Il Libro dell’Esodo

Introduzione

Con il libro dell’Esodo entriamo nel cuore della fede d’Israele. Non c’è, infatti, parte dell’A.T. e del N.T. che non ne faccia memoria e che sui fatti che esso raccoglie non professi la propria fede. Tradizionalmente attribuito a Mosé, l’Esodo è invece stato scritto da vari autori ed è stato messo assieme lungo l’arco di diversi secoli. Dato che la faccenda è complessa, vediamo anzitutto quale sia lo schema generale del Libro. Vedremo in seguito le singole parti, dalle quali cercheremo di trarre tutte le possibili indicazioni per una lettura attenta e nello Spirito.

Lo schema generale è il seguente:
a) Da 1,1 a 13,6 situazione d’Israele in Egitto fino alla liberazione;
b) Da 13,17 a 18,27 uscita dall’Egitto e cammino del popolo nel deserto;
c) Da 19,1 a 24,18 al monte Sinai Dio stringe l’Alleanza col suo popolo;
d) Da 25,1 a 31,18 codice di leggi e disposizioni sul culto;
e) Da 32,1 a 34,35 tradimento del popolo e rinnovamento dell’Alleanza;
f) Da 35,1 a 40,38 esecuzione delle disposizioni date nella sezione “d”.

La sezione “a” si può a sua volta guardare più da vicino in questo modo:
Cap. 1,1-22 oppressione degli Israeliti da parte degli Egiziani. Ci sono due racconti mescolati assieme: quello del lavoro forzato (vv.8,22) e quello della crescita degli Israeliti (vv.1,7). L’accenno al lavoro forzato ci permette di stabilire quando sono accaduti i fatti: secondo 1,11 gli Ebrei furono costretti a prestarsi nella costruzione d’alcune città volute dal faraone Ramses che salì al trono 1290 anni prima di Gesù Cristo. E’ probabile allora che l’uscita dall’Egitto sia avvenuta verso il 1250 prima di Cristo. La storia invece della crescita fa intravedere un’intenzione più religiosa e devota: benché in schiavitù, il popolo vede che il Signore non viene meno alle sue promesse (Gen.12,2)

Cap. 2,1-7,7 nascita, giovinezza, vocazione e missione di Mosé secondo tradizioni variamente mescolate. Notiamo la sezione della rivelazione del Nome Divino (cap.3) dove il Signore si presenta come il Dio dei Padri, un Dio quindi storico, legato ai fatti e alla vita del popolo; notiamo inoltre anche che ci sono due racconti della vocazione di Mosé, una ambientata in Madian (capp.3 e 4) e una in Egitto (cap.6,2-7,7), dovuti a due modi diversi di percepire la storia da parte del popolo.

Cap. 7,8-10,29 lotta tra Mosé e il faraone. E’ impossibile riuscire a dare una interpretazione dei fenomeni chiamati “piaghe d’Egitto”. Più che cercare di darne una spiegazione naturale, è bene leggerle come opere di potenza, di fronte alle quali si misura la fede dell’uomo. Come i miracoli di Gesù, del resto, che non servono ad appoggiare la fede, ma a sperimentarla. La conferma di ciò è data dal costante e crescente indurimento del faraone.

Cap. 11,1- 13-16 la decima piaga e la Pasqua. La tradizione lega il rito di una festa tipica dell’ambiente nomade dei pastori, con la morte dei primogeniti egiziani e la fuga d’Israele dalla terra di schiavitù. Storicamente è difficile appurare come siano andate le cose (ricordarsi quanto letto precedentemente); tuttavia è espressivo che un fatto in sé profano, come la fuga dall’oppressione, sia collegato ad un intervento del Dio vicino e subito connesso ad una festa che coinvolge tutta la comunità salvata, per ricordare sia la piaga dei primogeniti sia l’uscita dall’Egitto. Il tramite che lega questi fatti è il sangue, con tutti i simboli di cui è caricato.

La sezione “b”:

Cap. 13,17-14,31 partenza, inseguimento e passaggio del mare. Anche per questi fatti esistono due resoconti intrecciati assieme che si rincorrono fin dai primi capitoli dell’Esodo. Secondo una tradizione, Israele scappò dalla sua oppressione (14,5), per raggiungere il luogo in cui il Signore si è rivelato e rendergli culto: è il tema essenziale delle prime nove piaghe. Secondo un’altra tradizione Israele invece fu espulso dall’Egitto, e di fretta, come conseguenza della decima piaga (3,20; 11,1; 12,31).

Queste tradizioni riflettono due aspetti dell’Esodo che occorre osservare a fondo: da un parte quello della liberazione e affrancamento dalla schiavitù (=il Signore fa uscire il suo popolo dalla casa della schiavitù); dall’altra quello della salita dall’Egitto a Canaan, in corrispondenza a Giacobbe che da Canaan era sceso in Egitto, che mette in rilievo invece la presa di possesso della Terra Promessa come punto culminate dell’Esodo, più che la liberazione.

Ugualmente il miracolo del mare è visto da due angolature: Mosé tende il bastone e il mare si apre; l’Angelo protegge il campo e il vento dell’est fa soffiare sulle acque. Anche in questo caso non è possibile spiegare il prodigio in termini naturali d’alta o bassa marea o simili: il Testo non lo permette. Unico riferimento ad un fatto “atmosferico” è il vento. Il Testo invece ci presenta una narrazione complessa in cui campeggia la figura di un Dio guerriero (=il Signore delle schiere), cosa che è confermata dal canto del cap.15: il Signore prode in guerra ha sbaragliato cavallo e cavaliere. Ancora diversi sono gli itinerari seguiti nel deserto e la presa di possesso della Terra Promessa (rammentare la descrizione storica).

La sezione “c”:

Fin dai tempi antichissimi la fede d’Israele si appoggia su due fatti fondamentali strettamente uniti e oggetto di professione di fede: l’uscita dall’Egitto e la consegna della Legge sul Sinai; è lo stesso Dio che ha compiuto queste due imprese per lo stesso popolo.

L’intera sezione si può così esaminare:
Cap. 19,1-5 esposizione di quanto accade sul Sinai;
Cap. 20,1-23,9 il Signore recita la Legge e il codice dell’Alleanza;
Cap.23,20-33 benedizioni;
Cap. 24,1-18 cerimonia dell’Alleanza.

Come si vede, anche in questo caso il racconto è orientato in senso cultuale e termina con una liturgia di comunione. Tuttavia ci soffermiamo a guardare la struttura generale della narrazione. Dopo una rievocazione breve di quanto è avvenuto, è stabilito un patto con alcune clausole (=la Legge) tra Dio sovrano e potente e il popolo vassallo.

Notiamo bene che le parti contraenti di questo patto non sono alla pari e il patto non implica dei reciproci impegni, come mostrano le formule introduttive (20,23); il Signore si presenta come ” IO SONO” sia quando libera dall’Egitto sia nel dare la Legge. La Legge è quindi il gran frutto della grazia divina, non esiste né in contrasto né a lato di essa, ma in continuità: frutto gratuito della benevolenza divina, come la liberazione dalla schiavitù.

La sezione “d” e “f”:

Queste sezioni mostrano più al vivo il lavoro attraverso il quale l’A.T. come libro scritto si è formato. In queste descrizioni del Santuario, infatti, sono contenuti materiali ed elementi molto antichi. Essi sono però riuniti tra loro e mescolati ad altri recenti e soprattutto secondo criteri che il popolo seminomade del tempo di Mosé non poteva né avere né conoscere. Questo Santuario, infatti, è, nel suo complesso, modellato sullo schema delle strutture e della vita del Tempio di Gerusalemme; soprattutto è costruito secondo una mentalità sacerdotale molto evoluta, così come il popolo lo conobbe solo parecchi secoli dopo, nel periodo postesilico. In particolare si vede che la descrizione stessa è stata composta di persone dell’ambiente sacerdotale, preoccupata di mostrare che la vita liturgica d’Israele ha il suo fondamento nella tradizione che fa capo a Mosé, e segue un preciso progetto divino.

Notiamo solo un particolare, che cioè il Signore si comporta, secondo questa tradizione, da nomade coi nomadi, e chiama il suo Santuario con un antico termine ebraico che significa “tenda” e che è “Miskàn”. Questo modo di vedere avrà un grande sviluppo, tanto che molti secoli più tardi si parlerà di “Sekinà” (=tenda) di Dio, per indicare la sua presenza, evitando di pronunciare il Nome divino. Tale idea della presenza/tenda arriva fino al N.T., quando il Verbo mette la sua tenda tra gli uomini (Gv.1,14).

La sezione “e”.

La presenza di questo episodio nel contesto generale della narrazione fa un po’ pensare gli studiosi, che non vedono ben chiaro quale sia la funzione. Certo contiene degli elementi molto degni di nota e semmai sottolinea in maniera decisa che la Legge è, per il popolo, un fatto di grazia proprio nella misura in cui il patto è tradito e ricostituito, le tavole infrante e riscritte. In questo caso l’elemento grazia nel Patto Tra Dio e il popolo viene in primo piano e trova la sua ratifica nella Legge. Due parole sul termine con cui si designa il Patto. L’ebraico ha il termine “Berit” la cui origine e il cui senso preciso per noi sono oscuri. I testi mostrano che non si tratta di un’Alleanza in condizioni di parità, ma in cui c’è un potente condiscendente verso un debole.

La scrittura usa la parola “Berit” assieme al verbo tagliare. Il senso ultimo è quindi quello del giuramento rituale che si trova in Gen.16 e Ger.34,18-21. E’ significativo che anche in Es.34,10.27 è sempre il Signore che taglia il “Berit”, cioè prende l’impegno mediante la Legge impegnando il popolo. L’iniziativa comunque è tutta sua ed Egli si impegna con giuramento. D’altra parte il popolo è coinvolto dalla grazia in maniera esplicita attraverso la Legge che fa da tramite tra l’uomo e Dio.

Riflessione.

Poniamoci in atteggiamento d’ascolto del testo e vediamo com’è cresciuta la fede d’Israele e da che basi. Di fatto, seguire il cammino attraverso il quale il racconto si è formato fino a quando è stato scritto in maniera definitiva, così come lo abbiamo noi oggi, significa seguire una fede che si articola e si sviluppa attraverso diversi secoli di vita del popolo stesso (come ho narrato in precedenza). Quello che dico adesso dell’Esodo è vero di tutti li libri dell’A.T. e del Pentateuco in particolare, anche se con alcune varianti.

Abbiamo costatato, leggendo, che di certi fatti esistono due versioni: il medesimo avvenimento è cioè interpretato e narrato con diversi criteri. Il cammino di formazione del Libro è, infatti, lungo e tortuoso.

Ho scritto che i fatti sono accaduti attorno al 1259 a.C., però nessuno scrisse subito una cronaca dettagliata degli avvenimenti. Per molto tempo la storia passò dalla bocca dei Padri al ricordo dei figli, in una catena di trasmissione da persona a persona, da famiglia a famiglia, da clan a clan (=piccolo nucleo di famiglie) all’interno di una tribù o di un gruppo di tribù accomunate dalla medesima esperienza di fede. L’esperienza dell’Egitto, la liberazione e il Sinai coinvolsero, infatti, tutte le tribù seppure in modi e tempi diversi.

Questo spiega le diverse interpretazioni dei medesimi fatti, la diversità delle strade indicate come itinerari attraverso il deserto e, in un secondo tempo, il diverso modo di prendere possesso della Terra Promessa. Le varie tradizioni orali furono messe per iscritto parecchi secoli dopo che i fatti erano avvenuti e secondo criteri precisi, in documenti che attualmente non esistono più come tali e presi da sé, ma che più tardi ancora furono utilizzati per scrivere il Libro come lo abbiamo adesso, con un’opera di cucitura dei documenti medesimi. Essi uscivano da scuole di Scribi ciascuna con la propria impostazione, per questo alla fine si è raccolta nell’unità una molteplicità d’esperienze del medesimo articolo di fede.

Noi dobbiamo quindi camminare molto all’indietro, partendo dal Testo, per ricostruire da una parte quel che dei fatti puri e semplici è storicamente ricostruibile (com’è già stato fatto); dall’altra in quale modo ci sono rappresentati attualmente e quanto ciò sia significativo per penetrare nel mistero del rapporto tra Dio e il suo popolo. Ora, come il Deuteronomio racconta il viaggio nel deserto fino a Canaan, assieme ad una serie di Leggi, entro la cornice dei discorsi di Mosé, l’Esodo è modellato sullo stesso schema. Lo riporto qui per comodità:

Esodo Deuteronomio.

Capp. 1 -18 viaggio dall’Egitto al Sinai;
Capp. 1 -4,43 viaggio dal Sinai a Moab;
Capp. 19-20,21 alleanza e decalogo:
Capp. 4,44-5,22 alleanza e decalogo;
Capp. 20,22-23,33 codice dell’alleanza;
Capp. 12-26 codice deuteronomista;
Capp. 24 ratifica del patto:
Capp. 27-28 ratifica del patto;
Capp. 32-34 apostasia, intercessione, rinnovazione del patto;
Capp. 9,7-10,5 apostasia, intercessione, rinnovazione del patto.

Tuttavia la cornice è fatta dei discorsi di Dio. A loro volta discorsi, leggi e racconti contengono materiale antichissimo, talora perfino più antico di Mosé (come alcune leggi del cap.22) raccolti da autori diversi.

Nell’Esodo si possono individuare almeno tre testi di base variamente combinati, che come ho già scritto si chiamano con le iniziali “E, Y, P”. Il più facile da riconoscere è “P” (cioè presbiterale, in altre parole sacerdotale) anche perché l’ambiente in cui il documento fu scritto è forse responsabile della cucitura generale del libro dell’Esodo. “P” fu scritto verso la fine e subito dopo l’esilio di Babilonia, e ad esso appartiene quasi tutta la seconda metà dell’Esodo, che ha tanta attenzione per il culto e le sue leggi. Lo scrisse, infatti, una scuola di persone profondamente legate al Tempio e disposte a vedere tutta la tradizione antica come orientata verso di esso e verso la sacralità del popolo di Dio. Così “P” è attento alle regole (Es.12,1-14), alla purità degli eroi d’Israele ( per esempio la vocazione di Mosé è ambientata in Egitto e non a Madian, Es.6,2-7,7), alla liturgizzazione di tutti i fatti e gli avvenimenti, manifestando una simpatia speciale per Aronne, alle genealogie (Es.1,1-15).

L’Esodo stesso è presentato da “P” come una solenne marcia liturgica fino al Sinai da cui nasce, come una nuova creazione, un popolo santificato d’appartenenza divina (Es.40,34-38). Come si vede, una mentalità troppo diversa per essere contemporanea degli avvenimenti dell’Esodo. Sono, infatti, passati almeno settecento anni tra fatto e messa in iscritto definitiva. Gli altri due testi “E” ed “Y” non sono facilmente separabili l’uno dall’altro nell’Esodo; non ci fermiamo perciò ad analizzarli da vicino, cosa che conviene fare invece leggendo la Genesi.

Fissiamo la nostra attenzione sul fatto che l’Esodo, come lo abbiamo adesso, è frutto del lavoro storico e letterario dei Sacerdoti del Tempio di Gerusalemme al tempo di Esdra. Ora, questo non deve far nascere in noi dubbi sulla verità di quel che dice la Scrittura, ma piuttosto portarci ad ammirare l’opera dello Spirito Santo che attraverso i secoli fa preservare alla memoria dell’uomo ciò che è vitale della divina rivelazione e glielo fa rammentare in un contesto di fede vivace che coinvolge tutto un popolo nelle sue istituzioni fondamentali: la Legge, il Tempio, la vita di famiglia, ecc…

A ben guardare, infatti, alla base dell’Esodo ( e a base essenziale di tutto l’A.T. e poi del N.T.) c’è l’affermazione che Dio ha fatto uscire il suo popolo dalla terra di schiavitù. Questa semplice affermazione contiene tutto il mistero della grazia che salva e lega a sé un popolo, ratificando con la Legge il legame in cui non il popolo, ma Dio si impegna. L’affermazione diventa tanto più sonora e solenne quando il popolo la pronuncia nella celebrazione liturgica. Per meglio comprendere questo fatto, sarebbe bene prendere contatto col rito ebraico della Pasqua che ha il libro dell’Esodo come base, ma che nella affermazione Dio ha fatto uscire riesce a raccogliere tutta la storia di Israele dalla creazione del mondo fino agli ultimi tempi, perché non si tratta che della continua rinnovazione dello stesso miracolo.

Appendice liturgica pasquale.

Vi trascrivo un esempio di come il rito ebraico della Pasqua sottolinei il fondamento storico della fede di Israele attraverso la rievocazione della liberazione dall’Egitto, percepita come fatto senza confini di tempo.

Naturalmente il rito attuale è più ampio che al tempo di Gesù, perché la pietà ebraica lo ha arricchito lungo i secoli. Il nucleo fondamentale però è invariato dal tempo di Cristo e Gesù celebrò la Pasqua come ogni pio israelita fino alla vigilia della morte. Il rito si svolge in famiglia, presieduto dal padre. Inizia con queste domande del figlio, circa i cibi che sono a tavola:

In che si differenzia questa sera da tutte le altre? Tutte le altre sere non intingiamo in alcun liquido la verdura che mangiamo, mentre questa sera la intingiamo per due volte, una nell’haroset e un’altra nell’aceto; le altre sere mangiamo indifferentemente pane lievitato o pane azzimo, questa sera soltanto pane azzimo; tutte le altre sere mangiamo qualsiasi erba, questa sera solo erba amara; tutte le altre sere mangiamo e beviamo stando regolarmente seduti o appoggiati sul gomito, mentre questa sera soltanto appoggiati sul gomito”.

Il papà risponde rievocando l’esodo. L’inizio della rievocazione è riportato in cima al foglio introduttivo al Tempo quaresimale. Questa parte del rito ricostruisce, commentando versetto per versetto, i fatti da Giuseppe al Sinai. Alla fine si canta questo inno alla grazia di Dio a cui si deve ogni cosa:

” Di quanto grandi benefici noi siamo debitori al creatore!
Se ci avesse liberati dagli egiziani e non avesse fatto giustizia di loro, ci sarebbe bastato”.
“Se avesse fatto giustizia dei loro déi e non avesse ucciso i loro primogeniti, ci sarebbe bastato”.
” Se avesse ucciso i loro primogeniti e non ci avesse dato le loro ricchezze, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse dato le loro ricchezze e non avesse diviso per noi il mare, ci sarebbe bastato”.
” Se avesse diviso per noi il mare e non ci avesse fatto passare in mezzo ad esso all’asciutto, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse fatto passare in mezzo ad esso all’asciutto e non vi avesse affondato dentro i nostri persecutori, ci sarebbe bastato”.
” Se vi avesse affondato dentro i nostri persecutori e non ci avesse fornito per quarant’anni nel deserto quel che ci occorreva, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse fornito per quarant’anni nel deserto quel che ci occorreva e non ci avesse dato da mangiare la manna, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse dato da magiare la manna e non ci avesse dato il sabato, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse dato il sabato e non vi avesse fatto avvicinare al monte Sinai, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse fatto avvicinare al monte Sinai e non ci avesse dato la Legge, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse dato al Legge e non ci avesse fatto entrare in Terra d’Israele, ci sarebbe bastato”.
” Se ci avesse fatto entrare in Terra d’Israele e non avesse costruito per noi il Santuario, ci sarebbe bastato”.
” Quanto sono dunque smisuratamente grandi i beni di cui siamo a Dio debitori!”
” Ci libererò dagli egiziani, fece giustizia di loro, la fece sui loro déi, uccise i loro primogeniti, ci diede le loro ricchezze, divise per noi il mare, ci fece passare in mezzo ad esso nell’asciutto, vi affondò dentro i nostri persecutori, ci fornì per quarant’anni nel deserto quel che ci occorreva, ci dette da mangiare la manna, ci dette il sabato, ci fece avvicinare al monte Sinai, ci diede la Legge, ci fece entrare in Terra d’Israele, ci costruì il Santuario per fare espiazione di tutti i nostri peccati”.

Poi il padre spiega il senso dei cibi uno per uno. Prende il mano l’azzimo dicendo:

” Quest’azzimo che noi mangiamo, perché lo mangiamo? Perché la pasta dei nostri Padri non ebbe tempo di lievitare, poiché il Re dei Re, il Santo, benedetto Egli sia, si manifestò loro e li liberò subito, come è detto: fecero cuocere la pasta che avevano portato via dall’Egitto, focacce azzime che non erano lievitate, poiché erano stati cacciati dall’Egitto e non avevano potuto indugiare, sì che neanche si erano fatti provviste” (Es.12,39).

Prende in mano dell’erba amara e dice:

” Quest’erba amara che noi mangiamo, perché la mangiamo? Perché gli Egiziani amareggiarono la vita dei nostri padri in Egitto, come è detto: amareggiarono la loro vita con duri lavori, costringendoli a preparare la creta e i mattoni e a fare tutti i lavori di campagna. Tutti i lavori a cui li costringevano, erano con durezze” (Es.1,14). ” In ogni generazione ciascuno ha il dovere di considerarsi come se egli stesso fosse uscito dall’Egitto, come è detto: in quel giorno racconterai a tuo figlio dicendogli: questa celebrazione ha luogo per quello che mi fece il Signore quando uscii dall’Egitto” (Es.13,8). Perché il Santo, benedetto Egli sia, non liberò soltanto i nostri Padri, ma noi pure liberò insieme con loro, come è detto: noi Egli ci fece uscire da là per condurci e dare a noi la terra che aveva giurato ai nostri padri” (Deut.6,23).

Alza il bicchiere del vino e dice:

” Pertanto è nostro dovere rendere omaggio, lodare, celebrare, glorificare, esaltare, magnificare, encomiare, Colui che fece ai nostri padri e a noi tutti questi prodigi, che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalla soggezione alla redenzione, dal dolore alla letizia, dal lutto alla festa, dalle tenebre a splendida luce”. ” Diciamo dunque davanti a Lui: HALLELUJAH!”

Seguono ancora Salmi (113 e 114), benedizioni sul pane e il vino (Mt.26,26-29) e ancora canti e Salmi (115,116,117,118). L’Esodo è rievocato in tutti i modi possibili offerti dalla Scrittura e dalla Tradizione. Fino al Salmo 136, che è considerato un po’ il culmine della Pasqua. Dopo tale canto Gesù lasciò il Cenacolo (Mt.26,30).

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