Il razzismo

I neri africani

Prima del 500 i significati attribuiti al termine “nero” (negro nella lingua spagnola) erano: “incrostato di sporcizia, insozzato, impuro, con oscuri e malvagi intenti, che ispira disgusto, meritevole di punizione…” Vale a dire tutti i sinonimi di cattiveria e negatività prendevano il colore nero. Perciò non dobbiamo stupirci affatto se ai primi contatti con le popolazioni africane nere ( per alcuni secoli gli europei si limitarono ad avere rapporti con il Medio Oriente, abitato da arabi) i bianchi europei pensavano con una certa dose di superstizione e ignoranza, al frutto di una maledizione. Il ragionamento era: se quelle persone hanno una carnagione così scura, sarà a causa per una punizione divina. Infatti, certi studiosi del 500 trovarono, quale motivazione per avvalorare la loro tesi, un episodio della Bibbia: “Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda. Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto. Quando Noè si fu svegliato dall’ebbrezza, seppe quanto aveva fatto il figlio minore; allora gli disse: “Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!” E aggiunse: “Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia tuo schiavo! Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia tuo schiavo!” (Gen.9,20-27). I camiti, discendenti di Cam, sarebbero i neri africani. Ecco spiegato l’origine di un razzismo “naturale”, che indusse i colonizzatori bianchi a non farsi troppi scrupoli nel trattare i neri come bestie da soma e le loro donne in oggetti di piacere.

Questa spiegazione ha un senso? Oppure quei studiosi del 500 hanno preso una grossa cantonata? Cerchiamo di riflettere e interpretare i versetti della Bibbia in oggetto.. Il narratore dei fatti è uno Jahwista e adattò un racconto che originariamente serviva ad altro scopo. Il racconto originale fungeva da eziologia per spiegare l’origine della viticoltura e la scoperta degli effetti inebrianti del vino. Come tale, non c’è un giudizio morale sul comportamento di Noè; dobbiamo limitarci ad osservare che egli si ubriacò. L’interesse dello Jahwista non sta nell’ebbrezza di Noè ma nella maledizione di Canaan e nelle benedizioni elargite a Sem e Jafet, frutto del loro comportamento nei confronti del padre durante il suo torpore dovuto alla sbornia. Ciò che Cam fece esattamente a suo padre non è per nulla chiaro, ma certamente riguardava più di un lieve sguardo alla nudità. Ne è chiaro perché Canaan sia maledetto quando, secondo il racconto, Cam è il colpevole. La frase “Cam è il padre di Canaan” è esattamente volta ad integrare la maledizione al racconto, ma questo, in realtà, non elimina la difficoltà. La maledizione di Canaan e la benedizione di Sem e Iafet spiegano il rapporto tra i popoli che hanno tratto origine da questi tre antenati. I cananei divennero schiavi degli israeliti (discendenti di Sem) quando essi entrarono nella “Terra promessa”. Non dobbiamo scordare che in Africa gli schiavi esistevano ancora prima dell’arrivo dei bianchi. I membri delle tribù conquistate e soggiogate dalle popolazioni più forti erano ridotti in schiavitù e venduti sui mercati africani come forza lavoro.

I più attivi in questo sporco commercio erano gli arabi che calavano dal Nordafrica all’interno del Continente Nero, e non si facevano troppi scrupoli a trattare i neri come animali, anche perché la loro religione non era molto tollerante e comprensiva verso le genti di credo diverso. Essi erano padroni di gran parte dei porti dell’Africa Atlantica, i mercanti (molto abili e colti) e i re africani che abbracciarono la stessa fede, accoglievano a braccia aperte i conquistatori in cerca di manodopera a basso costo, rifornendoli sempre in grande abbondanza. Gli schiavi neri cominciarono ad essere trasferiti nel Centroamerica nel 1518. Il commercio di esseri umani perdurò per oltre due secoli e mezzo sino al 1774, ma quasi esclusivamente al Nordamerica, per opera dei protestanti inglesi, i “padri pellegrini” e i loro discendenti fondatori degli Stati Uniti d’America. Invece gli spagnoli e i portoghesi, utilizzarono per lo più la manodopera locale, gli indios, poiché il Centro e il Sudamerica erano popolosissimi, al contrario delle vaste e semideserte praterie settentrionali. Pare che durante quei 260 anni di schiavismo, oltre 150 milioni di neri africani abbiano varcato l’oceano Atlantico in direzione del Mondo Nuovo, rinchiusi e incatenati nelle stive delle navi degli schiavisti. Tanti di quegli esseri infelici, però, non arrivarono mai a destinazione: morirono a causa degli stenti, da malattie, vittime di naufragi in pieno oceano. Ma molto spesso anche chi superava tutti i pericoli del viaggio coatto (durava circa due o tre mesi), moriva di stenti nel volgere di qualche mese di lavoro massacrante nelle piantagioni di cotone e di frutta dei latifondisti del Sud degli U.S.A., come la Virginia, la Carolina del Sud, l’Alabama, la Georgia ecc.

Nel sud degli U.S.A. la religione dominante del tempo, quella puritana di alcune confessioni protestanti, giustificava la tratta de neri come se ad essi si facesse un enorme favore, strappandoli allo stato selvaggio e ponendoli a contatto con la civiltà e la fede. E, anche se, inizialmente, erano trattati con un certo paternalismo ed umanità, col tempo il trattamento andò modificandosi: i neri divennero esclusivamente proprietà dei padroni, schiavi a vita, oggetti vendibili in qualunque mercato, anche in cambio di animali. Furono fatti oggetto di angherie e di mancanza di igiene di ogni tipo, addirittura potevano essere uccisi senza che la legge intervenisse. Nel 1772 la gran Bretagna, dopo che per oltre un secolo era stato il primo paese schiavista, abolì la tratta dei neri, imitata dopo una decina di anni dagli americani, che però si limitarono a bloccare il flusso di nuovi schiavi, mentre per quelli già ivi residenti la liberazione fu osteggiata da due stati meridionali della Confederazione, la Carolina del Sud e la Georgia, preoccupati egoisticamente per le conseguenze della loro economia. Perciò la schiavitù, abrogata negli stati del Nord, non cessò di essere praticata in quelli del Sud agricolo. Questa situazione sfociò nel 1861 allo scontro Nord-Sud in una sanguinosa guerra civile proprio sul problema degli schiavi. La guerra di secessione, proclamata da undici stati, si trasformò in una guerra fratricida. Il conflitto, quattro anni più tardi e con mezzo milione di morti, fu vinto dal Nord del Presidente Abramo Lincoln, il quale proclamò solennemente: “Tutte le persone in stato di schiavitù saranno da questo momento e per sempre persone libere”.

Il fatto paradossale è che nel momento in cui i neri schiavi ottennero la liberazione, scoprirono che il Nord dell’Unione era razzista quanto il Sud. Nessuno al nord aveva mai avuto schiavi, ma i neri liberi non godevano affatto di pari diritti. Tutta l’ipocrisia dei nordisti che si erano battuti contro la schiavitù al Sud lo fecero non certamente per amore dei neri, ma soltanto per una questione economica per gli affaristi del Nord, e perché non tolleravano una scissione nazionale. Il nobile proclama di Lincoln restò lettera morta in molti stati. I neri dovettero intraprendere una lotta a lungo termine per vincere la mentalità razzista dei bianchi sudisti, che negavano loro l’uguaglianza di diritti e trattamento, alla faccia del 14° e 15° emendamento della Costituzione (emendamenti che concedono uguali diritti, voto compreso, a tutti i cittadini, indipendentemente dal colore della pelle). Come se ciò non bastasse, ai primi del secolo, fu ricostituito il Ku Klux Klan, una setta di bianchi fanatici della supremazia della razza bianca, decisi ad eliminare con ogni mezzo tutti gli uomini di colore dagli stati del Sud con attentati, intimidazioni, pressioni politiche, complotti, omicidi, eccidi per indurre, con i neri, anche ebrei e pubblici peccatori ad andarsene. Tale situazione si protrasse fino agli anni 50, quando un giovane pastore di Atlanta, disse “basta”, consacrando la sua vita alla definitiva emancipazione dei neri afroamericani. Il suo nome era Martin Luther King.

Il 1° dicembre del 1955 a Montgomery, capitale dell’Alabama, iniziò la rivolta degli afroamericani. Una donna di colore fu arrestata per essersi rifiutata di cedere il posto sull’autobus ad un bianco. Il pastore King riuscì a trattenere la furia dei neri, proponendo una risposta non violenta ma ferma: il boicottaggio degli autobus. Fu un successo enorme. La compagnia degli autobus perse in breve tempo decine di migliaia di dollari. Sull’esempio della rivolta pacifica di Montgomery degli afroamericani essa si estese a macchia d’olio in tutti gli stati del Sud, fino ai “ghetti” delle grandi metropoli del Nord. Qui la rivolta sbocciò in una forma degenerativa violenta da parte dei manifestanti, scatenando le durissime repressioni poliziesche. Il pastore King fu arrestato più volte, subì minacce ed attentati, ma non desistette dalla sua lotta pacifica. Ma alla fine vinse la battaglia. La Corte suprema di Washington dichiarò “contraria alla costituzione le norme sulla segregazione degli autobus dell’Alabama”. L’impalcatura del razzismo stava scricchiolando. Certo ci vollero ancora degli anni, ma pezzo dopo pezzo, anche grazie al premio Nobel per la pace conferito a King, e all’elezione alla Casa Bianca come Presidente J.F. Kennedy, uomo molto sensibile alla causa nera. Egli riuscì a fare emanare i “Civil Rights Bill” per l’effettiva uguaglianza dei diritti civili tra bianchi e neri, qualche mese prima di essere assassinato il 22 novembre 1963 a Dallas. Lo stesso King fu assassinato il 27 marzo 1967, colpito dalle fucilate di un ignoto attentatore. Sono trascorsi ormai alcuni decenni da allora e molte cose sono cambiate. Gli afroamericani hanno tutte le strade aperte per potersi realizzare, malgrado persistano ancora sacche di povertà e miseria, ed episodi di intolleranza nel paese più multirazziale del mondo.