Salmo 89

Signore , tu sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.
*Prima che nascessero i monti e la terra e il mondo fossero generati,
da sempre e per sempre tu sei, Dio.
*Tu fai ritornare l’uomo in polvere e dici: “Ritornate, figli dell’uomo”.
*Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
*Li annienti: li sommergi nel sonno; sono come l’erba che germoglia al mattino:
*al mattino fiorisce, germoglia, alla sera è falciata e dissecca.
*Perché siamo distrutti dalla tua ira, siamo atterriti dal tuo furore.
*Davanti a te poni le nostre colpe, i nostri peccati occulti
alla luce del tuo volto.
*Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira,
finiamo i nostri anni come soffio.
*Gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti,
ma quasi tutti sono fatica, dolore;
passano presto e noi ci dileguiamo.
*Chi conosce l’impeto della tua ira, e il tuo sdegno, con il timore a te dovuto?
*Insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore.
*Volgiti, Signore; fino a quando? Muoviti a pietà dei tuoi servi.
*Saziaci al mattino con la tuia grazia: esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
*Rendici la gioia per i giorni di afflizione,
per gli anni in cui abbiamo visto la sventura.
*Si manifesti ai tuoi servi la tua opera e la tua gloria ai loro figli.
*Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio:
rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza.

Cari fratelli e sorelle in Cristo,

Fin dall’inizio, nel Salmo, s’impongono all’attenzione gli aspetti temporali. Da una parte, l’eternità di Dio, dall’altra, la fragilità della vita umana. L’orante contrappone i tempi dell’astratto. Dio è al di sopra del tempo, l’uomo invece si dissolve nel nulla. Per l’orante non si tratta di far saltare i limiti posti alla sua fragilità, ma almeno che lo spazio e il tempo concessi si riempiano di gioia e di canto o, ancor più modestamente, che la sventura e la gioia si bilancino. Allora, varrà la pena di vivere e lavorare, poiché la bontà del Signore rafforzerà l’opera delle mani.

Il testo gioca di continuo sul contrasto fra i due ordini di grandezza costituiti dal ciclo degli anni e dal ciclo dei giorni. Il tutto dimostra la sua vanità in quelle frazioni di tempo che sono i giorni. In breve, si tratta di una riflessione sulla maniera di contare i propri giorni (vedere sito, sezione meditazione,”Insegnaci a contare i…”) nel più giusto equilibrio.

La forza non comune di questo salmo, così semplice e limpido nel suo sviluppo, così spontaneo e sincero nella sua umiltà, è nell’onestà oggettiva con cui l’orante fissa le immagini della sua meditazione.

I versetti ora risuonati nelle nostre orecchie e nei nostri cuori costituiscono una meditazione sapienziale che ha, però, anche il tono di una supplica. L’orante del Salmo 89 pone, infatti, al centro della sua preghiera uno dei temi più esplorati dalla filosofia, più cantati dalla poesia, più sentiti dall’esperienza dell’umanità di tutti i tempi e di tutte le regioni del nostro pianeta: la caducità umana e il fluire del tempo.

Pensiamo a certe pagine indimenticabili del Libro di Giobbe (vedere dal sito, sezione lettura) nelle quali è di scena la nostra fragilità. Noi, infatti, siamo come “chi abita case di fango, che nella polvere hanno il loro fondamento, che cedono di fronte ad un tarlo! Annientati fra il mattino e la sera; senza che nessuno ci badi, periscono per sempre” (Gb.4,19-20). La nostra esistenza sulla terra è “come un’ombra” (Gb.8,9). E’ ancora Giobbe a confessare: “I miei giorni passano più veloci di un corriere, fuggono senza godere alcun bene, volano come barche di giunchi, come aquila che piomba sulla preda” (Gb.9,25-26).

All’inizio del suo canto, che è simile un’elegia (vv.2-6), l’orante oppone con insistenza l’eternità di Dio al tempo effimero dell’uomo. Ecco la dichiarazione più esplicita: “Ai tuoi occhi, mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte” (v.4).

In conseguenza del peccato originale l’uomo, ad un ordine divino, ripiomba nella polvere da cui è stato tratto, come già si afferma nel racconto della Genesi: “Polvere tu sei e in polvere tornerai!”

Il Creatore, che plasma in tutta la sua bellezza e complessità la creatura umana, è anche colui che “fa ritornare l’uomo in polvere (v.3). E “polvere” nel linguaggio biblico è espressione simbolica anche della morte, degli inferi, del silenzio sepolcrale.

E’ forte in questa supplica il senso del limite umano. La nostra esistenza ha la fragilità dell’erba spuntata all’alba; subito ode il sibilo della falce che la riduce ad un mucchio di fieno. Ben presto alla freschezza della vita subentra l’aridità della morte.

Come spesso accade nell’Antico Testamento, a questa radicale debolezza l’orante associa il peccato: in noi c’è finitudine, ma anche colpevolezza. Per questo sulla nostra esistenza sembrano incombere anche la collera e il giudizio del Signore: “Siamo distrutti dalla tua ira, siamo atterriti dal tuo furore. Davanti a te poni le nostre colpe…Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira” (vv.7-9).

Ogni giorno, cari fratelli e sorelle, veniamo scossi, da questo Salmo, dalle nostre illusioni e dal nostro orgoglio. La vita è limitata – “gli anni della nostra vita sono settanta, ottanta per i più robusti” – afferma l’orante. Inoltre lo scorrere delle ore, dei giorni e dei mesi è scandito da “fatica e dolore” (v.10) e gli stessi anni si rivelano simili a “un soffio” (v.9).

Quale morale e quale insegnamento possiamo trarre dalla preghiera? Una lezione: il Signore c’insegna a “contare i nostri giorni” perché, accettandoli con sano realismo, “giungeremo alla sapienza del cuore” (v.12). Ma l’orante chiede a Dio qualcosa di più: la sua grazia sostenga e allieti i nostri giorni, pur così esili e segnati dalla prova. Ci faccia gustare il sapore della speranza, anche se l’onda del tempo sembra trascinarci via. Solo la grazia del Signore può dare consistenza e perennità alle nostre azioni quotidiane: “Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio: rafforza per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rafforza” (V.17).

Con la preghiera domandiamo a Dio che un riflesso dell’eternità penetri nella nostra breve vita e nel nostro agire. Con la presenza della grazia divina in noi, una luce brillerà sul fluire dei giorni, la miseria diventerà gloria, ciò che pare privo di senso acquisterà significato.

La condizione cristiana non ha mutato i dati fisiologici e psicologici della vita. Il cristiano continua a rattristarsi al pensiero di dover morire. Tuttavia, Cristo entrato nella temporalità umana ha spezzato i confini che imponeva la morte. Con la sua risurrezione, ha inaugurato la vita nuova che è pienezza senza fine. Le nostre opere partecipano alla risurrezione e rimangono valide per sempre. Aggiungiamo che la sapienza cristiana insegna una maniera paradossale di contare i giorni. Il tempo stringe, non perché ne resta poco, ma perché tutte le cose attendono con impazienza di essere ristabilite in Cristo (Ef.1,10; Rm.8,22).

Un caro saluto da Sergio.