STORIA DEL POPOLO EBRAICO
ATTRAVERSO LA BIBBIA

PRIMA PARTE: DALLA PREISTORIA ALL'ESILIO

PRESENTAZIONE

Natura dei libri storici

Dalla Bibbia conosciamo realmente l'azione svolta di Dio nel corso delle vicende umane per portare l'uomo, come singolo, e anche come comunità, alla salvezza. I suoi libri ci narrano quindi fatti realmente accaduti, e meritano sotto quest'aspetto il titolo di "Libri storici".

Bisogna però intendersi sui modi di fare la storia. Essi sono molteplici, e tale molteplicità dice già che non necessariamente la storia va composta seguendo i canoni letterari del nostro tempo. Il fare la storia è un'arte che, al pari di tutte le altre, ha avuto una sua genesi ed un suo sviluppo costante, pur rimanendo sempre se stessa.
E come le varie arti sono legate alla vita concreta, tanto da rivestire forme diverse, intimamente legate ai vari tempi e ai vari ambienti, non va scordato che la Bibbia è un libro che descrive la storia religiosa umana secondo la visione e le tecniche proprie dell'Oriente antico.

Cercherò ora di mettere in luce almeno gli aspetti principali dei nostri libri, dai quali una giusta lettura e interpretazione della Bibbia non può assolutamente prescindere.

 

I nostri Libri sono anzitutto scritti di fede, teologici

La distinzione tradizionale della Bibbia nelle tre sezioni di "libri storici", "libri profetici", "libri didattici", potrebbe facilmente portare al pensiero che l'elemento storico sia appannaggio esclusivo del primo gruppo, mentre il secondo e il terzo esaurirebbero rispettivamente la profezia e la sapienza.

Partendo poi dal fatto che oggi la storia si scrive cercando di ricostruire ordinatamente gli eventi di cui ci s'interessa, si potrebbe ritenere che i libri storici della Bibbia condividano questa preoccupazione di "fotografare" la realtà, in modo da potere perpetuare nella memoria del lettore il ricordo di quanto è realmente avvenuto. Gli scrittori della parte storica avrebbero così avuto la preoccupazione che hanno tutti gli storici di questo nostro mondo.
Il concetto è vero solo in parte, e non meravigli se affermo che la denominazione di "libri storici" si adatta solo in parte alle produzioni della Bibbia, riuscendo un titolo abbastanza convenzionale.

In realtà, come ho già detto, i nostri libri dalla Genesi fino agli Atti degli Apostoli sono anzitutto e soprattutto "libri di fede", seguono ciascuno una propria "tesi religiosa" per illustrare la quale ricorrono, sì, alla storia, componendola tuttavia in armonia con le esigenze del pensiero che si vuole proporre.
Le esigenze di una qualsiasi dimostrazione sono molteplici: l'omissione di quanto non serve, può addirittura essere pregiudizievole, lo spostamento della materia che si ha sottomano secondo lo svolgersi del pensiero, la presentazione di un dato qualsiasi più secondo il suo significato che in base al suo svolgimento esterno, ecc…

I libri in questione sono storici perché si rifanno alla storia, la descrivono; tuttavia per loro la storia è non un fine bensì un mezzo. La finalità prima di questi libri religiosi, di fede, non è tanto quella di ricostruire con esattezza i vari avvenimenti, ma quella di farne risaltare il valore salvifico, il che è diverso. L'autore parte dai fatti, è vero, ma lo fa per trasmettere una convinzione di fede, quella che lui naturalmente ha. E' tale certezza che a tutta prima ci risulta, e a noi resta il compito di risalire da quest'ultima alla realtà dei fatti. Cosa abbastanza difficile, specie in certi casi, perché si deve appunto tener conto di tutti gli artifici che lo scrittore ha potuto lecitamente mettere in atto in forza del suo intento principale che, ripeto, non era quello di comunicarci un'informazione storica pura e semplice.

Ecco perché i cosiddetti "libri storici" della Bibbia non si caratterizzano per il solo elemento storico; se sono un'interpretazione religiosa dei fatti contengono pure (oltre la verità storica) l'elemento sapienziale e, poiché seguono l'interpretazione diffusa tra il popolo eletto dai profeti, anche quello profetico. Si distinguono così dalle altre parti della Scrittura solo per il prevalere dell'elemento storico, mentre le altre parti lo coniugano diversamente dando la prevalenza rispettivamente all'elemento profetico e sapienziale.

 

Non tutti i libri contengono lo stesso grado di storicità

Per l'elemento storico intendo, a scanso d'equivoci, la cronaca, la descrizione vera, oggettiva, per quanto possibile completa, di quanto si è svolto. I libri in questione si pongono ciascuno ad una distanza diversa dai fatti narrati. Alcuni ne sono lontanissimi (per esempio i primi undici capitoli della Genesi si rifanno ad avvenimenti distanti molti millenni, quanti pressappoco sono i millenni della vita dell'uomo), altri ne sono assai vicini (esempio gli Atti degli Apostoli, che narrano avvenimenti trascritti solo qualche anno più tardi).

Più questa distanza aumenta, grosso modo si può ritenere che minore diventa lo spessore storico o cronachistico, si assottiglia cioè il nucleo di conoscenze precise di persone, fatti, istituzioni, e può invece aumentare l'elemento artistico di presentazione.
Al contrario, più lo scrittore si trova vicino al tempo dei fatti da lui narrati, maggiore in generale è la sua possibilità di riferire i particolari dell'accaduto.

A tal proposito nel corpo dei nostri libri storici è opportuno distinguere tre blocchi:

  1. Genesi 1-11 (se non si vuol tenere conto dei primi capitoli delle Cronache), interessato ai fatti lontanissimi concernenti la preistoria umana: questi, appunto perché appartenenti alla preistoria, periodo in cui e di cui non si possono avere documenti scritti, giacché proprio la scrittura determina il passaggio dalla preistoria alla storia, non possono in alcun modo essere documentati. Nessuno che viva nel periodo storico ne ha avuto esperienza. Il pensare che il ricordo di questi fatti si sia mantenuto attraverso un lungo processo di tradizione orale si rivela errato allorché si ricordino il lunghissimo periodo intercorso (centinaia di millenni) e lo stadio culturale dei primi uomini non certo favorevole al formarsi e mantenersi di una tradizione qualsiasi: il trasmettere un ricordo suppone una certa organizzazione e un certo grado di civiltà. Quindi niente scritti e niente tradizioni orali. Ma allora, come si poté giungere alla conoscenza di quanto narrato? Attraverso una riflessione fatta sulle proprie esperienze concrete di storia recente, seguendo per così dire il principio di causalità: se queste sono state le nostre vicende, occorre che siano state precedute e causate da questo o quell'altro fatto che può renderle comprensibili. Procedimento legittimo, che però porta più ad affermare certe cose che non a descriverle o a darne le modalità. A sua volta tale riflessione umana fatta sotto il carisma dell'ispirazione divina, diventa affermazione umana e divina e quindi "Rivelazione" che ci dà un grado superiore di certezza. Tuttavia quest'ultima, anche nell'assolutezza sua, non cambia la natura di queste conoscenze, che rimangono conoscenze di fatti accaduti ma non del loro svolgimento esterno.
  2. Il secondo nucleo, più consistente, è formato da quei libri dove gli autori ebrei ci hanno descritto le esperienze dei loro antenati, vissuti in un periodo storico perché ormai si possedeva la scrittura, che però era preistorico nei riguardi del popolo loro che non era ancora nato, oppure segnava le prime esperienze storiche degli ebrei. La situazione qui è diversa. Anzitutto la civiltà era giunta ad un grado di maturazione e d'organizzazione che permetteva il formarsi e perpetuarsi di tradizioni orali; secondariamente la distanza dal periodo propriamente storico degli ebrei non era così remoto da consumare per usura il contenuto delle tradizioni; in terzo luogo la scrittura, già esistente, avrebbe potuto dar luogo a qualche documento scritto sulle esperienze di fatto. In realtà al tempo dei Patriarchi e ancora nei secoli successivi, gli ebrei vivevano in condizione di seminomadismo, il che non li portava all'uso quotidiano della penna. Più che scrivere essi tramandavano i loro ricordi a viva voce, di generazione in generazione. Cosicché la fonte pressoché unica delle nostre conoscenze resta la tradizione orale. Per non restare nell'astratto, dirò subito che questo vale per Genesi 12-50, con la sua storia dei Patriarchi (Abramo, Isacco, Giacobbe) e con quella di Giuseppe ai capitoli 37-50. Esodo-Levitico-Numeri-Deuteronomio, che nella sezione narrativa si occupano dell'Esodo dall'Egitto. Giosué, narrante l'ingresso degli ebrei nel Canaan. Giudici, dove si considera il tempo che va dall'insediamento nel Canaan all'istituzione della monarchia. Se la storia di questi libri è stata tracciata in base soprattutto alle tradizioni orali e popolari, nella sua interpretazione non è lecito dimenticare la natura di queste tradizioni: ad esempio il loro modo di abbellire, semplificare, o al contrario amplificare, eroicizzare i personaggi, offrire insegnamenti morali, nonché la loro fusione finale in un documento unico più o meno riuscito. In queste opere è più facile rilevare la verosimiglianza dei racconti biblici, constatando come loro si conformino al tipo di civiltà (modi di vivere, di agire, di pensare, di esprimersi, di concepire il mondo, la vita dell'uomo, la religione, ecc…), del tempo descritto, più che non affermare la loro corrispondenza coi singoli fatti accaduti. Non tutto quanto è verosimile, infatti, è storico. E' così che oggigiorno, se tutti gli studiosi non preconcetti sono concordi nel dire che i racconti dei Patriarchi sono verosimili, perché Abramo, Isacco e Giacobbe sono presentati in accordo al tipo di civiltà del loro tempo e di quel mondo particolare, non tutti sono però disposti ad accettare pienamente la storicità di quanto è loro riferito (anche se molti cattolici di vaglia si dicono non ancora in grado di precisare i gradi di corrispondenza tra i singoli racconti della Genesi e le gesta realmente compiute dai Patriarchi). Si tratta di una questione ancora aperta, anche per coloro che accettano l'ispirazione e la verità della Bibbia.
  3. Il terzo gruppo è invece costituito da tutti i libri storici posteriori, a cominciare dai libri di Samuele, che si riferiscono a periodi storici di cui i vari autori potevano avere piena conoscenza attraverso esperienze personali ( è il caso di pochi, in verità) o tramite una ricca documentazione scritta, oltre che orale (quest'ultima non ancora stemperata dal lungo periodo di trasmissione, e soprattutto controllabile nei suoi dati proprio in base alla documentazione scritta). In questi libri si può avere il massimo di corrispondenza tra le affermazioni e i fatti relativi, quindi il grado più elevato di "storicità".

 

Non tutti contengono lo stesso grado di dottrina religiosa

Basta riflettere che la religione ebraico-cristiana ha avuto un suo sviluppo storico, cioè progressivo ed organico, andando dalla povertà iniziale propria del tempo dei Patriarchi alla sua maturazione avutasi nel primo secolo dell'era cristiana. Sostanzialmente sempre uguale a se stessa, è però passata attraverso gli stadi di maturazione e di sviluppo propri di un organismo vivente: seme iniziale, primo filo d'erba, consolidamento in vera pianta, fiori, foglie e finalmente frutti. Si tratta di un esempio.

I libri sacri ispirati, sì, da Dio, ma scritti da uomini (singoli o in gruppo, non ha importanza) scaglionati lungo tutto l'arco del processo di maturazione storico-religiosa del popolo eletto, riflettono di volta in volta la conoscenza di Dio e del proprio dovere religioso maturato fino a quel momento nelle comunità e nei singoli. Una cosa tanto evidente e di somma importanza, e tuttavia è facile dimenticarla quando si voglia interrogare la Bibbia su questa o quella verità. Sarebbe un imperdonabile errore anche storico porre su di uno stesso piano quanto dicono i vari libri senza tenere conto del momento e dell'ambiente nel quale hanno visto la luce.

Si è già visto come verità fondamentali quali Dio creatore del mondo, peccato originale, la retribuzione nell'al di là (tanto per fare qualche esempio), sono maturate lentamente attraverso crisi, affermazioni parziali, ricerche. Si è pure detto che verità le quali stanno ora per noi alla base del credo sono invece state acquistate secondo un procedimento inverso, a conseguenza d'altre verità percepite per prime nel corso della storia (l'idea di creazione quale conseguenza della dottrina dell'alleanza di Dio con il proprio popolo).

Come conseguenza di tale sviluppo, che ha portato gli Ebrei a considerare gli eventi dei quali erano stati testimoni, e poi le vicende a loro lontane sia perché immerse nelle brame del passato o perché confinate nel futuro, i libri concernenti la preistoria umana o quella particolare degli Ebrei, composti in un secondo tempo, offrono dati storici minori insieme ad una maggiore ricchezza dottrinale. Il Pentateuco riflette uno stadio religioso più avanzato dell'opera deuteronomistica.

 

I libri sacri appartengono alla comunità di fede

Sembrerà strano, ma anticamente, almeno in seno al popolo eletto, gli scritti di fede non erano qualcosa su cui l'autore o gli autori vantassero dei diritti d'esclusività, un oggetto a proposito del quale ci fossero da rispettare i "diritti d'autore"; esprimendo essi una fede nella quale tutta la comunità si ritrovava, potevano essere presi da quest'ultima, aggiornati, ampliati, resi attuali attraverso accomodazioni o aggiunte. Erano cose vive, di proprietà comune, e come tali passibili di sviluppo e d'approfondimento.

Il fenomeno riesce particolarmente appariscente in alcuni libri profetici o almeno in alcune loro parti. Tuttavia non mancano esempi di tale modo di pensare e di fare anche nel complesso dei libri storici. Nelle note precedenti si è fatta menzione di diverse edizioni dei libri di Tobia, Giuditta, Ester, il cui contenuto iniziale era sufficientemente sentito per vederlo ripetersi nelle situazioni storiche nuove e permettere quindi una sua riedizione o un suo aggiornamento. Sicché di queste opere abbiamo attualmente strati diversi. Fatto che si riscontra in grado minore anche per certe parti d'altri libri.

 

Procedimenti redazionali propri della storiografia antica

Tutto quanto detto non è ancora sufficiente, nonostante la sua importanza, per una retta interpretazione dei libri storici. Occorre tener presente i vari procedimenti redazionali in uso nella storiografia del tempo, mutuati dall'ambiente culturale, e che formano il particolare genere storico di allora.

  1. Uso delle fonti. Riferendo fatti distribuiti nell'arco di secoli e da loro non sperimentati di persona, gli autori facevano un uso larghissimo ma assai libero di fonti, bibliche ed extrabibliche. E' ad esempio il caso delle Cronache o Paralipomeni, che potrebbero paragonarsi ad un mosaico. "In quest'opera sono citati esplicitamente circa venti titoli, la cui identificazione peraltro presenta non lievi difficoltà…Ebbene, il cronista talora si mostra assai libero, omettendo quanto esula dalla storia della teocrazia (oggetto unico del suo libro), poi da due tradizioni bibliche presenti nella fonte ispirata scegliendone una e tralasciandone l'altra; sostituendo una tradizione biblica con una extrabiblica, commentando un testo ispirato con un altro ispirato o anche non ispirato. Si comporta, in altri termini, da teologo e canonista, più che da storico. Altre volte invece trascrive semplicemente con assoluta fedeltà le fonti bibliche, che del resto sono ben conosciute e riverite dai suoi lettori".
  2. Cronologia. Gli storiografi biblici hanno condiviso coi loro colleghi scrittori del mondo profano lo scarso interesse per la cronologia. A tal punto che c'è impossibile fissare date precise a quasi tutti gli eventi della storia della salvezza. " Per queste ragioni l'853 a.C. è la prima data assolutamente certa della storia d'Israele, storia iniziatasi nel secolo XIX con la vocazione d'Abramo. E questa data non è neppure fornita dalla Bibbia, ma dall'obelisco nero di Salmanassar III d'Assiria il quale, ricordando le battaglie di Qarqar dell'853, enumera Acab d'Israele tra i re vinti della lega sira". Si hanno così indicazioni vaghe, come nel caso dei libri dei Re dove, a confessione degli studiosi, le ottanta o più indicazioni cronologiche, tra cui la durata del regno di ciascun re e il sincronismo tra i due regni di Giuda e d'Israele, più che illuminare creano spinose difficoltà.
  3. Topografia. Chi più chi meno, presso gli storiografi biblici si nota una scarsa attenzione alle annotazioni topografiche. Una caratteristica che appare evidente soprattutto nei sinottici (N.T.) dove notazioni come "il monte, la riva del lago, l'altra riva, un luogo solitario" e simili, difficilmente testimoniano una stretta connessione della materia evangelica con la geografia.
  4. Amplificazioni. Pio XII nell'enciclica "Divino afflante Spiritu" aveva ammesso che nella storiografia biblica c'erano "certi modi iperbolici, talora quasi paradossali, che servono meglio ad imprimere nella mente quel che si vuol dire". Ed ecco alcune esemplificazioni: "Gli storiografi biblici rendono plasticamente l'onnipotenza del Signore narrando come i soldati di Asa, re di Giuda, sconfiggono l'esercito di Zara il Qashita, composto di un milione di uomini: ne caddero tanti che non ne rimase più di uno vivo ( 2Cron.14,7-11). Esaltano la generosità di Davide, affermando che il re preparò per il tempio del Signore "centomila talenti d'oro, un milione di talenti d'argento e una gran quantità di rame e di ferro da non potersi pesare (1Cron.22,14).
    Danno risalto alla potenza di Salomone riferendo sia il benessere dei suoi sudditi: "Numerosi come la rena del mare, tutti mangiavano e bevevano e stavano allegri (1Re 4,20), perché "A Gerusalemme l'argento era comune come la pietra" (10,27), sia l'opulenza della sua corte che consumavano una quantità enorme di viveri (5,2-3), sia il suo numeroso harem: "700 mogli e 300 concubine" (2,3).
    Secondo questa prospettiva vanno giudicati i numeri degli anni di vita, dei guerrieri, dei vinti e fatti prigionieri nel corso delle guerre, ecc…
  5. Schematizzazioni. Il materiale storico è spesso schematizzato, o in base alle preoccupazioni dottrinali espresse nella tesi, o anche in base ad altre ragioni. Così la figura e l'opera dei giudici maggiori (una specie di dittatori cui Dio affidava pieni poteri civili e militari) è schematizzata dall'agiografo in una serie di piccoli drammi a lieto fine che si svolgono in quattro atti: apostasia di Israele, dominazione straniera, pentimento e conversione, liberazione ad opera di un giudice (Giud.3,7-9). Tale schematizzazione potrebbe far concludere che i Giudici abbiano esercitato la loro autorità su tutte le 12 tribù di Israele e si siano succeduti gli uni agli altri. Ma una lettura più attenta mostra che solo di rado l'azione di questi capi si estendeva ad alcune tribù. Ordinariamente si limitavano ad una sola tribù o a un clan, così come talora era contemporanea a quella di altri Giudici. Cause del tutto diverse saranno invece alla base della schematizzazione di miracoli, discorsi, predicazione di Gesù nei Vangeli (tutti effetti non di canoni letterari bensì della predicazione viva della Chiesa).
  6. Lacune. Gli autori, soprattutto perché illustrano una loro tesi religiosa, dicono la verità, ma in modo incompleto. La verità, ma non tutta. Esistono dei vuoti grandissimi nei vari protagonisti dei libri sacri (da Davide a Salomone a Cristo e apostoli del N.T.) Spesso tale mancanza è intesa a idealizzare un personaggio, di cui si tacciono difetti e colpe. E' il caso di Davide che il Cronista presenta come re teocratico di Israele, idealizzandolo al punto da stendere un velo sulle sue colpe, già note peraltro ai lettori di 2Samuele, "come si nascondono le debolezze di un essere amato".
  7. Fusione di più vicende. Altre volte gli storiografi biblici fondono in una, più vicende o scene, che in realtà si svolsero in tempi diversi. Così la Luca, passando sotto silenzio il ritiro del neoconvertito Paolo in Arabia attestato da Gal. 1,15 ss., blocca in uno i due soggiorni dell'apostolo a Damasco (At.9,9-25). E presenta gli avvenimenti di Atti 15,14 ss., come se si trattasse di una sola adunanza, mentre al Concilio di Gerusalemme di adunanze ve ne furono due o forse anche tre.
  8. Doppioni. Altre volte si riferiscono due o più volte gli stessi episodi, magari per inculcare la loro importanza. Dobbiamo attestare l'esistenza della dicotomia o bipartizione per la prosa narrativa paleotestamentaria (Ripartizione: il fatto o il concetto è esposto due volte in due riprese successive e distanziate che si assomigliano in tutto o in parte alla lettera o con variazioni; espedienti della bipartizione: al fatto narrato dall'autore fa seguito il fatto riferito da un personaggio in forma di discorso). Evidente è tale procedimento in Atti, a proposito della conversione di Paolo. Sono poi noti i doppioni esistenti nella vita dei Patriarchi, dipendenti forse da tradizioni diverse.
  9. Narrazioni eziologiche. Non è raro che la Bibbia presenti narrazioni eziologiche, con cui si spiega l'origine di istituzioni religiose o civili, di usi e costumi, di fenomeni naturali o di monumenti, di nomi di persone o di luoghi. Così la pasqua risale all'epoca in cui gli Israeliti erano ancora seminomadi ed è anche anteriore all'Esodo se la festa del deserto che gli Israeliti si proponevano di celebrare (Es.5,1) è già una pasqua. Festa israelitica della primavera, soltanto in seguito la Pasqua fu collegata a una famosa primavera, in cui Dio aveva liberato il popolo dalla terra dei Faraoni. Il rito dell'agnello pasquale dovrà così essere illustrato secondo Es. 12,17: è il sacrificio della Pasqua in onore di Jahvé, il quale è passato oltre le case dei figli di Israele in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre case.
  10. Prodigi premonitori. Seguendo la moda degli storiografi classici, quelli della Bibbia intendono spesso inculcare la eccezionalità di un fatto o di una serie di fatti elencando un certo numero di prodigi che li hanno preceduti o preannunciati. Sotto questo profilo si distingue 2 Maccabei, pieno di cose straordinarie e meravigliose, come l'apparizione di guerrieri per 40 giorni nel cielo di Gerusalemme, mentre Antioco IV si preparava alla sua seconda spedizione militare in Egitto (2Macc. 5,2-4).
  11. Drammatizzazioni. Il genio ebraico si compiaceva di drammatizzare non solo il racconto degli avvenimenti (come ve lo obbliga più o meno l'assenza dello stile indiretto), ma anche i movimenti della vita interiore o i misteri del mondo invisibile. Ecco perché nella Bibbia esiste una messa in scena capace di ingannare il lettore meno avvertito. Si rammentino i due concili celesti in cui Dio accorda il permesso a Satana di tentare Giobbe (Giob.2,1-7) e allo spirito di menzogna di ingannare il re Acab mediante i Profeti aulici (1 Re 22,19-23). Si rammentino le apparizioni celesti del secondo libro dei Maccabei, le quali vogliono solamente tradurre in immagini, secondo un procedimento letterario comune, il realissimo soccorso divino. Forse spiegabili per motivi diversi, ma sempre drammatizzazioni, possono essere alcuni racconti del Vangelo come quello delle tentazioni di Gesù nel deserto.
  12. Discorsi. La Bibbia è piena di discorsi dei vari personaggi storici. Sono stati tutti realmente pronunciati dai protagonisti cui sono riferiti? E pronunciati proprio in quella particolare maniera? La storiografia profana del tempo mostra una fantastica libertà nei riguardi di questo procedimento. Se è difficile credere che tale uso sia stato completamente trasferito nel campo biblico, certo bisogna di volta in volta tener conto dei vari elementi (tradizioni popolari per quanto riguarda i Patriarchi, responsabilità dell'autore nel rivestire di parole proprie il discorso riportato, o nel mettere in bocca al protagonista parole che meglio illustrano il suo vero carattere; effetti di una tradizione orale viva che applicava alle varie situazioni storiche le parole pronunciate originariamente da profeti, o da re, o dallo stesso Gesù, ecc…) Noi moderni sbagliamo allorché, ritenendo materiale storico non solo i fatti compiuti dai personaggi di età passate, ma anche le parole da loro proferite, esigiamo dall'autore sacro che riporti questi discorsi alla lettera. Nemmeno le parole dell'istituzione dell'Eucaristia, o del Pater Noster, le abbiamo a litteram!
  13. Nei libri storici della Bibbia c'è posto anche per il fittizio. La questione a questo punto si fa abbastanza delicata. Però, mantenendoci sui principi generali, qualche conclusione di ordine pregiudiziale possiamo ottenerla. Riaffermo anzitutto che i cosiddetti libri storici della Bibbia intendono in realtà trasmetterci un messaggio a contenuto religioso, una verità di fede che la storia ha il compito di illustrare. Se oggetto del libro sacro è questa verità religiosa, sono ammissibili tutti i procedimenti suscettibili d'esserne portatori. Tra questi il più ovvio è il procedimento storico, il basare cioè la verità su fatti concreti, realmente avvenuti. Ma ce ne sono altri come la favola (chi può negare il carattere morale, positivo, di tante favole della letteratura moderna?), lo stesso romanzo, la profezia, la parabola, l'allegoria, ecc…Ora come si potrebbe negare che, accanto a molti di questi generi letterari presenti nei libri sacri, ci possono stare ad esempio un racconto popolare, fittizio, a chiaro intento edificatorio, oppure una tradizione mitologica, manifestatasi capace di inculcare certi valori morali e religiosi? Il Magistero ecclesiastico escludeva dalla Bibbia il mito, ma nell'accezione che il mito aveva allora. Oggigiorno molti la pensano diversamente, e se pure da parte di molti si dice di evitare il termine perché pericoloso e ambiguo, credono che certe pagine bibliche vadano spiegate attraverso la derivazione dalla mitologia orientale. Se vogliamo per ora lasciare da parte la questione del mito, richiamiamo l'attenzione almeno sul fatto che certi libri, come Tobia, Giuditta, Ester, Daniele nella sua parte storica, ci offrono delle pagine di alta edificazione ma che riesce difficile ritenere come riferenti fatti realmente accaduti. Qui, è naturale, la verità della Bibbia è rispettata ritenendo che lo stesso autore sacro non intendeva fare della storia e ricordando che la verità dell'interpretazione consiste nel non discostarsi dal pensiero dell'autore sacro.
  14. Caso particolare del Pentateuco (e dei Vangeli). Tutto quanto finora affermato non è più sufficiente qualora si voglia affrontare la lettura del Pentateuco ( e dei Vangeli). Si tratta di opere che godono di una genesi e di una natura del tutto particolari, richiedenti perciò un altrettanto particolare procedimento interpretativo. In proposito ricordiamo quanto detto nella parte dell'incontro del popolo ebraico con l'ellenismo.

 

Natura dei libri profetici

Anche i documenti della letteratura profetica, se utili alla ricostruzione della storia ebraica, offrono però delle difficoltà che sono proprie di questo genere letterario. Possiamo raggrupparle sotto quattro titoli:

Difficoltà provenienti dai libri stessi

  1. Non sono opere scritte di getto e sviluppanti un tema o una situazione storica continua. Sono invece una raccolta di profezie svariate, legate ciascuna a situazioni diverse e che di rimbalzo riflettono le tematiche più disparate. La lettura riesce assai meno scorrevole e facile di quelle dei libri storici.
  2. Le situazioni originanti ciascuna profezia non sono quasi mai messe a fuoco, descritte o anche soltanto accennate. Così ci manca un elemento prezioso per la loro interpretazione.
  3. La sistemazione dei detti di un profeta è posteriore alla sua attività predicatoria. Alcune volte è stato il profeta stesso a raccoglierle il materiale della propria attività, altre volte la raccolta è stata fatta dai suoi discepoli. Ma in base a quale criterio? Quello cronologico (che per noi sarebbe stato quello più comprensibile), o quello contenutistico, oppure altri ancora più estranei a noi come l'accostamento per via dei richiami o allusioni, ecc…?
  4. Dobbiamo infine mettere in conto che l'ordine primitivo di un libro profetico sia stato manomesso in seguito a vicende particolarmente travagliate del manoscritto.

Difficoltà provenienti dalla forma poetica

  1. La poesia, mentre costituisce un genere letterario contrapposto a quello della prosa, al suo interno offre poi una grande varietà di forme che, se accostate l'una all'altra come spesso avviene nei nostri libri, procurano continui cambiamenti di tono e contribuiscono a loro volta a rendere la lettura meno agevole.
  2. Ogni genere poetico richiede poi un metro di interpretazione appropriato: e nei profeti si trovano appunto l'oracolo, la biografia, l'autobiografia, composizioni minori come la contesa e la liturgia profetica, ecc…

Difficoltà provenienti dalle profezie messianiche

  1. I profeti, allorché predicono il futuro messianico, con o senza persona del Messia (=messianismo reale o personale), non sono in grado di descriverne i dettagli (escludendo Isaia). Proiettano quindi su di lui quelle che sono le particolarità del loro tempo, destinate a non trovar un riscontro nella realizzazione delle loro profezie.
  2. Gli eventi futuri sono colti e preannunciati dai profeti, oltreché in maniera non chiara, in relazione a situazioni precise del loro tempo. La poca chiarezza del futuro si riflette anche nella loro precisa identificazione del tempo in cui l'evento attuale e futuro viene quasi a mancare. La mancanza di prospettiva fa sì che non si riesca a distinguere le espressioni profetiche concernenti il fatto presente da quelle che invece riguardano il futuro.

Difficoltà circa la predizione di un futuro diverso materialmente

I profeti, nelle loro predizioni, parlano spesso di fecondità prodigiosa della natura (Gen,49,11-12), di numerose discendenze (Is.49,19-21; 54,1-3), di assenza di mali corporali e di longevità (Is.35,5-6), di ricchezza incalcolabile (Is.23,17-18; 60,5-17), di pace universale (Os.2,20; Mich.4,3; Zac. 3,10; 9,8-10), di trasformazione della natura degli animali (Is.11,6-9), di Gerusalemme capitale del regno messianico (Is.2,2-4; Ezech.43,1-9), ecc…
Qual è il loro vero pensiero? Ecco alcune sentenze:

  1. Parlavano di una novità materiale; Dio lo permetteva per preparare gli animi alla comprensione del cambiamento spirituale futuro (interpretazione letterale-pedagogica);
  2. Intendevano un cambiamento reale, esterno, che si sarebbe verificato solo alla fine, e che dobbiamo ancora sperimentare (interpretazione letterale -escatologica);
  3. La novità da loro preannunciata era condizionata al comportamento umano; se non si è avverata è perché non si sono realizzati i suoi presupposti (interpretazione letterale-condizionata);
  4. Si tratterebbe di un semplice simbolismo, e non di mutamenti esterni reali.

Per approfondire questo argomento leggere il testo "Il messaggio della salvezza", LDC al capitolo "le composizioni dei profeti".

 

Natura dei libri sapenziali

Anche la sapienza, atta non tanto farci conoscere le vicende esterne del popolo eletto quanto a rivelarci l'anima, i sentimenti, la maturità morale e religiosa di quest'ultimo, non è sempre di facile interpretazione. Le ragioni sono ancora una volta svariate.

  1. La varietà delle forme poetiche usate, come nei libri profetici;
  2. La natura dei libri, raccoglienti sentenze che provengono da secoli e ambienti diversi, e che perciò riflettono un diverso grado di maturità. Così, accanto a pagine di altissimo valore dottrinale (come quelle che presentano la sapienza come persona e sono così tanto vicine alla rivelazione neotestamentaria del Verbo), troviamo delle affermazioni che sembrerebbero non aver nulla di sacro e di edificante:

Ogni cuore è solo a soffrire le sue pene
e non ha socio nel gustare le sue gioie"
(Prov.14,10)
"Il povero è odioso persino ai parenti,
il ricco invece ha molti amici"
(Prov. 14,20)

o altre che potrebbero addirittura costituire la negazione della morale evangelica:

"Figlio mio, se hai dato garanzia per qualcuno,
se ti sei impegnato con stretta di mano a favore d'un estraneo;
se ti sei vincolato con le tue labbra stesse e
ti sei lasciato legare con le parole della tua bocca;
fa dunque così, figlio mio: liberati, perché ti sei dato in balia di altri.
Va, corri, importuna il tuo prossimo,
non concedere né sonno ai tuoi occhi né riposo alle tue palpebre,
mettiti in salvo come una gazzella dal cacciatore,
come un uccello dal laccio che gli fu teso" (Prov.6,1-5)

  1. La difficoltà di determinare la vera natura della sapienza. A tale proposito occorre distinguere tra i libri storici e quelli sapienziali.
  2. Nei libri storici (Pentateuco e Opera deutoronomistica) sapienza significa abilità professionale o amministrativa. Gli artefici del tabernacolo (Es.35,31 s) e delle vesti sacerdotali (Es.28,3) ricevevano il dono della sapienza; Giuseppe possedeva una previdenza politica che gli guadagnò dal Faraone il titolo de "il grande sapiente degli uomini" (Gen.41,29); Salomone era sapiente per la sua conoscenza del diritto, della storia naturale e per la capacità di comporre e sciogliere enigmi (1Re3,78; 4,33; 10,1-4). Perciò in questi libri la sapienza è una qualità intellettuale e non morale, o una abilità pratica e non una virtù religiosa.
  3. Nei libri sapienziali la sapienza assume un significato diverso. Possiamo formulare la seguente distinzione:
    Sapienza umana pratica: consistente nel saper vivere rettamente, percorrendo la strada del successo. Questo appare nella parte più antica dei Proverbi, e già ne possiamo comprendere il perché, data la genesi della classe dei sapienti.
    Prov. 14,15 "Innocens credit omni verbo, astutus considerat gressus suos"
    Prov. 22,3 " Callidus vidit malum et abscendit se, innocens pertransiit et afflictus est damno "
    Tale prudenza, a prima vista troppo interessata, non è senza un contenuto religioso ; c'é un pensiero che tende a Dio nel fondo della mente dello scrittore, che santifica il senso comune e che porta la religione in ogni piega della virtù e della vita quotidiana. Se la sapienza umana deve essere penetrata di religione, non sorprende come la stessa sapienza religiosa sia continuamente sottolineata. I primi nove capitoli dei Proverbi ci esortano a questa forma e la loro dottrina è sintetizzata nell'assioma che costituisce la chiave di volta di tutto il libro "initium sapientiae timor domini" (Prov.1,7; 9,10; 15,33; 40,3).
    Sapienza umana teoretica. Nei libri sacri la sapienza speculativa ha poco rilievo, perché la curiosità intellettuale che origina speculazioni circa la natura, l'uomo e Dio, non è caratteristica della sapienza ebraica. Il punto di partenza del messaggio ebraico non è un'indagine critica, ma un credo; data l'esistenza di un Essere supremo, creatore, reggitore, giudice, la sapienza si riduce alla comprensione più perfetta possibile della Parola di Dio e della sua attuazione pratica. L'Ecclesiaste (Siracide), che raccomanda la scienza pratica, dichiara vana quella sapienza che cerca la ragione ultima delle cose, soprattutto nel governo del mondo. Giobbe propone un problema teologico profondo; la provvidenza divina nel governare il mondo, al quale però non si sente di dare risposta. O meglio, la sua unica soluzione è: soltanto Dio può dare una risposta adeguata a tale problema.
    Sapienza umana oggettiva. Poiché la pratica della religione è essenziale alla vera sapienza, ne consegue che l'osservanza della Legge rivelata mosaica è un elemento preminente di sapienza oggettiva, di quella norma esterna, cioè, praticando la quale si è sapienti. Tuttavia la letteratura sapienziale, soprattutto nelle parti più antiche, non cerca né le basi né le formule della moralità nella lettera della Legge, in qualcosa cioè che sia specificamente ebreo. Essa trascende quello che vi è di locale e di temporale, dando al proprio insegnamento un fondamento assoluto e razionale, basato sulla vita umana. Per questo supera le barriere di tempo e di razza e si applica a tutta la famiglia umana: i precetti hanno quindi applicazione universale, e sono patrimonio di tutta l'umanità.
    Sapienza attributo divino. Per gli scrittori dei libri sapienziali fonte della sapienza è Dio, il quale solo può donarla all'uomo.
    Eccli. 1,1 "Omnis sapientia a Domino Deo est"
    Prov. 2,6 "Quia Dominus dat sapientiam, et ex ore eius prudentia et scientia ".
    La sapienza è un attributo di Dio, il cui chiaro riflesso è nelle infinite meraviglie della natura come anche nell'ordine degli avvenimenti umani (Prov.3,19-20; Sap.13,1-9; Eccli. 17,14; 18,12; Giobbe 38,41).
    Sapienza divina personificata. Prov.8,22-31 "Dominus possedit me ab inizio viarum suarum" ; 9,1-5 "Sapientia aedificavit sibi domun, excidit columnas septem.."; 1, 20-28 "Sapientia foris praedicat, in palteis dat vocem suam…".
    In questi e altri passi la sapienza di Dio si presenta come una persona; essa si trova in Dio come l'idea di un capolavoro; è nella mente di un artista, ma è concepita distinta da Dio, procedente da lui per via di generazione e personificazione, sebbene non abbia ancora una personalità ben definita…
    In Eccli. 25,1-16 la sapienza, che parla di nuovo in prima persona, si presenta sotto un altro aspetto. In altre parole, la verità rivelata da Dio e la Legge imposta da Lui sono concepite come una manifestazione esterna dell'eterna sapienza di Dio, come la Parola di Dio, come qualcosa che esce da Dio verso l'uomo e che nel viaggio prende una personalità tutta sua. In seguito, depositata in scritti, si concretizza nei libri della sua Legge.
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