Gesù Cristo: la legge e il duplice comandamento dell’Amore

Gesù Cristo e la legge veterotestamentaria.

Vorrei dare una risposta in questo paragrafo ai seguenti interrogativi: Che atteggiamento assume Gesù nei confronti della legge mosaica e dell’interpretazione che ne davano i rabbini del suo tempo?

In che rapporto stanno le richieste radicali di Gesù della conversione e della sequela e quelle contenute nel discorso della montagna con la legge mosaica veterotestamentaria?

Ne sono un semplice sviluppo?

Abrogano le prescrizioni mosaiche?

Le relativizzano?

Sono in continuità con loro?

E’ opportuno prima di tutto richiamare l’importanza che aveva assunto la legge ai tempi di Gesù: camminando sulla strada della legge il giudeo si rendeva conforme alla volontà di Dio, soddisfaceva alle esigenze della sua giustizia. Inoltre c’era un’esegesi della legge in continua espansione per opera dei rabbini, i quali si sentivano obbligati a rendere attuale la legge mosaica adattandola alle nuove circostanze. Quest’esegesi con i suoi numerosi precetti e divieti aveva raggiunto un’ampiezza straordinaria e regolava la vita quotidiana con prescrizioni sottili che si addentravano nei dettagli più minuti. Secondo la concezione rabbinica tutte queste interpretazioni e amplificazioni della legge si basavano sull’autorità di Mosè.

In altre parole, ai tempi di Gesù, si ha una moltiplicazione di leggi e d’indicazioni con le quali si vuole regolare ogni momento e ogni situazione della vita del giudeo (bisogna lavarsi le mani prima di mangiare, non si possono raccogliere spighe in giorno di sabato, non si può curare gli ammalati in giorno di sabato…); si dà inoltre molto peso all’esecuzione materiale, all’osservanza esteriore delle leggi che sono messe sullo stesso piano: precetti religiosi e morali, civili e giuridici non sono gerarchicamente ordinati. Il culto della legge si trasforma in un legalismo minuzioso, in una complessa casistica, in un giogo impossibile da portare. Infine, e in questo sta la degenerazione più grave , l’osservanza della legge conduce il giudeo a fondare la sua giustizia non sull’iniziativa e sull’azione salvifica di Dio, ma sull’obbedienza ai comandamenti e sulla pratica delle buone opere, come se l’uomo fosse capace di giustificarsi da solo.

Questa molto in sintesi la situazione e la mentalità, con i pericoli e le degenerazioni ricordate, diffusa all’epoca di Gesù Cristo.

Condensare in un’affermazione l’atteggiamento assunto da Cristo nei confronti della legge veterotestamentaria e della concezione e della pratica della legge risulta assai difficile. La posizione di Gesù nei confronti della legge sembra a prima vista contraddittoria. Non si può dare una risposta chiara ed univoca poiché l’atteggiamento di Gesù non può essere inquadrato in una delle sue posizioni limite: rifiuto o accoglimento. Si tratta di un atteggiamento sfumato e diversificato che sfugge ad una rigida classificazione. Si riscontrano infatti gesti ed affermazioni diverse, in apparenza contraddittorie, per cui vanno tenute presenti tutte e quattro le seguenti affermazioni che s’integrano e correggono reciprocamente.

Gesù riconosce obbligatorie e valide la legge e le tradizioni.

Si sottomette alla legge e prende parte alla vita religiosa del suo popolo regolata dalla legge: al sabato entra nella sinagoga (Lc.4,16); partecipa ai pellegrinaggi a Gerusalemme (Lc.2,41-50; Gv.2,13); parla dei sacrifici del tempio e degli esercizi di pietà senza ombra di sfavore (Mt.5,23; Mt.6,1-18); paga il mezzo siclo per il tempio (Mt.17,24 ss.); al giovane ricco che gli chiede che cosa deve fare per entrare nella vita eterna, Gesù risponde di osservare i comandamenti (Mc.10,17ss.); i lebbrosi guariti sono mandati da lui a presentarsi ai sacerdoti secondo la legge e ad offrire il sacrificio di purificazione (Mc.1,44; Lc.17,14).

Gesù inoltre dichiara apertamente di non essere venuto ad abrogare la Legge e i Profeti: “Non sono venuto ad abrogare, ma a dare compimento” (Mt.5,17). E’ chiaro che l’affermazione di Gesù non è riferibile esclusivamente alla legge come tale per il fatto che la locuzione “Legge e Profeti” designa tutta la rivelazione veterotestamentaria e per la ricchezza, ampiezza e intensità del verbo portare a compimento. Non si può però negare che Gesù con queste affermazioni assuma un atteggiamento positivo anche nei confronti della legge come tale, che dell’economia salvifica veterotestamentaria era una componente rilevante.

Gesù fa una distinzione estremamente critica.

Distinzione critica e, secondo la concezione giudaica, addirittura rivoluzionaria, fra la volontà di Dio e le tradizioni degli scribi e dei farisei e ridà il loro vero significato e la loro vera importanza ad alcuni precetti della Torah disattesi dalle dottrine dei rabbini. Le prescrizioni della purità legale, ad esempio, cui i discepoli di Gesù non si attengono, gli offrono l’occasione per attaccare le tradizioni, per ristabilire una certa gerarchia tra i precetti della Torah, per richiamare le esigenze fondamentali dei comandamenti: “Trascurando il comandamento di Dio state attaccati alle tradizioni degli uomini” (Mc.7,8).

E Gesù fa un esempio concreto di questo sovvertimento di valori che fa anteporre un voto al dovere di sostentare i genitori affermato dal quarto comandamento. Di fronte ad un’interpretazione cavillosa del precetto del riposo, Gesù è intervenuto per la dignità dell’uomo e la volontà originaria di Dio: “Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” (Mc.2,27).

In altri termini, Gesù, in polemica con la tradizione degli antichi, con precetti e pratiche che i rabbini avevano aggiunto alla legge di Mosè pretendendo che venissero per via orale dal grande legislatore, rimette in ordine i diversi precetti, ristabilisce fra loro una certa gerarchia, li riporta al loro significato originario: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell’aneto e del cumino e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare senza omettere quelle. Guide cieche che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello” (Mt.23,23-24).

Gesù non si limita a criticare.

Gesù non si limita criticare la dottrina e la tradizione degli scribi e dei farisei e a polemizzare con l’interpretazione che essi davano dei comandamenti, ma critica anche la legge dello stesso Mosè e ne dichiara decadute alcune parti. L’affermazione secondo la quale soltanto ciò che nasce dal cuore rende l’uomo impuro dinnanzi a Dio (Mc.7,15) supera il concetto della purità rituale e dichiara invalida una grande parte della legge dell’A.T.

Gesù spezza i confini che separano cose e azioni “pure” dalle “impure”. Rende impuro l’uomo solo ciò che proviene da lui stesso, cioè la cattiveria del suo cuore; ciò che rende l’uomo puro o impuro dinnanzi a Dio è unicamente l’atteggiamento del suo animo.

Ciò che Gesù esige è la massima interiorizzazione possibile della vita morale. Tutte le buone opere concrete non sono che espressioni di un permanente e immutabile atteggiamento d’ubbidienza al volere di Dio. Accanto a questa purezza di cuore, tutte le prescrizioni di purezza rituale perdono il loro valore, e non vi è purezza rituale che abbia senso, se l’intimo, se il cuore dell’uomo è ottenebrato da sentimenti malvagi e da un atteggiamento privo d’amore: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, mentre all’interno sono pieni di rapina e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito” (Mt.23,25).

Gesù supera la legge veterotestamentaria.

Egli la riconduce alla volontà originaria di Dio, mostrandone l’insufficienza e presentando delle richieste più alte. In questo si deve vedere il portare a compimento di cui egli stesso parla: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel regno dei cieli”. Questo superamento è ben sottolineato dalle sei antitesi del discorso della montagna: “Vi è stato detto….Ma io vi dico…”

In esse Gesù non dà un’interpretazione nuova e più profonda della legge, da sostituirsi a quella rabbinica, bensì contrappone il proprio comandamento più alto a quello dell’A.T. e manifesta così la definitiva esigenza della volontà di Dio. Se quindi si vuole comprendere da un punto di vista unitario la posizione di Gesù di fronte alla legge, posizione che fa difficoltà in alcuni casi e rimane incerta a seconda del contenuto e della forma di singole espressioni, si può partire soltanto dalla constatazione che egli intende affermare la volontà di Dio in maniera assoluta e pura, quella volontà che egli vedeva sminuita o stravolta dalla giurisprudenza giudaica.

E’ proprio in queste antitesi che il comando di Dio è portato fino alle ultime conseguenze. La volontà di Dio non si estende e non si limita a singole azioni menzionate dalla legge, ma deve dominare l’intera vita dell’uomo.

“IN tutte queste posizioni riluce questa esigenza decisiva: il bene che si tratta di fare, deve essere fatto totalmente. Chi fa qualcosa parzialmente, ponendo delle riserve, in modo da adempiere a stento la prescrizione esteriore, è come se non avesse fatto nulla. Chi si trattiene dall’uccidere, ma non vince la sua ira, non ha compreso che deve decidersi totalmente. Chi evita l’adulterio, ma nutre in cuore il desiderio malvagio, non ha inteso per niente il divieto dell’adulterio, che esige da lui purezza totale. Chi rinuncia soltanto allo sperguiro, non ha compreso che quanto importa è la sincerità totale. Chi si rivolge contro l’ingiustizia con la vendetta, non sa di consentire egli stesso all’ingiustizia. Chi è buono soltanto con gli amici, non sa che cosa sia l’amore: perché amore totale significa anche amore per i nemici”.

Superando, con le sue esigenze, la legge in tutti quei punti in cui essa non esprime nella sua pienezza il volere di Dio, Gesù da tempo la compie.