Apocalisse – 2

Lectio Divina – 16

11,17; 12,10

Introductio: Preghiamo la Madonna, con l’Ave Maria, perché ci assista nell’accogliere lo Spirito Santo.

“Vieni, Spirito Santo, nei nostri cuori e accendi
In essi il fuoco del tuo amore. Vieni, Spirito Santo,
e donaci per intercessione di Maria che ha saputo
contemplare, raccogliere gli eventi della vita di
Cristo e farne memoria operosa, la grazia di
Leggere e rileggere le Scritture per farne anche
in noi memoria viva e operosa.
Donaci, Spirito Santo, di lasciarci nutrire da questi
eventi e di riesprimerli nella nostra vita.
E donaci, Ti preghiamo, una grazia ancora più
grande, quella di cogliere l’opera di Dio nella
Chiesa visibile e operante nel mondo”. Amen.

Lectio.

Proseguiamo nell’esposizione del libro dell’Apocalisse, introducendoci nell’interpretazione del mondo e della storia. Mentre la predicazione profetica considerava lo svolgersi del disegno di Dio lungo una linea continua e nell’ambito del destino storico del popolo eletto, la letteratura dell’apocalisse suppone una rottura netta tra l’era presente, segnata dal peccato e dall’influsso delle potenze malvagie, e l’età futura dove si eserciterà pienamente il trionfo di Dio e dei suoi eletti. L’era presente, tempo di conflitto e di prova, sarà sostituita dalla manifestazione perentoria e definitiva dell’ordine divino.

Questo compimento non è aleatorio; non dipende dal gioco delle volontà umane. Le sue date sono determinate in anticipo, normalmente sconosciute agli uomini, perché Dio solo è il padrone e giudice della storia.

L’universo intero è in relazione con l’avvento finale del regno di Dio: la visione della fine dei tempi ha le stesse caratteristiche di quella della creazione. Simile concezione è nello stesso tempo pessimista e ottimista: pessimista nel senso che essa rileva la fugacità del mondo presente e la sua perversità; ottimista, poiché afferma il trionfo finale di Dio nonostante le vittorie apparenti del male.

Alle sette lettere iniziali fanno seguito le visioni. Giovanni ha dapprima una complessa visione di Dio assiso sul trono, attorniato da vegliardi, angeli, altre creature, l’Agnello, il tutto accompagnato da lampi, voci e tuoni. E’ un’esperienza impressionante che prepara Giovanni ad una serie di altre tre complesse visioni: apertura di sette sigilli, suono di sette trombe, versamento sulla terra di sette coppe dell’ira di Dio.

I sigilli rappresentano guerre, uccisioni, carestie, morte, martirio e la fine del mondo. Le trombe rappresentano varie piaghe, giudizi, sofferenze, e ancora guerra, morte e, ancora la fine dei tempi. Le coppe rappresentano malattie, piaghe, castighi, spiriti demoniaci, distruzione e catastrofe generale. Intercalati tra queste complesse e sovrapposte visioni vi sono brani che trattano del governo del mondo, di lotte spirituali, del cielo, del culto, di angeli e false religioni. Il libro termina con una gloriosa raffigurazione del cielo, dove tutte le lacrime saranno asciugate e Dio sarà tutto in tutte le cose.

Giovanni ha messo per iscritto queste visioni certamente per ispirazione di Dio. I credenti d’ogni tempo hanno bisogno d’incoraggiamento in periodi di grandi persecuzioni e di malvagità imperante. Mostrare Dio che regna in cielo attorniato da angeli e santi possono servire a rafforzarci e infondere in ognuno il coraggio di resistere per potere rafforzare la fede, la speranza e l’amore.

Il cantico, che mediteremo e contempleremo, afferma il suo genere letterario: “Noi ti rendiamo grazie” (11,17). Quindi, cantico d’azione di grazie. Nel libro, il cantico è situato subito dopo il suono della settima e ultima tromba. La visione anticipata della storia si ferma a questo punto. Non esiste più un poi. La denominazione del Signore “che è e che era” non è più seguita dal futuro “ che sarà”, come nei capitoli precedenti.

L’inizio del capitolo 12, che non è riportato nel cantico, descrive il celebre segno della Donna incoronata di dodici stelle. La seconda parte del nostro cantico vi fa allusione: “…è stato precipitato l’Accusatore, colui che accusava i nostri fratelli” (12,10). E’ opportuno tenere presente questo contesto. Satana è stato schiacciato dalla Donna, da san Michele e dai suoi angeli. La lotta vittoriosa dei martiri s’inserisce in una lotta gigantesca che vede intervenire Dio, Cristo, la Chiesa e, fra i membri della chiesa, il più eminente, la vergine Maria.

Infine il libro vuole dimostrare come la vittoria è conseguita grazie alla potenza dell’Agnello di Dio immolato, rappresentato come un leone trionfante che divora i suoi avversari. Come si evince, il protagonista è l’Agnello, che è morto eppur vivente. L’Agnello immolato riceve onore, gloria e benedizione perché il suo sangue lava i cristiani dai loro peccati. Egli prepara un banchetto per coloro che hanno creduto in Lui e hanno sofferto per il suo nome. Egli siede sul suo trono in cielo partecipando alla gloria di Dio per sempre. Il libro termina con una nota di conforto e d’incoraggiamento. Alla notte segue l’aurora; dopo la sofferenza viene la pace; dopo la fatica viene il riposo; dopo le lacrime viene la gioia eterna. E’ stupendo rendersi conto che la vita ha un significato e che è degna di essere vissuta. Questa constatazione ci dà il coraggio di andare avanti nonostante tutto. Ed è verso questa visione di felicità e di gloria che l’Apocalisse dirige la mente dei fedeli; il veggente ci ammonisce che tutto si compie alla luce dell’eternità. Il messaggio del libro profetico è quindi un messaggio d’ottimismo, giacché la presenza della Chiesa nel mondo con tutte le sue forze salvifiche lasciatele dal suo maestro è garanzia di vittoria contro le forze del male in tutte le sue forme; ma è anche un messaggio di speranza perché tendiamo verso un termine di gloria in cui i beni soprannaturali, che quaggiù ci sono comunicati inizialmente e parzialmente, diventeranno nostro perfetto possesso.

Il cantico forma un’unità tematica, il peccato non è un ostacolo insormontabile sulla via della salvezza. Per quelli che rimangono ancora sulla terra, il cielo intravisto per un istante, è la luce che brilla in fondo al cammino che fa esclamare: “Vieni, Signore Gesù!”.

“Noi ti rendiamo grazie,
Signore Dio onnipotente,
che sei e che eri,
perché hai messo mano
alla tua grande potenza,
e hai instaurato il tuo regno”.

“Ora si è compiuta la salvezza,
la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
poiché è stato precipitato l’accusatore;
colui che accusava i nostri fratelli,
davanti al nostro Dio giorno e notte”.

Meditatio.

I primi versetti sono interamente dominati dall’idea del compimento: la regalità del mondo è passata nelle mani di Dio. Tuttavia la narrazione non è conclusa, ma aperta.

Il compimento – vittoria sulle forze del male e sulla ribellione dei popoli, il giudizio, la venuta di Dio – è proclamata e affermata, ma non descritta. Ancora non è detto come Dio ha vinto la ribellione delle genti e ha giudicato coloro che sconvolgono la terra, e ancora non sono indicate le norme della nuova e permanente presenza di Dio. Da un altro punto di vista, possiamo affermare che il compimento è visto dall’alto (la scena è collocata in cielo) e narrata ritualmente (la scena è un cerimoniale). Rimane da raccontarlo storicamente, nel suo svolgimento terrestre. Dall’alto le cose si vedono prima e immediatamente nella loro conclusione. Le caratteristiche storiche perdono valore e ciò che conta è l’essenza. E’ la prospettiva sacra, liturgica.

Dal basso è diverso: le cose si svolgono piano piano e le modalità storiche hanno grande importanza: è necessario decifrarle per raggiungere quel “senso” che poi la liturgia proclama e intorno al quale concentra, giustamente, tutta l’attenzione.

Infatti, la meditazione esamina il cantico così come è nella sua versione liturgica.

Distinguiamo due parti: l’ora del giudizio (11,17), le conseguenze del giudizio (12,10). L’una e l’altra parte pongono in rilievo la potenza che Dio e Gesù Cristo possiedono indivisibilmente, e il regno che è loro opera comune.

L’ora del giudizio. La mano di Dio è il simbolo della sua capacità di agire, d’intervenire, di fare e rifare, quella soprattutto che ha dimostrato al tempo della liberazione d’Israele prigioniero dell’Egitto: “Stenderò la mano…”(Es.3,20; Dt. 4,34). Piegando tutte le cose alla sua volontà, Dio regna. Le nazioni hanno cercato di opporre resistenza. Ma ecco l’ora dell’ira (11,18): è il giudizio. Ma il giudizio è anche l’atto che ricompensa i giusti delle persecuzioni subite. Il popolo dei salvati si compone di servi, di profeti, di santi piccoli e grandi e quanti temono il nome di Dio. Per servi intendiamo coloro che Dio incarica di una missione. I profeti esercitano il ministero della parola per edificare, esortare, confortare. I santi sono quelli che hanno rotto con il mondo per somigliare a Dio. Quelli che temono Dio (in altre parole il rispetto) sono l’insieme dei fedeli che formano il suo popolo.

Le conseguenze del giudizio. L’Accusatore è stato precipitato. Si tratta di Satana che, secondo le concezioni più antiche (Gb.1-2), svolge il ruolo di pubblico accusatore davanti al tribunale di Dio. In realtà, Satana fa più di questo. Accusa gli uomini davanti a Dio, per farli condannare; accusa Dio davanti agli uomini (Gn.3), per far nascere il loro il dubbio sulla sua bontà, se non sulla sua potenza.

La vittoria su Satana è opera comune di Dio e di Gesù Cristo, soggetti della potenza; di Gesù e dei fedeli, uniti nella testimonianza del sangue versato. Gesù si trova così al punto d’incontro della potenza e del sangue. Il suo sacrificio che lo ha condotto a sacrificarsi non è debolezza, ma potenza redentrice: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo (Satana=Accusatore) sarà gettato fuori. Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv.12,31s).

Nello stesso modo, ”odiare la propria vita”, cioè di essere pronti a sacrificarla nel nome e per conto di Gesù, è il mezzo più sicuro per ritrovarsi, non più solitari, ma nella gloria condivisa con Gesù: “Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo”(Gv.12,25s).

Il cantico finisce rivolgendosi agli abitanti del cielo. Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio. Infatti, si afferma nel libro della Sapienza in 3,1-6: “Parve che morissero, ma essi sono nella pace”.

Contemplatio.

Meravigliose sono le tue parole, Signore Dio Onnipotente. L’amore di Gesù e la grazia dello Spirito Santo, per intercessione di Maria SS., le hanno impresse nei nostri cuori. Nella grande e stupefacente visione di Giovanni nell’apocalisse, il soggetto principale sei tu Gesù, che hai portato a compimento il progetto di salvezza del Padre, sostenuto dallo Spirito Santo. Tu ci hai liberati dalla schiavitù del peccato, ci hai resi liberi. Libertà che ancora non è completamente sottratta agli attacchi del maligno, ma che tuttavia porta in sé una reale possibilità di vittoria. Inoltre, siamo consapevoli che Satana, vedendo un’anima che ha fede e ama Gesù, le invia tentazioni e suggerimenti con i quali il peccato viene proposto, alla proposta si prova piacere o dispiacere, si acconsente o si rifiuta. Oggi sappiamo che i gradini per cedere al male sono tre: la tentazione, il piacere, il consenso.

Ma sappiamo anche che se la tentazione di un peccato ci tormentasse tutta la vita, non potrebbe renderci meno graditi a Dio, l’essenziale è che non ci piaccia e che non acconsentiamo. Il motivo è che nella tentazione noi non siamo attivi, ma passivi; e siccome non proviamo alcun piacere, non possiamo essere colpevoli. San Paolo sofferse lungamente le tentazioni della carne e non per questo dispiacque a Dio, anzi, Dio era glorificato nelle tentazioni; la Beata Angela da Foligno provava tentazioni carnali così crudeli che, solo al racconto, si prova compassione per lei. Anche le tentazioni patite da San benedetto e da San Francesco, allorché uno si gettò nella neve e l’altro nelle spine dei rovi per mitigarle, erano terribili, ma non per questo persero la grazia di Dio; anzi, in loro la grazia aumentò.

Gesù, l’insegnamento che ne ricaviamo è che dobbiamo essere coraggiosi, calmi e pazienti, quando siamo afflitti da tentazioni, e non dichiararci mai vinti finché ci disgustano; tenendo presente la differenza che esiste tra avvertire e acconsentire.

Inoltre Signore non siamo soli: c’è la tua Parola e la Santa Croce, da abbracciare col nostro spirito, proprio come se ci trovassimo davanti a Te crocefisso. Ricorrendo a te con ferma decisione, saremo vittoriosi. In queste occasioni di sofferenza, noi rinnoviamo il nostro amore a Dio e a te Gesù che hai detto: “Va indietro, Satana, tu adorerai il Signore tuo Dio e solo lui servirai”; Non di solo pane vive l’uomo, ma d’ogni parola di Dio”.

Nella preghiera odierna, abbiamo compreso che esistono due movimenti nella quotidianità: quello orizzontale ( e cioè la presenza di Satana che, sia pure segnata da una radicale impotenza, non cessa di tentarci, come abbiamo visto) e quello verticale ( la vittoria di Gesù e la definitiva sconfitta di Satana, l’Accusatore) che non sono semplicemente un prima e un poi, ma piuttosto due realtà che noi cristiani viviamo contemporaneamente: da una parte, nella certezza della fede e nel canto liturgico, celebriamo il definitivo, ovvero il fatto compiuto; dall’altra, nella vita d’ogni giorno e concretamente, non cessiamo di sperimentare la necessità, la paura, la persecuzione e la possibilità del peccato: personale, sociale e comunitario.

L’affermazione: Gesù ci ha salvati dalla schiavitù del peccato! Si tratta di una dichiarazione centrale del N.T., e poi di tutta la teologia cristiana. Questa affermazione è tanto importante quanto difficile da comprendere. O per lo meno, era così. La salvezza e la redenzione dal peccato operata da te Gesù, ha come primo aspetto proprio la liberazione dal peccato. Una simile dichiarazione suona stranamente oggigiorno, dal momento che viviamo tempi in cui si perpetua l’ideologia dell’egoismo, e conseguentemente è scomparso il senso del peccato dalla coscienza umana.

Al contrario, per noi, oggi, consolazione e vigilanza, gioia e persecuzione sono quindi gli atteggiamenti e le situazioni che caratterizzano le nostre testimonianze di Gesù Cristo, il Redentore.

Conclusio.

Gesù hai preso su di te tutti i peccati, di ieri, di oggi e di domani, e mi dai la possibilità di ripristinare l’armonia iniziale della relazione con il Padre celeste. Gesù tu sei il Salvatore di tutto il mio essere: spirito, anima e corpo. E grazie alla tua morte in Croce, hai sconfitto Satana, l’Accusatore e la morte. Per questo motivo , tu che sei Via, verità e Vita, ogni essere umano può ritornare al Padre, ricevendo il suo perdono, le sue grazie e benedizioni.

A questo punto mi sorge spontanea una domanda: voglio essere salvato? Tu, Gesù, non imponi con la forza la salvezza. Tu la offri, io la posso accettare o rifiutare. Gesù posso permetterti di guarire e salvare ogni aspetto della mia personalità, li liberarmi da ogni schiavitù, di donarmi ora, in questo momento, una nuova vita e domani la vita eterna; oppure posso decidere di badare a me stesso, posso credere che con le mie capacità potrei salvarmi da solo e che potrei con i miei sforzi guadagnarmi e conquistarmi la salvezza. Nella lettera agli Efesini, san Paolo, al cap.2, 8, dice: “E’ per grazia di Dio che siete stati salvati, per mezzo della fede. La salvezza non viene da voi, ma è un dono di Dio; non è il risultato dei vostri sforzi. Dunque nessuno può vantarsene”.

E’ chiaro che le preghiere e le opere sono una diretta conseguenza dello stato salvifico che ci è stato donato. La salvezza, è bene ripeterlo, è un dono di Dio, un regalo, un bene immenso che mi è stato dato gratuitamente, ma sta a me accogliere questo dono o respingerlo. Se accetto la salvezza, accetto te Gesù, in altre parole devo crederti, credere a tutto ciò che hai detto, credere alla tua parola e quindi devo agire con coerenza.

Ecco perché devo imparare a conoscerti e scoprire le cose che hai detto e questo lo posso realizzare attraverso la lettura e le meditazioni del Vangelo proposte dalla tua Chiesa e attraverso i Sacramenti che tu hai istituito.

Sia lodato Gesù Cristo. Amen.