Salmo 62

A Te si stringe l’anima mia

O Dio, tu sei il mio Dio. All’aurora ti cerco,
di te ha sete l’anima mia,
a te anela la mia carne,
come terra deserta, arida, senz’acqua.
Così nel santuario ti ho cercato, per contemplare la tua potenza e la tua gloria.
Poiché la tua grazia vale più della vita, le mie labbra diranno la tua lode.
Così ti benedirò finché io viva,
nel tuo nome alzerò le mie mani,
mi sazierò come a convito,
e con voci di gioia ti loderà la mia bocca.
Nel mio giaciglio di te mi ricordo,
penso a te nelle veglie notturne,
tu sei stato il mio aiuto;
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
A te si stringe l’anima mia.
La forza della tua destra mi sostiene.

Commento

L’esclamazione “O Dio, tu sei il mio Dio”, ci prefigura colui con il quale iniziamo una relazione personale, l’impegno cioè di un’intimità profonda. Se siamo attenti, inizialmente l’espressione citata è qualcosa di vago, ma nel momento in cui la preghiera si interiorizza, s’intensifica il senso d’appartenenza e d’alleanza a Dio. Ciò comporta come conseguenza l’acquisizione di un sentimento di sicurezza e di fiducia, nella consapevolezza di essere amati personalmente dal Signore. Ed è a questo punto che l’esigenza iniziale dell’orante è riconosciuta come l’ardente desiderio di stare unito a Dio.

Personalmente, mi piace chiamarlo “A te si stringe l’anima mia”; perché tutto ciò che è dell’uomo, anima, spirito e corpo, è assetato del Signore.
“A te si stringe l’anima mia” è un’affermazione visiva, intima, a metà del canto d’Osanna, della preghiera di chi confida nell’unione amorevole del Signore che è vera fonte di felicità, pur tra le vicende di lotte e dei mali della vita terrena. Al contrario, al solo pensiero di essere privato dell’unione divina, rimane sconsolato, avvertendo un senso di vuoto e d’intollerabile tristezza.
E’ doverosa una grande grazia poter affermare con sincerità che è Dio, e Dio soltanto, che si desidera. Questo dimostra che la vita è fermamente orientata verso il suo autentico e ultimo fine.
Vediamo di rilevare i personaggi, i soggetti che agiscono nel testo. Sono due: colui che parla e l’azione di Dio.

I primi due versetti rappresentano la supplica individuale i seguenti quattro, esprimono fiducia ed azione di grazie, proprio come negli stadi della preghiera di lode (adorazione, lode e azione di grazie). Infine gli ultimi due rappresentano la risposta del Signore, anche se a dichiararlo è colui che parla.
Le azioni da attribuire a colui che parla, supplicando individualmente, sono sei: “all’aurora ti cerco”; “di te ha sete…”; “a te anela…”; “come terra deserta, arida, senz’acqua”; “ti ho cercato”; “per contemplare”. Si tratta di sei designazioni che indicano il desiderio di percepire intimamente il Signore, con metafore e simboli: esse definiscono l’orante come colui che senza il Signore non è nulla.
Non solo, colui che parla, all’esigenza proclamata, afferma: “la tua grazia vale più della vita”; “le labbra loderanno”; “ti benedirò”; “alzerò le mani”; “mi sazierò”; “con gioia la bocca ti loderà”.
Colui che parla, al termine della supplica e dell’azione di grazie conferma ciò che il Signore fa per lui: “tu sei stato il mio aiuto”; “sotto le tue ali”; “la forza della tua destra mi sostiene”.

Come possiamo notare si tratta di un monologo di speranza, di fiducia, di grazie espressi affettuosamente rivolti al Signore, proprio come fa un bambino col padre o la madre. E’ un momento di gioia perché come il pio israelita provava grande felicità nello stare presso il Tabernacolo ed era sotto la potente e soave protezione del Signore, similmente quale e quanta dovrebbe essere quella del cristiano che vive vicino alla sua chiesa , dove Gesù è presente sotto i veli Eucaristici? Che dire poi, quando siamo accanto a Gesù durante la Messa? Oppure durante le lodi e le preghiere giornaliere?
Vedete quali e quanti istanti d’intimità e di felicità, prova colui che parla che, da assetato, è stato riempito dalla presenza del Signore. Cioè dalla presa di coscienza del bisogno di salvezza, la consapevolezza che Gesù è sempre con noi come aveva detto, raggiungendo la comunione con Dio, senza scordare che è sempre opera sua, nel senso che colui che parla si limita a bussare alla sua porta. Non solo, il credente “soffre di una vera fame” del Signore, perché la sua presenza diventa una necessità fisiologica, poiché colui che parla ha piena e totale fiducia di vedere esaudita la preghiera di supplica.

Diversi sono i temi e i punti su cui insiste il Salmo: Amore, veglia notturna. La preghiera considera il tempo che intercorre dal mattino alla notte, dal desiderio al possesso. Vale a dire che il mattino l’anima urla la sua sete; nel momento in cui scende la sera, “essa si stringe al suo Signore”. Cioè ha trovato Dio, dopo un lungo cammino. Un itinerario che va dal Santuario (Chiesa), al convito (Eucaristia), all’ombra delle sue ali (“Io sarò con voi fino alla fine del mondo”). Sono tre parole che rappresentano la comunione con Dio e con i fratelli e le sorelle in Cristo, cioè che vanno dal sacramento a ciò che esso significa per tutti i credenti.

Quante volte nel silenzio della notte, nel segreto della meditazione, colui che parla è unito a Dio come se si trovasse ammesso alla parte più sacra del suo essere, avvolgimento della presenza di Dio che sembra far ardere il cuore di una gioia indescrivibile che vorrebbe gridare al mondo intero.
Potenza, gloria, grazia, tali sono le qualità di Dio che fa concorrere tutte le sue opere al disegno d’amore. La potenza è la capacità di agire; la gloria, l’opera realizzata; la grazia, la fonte inesauribile che alimenta l’azione.
Anima, carne, labbra, mano, bocca: è tutto l’uomo con le sue aspirazioni, le sue debolezze, la sua forza e la sua volontà di comunicare.
Come possiamo notare esiste una profonda intonazione mistica in tutto il Salmo, perché l’orante, pur attraversato dalla crisi del mondo, conserva una grande pace davanti a Dio.

Solo i mistici e coloro che tutto confidano in Dio sanno unire gioia e sofferenza, tribolazione e pace, perché il centro della loro esistenza si trova in Dio. Da lui attingono felicità, pace e la forza di fronteggiare la sofferenza (la beatitudine). La pena più profonda dell’anima umana è il desiderio ardente di Dio, dell’infinito, della fonte ultima della vita e dell’amore. Il dolore intenso e profondo è avvertito da ognuno, più o meno consapevolmente; e la vita di chiunque è indirizzata verso il bene o il male secondo come reagiscono alla sofferenza (sono le due scelte di cui parlava il Papa Giovanni XXIII).

Purtroppo oggi, nella società del consumismo, molte, troppe persone, anche tra coloro che si professano cristiani, non la identificano e anzi soffocano la sete d’infinito, adeguandosi ai piaceri materiali o alla ricerca del successo, del potere, o alla degenerazione di sensazioni insolite che conducono inevitabilmente alla violenza; tuttavia, nulla di tutto ciò soddisfa e riempie il vuoto interiore, quella sete del trascendente che l’uomo non sa placare.
Al contrario, quando l’orante si abbandona a Dio in preghiera, lasciamo Dio libero di manifestare in modo personale il suo amore, la sua attenzione, la sua protezione e,allora, inizia a spegnersi quella sete comprendendo che la vita può essere donata in cambio di un unico istante di quel puro e santo amore.

Ora, fratelli e sorelle, rileggiamo il salmo, provando alla gioia dell’amore personale di Dio per ognuno, così che la lode sorga spontanea dal profondo dell’anima e dello spirito esprimendolo attraverso la felicità interiore, confessando con le labbra e contemporaneamente anche il corpo, che ne è partecipe, perché viene naturale esprimere la gratitudine a Dio innalzando le mani insieme al cuore.
In questo modo viviamo costantemente presso i Tabernacoli Eucaristici, affinché, consolati dalla corporea presenza, e nutriti del suo corpo, perseveriamo sulla via del bene e ci rallegriamo in Cristo Gesù.

Amen,alleluia,amen.