Il Libro dell’Esodo: Meditazione 6

Capitoli 7,1-29 e 8,1-11.

Abbiamo già letto parte di Es.6 con il doppione della vocazione di Mosè. La seconda parte di questo capitolo dovrebbe essere letta direttamente, mentre riprendiamo la meditazione dal capitolo 7. Inizia da questo capitolo, infatti, un racconto lungo e articolato, talora ripetitivo, che arriva fino al capitolo 11. E’ il racconto delle dieci “piaghe” o “flagelli” o “colpi”. Di esse la prima e l’ultima hanno un valore simbolico molto forte, perché il sangue e i primogeniti richiamano il problema della vita e quello del suo permanere nel futuro rispettivamente. In tal modo ci danno una chiave di lettura anche per tutte le altre. C’è in gioco la vita, infatti, e il racconto vuole stabilire che, nonostante il Faraone, questa è nelle mani di Dio e di nessun altro. Tuttavia i diversi flagelli non sono narrati in maniera omogenea, dedicando cioè a ciascuno lo stesso spazio, perché diverse sono la fonte redazionale e la funzione, secondo i casi: in poche parole, non vanno posti tutti sullo stesso piano, come invece accade quando si raccontano. Del resto hanno in ebraico denominazioni che cambiano dall’uno all’altro. Sono “colpi” inferti all’Egitto, piuttosto che “piaghe” ( e anche il termine “colpo”, del resto, appare solo in 9,14), “prodigi” e “flagelli”. Tuttavia per ragioni di semplicità, noi parleremo di “piaghe”, secondo il linguaggio solito, senza distinguere troppo.

Il capitolo 7 si apre ancora col doppione della vocazione di Mosè: si ricorda il ruolo speciale di lui, che rappresenta Dio davanti al Faraone, e quello di Aronne. Si precisa anche, a titolo di conclusione di questo racconto vocazionale, l’età dei due fratelli (7,7). Notate che il ruolo più importante tocca al minore, anche se è tale per poco, e che in ogni modo hanno entrambi un numero d’anni simbolico. Secondo la tradizione, infatti, i centoventi anni della vita di Mosè sono da contare così: quaranta in Egitto fino alla fuga, quaranta nel deserto per prepararsi alla propria missione, quaranta da guida del popolo. Alle cosiddette “piaghe” è preposta una scena drammatica (7,8-13): è una specie di competizione tra Mosè e Aronne da una parte e il Faraone e la sua corte (servi, sapienti, maghi) dall’altra che prelude a tutte le successive. Anche questa competizione ha un precedente (per la solita questione di fonti diverse) al capitolo 4,2-5: confrontando i due racconti si vede che il bastone di Mosè è diventato qui il bastone di Aronne, trasformato in ogni caso in “serpente”. Esso ridiventa bastone nel primo caso, mentre inghiotte i “bastoni/serpenti” dei maghi egiziani nel secondo.

Scopo di questo preludio è comunicarci due notizie importanti:
Il Faraone non è disposto a lasciarsi intimorire o influenzare o condizionare da alcun fenomeno straordinario. Non è detto che i fatti come questo e come le successiva piaghe siano per forza straordinari: alcuni si potrebbero forse spiegare in modo, per così dire, naturale, ma tutto dipende dalla capacità di lettura che si ha dei fatti: quella capacità di lettura che la Bibbia chiama spesso “docilità di cuore”. Dobbiamo dedicare un po’ d’attenzione al serpente. In ebraico troviamo un termine generico, tannìm, che, per sé, può indicare qualunque bestia selvatica. Indica, tra queste, anche il serpente, specie quello marino, con una connotazione mitica molto forte, perché rimanda alle bestie e ai mostri dell’abisso e del caos su cui si librava il soffio divino nella creazione. Qui il termine è un simbolo dell’Egitto, dunque è un coccodrillo, secondo la nostra terminologia, più che un serpente. Questo preludio dunque ci annuncia già la sconfitta del Faraone e tale annuncio deve orientare la nostra lettura delle piaghe che seguono.

La prima piaga in 7,14-25 è colorata di rosso e riguarda l’acqua senza la quale non si può vivere: ovunque, ma in Egitto in modo speciale, se si pensa alla funzione del Nilo. L’acqua si colora di rosso secondo una gerarchia di ambienti: il Nilo prima, poi fiumi, canali, stagni, raccolte d’acqua naturali e infine quanto è nei recipienti. Nel nostro racconto s’intrecciano diverse fonti e tende, esso stesso, ad allargarsi.

Sappiamo per esempio che esiste un fenomeno naturale che si chiama Nilo rosso. Consiste nel fatto che l’acqua prende un tal colore per via di sedimenti che vi si formano al tempo della piena. E’ un fenomeno affatto nocivo, ma che ha comunque qualcosa di eccezionale sia perché non capita sempre sia perché coinvolge il fiume solo per una parte del percorso. La sua osservazione poteva essere interpretata come presagio funesto, come accadeva presso di noi in occidente, fino a non molto tempo fa, al passaggio di una cometa o all’apparire dell’aurora boreale. Qui si parla invece di sangue, perché l’esito della contesa con il Faraone sarà la morte dei primogeniti, compreso il suo; siamo cioè agli inizi di una lotta all’ultimo sangue, infinitamente costosa.

E’ proprio quest’intento, probabilmente, che fa passare il narratore dalla costatazione del fenomeno, al suo espandersi in ogni ambito in cui si trovino dei liquidi. Il racconto non è privo di contraddizioni, certamente, ma quello che preme di più è vedere la reazione del Faraone. Essa afferma che è guerra aperta tra lui e il Signore che ha dichiarato di non riconoscere già al capitolo 5.

La piaga delle rane è la prima di una serie di tre che potremmo dire fatte di animali infestanti. Al centro del racconto c’è la richiesta che il Faraone fa a Mosè e Aronne di pregare Dio perché allontani il flagello da lui e dal suo popolo. Evidentemente per lui non è ancora giunto il momento del riconoscimento del Signore come Unico, cosa invece che Mosè stesso afferma al v.6 con un’affermazione che risente del linguaggio profetico e che è la motivazione autentica di queste righe. Quanto alle rane, s’è detto che aprono una serie di invasioni di animali, cui si alternano malattie e fenomeni atmosferici secondo lo schema che segue:

sangue 7,14-25
rane 7,26-8,11 animali infestanti
zanzare 8,12-15 animali infestanti
mosche 8,16-28 animali infestanti
bestiame 9,17 malattie
ulcere 9,8-12 malattie
grandine 9,13-35 fenomeni atmosferici
cavallette 10,1-20 animali infestanti
tenebre 10,21-29 fenomeni atmosferici
primogeniti 11,1-10 2 12,29-34

A ben guardare, tutte le piaghe confinano con fenomeni naturali ben attestati nell’area del Vicino Oriente anche da altri testi biblici. Talché non si dirà mai abbastanza che il miracolo è tale solo per chi sa leggere il divenire quotidiano delle vicende: cavallette, epidemie, grandinate sono nella storia di tutti come il sorgere del sole e l’avvicendarsi delle stagioni. Sia i fenomeni positivi sia quelli negativi devono essere interpretati entro un più ampio discorso di provvidenza che guida la storia. Va ancora sottolineata l’inclusione di tutte le piaghe tra quella del sangue e quella dei primogeniti: si va infatti quasi in crescendo nel sottolineare la gravità di questi colpi inferti all’Egitto. Essi innescheranno la decisione del Faraone di far partire il popolo, ma solo dopo che, colpo dopo colpo, sono state debellate le sue resistenze.

Accanto e parallelamente a questo fenomeno si assiste anzi, lungo il racconto, al progressivo indurimento del suo cuore. Il Signore lo lascia indurire, stando al testo, sia perché ancora più grande risulti la sua liberazione, sia perché, parallelamente, si veda che questa sua vittoria non è a scapito dell’umana libertà di decidere: le piaghe sono a loro modo, un’opera di persuasione che esige applicazione di mente prima che di volontà, comprensione, ossia capacità e volontà di lettura, come abbiamo detto sopra. Di per sé, infatti, le batoste non hanno mai convinto nessuno, se non chi si sia applicato ad interpretarle. In tal senso è necessario, come fa la tradizione rabbinica, riconoscere una certa grandezza al Faraone, che resiste a viso aperto e pare cedere le armi quando proprio avverte la sconfitta come definitiva. Neppure la partenza degli Israeliti segna una svolta definitiva per lui, tanto che si lancerà al loro inseguimento: a quel punto l’intervento divino avrà carattere irreversibile, ma, come vedremo a suo tempo, confinerà ancora con un fenomeno “naturale” bisognoso d’interpretazione.