Il razzismo

Quando è nato il razzismo?

Tra il Cinquecento e il Seicento, sebbene proprio in quei due secoli inizi il colonialismo, lo schiavismo dei neri d’Africa e si faccia maggiormente più ostica la segregazione e la persecuzione degli ebrei nei paesi cristiani, il razzismo come ideologia non esiste ancora: ogni sopruso contro le minoranze e contro i diversi dipendono da sentimenti popolari di xenofobia manovrata per fini politici, da ragioni di egoismo e di bieca convenienza economica, da pregiudizi religiosi. Leon Poliakov e Gorge Mosse, due eminenti storici che si sono occupati per molto tempo dell’argomento, datano nel Settecento la nascita del razzismo moderno: il razzismo scientifico, in altre parole teorizzato senza vergogna in veri e propri trattati che pretendono di dimostrare come la superiorità della razza bianca europea su tutte le altre deriva proprio da motivi biologici: vale a dire che chi nasce da genitori bianchi è superiore, chi, al contrario, nasce da genitori neri, gialli, rossi, e naturalmente ebrei, sono inferiori. Gli studenti delle scuole superiori dovrebbero rabbrividire. Sto parlando del settecento, quello che i libri di storia definiscono “il secolo dei Lumi”, “l’età della Ragione”, “l’era della tolleranza”. Pare paradossale, ma è proprio vero.

In quel periodo sono stati scritti molti libri. Il più noto e famoso è senz’altro “Il Trattato della tolleranza”, vale a dire il simbolo dell’Illuminismo. Del suo autore, Voltaire, tutti non sono a conoscenza che ricavava ingenti somme di denaro con i soldi investiti nell’import-export degli schiavi neri dell’Africa all’America. Degli ebrei, che egli metteva sullo stesso piano dei neri, dichiarava: “Quello ebraico, è il più abominevole popolo della terra: ignorante e barbaro, da lungo tempo accoppia la più sordida avarizia alla più odiosa superstizione (credere in Dio unico e creatore) e all’odio più viscerale per i popoli che lo tollerano e lo arricchiscono”. Altri intellettuali dell’epoca la pensavano allo stesso modo: Diderot, Hume, ecc. Invece Jean-Jacques Rousseau, era fuori dal coro. Il razzismo nato all’epoca, purtroppo, si protrae anche oggi che, oltre ad essere un crimine e un’offesa al genere umano è soprattutto una solenne idiozia, perché pretende di classificare l’umanità in base al sangue che scorre nelle vene di ciascuno: come se non esistessero bianchi stupidi e neri o gialli o rossi o ebrei intelligenti e viceversa.

Sempre a proposito di idiozie, nell’Ottocento un gran pensatore tedesco, Johann Gottfried von Herder, fa risalire su un’imprecisata montagna primitiva dell’Asia il luogo d’origine del genere umano. Questa sua teoria darà luogo qualche anno più tardi, per opera del francese Joseph Arthur de Gobineau, al “Saggio sull’ineguaglianza delle razze”. Si tratta, in pratica, dei criteri per giudicare la superiorità di una razza sull’altra. Il bello è superiore, il brutto è inferiore. Per gli europei, per essere belli bisogna anzitutto essere bianche, se poi si è biondi e gli occhi azzurri tanto meglio, si è maggiormente belli. Il muso nero, giallo o l’ebreo sono brutti per definizione. In questo modo Gobineau, afferma che solo quella bianca, che derivererebbe dall’India e da un capostipite di nome Ario, possiede i due requisiti per essere considerata una civiltà: una religione (cristiana) e una storia ( quella europea). Le altre razze, quella semita (che deriva dal biblico Sem, figlio di Noé, comprendente sia gli ebrei che gli arabi) e ancora quella mongola ( i gialli), camita e nera, sono inferiori. Ciò nonostante, pur con le sue teorie, egli era fondamentalmente pessimista sul ruolo dei bianchi, profetizzando che il mondo, un giorno, a furia di mescolanze razziali, sarebbe stato dominato dai gialli e neri.

Il nazismo hitleriano si servirà dei suoi scritti, stravolgendoli a suo uso e consumo: così Gobineau, che negli anni trenta era già defunto, non potrà protestare contro quell’abuso. Ma chi era invece razzista e antisemita convinto, fu un suo caro amico: Richard Wagner, il grande compositore austriaco autore di famosissime opere musicali. Egli credeva fermamente nel mito del sangue e della pura razza ariana. Odiava talmente gli ebrei al punto da sostenere che Gesù non lo era. Ma come lui lo pensavano in tanti (allora i tedeschi e gli austriaci erano divisi tra Prussica e Impero austro-ungarico). Essi sognavano l’unificazione delle popolazioni germaniche in un unico grande Stato. Gli esponenti di questo movimento nazionalista si chiamò “pangermanesimo”. I pangermanisti erano antisemiti ( nella quasi totalità), perché consideravano gli ebrei tutti ricchi, come ostacolo al loro progetto del grande stato tedesco. Secondo il “Protocollo dei savi di Sion”. Ma anche perché in quel periodo gli ebrei cominciavano a diventare sionisti, cioè a pensare alla creazione di uno stato tutto per loro, per finirla con duemila anni di diaspora e mettersi al riparo dalle persecuzioni e dai massacri che periodicamente li investivano in tutta quanta l’Europa centrale e orientale. Soprattutto nella cattolicissima Polonia e nella Russia degli Zar e dei patriarchi ortodossi, che usavano distrarre la popolazione dai problemi interni additando alla furia della gente il più comodo dei capri espiatori: gli ebrei, contro i quali si scatenavano le folle in sanguinosissimi pogrom. Ecco, in questo clima da caccia alle streghe, ai primi del Novecento, compare il libretto “I Protocolli dei Savi di Sion”. E’ il concentrato di secoli e secoli di antisemitismo. Si tratta di un falso documento pensato e realizzato a Parigi dalla Ochrana, la polizia segreta dello zar Nicola II di Russia, ai tempi dello scandalo Dreyfus (1894-1899). Innocente dell’accusa di spionaggio, fu processato, condannato, degradato e deportato in Guyana. Fu rovinato da un solo fatto, quello d’essere ebreo.

I Protocolli furono pubblicati da un quotidiano di Pietroburgo: Nicola II doveva giustificare i terribili pogrom che scoppiavano continuamente nei ghetti per mano della popolazione inferocita (debitamente pilotata). Il documento, illustrava il giornale, riuniva i verbali delle riunione segrete in Francia e in Cecoslovacchia dei capi ebrei e sionisti, i quali complottavano per corrompere il mondo allo scopo di impadronirsene, diffondendo idee liberali e socialiste, orchestrando manovre finanziarie e, naturalmente, come se ciò non bastasse, moltiplicando malattie e pestilenze. Ma anche gli inglesi non sono stati da meno. Charles Darwin, parlando degli animali, inventò la teoria secondo cui sta scritto nella natura che il pesce grande mangia quello piccolo. Suo cugino Sir Francis Galton trasporta quel modo di ragionare al genere umano. Quindi afferma che per ragioni biologiche, tocca ai bianchi comandare e ai nei e ai gialli obbedire. Causa prima d’ogni colonialismo abusivo e, in definitiva, ogni sorta di razzismo. E inglese era pure quello che è considerato il padre fondatore del razzismo moderno: Houston Stewart Chamberlain, ammiratore fanatico della Germania e accanito sostenitore della razza ariana e della “religione germanica”. Per lui, tutto ciò che è all’esterno dai confini della Germania è robaccia. Soprattutto gli ebrei, che definisce “il male assoluto”. Infatti, a lui s’ispirerà il nazista Alfred Rosenberg, teorizzatore dello sterminio degli ebrei, eminenza grigia di Adolf Hitler.