STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIO

PERIODO DEI GIUDICI

Fonti bibliche e loro natura

Le notizie concernenti questo periodo ci sono offerte dal libro dei Giudici; i primi 15 capitoli di 1 Samuele si occupano invece della figura di Samuele tratteggiando così la situazione determinatasi al tramontare del periodo e il passaggio dalla giudicatura alla monarchia.
A proposito di questi scritti ripetiamo sostanzialmente quanto già detto per i documenti biblici inerenti ai periodi precedenti.
Conclusione: anche stavolta dobbiamo accontentarci di notizie insufficienti atte a ricostruire, e non sempre in modo completo, la situazione generale. La cronaca spicciola resta fuori della nostra possibilità di ricostruzione.

Il periodo, acquisizioni e problemi

Diciamo anzitutto che ci troviamo di fronte al periodo più oscuro di tutta la storia ebraica. E siccome il tempo dei Giudici è paragonabile al nostro Medioevo, possiamo parlare di “oscuro Medioevo” ebraico. Ma non in senso dispregiativo, deteriore! Basti pensare alla fecondità delle sue numerose e decisive realizzazioni:

  1. In campo religioso l’accettazione da parte di tutti della Rivelazione sinaitica e quindi il raggiungimento dell’unità di fede.
  2. In campo culturale il passaggio da una civiltà seminomade ad una di tipo sedentario.
  3. In campo sociale la creazione di nuove strutture, a livello di paese, di regione (dove risiedevano le singole tribù), e a tratti anche a livello interregionale (allorché le tribù dovevano unirsi per fronteggiare un pericolo comune).
  4. In campo politico il lungo travaglio che avrebbe poi portato alla formazione della monarchia.

In seguito a frequenti successioni di debolezze e d’eroismi in campo religioso, di sconfitte e di vittorie in quello della politica, gli Israeliti sono riusciti ad assorbire la maggiore civiltà del paese, a trovare una loro definitiva identità religiosa e politica, e a rimanere quali possessori incontrastati della loro terra.
Se quindi c’è stata una crisi, questa era una “crisi di crescenza”! E l’oscurità riguarda solo noi, la nostra impossibilità di vedere chiaro in tutte le vicende di questo tempo peraltro ricco e vitale al pari di tutti i periodi di giovinezza dei vari popoli.

Detto questo, resta però la confessata oscurità di molti fatti storici concreti:

  1. Non conosciamo bene la stessa estensione del periodo: se è chiaro il suo termine ad quem, la costituzione della monarchia con Saul verso il 1020 a.C., non altrettanto perspicuo è il termine a quo o tempo iniziale, data la natura composita, quindi complessa e lenta, dell’insediamento nel Canaan corrispondente al cosiddetto tempo di Giosué.
  2. Il secondo luogo non si hanno dati precisi coi quali sostanziare le varie fasi (cultuale, sociale, religiosa, politica, ecc..) della crisi di crescenza.

 

Assestamento interno

I vari gruppi hanno certo dovuto consolidare il possesso definitivo dei rispettivi territori, acquisiti a causa di una penetrazione pacifica o con la forza delle armi.
In questi frangenti sono andati assumendo o perdendo la loro identità, in seguito alle fortune diverse procurate soprattutto dalle situazioni geo-politiche nelle quali si erano imbattuti.
Sottoposti da una parte ad una pressione disgregatrice determinata dal fatto di dover far fronte a problemi particolari a ciascuno (al riguardo possono riuscire indicativi i capp. 20-21 di Giudici), post factum dobbiamo però ammettere che dall’altra ha prevalso su di loro la tendenza contraria di carattere comunitario. Alla fine, infatti, li troviamo uniti religiosamente e politicamente.

Quali fattori di una progressiva unione possiamo considerare:

  1. Il sentimento di una stessa appartenenza etnica e dunque di una medesima origine esprimentesi in termini di parentela;
  2. La partecipazione all’unica fede jahvista, comunicata gradatamente, è supponibile, dal gruppo di Giosué agli altri;
  3. La necessità di far fronte comune contro avversari esterni che rendevano l’unione urgente in proporzione al loro grado di pericolosità. In tal quadro va detto che il pericolo filisteo, quello di gran lunga maggiore, è stata una delle molle principali che avrebbe poi portato gli Ebrei a darsi un regno (i primi capp. Di 1 Samuele per la fine del periodo, e Giudici 5 per la situazione storica intermedia).

Intanto la nuova vita instaurata sulla terra e in piccole comunità locali, ha portato alla costituzione di un regime oligarchico-municipale, dove le varie famiglie o clan erano rappresentate da un collegio di notabili, di anziani, aventi il compito di amministrare e di giudicare. Ogni città si regge quindi da sé, ha la sua giustizia per gli affari interni, ha la propria milizia arruolata nei casi di necessità, tra gli uomini validi di ogni famiglia. Il consiglio degli anziani tiene le sedute amministrative e giudiziarie alla porta della città, donde il significato metaforico di “porta”.

Il libro dei Giudici ci obbliga a pensare ad un’organizzazione probabilmente più vasta, a livello di tribù (sparsa, e non raccolta in un unico insediamento cittadino). I dati da lui offerti non sono però omogenei:

  1. Troviamo, infatti, una lista di “giudici maggiori” (Otoniel, Ehud, Barac, Debora, Gedeone, Jefte, Sansone) dei quali si narrano le gesta con sufficiente ampiezza;
  2. E una lista di “giudici minori” (Salgar, Tola, Jair, Ibsan, Elon, Abdon) quasi appena tratteggiati ma dei quali si afferma che “hanno giudicato” per un determinato numero di anni.

Ora, se accettiamo l’ipotesi che il libro dei Giudici sia stato costruito in base ad una duplice tradizione, riguardante da un parte eroi liberatori occasionali e dall’altra Giudici che avevano esercitato una funzione direttiva nelle varie città, possiamo ricostruire la situazione pressappoco in questo modo:

Ci fu, all’epoca dei Giudici, un organo di governo, il “giudice”. La lista dei Giudici minori non è completa. Inversamente, tutti i giudici maggiori non sono stati dei giudici (Otoniel per esempio e Sansone). Se si considera la lista dei giudici minori, “dopo di lui giudicò…” l’ufficio sarebbe stato ricoperto in modo continuo. Se si considerano i giudici maggiori, le loro giudicature sono state separate da grandi vuoti, i periodi di oppressione.
E’ possibile che la presentazione d’una successione continua sia opera di un redattore, o che, “dopo di lui” (invece che “al suo posto” nella formula dei re) possa spiegarsi come una successione con dei vuoti. Le tribù conducevano un’esistenza indipendente: non c’era re in Israele, ciascuno faceva quello che voleva Giud. 17,6; 18,1; 19,1; 21,25.
In caso di pericolo comune, dei gruppi si costituivano prendendosi un capo, un giudice. Passato il pericolo, ognuno riprendeva la propria autonomia…

 

Relazioni con l'esterno

A dispetto di quanto può apparire dal libro di Giosué, la conquista del Canaan non è stata per niente completa, ma ha avuto piuttosto il carattere di un insediamento parziale. Le popolazioni indigene non sono state annientate e ridotte al silenzio. Cosicché si rese necessario giungere ad una forma di convivenza.
Tale coabitazione, e stavolta bisogna saper leggere tra le righe del libro dei Giudici, rivestì caratteri opposti, talvolta di ostilità, più spesso di interessata amicizia e di pacifica convivenza. L’ostilità che di tanto in tanto scoppiava si spiega col fatto che queste popolazioni, dominate con la violenza iniziale, cercavano tutte le occasioni per riprendere quanto era stato loro tolto. Tuttavia queste ostilità erano piuttosto rare.

Esteriormente si cercava, nel reciproco interesse del momento, di convivere pacificamente. I Cananei vedevano in fatti negli Ebrei una gente che ancora una volta avrebbe potuto stroncarli se avessero tentato di insorgere; dal canto loro gli Ebrei avevano tutto da imparare per il bene della terra ormai loro dalle cognizioni notoriamente più evolute dei Cananei in fatto di edilizia, di agricoltura e delle arti.
E una convivenza interessata porta necessariamente ad un continuo reciproco accrescimento. A ragione è stato scritto: “Invasori e indigeni non vivevano in a porta a porta per degli anni e ancor meno dei secoli, senza battersi e maritarsi e senza fare di volta in volta l’uno e l’altro”. 

L’alternarsi di guerre e di pace, caratterizzante le relazioni degli Ebrei con le popolazioni locali, era destinato a ripetersi anche nei confronti dei vicini regni di Moab, Ammon, Edom. Nel loro tendere verso una terra, il Canaan, più fertile e ricca della loro, questi regni erano interessati a sfruttare le vicende interne della comunità ebraica: in periodi di crisi potevano tentare delle sortite, fare escursioni e razzie, occupare delle terre, fino a che il risveglio del sentimento etnico e religioso degli Ebrei non dava a questi ultimi la forza di reagire e di passare alla riscossa. Una “politica” ambigua anche la loro, quindi, che costringeva le comunità ebraiche ad una continua vigilanza.
Tra i popoli vicini, un’influenza particolarmente forte e pericolosa la esercitarono i Filistei.

Penetrati anche loro nel Canaan al tempo dell’invasione ebraica, ed insediatisi nella piana costiera meridionale (perché provenienti dal Mediterraneo), essi rimasero sempre estranei allo sviluppo interno di Israele, ma misero in scacco la conquista israelita e obbligarono i figli di Israele a uscire dal loro primitivismo nomade e dalla loro tendenziale anarchia tribale per organizzare una resistenza efficace.

Con la gravità del pericolo da loro rappresentato, i Filistei furono i responsabili indiretti della creazione dell’esercito e della monarchia israelita, e se loro hanno isolato i figli di Israele dalle coste del Mediterraneo impedendo loro di far concorrenza ai Fenici diventando un popolo di marinai, li hanno però lanciati sulla via della politica di espansione continentale che fu quella di Davide e di Salomone.

 

Influssi cananei in campo culturale

Abituati come siamo a considerare il lato negativo della presenza Cananea nella storia ebraica, dobbiamo sforzarci nel coglierne anche gli aspetti positivi e provvidenziali. E’ stato scritto: “La cultura del Canaan doveva impregnare profondamente Israele. La sintesi dei due popoli ha portato alla nascita di una civiltà nuova, quella in cui doveva esprimersi la Bibbia. In Palestina è avvenuto quello che accadde nelle Gallie dopo le invasioni dei Franchi. La Francia non poteva nascere che attraverso gli orrori della barbarie dei Merovingi. Ma mentre la Francia adottò la religione dei Gallo Romani, è la religione di Israele che si impose ai cananei. Per arrivare a questo lo jahvismo doveva adattarsi, senza rinnegarsi, come si adattò il cristianesimo antico per diventare la cristianità del Medio Evo”.
Iniziamo allora dall’apporto offerto dai Cananei allo sviluppo del vivere sociale degli Ebrei. I quali col loro arrivo nel Canaan, avevano procurato un certo arretramento culturale. Gli scavi della zona collinare della Palestina ci mostrano un’improvvisa rottura tra la cultura Cananea del Bronzo recente e quella israeliana del Ferro antico…I palazzi delle città cananee sono costituiti da raggruppamenti di costruzioni e di tuguri grandi e piccoli. Al posto delle massicce fortificazioni cananee subentrano mura sottili secondo il nuovo tipo della casematte.

Il primo apporto si è verificato nel campo dell’agricoltura e delle coltivazioni. Messisi alla loro scuola gli Ebrei hanno imparato a coltivare la vigna e gli alberi da frutto, a vivere da agricoltori, a lavorare il legno, più tardi a leggere e a commerciare. Gli Ebrei hanno impiegato molto tempo soprattutto a imparare l’arte del costruire e quella della ceramica.
I secondo apporto si è avuto nel settore della scrittura, settore dove gli Ebrei, provenienti dalla vita seminomadica del deserto, erano particolarmente mancanti. Non fa quindi meraviglia che prima di ogni altra cosa Israele abbia adottato la lingua Cananea (Is.19,18), i procedimenti letterari e la metrica. Ecco perché i testi di Ras Shamra, scoperti in questi ultimi decenni, hanno un vocabolario molto affine a quello ebraico e rivelano stretti parallelismi letterari con i libri biblici del Salterio, dell’Ecclesiaste, dei Proverbi e di Giobbe.

Altro settore di influenza è quello degli usi e costumi. Dai cananei gli Ebrei hanno mutuato i segni di lutto, il matrimonio mediante il pagamento di una somma di denaro al padre della sposa, la punizione di una città coll’accecare un occhio degli abitanti, l’esenzione dello sposo novello dal servizio militare, ecc…
Un accenno all’organizzazione cittadina è già stata fatta: anche qui non è pensabile che gli Ebrei si siano date delle strutture sociali, peraltro nuove, senza approfittare degli esempi offerti dai loro vicini cananei.
Per amore di completezza va anche detto che gli Ebrei, portatori di una cultura loro, non hanno proceduto a una riproduzione indistinta e acritica di quanto si offriva loro.

Giova osservare che gli israeliti, pur con tutte le loro concessioni all’ambiente, hanno sempre sentito la vita Cananea come u qualcosa di estraneo alla propria. Per questo hanno condannato l’industria, il commercio e il guadagno che costituivano gli interessi principali della civiltà urbana del Canaan. Anche in epoca tardiva il commerciante era ancora designato col termine “cananeo” (Is.23, 8; Prov.31,24), perché la sua attività non era ritenuta idonea per gli Israeliti.
Abituati poi all’uguaglianza giuridica di tutti i membri liberi della tribù, gli Israeliti hanno provato un’istintiva ripugnanza per la divisione di casta che esisteva nella società Cananea: da un parte un’aristocrazia benestante e gaudente e dall’altra la massa degli uomini assoggettati al duro lavoro dei campi. Una chiara dimostrazione di questa avversione ci è fornita anche dall’esplorazione archeologica degli strati israeliti più antichi. Dovendo rioccupare una casa patrizia, come è avvenuto a Betel e a Tell bet Mirsim, gli Israeliti non si sistemano più al piano superiore, come facevano gli antichi proprietari cananei, ma al piano terreno che prima serviva da magazzino e da abitazione per i contadini.
Parimenti gli Israeliti si sono rifiutati per molto tempo di adottare i carri da guerra che costituivano il vanto dei patrizi cananei.

 

Composito influsso cananeo sulla religione

In campo strettamente religioso, i Cananei hanno esercitato una duplice influenza, una positiva e l’altra negativa. Si sono così avuti:

Un fenomeno di leggiamo adattamento dello Jahvismo. Resosi sedentario, il culto di Jahvé che era sempre stato reso sotto la tenda, sostituì quest’ultima con il Tempio o meglio i Templi, poiché la popolazione ebrea era dispersa e non poteva accorrere tutta ad un medesimo luogo di culto. Tale pluralità divenne uno scandalo a partire dal regno di Giosia o piuttosto dall’esilio babilonese.
L’architettura di questi edifici e la sua disposizione furono copiate da quelle dei templi agricoli dei cananei, quando non furono i loro stessi santuari a servire per il nuovo culto di Jahvé. Pare che in certi casi si sia lasciata in questi la statua divina che vi si trovava e non si sia esitato a rappresentare Jahvé sotto la forma di un giovane toro.

Il materiale liturgico: altari, bacini, steli, fu conservato. Là dove non c’era tempio si annesse con tutta semplicità un’altura campestre. L’operazione riusciva spesso anche più facile per il fatto che alcuni luoghi, come Betel, Sichem, Mambre, Bersabea, erano legati ai ricordi dei patriarchi e beneficiavano così di una cauzione jahvista. Vi si venerava un albero, reso sacro da una teofania, un pozzo scavato da Isacco, una stele unta da Giacobbe.

Il personale religioso che serviva i templi e le alture non cambiò. Jahvé aveva i suoi sacerdoti. Ma questi non potevano essere ovunque, sebbene si veda un levita-danita spostarsi con la sua tribù. Molto spesso i sacerdoti cananei restarono in funzione. Si è supposto che al tempo di Davide, Sadoc fosse un sacerdote di Sedeo in Sion e che fosse stato confermato nell’incarico dal re Israelita.

La forma o il rituale dei sacrifici dello jahvismo ha preso assai dal rituale cananeo. E’ anche possibile che riti come quello dell’Urim-Tummim e l’arrivo del capro emissario provengano da quelli cananei. Anche la purificazione del lebbroso e numerose pratiche codificate nel codice Sacerdotale possono avere la loro origine nel vecchio rituale di Sion, anteriore alla conquista davidica.

I musici creati a suo tempo da Davide per il servizio del Tempio sembra provenissero dall’ambiente cananeo. Infatti, alcuni di loro, come Etam e Hemen che la Bibbia denomina “ezrahiti” (3 Re 5,11; Sal. 87 e 88) cioè “aborigeni”, ricorrono in lista di nomi scoperte a Ras Shamra.

Persino alcuni attributi di Jahvé sembra appartenessero originariamente al dio cananeo Baal-Hadad; così “Jahvé cavalcatore delle nubi” (Sal.67,5; Is.19,1) come lo era Baal; il tuono considerato quale voce di Jahvé e anche di Baal (Sal.47,3; Is.14,13).

L’esistenza di tali influssi non pregiudica la bontà e originalità della religione ebraica, anzi rientra nel modo ordinario di agire di Dio il quale non crea continuamente ma, attraverso le circostanze provvidenziali, prepara quanto è necessario alle tappe ulteriori del suo disegno. Per questo siamo soliti dire che Dio ha fatto servire alla storia della salvezza cielo e terra, tutta la storia umana, comprese le vicende e istituzioni profane e persino le aberrazioni degli uomini peccatori.

 

Un fenomeno condannabile di sincretismo

Di primo acchito lo Jahvismo sembrò rischiare di essere trascinato in un’onda di baalismo. Gli Israeliti subirono il fascino intenso dei riti violenti della religione dei vinti. Canaan sembrò conquistare i conquistatori. Il culto naturista delle alture, come le sue clamorose feste agricole, i templi, attorno ai quali si aggiravano prostituti di ambo i sessi, attiravano questi nomadi avidi che erano gli Israeliti. Nel Canaan si bevevo vino, e questo vino non era inutile quando i Cananei cercavano l’euforia destinata a provocare la risurrezione di Baal e la pronuncia dei suoi oracoli misteriosi.
Con le varie forme di culto molti finirono per adottare le stesse divinità cananee; si immolarono sacrifici umani, in particolare i bambini sacrificati al dio Moloc (Lev.18,21; 20,2-5; 3 Re 11,7; Ger. 32,35). 

Se Salomone darà la sua cauzione regale a questi eccessi popolari, più tardi al tempo della regina Gezabele il tentativo di soppiantare Jahvé con Baal sarà sventato solo dall’energico ed eroico intervento di Elia (3 Re 18,1-46). Le simpatie maggiori andavano alle loro dee pagane: Aserah, Astante ed Anat. Nonostante la rigorosa proibizione del Decalogo (Es.20,3-5) gli Israeliti non seppero sottrarsi nemmeno all’influsso della iconografia religiosa Cananea. Gli scavi rivelano che nelle città abitate dagli Israeliti del Ferro I° e II° abbondano le figurine della dea Nutrix. Per quanto siano semplici amuleti e siano meno procaci delle celebri “placche di Astante”, non possiamo negarvi gli influssi della religione Cananea. 

Così anche per il culto tributato al serpente di bronzo del Tempio di Gerusalemme (4 Re 18,4) e per il culto del vitello d’oro introdotto da Geroboamo dopo lo scisma dei due regni settentrionale e meridionale.
Occorre però rammentare che tali defezioni, se non giustificabili, risultano almeno comprensibili. Attraverso un’elezione misteriosa Dio aveva donato agli Ebrei una religione ed un culto assai superiori. Specialmente non corrispondevano alle loro tendenze la spiritualità del culto che proibiva l’uso delle immagini, l’assoluta trascendenza di un Dio invisibile e intoccabile, l’austerità morale escludente ogni impurità. Alle esigenze della loro immaginazione, alla loro mentalità umana e semitica, sapeva rispondere meglio la religione Cananea. 

Facciamo alcune esemplificazioni:

  1. L’anima semitica del tempo e dell’ambiente concepisce la divinità in relazione con la terra piuttosto che con le persone che l’abitano. Ogni regione ha il suo Baal, padrone locale delle messi e dei frutti; in questo passo relativamente ricco si percepisce ovunque, senza comprenderlo, il mistero del sorgere della vita; si vedono dappertutto in Astante e in Baal i principi di ogni fecondità e fertilità; si onorano con pratiche che la morale riprova, sino ai sacrifici umani.
    All’uscire dal deserto, penetrando in questo paese dove scorrono latte e miele, diventando gradatamente sedentari, alla scuola Cananea gli Israeliti non esauriscono la loro imitazione nella tecnica; naturalmente molti di loro finiscono per pensare che l’abbondanza del suolo sia dovuta alla liberalità e saggezza dei Baal; si lasciano sedurre dalle feste gioiose che segnano il ritmo della vita agricola. Senza dubbio non dimenticano Jahvé, ne proclamano l’eminenza; ma egli rimane il dio del deserto, della conquista, della vita nomade; non ha ancora dimostrato di fare ora quanto le divinità pagane. In queste condizioni presto si scivola in un sincretismo pratico, radicalmente contrario ai principi dello jahvismo puro.
  2. La religione Cananea attirava poi per il suo terrore e per la sua sensualità:
    Terrore. Una divinità concepita non come padre ma quale padrone supremo si cercava di propiziarselo con sacrifici umani (vittime a Moloc, sacrificio del re moabita Mesah, sacrifici di fondazione di una città). Ora l’anima di gente primitiva è attirata, non allontanata, da queste manifestazioni, perché ha bisogno di forti emozioni.
    Sensualità. Questa attira sempre e tutti. Diciamo solo che nella religione Cananea toccava il vertice in occasione delle grandi solennità. Allora i canti, le grida, le danze, i gemiti, l’eccitazione contagiosa di una folla in delirio, spingevano quasi irresistibilmente gli spettatori.

 

Raggiungimento di una fede unica, jahvista

Il fatto saliente di tutto questo periodo dei Giudici resta il diffondersi dello jahvismo in tutte le dodici tribù. E’ vero che nei documenti attuali esso è dato come verificatosi alla fine del tempo di Giosué e che in Giosué 24 (=assemblea di Sichem) sembra si parli del rinnovamento di un patto che le 12 tribù avevano già sancito ai piedi del Sinai, tuttavia:

  1. leggendo bene il capitolo 24 di Giosué si nota come egli, in nome del proprio gruppo, proponga ai connazionali qualcosa che riusciva loro nuovo;
  2. seguendo le premesse da noi poste circa il cammino differenziato che ha portato alcuni gruppi ebraici a installarsi subito nel Canaan o nelle sue adiacenze, altri a fare esperienze dell’Egitto per uscirne poi con motivi e in tempi diversi, non si può dire che gli Ebrei siano entrati nel Canaan già in possesso di una fede comune. Alla comunione di fede si è giunti gradatamente. Ma allora ciò è avvenuto nel Canaan, e a ingresso concluso, perciò in quello che noi chiamiamo periodo dei Giudici.
    Ed esso registra in tal modo il crearsi del primo elemento di unità tra gli Ebrei, che potremmo quasi definire non ancora popolo ma già “Chiesa”. E le difficoltà religiose descritte dal libro dei Giudici, più che come un tradimento allo jahvismo già acquisito, potremmo considerale difficoltà che lo jahvismo ha sperimentato nel suo formarsi.

 

Tramonto dell’epoca dei Giudici

Secondo il libro omonimo, il periodo tramonta con la figura del giudice Sansone, definito quale “soldato isolato, combattente in avamposti perduti, senza che abbia potuto far sentire il suo influsso sull’insieme del popolo di Israele” che stava andando alla deriva, sempre più infedele al Patto Sinaitico rinnovato a Sichem.

1 Samuele ci presenta invece la figura di Samuele, dai tratti ambigui:
- veggente isolato e sconosciuto ai più, secondo 1 Sam.9; 10,1-16; 2 Sam. 13-14;
- uomo noto a tutti, dominate dall’alto Saul, quasi una specie di “papa del >medioevo che elegge e depone i re in 1 Sam.7; 8; 10,17;
- ultimo dei giudici in 1 Sam.7,15, 12, 3-5; e poi a fianco al re Saul quale primo dei profeti di corte che sempre hanno agito da interpreti della volontà di Dio presso i sovrani;
- da una parte unge re Saul e poi anche Davide, dall’altra scaglia una terribile profezia contro la monarchia insorgente (1 Sam.8, 10-18) e rompe definitivamente con Saul perché riprovato da Dio.

Evidentemente nella composizione di queste figure hanno giocato prima le tradizioni popolari e poi le interpretazioni teologiche delle fonti scritte finali.
Tutto quello che si può dire è che il sorgere della monarchia è stato lo sbocco naturale del grande travaglio registrato dal periodo dei Giudici; che il passaggio dalla giudicatura alla monarchia ha portato Samuele e gli ultimi giudici a ricoprire un ruolo intermedio, che non coincideva con quello svolto dai giudici classici e dai re veri e propri; che il passaggio è avvenuto senza contrasti e sofferenze intime di tanti israeliti, fenomeno che è destinato a registrarsi sempre quando sia in corso un mutamento di regime: il che giustifica la coesistenza, nelle nostre fonti, di pagine favorevoli a sfavorevoli alla monarchia.

 

Produzione letteraria

A “conquista del Canaan avvenuta”, le prime esperienze di vita sedentaria e contadina che da una parte favorivano il contatto continuo tra le varie comunità e dall’altra offrivano parecchi momenti di pausa (stagioni non lavorative, riposo giornaliero, feste settimanali e mensili) nei quali ci si ritrovava e si parlava delle proprie esperienze antiche e nuove, hanno portato ad un’attività orale, qualcosa di simile ai canti dei trovatori o menestrelli medievali, e scritta. Gli studiosi concordano nel far risalire a questo periodo:

  1. Uno sviluppo del documento iniziale del Patto del Sinai, per opera dei sacerdoti che ne conservavano il testo o una sua copia nei loro santuari, spiegandolo e attualizzandolo per i fedeli. Non è però possibile determinare l’entità;
  2. Questa sarebbe la prima composizione di ciò che sarebbe stato in seguito il “Decalogo”;
  3. Dai canti dei trovatori o menestrelli, la composizione scritta de IL CANTICO DELL’ESODO 15,1-16 celebrante il passaggio del mare; IL CANTICO DI GIOSUE’ 10 (sfortunatamente una citazione parziale dal libro del Giusto); IL CANTICO DI DEBORA (Giudici 5) esaltante la vittoria di Debora e Barac. Si tratta di tre testi apparentati per tono lirico, linguaggio iperbolico, uso di parallelismi e per un’arte consumata che alcuni ritengono non inferiore a quella mostrata dai cori classici greci;
  4. Nello stile dei responsi dati dai sacerdoti dei vari santuari dove i fedeli si recavano a consultare Jahvé, la composizione degli ORACOLI DI GIACOBBE (Genesi 49) riflettenti la situazione nella quale versavano le dodici tribù al tempo dei Giudici e non all’epoca precedente.
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