Vangelo di Matteo – Cap 6,1-18

Introduzione.

Cristo benedicenteContinua il tema del cammino di vita proposto Da Gesù ai suoi discepoli come compimento autentico della volontà del Padre. L’interesse per ora verte sull’intenzionalità degli esseri umani chiamati all’obbedienza, non più sull’estensione e profondità della volontà divina. In concreto si prendono in considerazione pratiche religiose e ascetiche del mondo giudaico: l’elemosina, la preghiera, il digiuno. I Farisei se ne fregiavano, ostentandole. In quel tipo di società esse costituivano il contrassegno dell’essere umano pio e religioso. Siamo di fronte all’espressione di una particolare religiosità, ma anche a forme di un determinato modo di vedere la religione, privata dal vero spirito di dedizione a Dio, che Gesù vuole portare a compimento. Inoltre, pur senza avere il carattere unitario, di cui sopra, i versetti che seguono sono quattro brani indipendenti, presi dalla fonte “Q”: “Non ammassate tesori…”; “L’occhio è la lampada…”; “Nessuno può essere servo di due…”; “Perciò vi dico: non siate ansiosi…”. In comune hanno un generico riferimento ai beni della terra. Vale a dire l’atteggiamento dei discepoli nei riguardi delle ricchezze e dei bisogni elementari della vita: esso deve essere di radicale distacco e di libertà dall’angoscia. L’antitesi domina, ancora una volta, la raccolta di detti, costruiti sulla contrapposizione fra tesori terreni e tesori celesti, occhio sano e occhio malato, ansia per il cibo e vestito e ricerca del regno.

Cap. 6, 1-4 – l’elemosina

*Non praticate la vostra religione per avere l’ammirazione della gente; non potreste aspettarvi nessuna ricompensa dal vostro Padre celeste.

*Non suonare dunque la tromba quandoaiuti un povero. Così fanno anche gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle vie. Vogliono solo avere la lode della gente. Ve l’assicuro, hanno già ricevuto la loro ricompensa.

*Tu invece, quando dai un aiuto a qualcuno, la tua mano sinistra ignori ciò che fa la destra.

*e il tuo gesto resti segreto. E il Padre tuo, che vede anche ciò che è nascosto, te ne darà la ricompensa”.

In una società senza un sistema d’assistenza ben organizzata, l’obbligo di fare la carità ai poveri (vv.1-4), agli indifesi e agli ammalati era tenuto in grande considerazione dalle persone pie. Al v.2 Gesù critica coloro che fanno esibizione della loro carità usando l’immagine del suono della tromba. Egli definisce tali persone come “ipocriti”, termine che originaria,mente era riferito agli attori sul palcoscenico, ma che qui assume il significato di “impostori”. L’accusa di ipocrisia è rivolta agli Scribi e ai Farisei (Cap.23). I discepoli di Gesù vengono ammaestrati ad essere liberi dall’esibizionismo religioso, al punto da non ricercare neppure l’autocompiacimento di sapere ciò che stanno donando in elemosina. I vv.2-3 si basano, apparentemente, su ovvie esagerazioni, al fine di porre in contrasto l’egoismo e l’altruismo nella religione. Dio, che vede le opere nascoste alla vista degli esseri umani, sicuramente ricompenserà l’elemosina data senza suono di tromba (v.4).

Capitolo 6, 5-15 – la preghiera

*Quando pregate, non fate come gli ipocriti. Essi volentieri pregano in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze, perché la gente li veda. Ve l’assicuro: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

*Tu invece, quando vuoi pregare, entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega il Padre tuo che è là nel segreto. E il Padre tuo, che vede anche ciò che è nascosto, te ne darà la ricompensa.

* Quando poi pregate, non datevi allo sproloquio, come i pagani; essi infatti pensano che Dio li esaudirà in forza delle molte parole.

*Non imitateli, perché il Padre vostro sa ciò che vi occorre prima che voi glielo domandiate.

*Così dunque voi dovete pregare: Padre nostro celeste, rivela il tuo santo nome, *fa che venga il tuo regno e si compia la tua volontà come già in cielo così in terra. *Dacci oggi il nutrimento necessario. *Perdona i nostri peccati come noi perdoniamo a chi ci ha fatto dei torti. *Non farci soccombere nella prova finale, ma vieni a liberarci dal Maligno.

*Se perdonate agli altri i loro torti, a voi pure perdonerà il Padre vostro celeste.

* Ma se non perdonate agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà i vostri peccati.

In questa sezione il comportamento da evitare è quello di rendere pubblico spettacolo di se stessi in preghiera (v.5). L’unica ricompensa adatta a tale preghiera è la notorietà pubblica che essa at tira. Però, la preghiera fatt5a solo per guadagnarsi la gloria non è affatto una preghiera. I discepoli di Gesù vengono ammaestrati ad evitare un’esibizione pubblica di se stessi mentre pregano (v.6). Che la preghiera pubblica fosse completamente condannata è impensabile per i Giudei, e qui essa non viene condannata. Piuttosto ci si serve di un’altra espressione esagerata per rilevare l’avvertimento contro l’esibizionismo religioso. Dio ricompenserà solo la preghiera genuina offertagli sinceramente. A questo insegnamento sono collegati anche in detti sulla preghiera (vv.7-8), una preghiera modello (v.9-13) e dei detti sul perdono (vv. 14-15).

Ora non ci resta che esplorare la bellissima preghiera del Padre Nostro con l’intento di aprire nuovi orizzonti alla meditazione e ad una partecipazione personale più completa al suo mistero.

Il Padre Nostro è una preghiera di relazione. Oggi molte persone alzano le mani quando pregano (è un gesto meraviglioso ed espressivo), comunicando a Dio la loro apertura, il loro abbandono, il loro desiderio di essere toccati da Lui. Altre ancora si tengono per mano per costruire un senso ideale di comunità.

Ci rivolgiamo al Signore con un atteggiamento di pentimento e d’umiltà, consapevoli della nostra povertà spirituale e, nello stesso tempo, in pienezza di gioia e di gratitudine, perché ci riconosciamo figli e figlie dell’Altissimo, eredi del Regno. Noi siamo “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui e che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1Pt.2,9).

Padre Nostro…Si tratta di un grido di libertà e pieno di fiducia. Mentre pronunciamo le parole “Padre Nostro”, ci rivolgiamo a Dio unitamente ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo. Inoltre ci ricordiamo dei defunti nella nostra preghiera. Dio, infatti, è il Nostro Padre, il Padre dei vivi e dei morti.

Dio, il grande IO SONO del roveto ardente, ha scelto di essere nostro Padre: ha scelto di creare, nutrire, istruire, guarire, soccorrere, proteggere, educare e amare ciascuno di noi. Egli ci tiene nel palmo della sua mano e ci promette di non abbandonarci, di non scordarci. Lo stesso Dio che dimora nell’alto dei cieli ci chiede di chiamarlo Padre e ci invita a stabilire una relazione d’amore con lui. Non solo, il Padre Nostro ben più che un testo da recitare, contiene una serie di richiami che devono suscitare nei nostri cuori i pensieri stessi di Dio e disporli ad accogliere i suoi doni.

Che sei nei cieli… Queste parole ci rammentano che Egli non è come il nostro padre terreno. Il suo amore è perfetto e senza condizioni. Non ci farà mai del male. Non ci abbandonerà mai. E’ tutto ciò di cui occorriamo. Vuole aiutarci in tutti i modi, anche nei piccoli problemi della vita quotidiana. Le sue risorse sono illimitate, perché a Lui nulla è impossibile. E’ capace di realizzare atti di guarigione e di liberazione per esaudire ogni nostro bisogno. Le sue vie sono superiori alle nostre. Eppure lo possiamo conoscere e possiamo camminare con Lui nel Regno dei cieli. San Paolo ci consiglia: “Cercate le cose di lassù” (Col.3,1).

Sia santificato il tuo nome… Questo non significa che Dio sia santificato dalle nostre preghiere, Lui che è sempre santo. Dio è irraggiungibile da qualunque profanazione e degno di ogni onore. Con la frase chiediamo che il suo nome sia santificato in noi perché, santificati nel suo battesimo, perseveriamo in ciò che abbiamo già cominciato ad essere. Infatti, più sappiamo lodare la sua santità, la sua meravigliosa natura, più siamo aperti all’accoglienza e alla guarigione.

Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra… Dal racconto dell’orazione nel Getsemani, emerge ciò che fu il nucleo della preghiera di Gesù, così com’è l’espressione centrale del Padre Nostro. Gesù supplica Dio Padre perché ad ogni costo si adempia la volontà divina, sia in cielo che in terra. Nel regno entra solo chi fa la volontà del Padre (Mt.7,21).

Infatti, noi chiediamo a Dio di governare nella nostra vita personale e nel mondo che verrà. E’ come se dichiarassimo: “Signore, conferma la tua signoria su di me”. “Sei tu il mio re, Dio mio” (Salmo 43,5). Preghiamo affinché la sua giustizia e la sua pace regnino nel cuore di ogni essere umano. Preghiamo perché il suo regno venga tra i Paesi in guerra, tra i tossicodipendenti e nelle cliniche dove si abortisce, nelle famiglie divise e separate, nei corpi distrutti dalle malattie, per coloro che hanno fame, senza casa e senza lavoro, per tutti coloro che non hanno pace. Rammentando che lo scopo principale della nostra vita di cristiani è di collaborare all’edificazione di questo Regno, in ogni luogo dove ci troviamo. La nostra gioia è fare la volontà del Padre: “…che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero” (Salmo 39,9).

Dacci oggi il nostro pane quotidiano… Il senso dell’aggettivo “quotidiano” è duplice: pane “sostanziale” e pane “di domani”. E’ come se dicessimo: dacci il pane del regno che deve venire. Infatti, il regno che deve venire è paragonato ad un grande banchetto (Mt.22,1ss; Lc. 16,16ss). Il pane del regno futuro è l’eucaristia, che ci riporta all’ultima Cena.

Dio ha sempre provveduto alle necessità del suo popolo, con mezzi ordinari e straordinari. Ha provveduto agli Ebrei nel deserto (Es.16-17); ha fornito il cibo per Elia e per la vedova che lo ha servito (1Re 17,7-15); ha dato da mangiare alle cinquemila persone (Lc. 9,10-17).

Nella preghiera ci poniamo alla presenza del Signore con le necessità quotidiane del corpo, della mente e dello spirito. Preghiamo per i nostri bisogni fisici: casa, vestiario, cibo, salute. Preghiamo per i nostri bisogni psicologici; la conoscenza delle cose divine, l’educazione, l’istruzione, la guida e la saggezza nelle decisioni, le esigenze sociali, la salute emotiva e mentale. Preghiamo per i bisogni dello spirito: il rapporto con Dio, la grazia del perdono, l’accrescimento della fede e la conversione giornaliera, la capacità di realizzare la nostra vocazione di vita cristiana.

Rammentiamo sempre la parabola del vignaiolo che inviò a lavorare ad ore diverse e poi pagò a tutti la medesima cifra. Infatti, diede a ciascuno quello che serviva per il giorno. Similmente, Egli ci dà quello di cui occorriamo.

E rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori… “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc.23,34). Il perdono è l’elemento chiave di guarigione del Padre Nostro. Chiediamo aiuto a Dio di aiutarci a perdonare e di avvertirne il desiderio. Per fare ciò è utile meditare sui brani delle Scritture che si riferiscono alla misericordia di Dio (per esempio: la parabola del “Figliol prodigo”), o alla Passione di Gesù Cristo. Dio Padre è sempre pronto ad accoglierci a braccia aperte.

E non ci indurre in tentazione… Cadere nella tentazione è un rischio contro di cui Gesù Cristo mette in guardia i discepoli all’inizio della passione (Mt.26,31), e poi tutti i credenti di ogni tempo. La scena del Getsemani è presentata come un “entrare nella tentazione”. Solo la preghiera ci permette di non soccombere alla tentazione. La tentazione rimanda al Tentatore, che nella scena del Getsemani non è esplicitamente nominato, ma che ritroviamo nella frase conclusiva del Padre Nostro. Siamo quindi riportati all’episodio dei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto, dove fu sottoposto a “ogni tentazione da Satana, che subito dopo si allontanò per ritornare al tempo fissato” (Lc.4,13), ossia il tempo della Passione.

Ma significa anche che noi chiediamo a Dio di non permettere che noi siamo indotti dal tentatore, l’autore della corruzione. La Scrittura dice, infatti: “Dio non tenta nessuno al male”. Il tentatore è il diavolo, ed è per vincerlo che il Signore ha detto: “Vigilate e pregate per non cadere in tentazione”.

Ma liberaci dal male. Diciamo questo a motivo della parola dell’Apostolo: “Voi non sapete ciò che dovete domandare nelle vostre preghiere”. Dobbiamo pregare l’unico Dio onnipotente in modo che egli nella sua misericordia ci conceda di lottare contro tutto ciò da cui la debolezza umana non ha la forza di difendersi né di allontanarsi. Per Gesù Cristo nostro Signore, nostro Dio, “che vive e regna nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli”.

Nella religione giudaica la preghiera di richiesta era molto importante, e i discepoli di Gesù sono ammoniti a non confondere la quantità con la qualità. Dio, come Padre amorevole, conosce i bisogni dei suoi figli prima ancora che essi facciano le loro richieste, ma egli vuole che le chiedano con confidenza e fiducia. Nella richiesta non dobbiamo tanto informare Dio di certe situazioni, quanto esprimere la nostra sottomissione e la nostra fede. La preghiera del Signore, Padre Nostro, è proposta come insegnamento. Molti suoi versi presentano stretti parallelismi con le preghiere giudaiche del tempo. I detti relativi al perdono sono uniti alla preghiera del Signore perché mostrano la nostra disponibilità a perdonarci gli uni agli altri affinché Dio Padre ci perdoni.

Capitolo 6, 16-18 – il digiuno

*Quando digiunate non datevi come gli ipocriti un’aria triste; essi si alterano il volto perché* la gente veda che si danno al digiuno. Ve l’assicuro: hanno già ricevuto la loro ricompensa. *Tu invece, quando vuoi digiunare, lavati la faccia e profuma i capelli, *perché nessuno si accorga che stai digiunando se non il Padre tuo che è lì nel segreto. E il Padre tuo che vede anche ciò che è nascosto, te ne renderà la ricompensa.

Noi sappiamo che i Farisei praticavano il digiuno due volte la settimana (Lc.18,12). Era questa una libera scelta di carattere ascetico. La legge mosaica lo imponeva soltanto una volta l’anno per la festa dell’espiazione (Lv.16,29). I segni rituali di un digiuno eranop ben visibili.

. Al v.16 non viene condannato l’atto del digiunare in sé, piuttosto la sua ostentazione. I discepoli di Gesù devono vestirsi, durante i loro digiuni, come se si stessero preparando per una festa (v.17). Dio saprà che essi stanno digiunando e li ricompenserà adeguatamente (v.18), inoltre Gesù comanda la stessa segretezza chiesta per l’elemosina e la preghiera.

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