STORIA DEL POPOLO EBRAICO
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SECONDA PARTE: DAL POSTESILIO A GESU' CRISTODOMINAZIONE PERSIANA (538-332 A.C) |
Sviluppi della vita religiosa
Si è soliti affermare che il periodo della restaurazione riesce alquanto “oscuro”. E oscurità esiste davvero, ma solo per quanto concerne le nostre conoscenze che mancano di un’esauriente documentazione scritta. Essa non si applica invece all’esperienza storica degli Ebrei come tale, che è anzi tormentata, ma originale, feconda di problematiche, idee, istituzioni, gruppi socio-religiosi, scritti nuovi, portando lo jahvismo alla sua forma ultima che, tra l’altro, sarebbe stata protagonista dell’incontro col Vangelo. Nascita del Giudaismo Si tratta del fenomeno più appariscente, di carattere totale. I reduci della cattività babilonese si trovarono ad affrontare un compito difficilissimo. Dovettero anzitutto rimarginare le profonde ferite aperte dalle armate assiro-babilonesi (capitali distrutte, abitazioni rase al suolo, campagne abbandonate, insediamenti arbitrari e disordinati delle popolazioni rimaste, strutture organizzative annientate, ecc…), colmando un vuoto di vita di circa mezzo secolo. Il che non era certo favorito né dal piccolo numero dei reduci e della relativa diaspora formata da molti Ebrei tra i più capaci e intraprendenti, né dal cambio generazionale che portava in Palestina gente nuova ignara delle esperienze passate, e neppure dalla situazione nella quale erano ormai ridotti gli Ebrei scampati alla deportazione. Anche se l’avessero sognato, i reduci non potevano rimettere in piedi quello che era stato l’elemento coagulante del recente passato, la monarchia, cui la comunità ebraica doveva la strutturazione sociale e il dinamismo mostrato in sede storica nonché l’ideologia nella quale si era incarnata la fede jahvista. La riedificazione del regno era certo contraria alle intenzioni del re persiano che, nel suo editto del 538, parlava solo di ricostruire il Tempio. L’organizzarsi degli Ebrei attorno al Tempio li portò ad essere non più “popolo” ma “chiesa” o comunità di fede. Questo comportò, tra l’altro, di porsi nel mondo con una visione nuova della propria missione, la rifusione del patrimonio culturale passato in vista dei nuovi compiti, la ricerca di una nuova norma di vita che sostituisse la Legge o volontà del re e le indicazioni della predicazione profetica, l’emergere di una nuova classe di responsabili (i sacerdoti), una particolare influenza del culto sulla vita ordinaria, l’escogitare nuove norme attraverso cui la comunità riacquistasse sul piano religioso quanto aveva perso su quello politico. Di fronte a questi compiti si dovette procedere per tentativi, attraverso consensi e opposizioni, alternando successi a sconfitte, su di una strada comunque irta di difficoltà. Vi si applicarono zelanti pionieri, giuristi e politici, come Sesbassar, Zorobabel e Giosué; profeti del culto come Abdia, Aggeo e Zaccaria; teorici come Malachia ed Esdra; politici quali Banani e Neemia. E alla fine dei loro sforzi, nonostante parziali e momentanei fallimenti, il risultato: i reduci dell’esilio, il “piccolo resto” predetto dai profeti, mentre si attendevano la restaurazione nazionale, la salvezza escatologica in un avvenire molto prossimo restaurante il loro glorioso passato, hanno visto arrivare il Giudaismo. Col qual termine si indica una società o comunità nella quale la responsabilità ricadeva sulle persone sacre, i sacerdoti (ierocrazia), ove il comportamento singolo o comunitario dei fedeli, più che cittadini, era basato sulla Legge divina (nomocrazia), e dove la sudditanza era sentita non più verso un re terreno ma più direttamente nei riguardi di Dio (teocrazia) che ormai aveva il centro principale di manifestazione il culto nel Tempio anziché la storia. Tempio e sinagoga Il Tempio di Gerusalemme, riedificato circa il 515 a.C., appariva esteriormente ben più povero del precedente distrutto da Nabucodonosor, e non conteneva nemmeno più l’arca dell’alleanza con le tavole della Legge. A questa povertà esteriore, corrispondeva però un’importanza maggiore: non più “Tempio palatino” soggetto all’ipoteca regale, liberato tra l’altro da tutte le contaminazioni pagane cui i vari re l’avevano legato per ragioni politiche o per poca convinzione jahvista, costituiva ormai l’unico centro d’attrazione (religioso e sociale) di quanto era rimasto del popolo ebreo. Con l’attuazione della legge deuteronomistica dell’unità del culto sacrificale in Gerusalemme, il Tempio diventò il punto d’incontro tra Dio e la sua comunità ivi chiamata nelle tre feste del pellegrinaggio (Pasqua, Pentecoste, Tende). Intanto la centralizzazione del culto sacrificale nel Tempio gerosolimitano sta alla radice di un’istituzione nuova (la sinagoga). La sinagoga, fondamentale per la sopravvivenza del Giudaismo negli ultimi secoli dell’Antico Testamento e dell’Ebraismo in tutto il Nuovo Testamento. In precedenza l’impossibilità di raggiungere il Tempio (peraltro distrutto) per gli esiliati babilonesi, poi la difficoltà di raggiungerlo normalmente per gli Ebrei palestinesi, hanno fatto sì che dall’esilio gli Ebrei avessero cercato di alimentare la propria fede in incontri di preghiera e meditazione attuati nei luoghi e nei tempi più acconci. Tale necessità è cresciuta e si è stabilizzata con l’imporsi del culto sacrificale nel solo santuario di Gerusalemme che decretò la chiusura di tutti gli altri luoghi sacri verso i quali confluivano un tempo i fedeli Ebrei. Per onorare Dio, anche pubblicamente, e per radicarsi nella propria fede, non si potevano attendere le feste di pellegrinaggio ( che tra l’altro non erano vincolanti per tutti i fedeli). Nacque così la Sinagoga dove, come la Chiesa, la comunità si radunava per il culto e solo secondariamente luogo di incontro della comunità. La sinagoga divenne ben presto il centro principale della vita religiosa delle varie comunità ebraiche, piccole e grandi, disperse nella diaspora o viventi in suolo palestinese. Col tempo, ogni villaggio ebbe la propria sinagoga e nelle città, per necessità di cose, se ne edificò più di una. Forse le più lontane origini vanno ricercate appunto nelle riunioni di preghiera e di istruzione che gli esuli tenevano in Babilonia, specie presso i fiumi. I responsabili erano gli “anziani” che, in comunità strettamente giudaiche, si identificavano con le autorità civili. Il servizio alla sinagoga e il mantenimento dell’ordine erano assicurati dall’arcisinagogo. Nessuno dei capi era sacerdote. L’organizzazione aveva, infatti, carattere laico. Non esistevano celebranti assegnati alle funzioni; membri della congregazione erano invitati a leggere e spiegare la Legge e a dirigere la preghiera. Non si esagererà mai abbastanza l’importanza della sinagoga. Ecco come ne riassume i meriti Padre Bonsirven in Initiation Biblique:
La diaspora Ne parlo per l’accenno appena fatto riguardo al proselitismo ebraico reso possibile proprio dalla presenza di “esuli ebrei” nelle varie parti del mondo ellenista che si andava formando. Molti ebrei decisero di abbandonare la loro terra in seguito alle delusioni procurate loro dalla triste condizione in cui versava il popolo, oppure per semplice desiderio di far fortuna altrove, desiderio accoppiato ad un certo indifferentismo religioso. Sotto un certo profilo il fenomeno della diaspora può anche essere giudicato negativamente, per avere impoverito di forze particolarmente vive e preziose la comunità palestinese. Visto in prospettiva, però, mostra un carattere assai provvidenziale. Con le nuove comunità ebraiche stabilitesi soprattutto nei grandi centri culturali e commerciali della civiltà ellenista, lo jahvismo si creava dei ponti preziosi, dei trampolini di lancio verso la conquista del mondo al Regno. A distanza di qualche secolo se ne avrebbe avvantaggiato il Vangelo, soprattutto grazie alla “politica” seguita dall’apostolo Paolo. Mentre la comunità ebraica tendeva in certa misura a chiudersi in se stessa, simile al moto centripeto, trovava una giusta correzione nel moto centrifugo della “dispersione”. In queste comunità lontane dal centro religioso, il carattere di “santità, diversità, separazione” sempre più coltivato in Palestina, aveva la possibilità di essere messo a disposizione del servizio “sacerdotale o di mediazione” che la comunità di fede chiamata a svolgere per essere davvero in sintonia con la propria caratteristica di “popolo santo e sacerdotale”. Un carattere anomalo, e perciò davvero curioso, è offerto da una comunità ebraica sorta nell’isola di Elefantina (Egitto). Qui, di frante ad Assuan, ai tempi di Cambise (530-522) e forse prima, viveva una colonia militare, ove parecchi ebrei si erano insediati non si sa per quali motivi. Nel 411 vi fu una sommossa antigiudaica promossa dai sacerdoti egiziani del dio Khnun e favorita dai governatori di Elefantina e di Siene, l’odierna Assuan. Perciò gli ebrei nel 408 inviarono una lettera a Bagohi governatore della Giudea perché intervenisse presso le autorità persiane dalle quali doveva venire il permesso della riedificazione del Tempio a Jahvé (allora l’Egitto era sottoposto alla Persia). Della comunità si conoscono (grazie alla scoperta di numerosi papiri aramaici) molte cose interne alla sua vita sociale, specialmente attraverso documenti matrimoniali e finanziari. Basta rilevare come, contrariamente all’uso mosaico, in Elefantina si permettesse l’iniziativa del divorzio anche alla donna. Assai più sconcertante è il fatto che insieme a Jahvé compaiono non poche altre divinità. Abbiamo una situazione analoga a quella verificatasi in Samaria, dopo la conquista assira: Tempio Jahvista accanto a culti idolatrici ufficialmente riconosciuti, attaccamento a Gerusalemme considerata come la sede centrale dello Jahvismo. La colonia di Elefantina appare molto chiusa in se stessa: matrimoni e vita sociale fra ebrei, ostilità e ripugnanza nei riguardi degli alienigeni. Sotto tale aspetto essa dovette somigliare alle comunità sparse nella Mesopotamia dopo il 586. Tuttavia, dal lato religioso si riscontra una posizione illegale: la costruzione del Tempio a Jahvé, contrario alla legge della centralizzazione del culto. Il fatto non presuppone necessariamente l’inesistenza né l’ignoranza della Legge. Esso, del resto, si ripeterà ancora qualche secolo dopo a Leontopoli, sempre in Egitto. Altra differenza sostanziale è data dal sincretismo sfacciato e legalizzato, che permette di parlare di Jahvismo solo in senso assai diluito. Per spiegare questa degradazione del monoteismo, è bene riflettere che fra i molti papiri di Elefantina non si è trovato neppure un testo biblico e che mai in essa si accenna a un’attività profetica. La coesione della colonia giudaica si reggeva più su motivi etnici e linguistici che non su quelli religiosi. Dopo il 400 non si conosce più nulla. Sacerdoti e Scribi Il costituirsi del Giudaismo, quale comunità cultuale stretta attorno al Tempio e assemblea alimentante o esprimente la propria fede negli incontri sinagogali, porta ad emergere nuove classi dirigenti, di natura più religiosa di politica. I sacerdoti costituiscono la classe più importante. Chiamati a esercitare le loro funzioni nel santuario di Gerusalemme che resta il solo punto di riferimento del popolo, finiscono per diventare le principali guide di quest’ultimo. Non importa se il dominatore persiano agirà attraverso il satrapo, il governatore di questa o quella medinàh, o tramite qualche inviato speciale. I sacerdoti sono quelli che, vicini al popolo, lo guidano quotidianamente, e alla fine le autorità provenienti dall’esterno debbono fare i conti con la loro presenza. In tal modo all’autorità religiosa, i sacerdoti finiscono per aggiungere anche quella in campo politico. E così li vediamo darsi una strutturazione sempre più ricca (sommo sacerdote, sacerdoti, leviti), uno status che li giustifica nei confronti della tradizione (le varie categorie si preoccupano di agganciare funzioni, privilegi, distinzioni all’attività di Mosé), stabilire quali siano le mansioni che li legano al culto e al popolo. Specie per quanto concerne la dignità del sommo sacerdote, è possibile notare come si riversi su di lui quella dignità che era stata propria del re: specie per quanto riguarda il rito complesso della sua consacrazione (purificazione, vestizione, unzione). Gli scribi costituiscono invece una classe di “uomini nuovi”, dato che non possono vantare una tradizione analoga a quella dei sacerdoti. Ed è anche più difficile, a tutta prima, capire la loro importanza. Eppure anche questa è legata al Giudaismo, al suo bisogno di legarsi alla Parola scritta di Dio quale Legge. Ne risulta di riflesso l’ascesa della classe colta che è responsabile dell’attività scrittoria e di quella interpretativa della Parola scritta. Il complesso lavoro letterario legato alle necessità della comunità ebraica aiuterà a comprendere meglio la loro posizione. Questi “uomini del libro” si sono formati con la monarchia, che in parte li ha impiegati a corte nell’organizzazione politica o amministrativa e in parte ha dato loro la possibilità di attendere allo studio e di emergere culturalmente sulla massa. A spingerli verso la scrittura possono avere concorso varie motivazioni:
Già prima della distruzione di Gerusalemme gli ambiti della loro attività letteraria erano stati molteplici: quello legislativo e giuridico, il settore storico nel quale erano state fissate le antiche tradizioni orali, quello sapienziale. Nell’ambito della Legge mosaica posso supporre che si siano esercitati quasi esclusivamente i sacerdoti. Ma con la nascita del Giudaismo le cose si erano sviluppate a loro favore. La loro attività scrittoria, lungi dal rimanere periferica e di carattere privato, divenne centrale e di natura pubblica. Ormai si trattava di far coagulare la comunità attorno alla Parola di Dio quale risultava dalle esperienze storiche passate, dalle istituzioni tradizionali, dalle necessità presenti offerte dal culto e dalla vita quotidiana sia privata che comunitaria. Ma tale parola andava anzitutto composta ( attraverso un’opera di raccolta e di organizzazione degli scritti precedenti, come anche tramite la creazione di libri nuovi), e poi bisognava essere in grado di interpretarla. E interpreti della scrittura restavano, in mancanza di re e profeti, gli “uomini del libro” che sapevano leggere e scrivere. Così i letterati finirono per acquisire una particolare autorità presso il popolo che li poneva a fianco dei sacerdoti, anche se il loro sapere non si traduceva ancora in termini giuridici ma restava di natura morale, legata alla stima che ciascun scriba sapeva riscuotere presso il popolo. La Legge scritta, o Torah Il momento più solenne di questa attività scrittoria, che da una parte ha segnato l’atto di nascita del Giudaismo e dall’altra ha consacrato l’autorità di sacerdoti e scribi, è stato certamente quello della promulgazione della Legge di Mosé (Torah per gli Ebrei; Pentateuco per noi). Completato il documento sacerdotale, probabilmente sotto Esdra ha visto la luce la Torah nella sua forma definitiva: libro base della nuova comunità di fede. Per capire tutta la sua importanza noi dobbiamo tenere presente:
L’importanza della promulgazione della Legge non deve far dimenticare che sul piano letterario:
Il culto Quale componente ultima (in ordine di citazione, non di importanza) del nuovo clima determinatosi col Giudaismo, ricordo il culto, forma tipica nella quale la comunità di Israele esprime se stessa, il proprio complesso sentire, le proprie insoddisfazioni e speranze, il modo di reagire alla storia e di restare in essa inserita, i contenuti e le modalità dello stadio raggiunto dalla propria fede jahvista. Il sabato: giornata commemorativa della creazione del mondo (Esodo 20) o della fuga dall’Egitto (Deuteronomio 5); La Pasqua, La Pentecoste, I Tabernacoli: feste del pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme, nelle quali sotto profili diversi si celebrava ( in ricordo attualizzante: azkara, zeker, zikkaron) l’esodo col quale si era inaugurata la meravigliosa storia della salvezza. Si trova arricchito anche il modo di onorare culturalmente Dio, sia nei giorni di festa che nella vita di ogni giorno. La legislazione sacerdotale ha ormai fissato le varie forme di sacrifici nonché i vari riti di purificazione, di dissacrazione e consacrazione. Il complesso cerimoniale ebraico è ormai prossimo alla complessità e ricchezza offerta ai tempi di Gesù. |
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