Il Santo Rosario: Misteri Dolorosi

martedì e venerdì

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto in mio aiuto.

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo:
Com’era nel principio, ora e sempre nei secoli dei
Secoli. Amen.

Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal
fuoco dell’inferno, porta in cielo tutte le anime,
specialmente le più bisognose della tua misericordia.

Sono i misteri: della solitudine, della persecuzione, della calunnia, dell’abbandono e del tradimento, del dolore e della morte, sofferti da Gesù per la nostra salvezza.

Sono i misteri: della spada infitta nel cuore di una madre, dell’angoscia tremenda nel non poter far nulla, della compassione che fa rivivere nello spirito e nella carne di Maria i dolori del Figlio e tuttavia dell’amore che accetta, che soffre, s’immola, nella gioia di contribuire alla Redenzione.

Devono diventare i misteri: della nostra fede nell’ora della tempesta, del nostro amore tra i più crudi dolori, della nostra speranza nel tempo dell’esilio, della nostra partecipazione alla Redenzione, con l’offerta del dolore, con l’accettazione della croce.

Nel primo mistero doloroso si contempla: “Nell’orto degli ulivi Gesù è agonizzante ma accetta la volontà del Padre”.

Riflessione:
Dopo l’ultima cena nessuno degli Apostoli si meravigliò del fatto che Gesù si ritirasse in preghiera, oltre il torrente Cedron, nell’orto degli ulivi, il Ghetsemani. Era già buio, ma Gesù spesso trascorreva la notte in preghiera (Lc.6,12).

Anche in quella circostanza, che si allontanasse, con i tre Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, non risultava del tutto nuovo. Non erano stati col Maestro anche sul monte Tabor? (Mc.9,2; Lc.9,28).
Tuttavia in quell’ora vibrava una tensione palpabile tra loro per tutto quanto avevano vissuto nel Cenacolo. Rammentavano le parole enunciate da Gesù durante la cena, parole avvolte ancora nel mistero, per i loro poveri cuori: “Questo è il mio Corpo, offerto in sacrificio per voi; questo è il calice del mio Sangue, per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi….” (Mt.26,26-28).

Ma non era tutto, pur nell’atmosfera solenne del momento, qualcosa d’antico serpeggiava nei loro cuori. Gesù aveva detto: “Uno di voi mi tradirà” (Gv.13,21). Proprio in quell’istante Giuda, quello che teneva la borsa, uscì (Gv.13,29-30). Alle rimostranze di Pietro, gli disse: “Proprio tu, oggi, in questa notte, prima che il gallo abbia cantato tre volte, mi rinnegherai tre volte” (Mc.14,30); e quando Pietro lo scongiurò, Gesù aveva aggiunto: “Ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi, come il grano. Ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lu.22,31-32).
Cari fratelli e sorelle, il Ghetsemani è una porta del Santuario ove le dimensioni umana e divina del Cristo convergono nel medesimo punto d’offerta: “l’est incarnatus est e il Pater in manus tuas commendo spiritus meus!”

L’interno di questo Santuario dell’orto degli ulivi è avvolto in un manto di mistica penombra che prelude e predispone al gran mistero della Croce.
Il silenzio arcano degli ulivi antichi e nuovi che sviluppa in tono grave attorno all’altare del Sangue della Redenzione; la rettangolare, massiccia e candida pietra sulla quale Gesù si è inginocchiato e ha versato lacrime di sangue; il calice che raccoglie i peccati di tutti gli uomini, dalla creazione alla consumazione del tempo, offerta con straziante ma amorosa oblazione totale di Sé, la preghiera che nasce dalla Sua agonia: “Padre, tutto è possibile a Te, allontana da me questo calice!” (Mc.14,36), l’abbandono incredibile e il sonno della scarsa sensibilità degli Apostoli che acutizzano l’angoscia del Maestro in quest’ora in cui si scatena l’arroventata furia dell’odio contro il Dio dell’amore!
Fratelli e sorelle ascoltiamo il pianto angoscioso di Gesù: “La mia anima è triste fino alla morte”.
Gesù, immagine viva dell’odio che fluisce dal frantoio della Croce, è solo nel Ghetsemani…l’ora suprema è giunta, congiungimento del finito con l’infinito, una luminosa fusione dell’eterno con il temporale, dell’umano con il divino.

Addossandosi il peccato dell’uomo, ne porta gli effetti in tutta la formidabile interezza. La giustizia divina splende nel buio di quella notte, la Redenzione umana desidera un sacrificio senza pari e senza nome. Ma nell’orto degli ulivi in quella notte nasce il principio della gran tragedia, infatti sono le prime angosce della santa e amara passione…La porta del Santuario del Ghetsemani è dunque aperta dal mistero del Tristis est anima mea…La navata orizzontale della Sua umanità s’incrocia con quella verticale della Sua divinità e forma una Croce.

Ave crux spes unica!

Sì, unica nostra speranza, oh Croce sublime, noi ti salutiamo, inneggiamo a te, preferendo tacere dinanzi al mistero che vide l’Amore inchiodato sul tuo legno.
Gesù, dal sacro Santuario del Ghetsemani, fa giungere alla conoscenza dei tuoi figli denutriti dal silenzio, la voce viva del Tuo Cuore orante e agonizzante!
Silentium!

Facciamo silenzio fratelli e sorelle, non lasciamo cadere invano le gocce di quel sangue divino…Chi le raccoglierà? Forse io? Forse tu? Forse noi insieme?
Maria, Vergine Madre, dove sei in quest’ora? IL sangue che offristi a Cristo al momento dell’Incarnazione, ritornerà a scorrere in te, perché in quest’ora eccelsa tu vivi in Tuo Figlio, pulsi nei suoi ultimi istanti di vita terrena…perché Gesù questo lo conferma dall’alto della Croce:

MULIER ECCE FILIUS TUUS, ECCE MATER TUA!

“Figlio del mio sangue, d’ora in poi i tuoi figli saranno figli della mia maternità immortale”.

Fratelli e sorelle, siamo vigilanti e forti nelle tentazioni invocando l’aiuto del Signore.

1 Padre nostro….
10 Ave Maria….
1 Gloria al Padre….
1 Gesù mio, perdona…

Nel secondo mistero doloroso si contempla: ” Gesù è flagellato”.

Riflessione:
Dopo avere subito il martirio del cuore nell’orto degli ulivi, Gesù accetta il martirio del corpo con la flagellazione. Portato alla presenza di Pilato, era ormai l’alba, questi chiese: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”
Gli risposero che se non si trattava di un malfattore, non glielo avrebbero portato. Al che, piuttosto spazientito, Pilato replicò che lo giudicassero loro, in altre parole come la Legge prescriveva. Tuttavia le autorità ebraiche del Sinedrio obiettarono che esse non erano autorizzate a condannare a morte.

A questo punto Pilato rientrò nel palazzo, chiamò Gesù e gli chiese: “Sei tu, il re dei giudei?”
Gesù rispose: “Il mio regno non appartiene a questo mondo…”
Pilato gli disse di nuovo: “Insomma, sei un re, tu?”
Gesù rispose: “Tu dici che io sono re. Io sono nato e venuto nel mondo per essere testimone della verità. Chi appartiene alla verità ascolta la mia voce”.
Pilato disse a Gesù: cos’ è la verità?”
Pilato, allora, fece flagellare Gesù.

Fratelli e sorelle, la verità è una realtà: è il Regno di Cristo, è la dignità dell’uomo, è essere figlio di Dio e fratello di Gesù. La verità possiede una sua dimensione sociale e pubblica: non si deve mai negare all’uomo il diritto alla verità. Dobbiamo avere la forza di manifestarla di fronte al mondo contemporaneo così complesso e, a volte, così indifferente.
Il mondo ha necessità di un criterio di “potenza” radicalmente “altro” da quello comunemente inteso, di una manifestazione rinnovata dei valori: nel regno degli uomini vi è inganno, tristezza, falsità; nel regno di Cristo vi è pace, giustizia, amore.

Gesù è la nostra pace, lo shalom ebraico, che significa pienezza d’ogni bene. Credere nell’amore, testimoniare l’amore perché la sua potenza è l’estrema debolezza del Verbo incarnato nella grotta di Betlemme e che ha accettato la Croce.
Maria ha dato a Gesù il corpo e il sangue che egli ha versato per l’amore che ha nei confronti di tutti. Le piaghe del Figlio s’imprimono nel suo cuore immacolato, e anche il suo corpo verginale partecipa ai dolori di Gesù: “Una spada ti trapasserà l’anima”.

Fratelli e sorelle, rispettiamo la santità del nostro corpo, con purezza di pensieri e comportamento. Rispettiamo il nostro corpo come capolavoro della creazione. Dio Padre ce l’ha dato per il lavoro, per il servizio ai fratelli e per la partecipazione al sacrificio di Gesù, ma il “divismo” fa del corpo un idolo: adora la bellezza delle dive e la forza degli atleti; l’edonismo, poi, glorifica i più innominabili disordini morali.

Oremus:
“Gesù che hai preso un corpo per la nostra Redenzione, fa che la “nuova evangelizzazione” riporti gli uomini alla semplicità dei costumi, perché il corpo non sia più oggetto d’idolatria né di crudeltà ma sia rispettato come tempio di Dio, mezzo di comunicazione e servizio ai fratelli”.

1 Padre nostro…
10 Ave Maria…
1 Gloria al Padre…
1 Gesù mio perdona…

Nel terzo mistero doloroso si contempla: ” Gesù è coronato di spine, insultato e percosso”.

Riflessione:
Gesù, dopo avere subito il degradante interrogatorio e sottostato alla flagellazione, è rivestito di porpora, e i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo procurandogli un’infinità di ferite. Iniziarono quindi a salutarlo beffardamente: “Salve, re dei giudei!”. Nello stesso tempo gli percossero la testa con una canna, gli sputarono addosso in segno di spregio e, piegando le ginocchia, si prostrarono davanti a lui.
” Ecce homo!” disse Pilato, poco dopo, rivolto alla folla assiepatasi rumorosamente.

Fratelli e sorelle, se grandi sono stati i patimenti, le sofferenze di Gesù in quelle tragiche ore, più grandi e sconcertanti sono state le umiliazioni che egli ha accettato con “cuore mite ed umile”.
L’uomo che sbarcando dalla barca e che aveva avuto compassione della folla, perché era un gregge senza pastore, era solo con i suoi dolori insopportabili.

Della massa di persone riunitasi nella piazza antistante il palazzo di Pilato, nessuno cade in ginocchio, stavolta nemmeno per deriderlo. Coloro che dovevano testimoniare con coraggio e senza vergogna la fede in lui, i beneficiari delle guarigioni, sono tutti scomparsi, impauriti.
Dove sono, in quei tremendi eterni istanti i lebbrosi sanati, gli indemoniati liberati, i ciechi che hanno riacquistato la vista, gli apostoli, i discepoli, coloro che hanno conosciuto il suo amore?
La sentenza di Pilato è emessa sotto la pressione vociante dei sacerdoti e dei loro servi che eccitano la folla che scorda tutto e si fa plagiare, tanto che preferiscono un ladro e un assassino come Barabba al posto del Maestro.

Gesù è abbandonato tra quella folla, quasi che si trovasse in un deserto ostile.
Maria, la Vergine Madre, subisce in quelle ore, come sue , le atroci sofferenze e le umiliazioni del Figlio, “Una spada ti trapasserà il cuore”, e le accetta col cuore straziato nell’umiltà dell’animo che le aveva attirato lo sguardo di Dio su di lei.

Anche noi cristiani oggi ci troviamo in un deserto ostile. Anche noi siamo servi del nostro orgoglio, ci ribelliamo ad ogni minima contrarietà; non vogliamo riconoscere le nostre colpe e i nostri limiti, anzi, pretendiamo primeggiare e dominare, pur sapendo che la superbia è stata ed è la fonte principale dei più grandi mali dell’umanità: discordie, guerre, tirannie, terrorismo, consumismo e ingiustizie.

Anche la nostra società attuale ha i suoi sacerdoti, basta pensare per un attimo ai mass-media (giornali e televisione), tutti concordi nel cercare d’isolare, abbattere con la propria efficienza atea il cristianesimo, affermando il primato della ragione e che, in ultima analisi, i Vangeli sono solo favole per i beoti (gli sconfitti della società dell’apparire, del successo, del denaro, del sesso), e che in fin dei conti Gesù era un buon ebreo. Già, infatti lo hanno affisso ad una croce.

Noi cristiani, se veri discepoli di Cristo, vivendo profondamente nel cuore di Dio Padre, dobbiamo lottare contro il male (con la forza dell’amore) che si presenta sotto forma di tutti gli idoli suscitati dalla civiltà dell’esteriorità. Spezziamo le pareti di ghiaccio dei cuori, muri invisibili edificati con i mattoni dell’ingiustizia, del pregiudizio, dell’indifferenza, del materialismo, muri che contribuiamo giorno dopo giorno ad erigere con quel senso comune d’appartenenza inoffensivo e d’apatia che etichetta, generalizza, crea diffidenza.

Oremus:
” Gesù, mite ed umile di cuore, rinnova il nostro cuore con una nuova effusione del tuo Santo Spirito, una nuova Pentecoste e non permettere che l’ambizione scateni nel mondo nuove tirannie e guerre”.

1 Padre nostro…
10 Ave Maria…
1 Gloria al Padre…
1 Gesù mio perdona…

Nel quarto mistero doloroso si contempla: ” Gesù, condannato a morte, porta la croce al calvario”

Riflessione:
A Gesù è stato preferito Barabba. La folla grida: “Crocifiggilo!”, e Pilato lo consegna ai soldati perché sia crocifisso. Egli, portando la croce, si avvia verso il Golgota, dove lo crocifissero e con lui due ladroni.
Tutti hanno condannato Gesù: Caifa per invidia, potere e la sua coscienza oscura, Anna per superbia, Pilato per viltà, Erode per dissolutezza, Giuda per denaro, Pietro per imprudenza e paura, il popolo perché sobillato dai farisei….Perché Gesù si è caricato di tutti i nostri peccati.

Il pretore romano, di fronte al mistero di Gesù, con un gesto ebraico, per essere bene inteso, si lava le mani: cioè cerca di stare in disparte, alla finestra; ci sono anche dei cristiani, oggi, che si defilano, che riducono tutto alla loro maniera personale di credere, scordando il volto di Gesù, senza impegnarsi in questa società ormai in gran parte pagana in cui il cristianesimo è distorto e la Chiesa di Cristo accusata d’essere nemica della libertà dell’uomo.

La dignità dell’uomo è sopraffatta, gettata a terra, umiliata in tanti modi: aborti, prostituzione, pornografia, ricerca di sensazioni insolite, esperimenti biologici atroci e aberranti.
Tuttavia, la dignità dell’uomo è acquistata e redenta a prezzo del sangue innocente e senza peccato dal Figlio di Dio: “Fu piagato per le nostre iniquità, le sue piaghe ci hanno guarito” (Is.53,5).
Fratelli e sorelle, in quelle strette, affollate vie di Gerusalemme, durante le ultime ore che precedono la Pasqua ebraica, Gesù tormentato, coronato di spine, con il volto sanguinante, porta la croce sulle sue spalle, peso enorme da sopportare. Cade tre volte esausto per lo sforzo e i patimenti, ma tre volte si rialza. Gesù cade per amore, si rialza per il bisogno di essere amato. Gesù ha accettato il calice amaro dalle mani del Padre e vuole berlo fino in fondo per noi.

Ogni nostro peccato è in relazione stretta e misteriosa con la passione di Gesù. La perdita del senso del peccato, oggi tanto generalizzata, è una forma di negazione di Dio. Ecco perché ristabilire il giusto senso del peccato è il primo modo di affrontare la grave crisi spirituale che ha colpito l’uomo: ira, invidia, sensualità fine a se stessa, pratiche di pietà fatte per abitudine, leggerezza nei giudizi, piacere nelle mormorazioni, mancanza di perdono, poco amore….Nessuno di noi quando è provato dal dolore può affermare di non ritrovare se stesso nella sofferenza di Gesù.

Infatti, lui stesso ha voluto condividere la nostra condizione esistenziale per trasformarla interiormente, dalla via dolorosa che conduce al calvario.
Maria, la Vergine Madre, ha accettato la condanna del Figlio come propria condanna e gli è andata incontro fino al calvario portando nel cuore anche lei la croce dell’infamia, la croce più pesante dei nostri peccati.
Noi crocifiggiamo Gesù nel nostro corpo col peccato e lo condanniamo ogni volta che preferiamo la creatura al Creatore. Davanti alla vittima delle nostre colpe imitiamo non l’ostinazione dei farisei o la disperazione di Giuda, ma il pianto di Pietro e la preghiera del ladrone pentito.

Oremus:
“Gesù, ci colga potente il dolore per i nostri peccati e la chiamata al pentimento. Gesù, che ti sei caricato di tutti i peccati del mondo, ti chiediamo perdono delle mancanze personali che solo tu conosci, delle strutture di peccato che rovinano la società, opprimono i più deboli e offendono la divina giustizia. Ti chiediamo, Signore, di aiutarci a vivere e camminare nella Verità, di assaporare la beatitudine del tuo amore che guarisce”.

1 Padre nostro…
10 Ave Maria…
1 Gloria al Padre…
1 Gesù mio perdona…

Nel quinto mistero doloroso si contempla: ” Gesù muore sulla croce per la salvezza di tutti”.

Riflessione:
Durante quelle tre ore in cui Gesù rimase sulla croce, patì acutissime sofferenze. Il suo corpo perdeva incessantemente sangue e forza vitale attraverso gli squarci delle mani e dei piedi prodotti dai chiodi attraverso le vaste lacerazioni prodotte dalla precedente flagellazione. Il capo era crivellato dalle punture delle spine della corona; nessun muscolo trovava riposo nella posizione sulla croce. I tormenti si accavallavano e si accrescevano sempre più atroci, senza un istante di requie.
In quel tenebroso oceano di spasimi solo la più alta vetta dell’anima era serena, sublimata nella contemplazione del Padre.

Anche il suo volto perse, ad un certo punto, la sua bellezza esteriore nella sofferenza, ma internamente, Egli era nella pace, dal momento che compiva la volontà del Padre. Possiamo anche supporre che, nel profondo della sua anima, fosse soddisfatto, poiché lui il Figlio unigenito era arrivato, con piena libertà e accettazione all’ora del Suo sacrificio, un atto d’amore per il Padre e per gli uomini, un atto d’amore senza precedenti per il riscatto dell’umanità.

Da quella cattedra ci lasciò il suo testamento:
– Perdonò ai suoi crocifissori, “Padre, perdona ad essi, perché non sanno quel che fanno!”;
– Promise al buon ladrone il paradiso: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso;
– Diede all’umanità intera sua madre: “Donna, ecco tuo figlio”, “Ecco tua madre”;
– Manifestò il proprio martirio con la frase: “Ho sete” e con il misterioso lamento “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?”
Inoltre prima di morire affidò al Padre il proprio spirito, proclamò compiuta la propria missione e, “reclinato il capo, spirò” (Gv.19,30).
Maria, sua Madre, ai piedi della croce, soffre nel cuore quel che Gesù soffre nel corpo e nello spirito e forma con lui un unico sacrificio per l’umanità che Gesù le affida.

Fratelli e sorelle, la morte di Gesù ha un solo motivo: l’amore infinito per ognuno di noi. Ciascuno può ripetere con San Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal.2,20). Ma dovremmo anche ripetere: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil.1,21).
Le sue braccia spalancate esprimono il desiderio di accogliere tutti, perché nessuno, se non Dio, può scrivere la parola fine nei confronti dell’uomo.

Oremus:
Gesù, insegnaci a perdonare come hai perdonato tu e ad essere pronti a morire per i nostri fratelli come hai fatto tu, perché torni la pace nelle coscienze, nelle famiglie, nella società e nelle nazioni”.

1 Padre nostro…
10 Ave Maria…
1 Gloria la Padre…
1 Gesù mio perdona…
1 Salve, o regina, madre di misericordia; vita dolcezza e speranza
nostra, salve.
A te ricorriamo, noi esuli figli di Eva: a te sospiriamo gementi e piangenti
In questa valle di lacrime.
Orsù dunque, avvocata nostra, rivolgi a noi quegli occhi tuoi misericordiosi.
E mostraci, dopo questo esilio, Gesù, il frutto benedetto del tuo seno.
O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria.

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