dello Spirito che il discepolo, in balia dell’odio del mondo, trova consolazione e forza per una coraggiosa testimonianza. E’ chiaro che il termine mondo assume nel vangelo di Giovanni almeno tre accezioni. La prima, neutrale, intende il mondo come luogo in cui gli uomini vivono e in cui si svolge la storia. La seconda, positiva, intende il mondo come l’insieme degli uomini ai quali il Padre ha fatto dono del Figlio e a favore dei quali il Figlio ha donato se stesso. Per la terza infine, negativa, il mondo rappresenta l’insieme delle forze ostili, che cercano di impedire lo svolgimento del disegno di Dio. E’ questo il mondo che odia il discepolo.

Gesù non si limita a predire l’odio del mondo, ma lo spiega e lo giudica, smascherandone le radici nascoste. E tutto questo perché il discepolo “sappia”, e non abbia a scandalizzarsi poi, quando tutto ciò accadrà (16,1-4). L’odio del mondo accompagnato com’è dalla persecuzione e dal rifiuto, suscita, infatti, interrogativi e può gettare il discepolo nel dubbio: perché la parola della verità è continuamente rifiutata? La forza della vittoria del Cristo risorto è presente o no nella storia? Il discepolo è invitato a rammentare la “via” di Gesù, e a leggere in quella luce la propria storia: non fallimento, dunque, ma vittoria: non assenza del Padre, ma presenza. La persecuzione fa parte della storia della salvezza: è la via della croce che continua. Il mondo ha odiato Gesù e continua ad odiarlo nei suoi discepoli. Le ragioni dell’odio sono le stesse, quelle che Gesù ci ha già elencato nei cc. 5 e 8: là per spiegare la sua condanna, qui per spiegare la condanna della comunità.

La ragione profonda per la quale il mondo odia i discepoli sta nella diversità d’origine: i discepoli non sono del mondo e non appartengono al mondo, e questo costituisce un giudizio che inquieta il mondo. “Il mondo odia i discepoli perché non sono suoi, ma appartengono a colui che senza tanti riguardi è venuto a fare irruzione nella sua tranquillità. Il mondo non ama se non ciò che è suo, ciò che non turba la sua pace, non smaschera la su alterigia e non lo pone sotto accusa per il suo conformismo”. Inteso in questo modo, l’odio del mondo non è più una ragione di scandalo, ma anzi un segno dell’appartenenza a Gesù. I discepoli di Gesù, d’ogni tempo, devono accettare d’essere soli nel mondo e di essere odiati dal mondo, proprio perché non appartengono più al mondo ma a Gesù (15,19).

Il rifiuto del mondo è un rifiuto senza scuse: Gesù ha parlato chiaro e ha fatto opere convincenti. Purtroppo il mondo “non conosce Dio” (15,21) e preferisce la propria malvagità alla luce (3,20): tutto ciò lo rende incapace di capire. Ci sarà persino chi perseguiterà i discepoli pensando di servire la verità e di dare gloria a Dio: come, ad esempio, Caifa che ha deciso la condanna di Gesù per il bene dell’intera nazione. Tuttavia questa è solo apparenza. In realtà la persecuzione dei discepoli dimostra sempre un insanabile allontanamento da Dio e dalla verità (16,3), una profonda indisponibilità all’autentica esperienza di Dio. In breve ci sembra che davanti all’ostilità del mondo i discepoli sono esposti al dubbio, allo scandalo, allo scoraggiamento: lo Spirito difende Gesù nel loro cuore, spiega loro la fortuna d’essere discepoli. In tale modo lo Spirito rende possibile la testimonianza dei discepoli di fronte al mondo.

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