STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIO

PERIODO DELL'INIZIO DEL MONDO (GENESI 1-11)

Il Sole visto dalla sonda solare della NASA, questa immagine può ben rappresentare il fenomeno del Big Bang

Il problema del rapporto con i dati scientifici

I testi di Genesi 1-11 sono eziologie religiose che si servono, come mezzo espressivo, del simbolo e del mito (espressione questa legittima, a condizione che per mito s'intenda semplicemente un'amplificazione e concatenazione di simboli fino a formare una sequenza narrativa).
Sono eziologie poiché vogliono spiegare, alla luce della fede, le ragioni dell'attuale situazione dell'uomo nel mondo al cospetto di Dio: la sua grandezza e fragilità, la sua resistenza al comandamento, la sua aspirazione ad oltrepassare il limite, a rischio di cadere nella miseria proprio a causa di tentativi d'autoesaltazione.
Antichi complessi mitico-sapienziali, in gran parte diffusi in forme varianti nell'oriente soprattutto mesopotamico, sono stati riformulati, in coerenza con la fede di Israele, per fornire una possibilità di comprendere la situazione storica dell'uomo alla luce della promessa salvifica del Dio d'Israele.
Questo messaggio centrale si colloca su un piano diverso rispetto al discorso scientifico e, in forma diretta, non può essere in conflitto con esso. Anche le modalità dell'origine rispettivamente del mondo, dell'uomo, del male, sono rievocate non per intenti di conoscenza oggettiva, ma la fine di scoprire il senso ultimo della realtà. La convinzione che questo era il senso rintracciabile risalendo ai primordi ( ma la Bibbia valorizza ugualmente il riferimento alla meta finale) era comune a tutta l'antichità. Per questo, cioè per capire più che sapere, si espongono immagini dell'origine. Può anche darsi che gli autori ritenessero le immagini usate in parte corrispondenti allo svolgersi dei fatti - ciò è da dimostrarsi caso per caso e, ad esempio, la doppia modalità del diluvio attesta in contrario - ma non è per questa coincidenza che tali testi ebbero grande valore.

 

I miti e le origini

I capitoli della Genesi sono tra i più frequentemente commentati e per questo in parte già noti ai più. Possiamo perciò procedere in forma sintetica. In questa sezione i testi sacerdotali sono ben più che una cornice. Comprendono la creazione; le genealogie antidiluviane; il diluvio, intrecciato con il parallelo testo di J; le genealogie postdiluviane.

  1. La creazione. Nel nostro viaggio in primo luogo dobbiamo renderci conto dei caratteri stilistici del testo: andamento strofico, ripetizione di formule fisse, introduzione per gli animali e l'uomo del tema della benedizione (di cui abbiamo già parlato precedentemente), ampliamenti per la creazione dell'uomo. Il testo si rivela frutto di composizione accurata e studiata, volutamente ritmica. E' un'esposizione teologica, laudativa, quasi innica dell'azione divina. Non ha finalità informative: un confronto alla pari con enunciati scientifici è escluso in partenza (se ciò è avvenuto si deve ad una valutazione irrispettosa delle finalità teologiche del brano).
    I contenuti teologici vengono alla luce a partire dalla struttura letteraria del testo. Seguendo la cosmologia allora adottata, il testo rivela che tutto il mondo, soprattutto la sua completezza (notate la classificazione dei vegetali) e il suo ordine, sono opera di Dio: la totalità nell'ordine è il frutto della parola e dell'agire dell'unico Dio che opera senza concorrenti o avversari (come invece in altre mitologie). Dio è unico (sono evitati i nomi sole e luna che erano anche nomi di divinità) e il mondo è solo mondo, senza alcunché di demoniaco e di divino. Dio lo ha creato in un'immaginaria settimana (in realtà ere cosmiche), con la rapidità di un abile artigiano. Tutto è al suo posto, nella pace: il testo che apre la rivelazione biblica è sommamente rassicurante.
    E' difficile determinare l'esatta portata dell'immagine di Dio attribuita a tutto l'uomo (non solo ad una sua parte) nella sua realtà di maschio e femmina: probabilmente l'uomo è trattato da Dio come sua immagine sia perché responsabile del mondo sia perché chiamato ad essere suo interlocutore. Velatamente il settimo giorno, che Dio riserva a sé, preannuncia il sabato in cui l'uomo, dal mondo, si rapporta al suo Dio. Il chiaro monoteismo, la demonizzazione del mondo, la visione cosmico universalista, l'accenno al sabato coincidono con la situazione cultuale dell'epoca esilica.
  2. Il giardino, l'uomo, il serpente. Questo brano sarebbe l'inizio della tradizione J e lo si designa solitamente come il racconto jahvista della creazione. Non ha le prospettive cosmiche del precedente, ma un orizzonte più terreno, interessato alla figura dell'uomo come agricoltore. L'interpretazione deve passare attraverso il riconoscimento di molteplici simbologie. Alcune sono chiare (vitalità e nutrimento per gli alberi, fecondità e civiltà per i fiumi); altre più complesse come l'albero della conoscenza del bene e del male e il serpente.
    A livello introduttivo è soprattutto interessante ricordare la stretta relazione tra una possibile esegesi di questo passo e la più generale ipotesi sull'origine in epoca salomonica della tradizione I. La relazione di questo testo con la cultura salomonica facilita l'identificazione del serpente con un simbolo dei culti cananei della fecondità e/o con la sapienza idolatria egiziana. In questo caso l'autore avrebbe presentato come colpa primordiale proprio quella che poteva verificarsi al suo tempo accordando fiducia a culti e pratiche a cui Salomone (a causa delle mogli straniere!) non aveva opposto sufficiente resistenza. Nel seme della donna, vincitore del serpente, si poteva così vedere la promessa di un re ideale fedele a Dio e l'inizio di una concezione messianica.
    Parimenti si attribuiva all'umanesimo salomonico l'attenzione al valore della donna e alla sua psicologia. Tale interpretazione non ha perso la sua suggestione anche se è meno diffusa oggi di qualche anno fa.
    Il testo J s'inserisce ora armonicamente dopo quello P, come se fosse una ripresa nei dettagli della enunciata creazione dell'uomo come immagine, e completa il testo P con il tema della trasgressione e della cacciata, che introduce per la prima volta la dimensione del male come avente origine esclusivamente dall'uomo. Dio né è giudice, ma manifesta subito una volontà salvifica, per cui fin dalle origini si apre la prospettiva di una storia della salvezza, nella quale può positivamente rientrare come benefico anche il castigo.
  3. Caino e la sua discendenza. Almeno due tradizioni indipendenti (quella dell'omicidio di Abele e quella sull'origine delle arti e mestieri) sarebbero state unificate dallo J per rivelare, nella sua originaria trama compositiva, l'estendersi del male da ribellione a Dio a inimicizia immotivata verso il fratello e per mostrare l'intrinseca contraddizione del progresso della civiltà, in quanto originatasi dai discendenti di Caino fino a sfociare nella iperbolica volontà di violenza di Lamec (4,23-24). Questo è indubbiamente il senso teologico del capitolo nella sua collocazione redazionale. A livello di antiche tradizioni orali, però, sia la storia di caino e Abele sia quella dei discendenti devono avere avuto diverse finalità. La prima forse spiegava usi e costumi dei Keniti e giustificava la loro amicizia con gli Ebrei.
    La ricerca di questi primitivi scopi eziologici di testi ora arricchiti di diverso senso teologico può essere un esempio del tipo di risultati a cui può condurre il viaggio nei generi letterari cui si accennava nel capitolo precedente.
  4. La genealogia antidiluviana. E' un testo P (da cui solitamente si esclude il solo detto sulla nascita di Noè al 29 che sembra alludere al racconto J di Gen.3). Il genere letterario delle genealogie per coprire epoche storiche prive di concrete memorie era in uso in tutta l'antichità. Le cifre delle età, differenti nei diversi canali della trasmissione testuale: ebraico, samaritano e greco, hanno probabilmente un valore convenzionale. Da un lato presentano come più elevata agli inizi la potenza vitale dell'umanità; dall'altra permettono di separare Adamo e i primi suoi discendenti dalla generazione peccatrice che sarà distrutta dal diluvio (è interessante calcolare quali personaggi sono supposti ancora viventi al tempo del diluvio).
  5. Il diluvio. I primi quattro versetti del cap.6 (tipico esempio di attribuzione a J di un testo autonomo per forma e contenuti) contengono riferimenti ad antichi miti e leggende e sono di discussa interpretazione. Redazionalmente sono posti qui per annunciare la caduta dell'umanità in una condizione di progressivo distacco da Dio.
    Il brano si presta per un classico esercizio di ripartizione dei versetti tra le due tradizioni (P e J), possibile anche per chi lavori su un testo tradotto. Il lettore dovrà fare questo esercizio, seguendo le chiare indicazioni date nella Bibbia di Gerusalemme nella nota introduttiva alla sezione. Potrà così rendersi conto del diverso quadro che J e P danno al peccato, del diluvio e della sua conclusione. J parla di una pioggia di quaranta giorno, P di un evento cosmico durato oltre un anno per lo sconvolgimento dell'ordine stesso della creazione, che scatena di nuovo il caos iniziale facendo irrompere le acque dall'abisso e da sopra il firmamento. Coerentemente in P la fine del diluvio ha i caratteri di una nuova creazione e sono evidenti i parallelismi tra Gen.9 e Gen.1 sui temi della vita e del nutrimento.
    Presentando P si è già accennato al valore del tema dell'alleanza. Le storie delle benedizioni dei figli di Noè alla fine del cap.9 sono un'eziologia (spiegazione della causa) della situazione dei popoli nei confronti di Israele in antica epoca monarchica. E' un classico esempio dell'uso eziologico delle benedizioni e dei collegamenti genealogici per rendere ragione di situazioni socio-politiche posteriori.
  6. La tavola dei popoli. Analoga funzione hanno le genealogie del cap.10 e della seconda parte del cap.11. Il cap.10 è stato chiamato la prima carta geografica del mondo biblico. La finalità primaria del testo è spiegare le complesse relazioni tra i popoli e i loro insediamenti sulla base di antiche (e perciò normative) relazioni degli antenati.
  7. La torre di Babele. Questo passo J tratta più della dispersione dei popoli che dell'origine delle lingue. Presenta un'ulteriore forma del peccato umano (dopo la manducazione del frutto, Caino e gli antecedenti del diluvio) che consiste nell'aspirazione a un potere universale mediante l'appropriazione del divino. Come nella cacciata dal giardino la dispersione operata da Dio è sì un castigo, ma è anche l'unica garanzia di una possibile continuazione della vita umana.
    La rovina dell'uomo nasce sempre - già secondo l'antica visione di J - dalla sua prevaricazione nei confronti del comando divino e la sua salvezza consiste nell'intervento di Dio che fissa di nuovo all'uomo il suo limite. La sua grandezza, infatti, è salvaguardata solo dall'ubbidienza e, dopo la trasgressione, dai limiti anche dolorosi che Dio instaura.
    Il messaggio fondamentale della storia dell'inizio del mondo consiste proprio nell'enunciazione del contrasto tra l'errore, continuamente possibile all'uomo, di autoesaltarsi, e il benevolo intervento limitante di Dio. Il carattere primordiale e mitico delle narrazioni dà a questa diagnosi dell'esistenza umana un valore universale nel tempo e nello spazio. Il dramma dell'uomo di sempre è retrodatato agli inizi e presentato così nella sua verità eterna. In questo senso il contenuto dei capitoli è assolutamente vero e, se si vuole, storico, non però nel senso di una verificabilità dei fatti storiografica in senso metodologico.
<< indietro        indice      torna su        avanti >>
 

>>home page<<


 

© Dal 2002 in poi Fede Speranza Amore
E' consentita la diffusione gratuita dell'opera, o parte di essa, previa autorizzazione.