Il razzismo

Conclusione

Con queste due analisi, penso di avere illustrato molto chiaramente che cosa è il razzismo e che cosa rappresenti, anche se ne esistono molti altri sparsi in tutto il mondo, soprattutto di carattere religioso, e non ho la pretesa di avere risposto a tutte le domande che esso comporta. Tuttavia una certa riflessione si può fare. E allora quale può essere la risposta?

Cristo, non c’è altra via! Gesù Cristo è l’alfa e l’omega, il fine della storia dell’umanità. Non solo il singolo uomo, ma anche la società (vale a dire la qualità dei rapporti sociali) è termine diretto dell’annuncio cristiano. L’universale fraternità è vocazione umana e divina insieme, posta nel cuore d’ogni uomo come germe divino, per realizzare la quale i cristiani devono collaborare con ogni uomo di buona volontà, anche con i propri persecutori. La pace terrena non può essere che figura (realtà anticipatrice) della pace di Cristo. Questo è oggi il vero discorso cristiano sulla pace: l’annuncio della pace di Cristo e l’impegno intrastorico per realizzare quella pace. La pace, dice san Paolo, è vincolo di perfezione. E’ questa un’espressione assai densa. La perfezione di Dio si è rivelata nell’incarnazione: Padre e Figlio vivono in un reciproco costante rapporto di dono. Dio si manifesta agli uomini come dono di sé. La morte in croce del signore è così rivelazione di due cose:

  • l’atteggiamento di dono totale di sé, di obbedienza perfetta, del Figlio al Padre;
  • l’atteggiamento di dono totale di sé di Dio all’uomo.

Dio che si rivela come vivente, vive una vita che si esaurisce tutta nel dono. Questo impervio mistero di un assoluto che è rapporto di dono è in se stesso annuncio di pace e specificazione di tale ordine può chiamarsi pace. Cari fratelli e sorelle che mi leggete, dobbiamo convincerci che i rapporti fra gli uomini saranno rapporti di pace se saranno rapporti di dono: rapporti tali, in altre parole, che ciascuno consideri gli altri come valore, termine del suo dono personale di sé. Questa è la carità di Dio; questo lo spirito di carità che ci urge. Vi è in realtà nell’annuncio cristiano una tensione irresolubile di formulazioni teoriche esatte: Dio ci chiama ad una donazione totale di noi a lui, e contestualmente ad una donazione totale di noi al prossimo. La risposta alla prima chiamata non ha senso se scisso dalla risposta alla seconda. Senza una vita spesa per il prossimo non ha senso (anzi è menzogna) una vita spesa per Dio. Questa è la radice della pace. Il rovescio della pace non è perciò la guerra ( che è solo una particolare situazione di non pace); è invece il dominio dell’uomo sull’uomo. Impegnarsi per la pace è impegnarsi per la liberazione d’ogni essere umano, d’ogni gruppo, che in qualche modo è oppresso, dominato da altri uomini o altri gruppi. Frutto della giustizia sarà la pace (Is.32): la giustizia di Dio è sempre la giustizia resa al povero e all’oppresso. Così dio stesso è giustizia, e si manifesta tale nel grande gesto rappresentativo della liberazione del suo popolo dalla schiavitù egiziana; cos’ il vero giusto è chi opera per liberare gli oppressi, per spezzare ogni catena. Essere assetati di giustizia e facitori di pace (Mt.5) è in realtà la stessa cosa.

Ma c’è un’altra considerazione da fare e da meditare. Leggiamo di seguito dal Vangelo di Matteo alcuni versetti detti da Gesù: Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dal fondamento del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà a quelli posti alla sua sinistra: Via lontano da me, maledetti…” (Mt.25, 31-41).

La narrazione termina con la risposta agli altri esattamente opposta alla prima, e cioè i giusti alla vita eterna, e gli altri al supplizio eterno. Ecco fratelli e sorelle, saremo anche noi in questo numero degli eletti? Tutto dipende da lui e tutto dipende da noi, perché la sentenza inappellabile del giudice supremo, Gesù Cristo, avrà per motivazione: “Ero straniero e mi avete ospitato”. L’ospitalità, la condivisione, la solidarietà con lo straniero, diciamo pure col migrante, deciderà in quel giorno la nostra sorte per sempre. La possibile sentenza alternativa dovrebbe farci fremere le ossa: “Via, lontano da me, maledetti”. La motivazione? “Perché ero forestiero e non mi avete ospitato”, anzi mi avete respinto con freddezza e diffidenza, ma nel fratello migrante avete respinto me proprio me. Gesù ci avverte che, per non mancare a quell’appuntamento finale, è necessario che ogni giorno c’interroghiamo se siamo sulla via dell’accoglienza o del razzismo, se siamo pronti davvero a cambiare rotta per vivere in pace.

E’ compito di ognuno di noi tradurre in una felice ed esaltante esperienza comune quanto ama ripetere Giovanni Paolo II°: “Nella Chiesa nessuno è straniero”. Tutto questo non è utopia né enfasi retorica: è omaggio e impegno che oggi il cristiano depone davanti al trono di Cristo.