Vangelo di Marco – Cap 14

Il bacio di Giuda di Caravaggio
Il complotto dei capi giudei, l’unzione di Betania e tradimento di Giuda
Cap. 14,1-11

*La pasqua e la festa dei pani senza lievito venivano due giorni dopo. E i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di prendere Gesù a tradimento per ucciderlo. *Ma dicevano: Non durante la festa, perché non accada un tumulto nel popolo. *Ed essendo Gesù a Betania, in casa di Simone il lebbroso, mentre stava adagiato a mensa entrò una donna con un vaso di alabastro pieno di profumo di nardo schietto, molto costoso; e, rotto il vaso d’alabastro, gli versò il profumo sul capo. *Alcuni indignati dicevano tra loro: Perché questo sciupio di profumo? *Si sarebbe potuto vendere questo profumo per oltre trecento denari e darli ai poveri. E mormoravano contro di lei. *Ma Gesù disse: Lasciatela fare. Perché la molestate? Essa ha compiuto una buona azione verso di me. *I poveri li avete sempre con voi, e potete far loro del bene quando volete; ma me non mi avrete sempre. *Essa ha fatto quanto ha potuto, ungendo in anticipo il mio corpo per la sepoltura. In verità vi dico che in tutto il mondo, dovunque sarà predicato *il vangelo, anche ciò che ha fatto costei sarà raccontato in sua memoria. *Allora Giuda Iscariota, uno dei dodici, andò dai capi dei sacerdoti per consegnare loro Gesù. *Essi uditolo, si rallegrarono e promisero di dargli denaro. Egli intanto cercava l’occasione favorevole per consegnarlo.

La scena introduttiva del complotto presenta i personaggi principali. I principali oppositori di Gesù, oltre agli Scribi e ai farisei, ora sono i sommi sacerdoti e gli anziani, riuniti intorno al sommo sacerdote Caifa. Essi cercavano il modo di prendere Gesù a tradimento per ucciderlo. Poiché la Pasqua era una festa di pellegrinaggio che attirava grandi folle a Gerusalemme, e quindi gli oppositori desideravano evitare l’esplosione di una rivolta arrestando un popolare maestro religioso della Galilea proprio in quel periodo.

Tra il complotto dei giudei e la proposta di tradimento da parte di Giuda, l’evangelista inserisce l’episodio dell’unzione, spezzando l’evoluzione logica degli avvenimenti. Si tratta di un episodio troppo carico di significato per non inserirlo nella trama evangelica. A Betania Gesù viene accolto trionfalmente, certamente per il ricordo della recente resurrezione di Lazzaro. La sera di quel sabato si tiene un banchetto in suo onore in casa di Simone il lebbroso, uno dei più facoltosi della borgata, che doveva il suo soprannome alla malattia da cui era guarito, forse per intervento di Gesù.

In quella cittadina si svolge una scena soave e delicata, e penso sia importante riportare ciò che avviene. Fra gli invitati non poteva mancare, e difatti non mancò Lazzaro; sua sorella, la massaia Marta che dirigeva il servizio; l’altra sorella Maria, meno esperta di faccende domestiche, provvide da se stessa a portare un contributo d’onore al convito. Gli invitati erano sdraiati su divani con il busto verso la tavola comune e i piedi all’infuori, come in uso a quel tempo. Maria ad un certo punto della cena entrò recando uno di quei vasi d’alabastro dal collo allungato, in cui gli antichi usavano conservare essenze odorose di gran pregio. Il vaso recato da Maria conteneva una libbra di nardo autentico di gran valore. Giuda, che doveva intendersi dei prezzi, lo valutò più di trecento denari. Maria pertanto, giunta al divano di Gesù, invece di sciogliere il sigillo apposto sull’orifizio del vaso ne spezzò il collo allungato, in segno di maggiore dedizione, e n’effuse abbondantemente l’essenza profumata dapprima sul capo di Gesù e poi il rimanente sui suoi piedi: ugualmente in segno di particolare omaggio, asciugò con i propri capelli i piedi profumati del maestro, imitando in parte l’antica peccatrice innominata dal vangelo di Luca.

L’atto compiuto da Maria non era insolito: ad ospiti insigni invitati al banchetto si offrivano, dopo la lavanda di mani e piedi, squisiti profumi di cui cospargersi. E tanto più questa finezza era naturale in Maria poiché l’usava verso colui che aveva resuscitato il fratello, anche se per compierla lei impiegava una quantità d’essenza veramente straordinaria; ma l’esuberanza della materia testimoniava l’esuberanza del sentimento interiore. Questa prodigalità sorprese alcuni discepoli, e più di tutti il loro amministratore comune, Giuda Iscariota; costui, protestò apertamente pur sotto la parvenza di beneficenza: Perché questo sciupio di profumo? Si sarebbe potuto vendere per oltre trecento denari e darli ai poveri! (Mc.14,4-5).

Poiché Giuda era ladro, nel senso che deteneva la cassa comune, sottraendone denari, si mostra incancrenito: più di trecento denari! Si trattava di una somma cospicua, quasi un anno intero di salario d’un operaio, e il ladro al vedersi sfumare questa bella entrata scatta allegando il pretesto dei poveri. Il seguace di Mammona vuol conservare ancora la divisa esteriore di seguace di Dio. Alla protesta di Giuda, Gesù risponde: Perché la molestate? Essa ha compiuto una buona azione verso di me. *I poveri li avete sempre con voi, e potete far loro del bene quando volete; ma me non mi avrete sempre.

Per Gesù l’unzione da lui ricevuta valeva come un’anticipazione del suo imminente seppellimento, giacché le salme si deponevano nella tomba cosparse d’aromi e d’essenze profumate. Maria ha compiuto in modo profetico ciò che era più urgente: l’anticipazione di un gesto di pietà per un morto. In questo modo la sua azione non si limita ad essere un semplice segno di stima e di venerazione, ma entra a far parte dell’annuncio evangelico, che ha come contenuto essenziale la morte di Gesù. In contrasto con il gesto di stima, di simpatia, d’affetto avvenuto a Betania, Marco aggiunge la notizia del progetto traditore di Giuda. Il testo evangelico è molto laconico e riservato su questo fatto che turbava la coscienza dei discepoli e della prima comunità cristiana, perché Giuda di Qerioth era uno dei dodici, uno scelto e chiamato da Gesù stesso.

In che consiste il tradimento di Giuda? Perché lo ha fatto? Per i soldi? Nessuno può rispondere a questi quesiti. Posso azzardare un’ipotesi. Giuda, secondo alcuni, sarebbe stato un simpatizzante del movimento zelota, o per lo meno avrebbe condiviso le speranze del messianismo nazionale politico di molti giudei; alla fine, deluso dalla linea messianica seguita da Gesù, avrebbe cercato di costringerlo ad agire in un confronto diretto con i capi o di trarne vantaggio prendendo accordi con i suoi avversari.

La preparazione della cena pasquale, la denuncia del traditore, l’istituzione dell’eucaristia
Cap. 14,12-25

*Il primo giorno dei pani senza lievito, quando si immolava la pasqua, i suoi discepoli gli dissero: Dove vuoi che andiamo a preparare per mangiare la pasqua? *Egli mandò due dei suoi discepoli dicendo: Andate in città; vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua; *seguitelo e dove egli entrerà dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza nella quale possa mangiare la pasqua coi miei discepoli? *Egli vi mostrerà una grande sala superiore preparata con tappeti; là preparate per noi. *I discepoli andarono e, giunti in città, trovarono come egli aveva detto e prepararono la pasqua.

*Giunta la sera, Gesù venne coi dodici. *E mentre erano a mensa e mangiavano, egli disse: In verità vi dico che uno di voi che mangia con me mi tradirà. *Incominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: Sono forse io? *Ed egli: Uno dei dodici che intinge con me nel piatto. *Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai all’uomo dal quale è tradito il Figlio dell’uomo! Sarebbe stato meglio per lui se non fosse nato!

*E mentre mangiavano, Gesù prese del pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo dette loro dicendo: Prendete, questo è il mio corpo. *Poi prese il calice, rese grazie, lo diede loro, e ne bevvero tutti. * E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è sparso per la moltitudine. *Io vi dico in verità che non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.

Il resoconto circa i preparativi della pasqua o cena pasquale rientra nella prospettiva teologica di Marco che vuol definire il significato della morte di Gesù. Il segno dato ai due apostoli era abbastanza singolare, perché l’ufficio di attingere e trasportare l’acqua era riservato ordinariamente alle donne. I due si attennero al segno: entrando in città, certamente per la porta situata sopra la piscina di Siloe e di fronte al monte degli Ulivi, incontrarono effettivamente l’uomo della brocca; avendo poi essi seguito costui alla casa dov’era diretto, il padrone mise a loro disposizione la sala di cui Gesù aveva parlato.

Non c’è da dubitare che quel padrone fosse persona affezionata a Gesù; probabilmente l’aveva ricevuto altre volte a casa sua. Chi sarà stato quest’ignoto discepolo? Più che al cauto Nicodemo o a Giuseppe d’Arimatea, il pensiero corre al padre o ad altro parente dell’evangelista stesso, la cui casa, dopo la morte di Gesù, diventò luogo abituale d’adunanza per i cristiani di Gerusalemme; se poi si potesse provare che il misterioso giovanetto il quale sfuggì di mano alle guardie del Getsemani era proprio Marco, si avrebbe conferma che il padrone della casa era suo parente, tanto più che questo racconto della preparazione della Pasqua è più minuto e circostanziato nel vangelo di Marco che in quello degli altri. Del resto l’opinione secondo cui l’ultima cena ebbe luogo nella casa di Marco, non è nuova, ed ha pure in suo favore una rispettabile tradizione.

Compiuti durante la giornata i preparativi, in quella stessa sera si tenne la cena. Marco più che attraverso elaborate precisazioni teologiche, fa notare che è Gesù stesso a preparare la sua pasqua, quella pasqua nella quale si realizza la piena liberazione, l’alleanza nuova nel suo sangue. E’ quest’ampio respiro teologico che fa sorvolare la narrazione sui particolari anche di un certo rilievo per la storia. Ci si preoccupa di indicare la grande sala al piano superiore, riservata agli ospiti, sala preparata con divani e tappeti, ma non si dice nulla di ciò che è caratterizzante: l’agnello pasquale. Anche perché per noi cristiani che ascoltiamo il racconto della passione questo non ha più importanza, poiché l’ultima cena di Gesù assume un nuovo significato, che sostituisce quello dell’antica pasqua ebraica.

In verità vi dico che uno di voi che mangia con me mi tradirà. *Incominciarono a rattristarsi e a dirgli uno dopo l’altro: Sono forse io?

Fu uno sgomento generale. Proprio in quella serata così solenne e così affettuosa, si poteva parlare di tradimento? Proprio fra quei dodici uomini che si erano dati anima e corpo al maestro, si poteva dissimulare un traditore? Tutti allora con veemenza impetuosa, non senza una punta di sincero risentimento, chiesero a gara al maestro: Sono forse io? Ed egli: Uno dei dodici che intinge con me nel piatto. *Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai all’uomo dal quale è tradito il Figlio dell’uomo! Tutti i commensali, infatti, stendendosi dal loro divano, intingevano il pane e le erbe amare in vassoi comuni che contenevano la salsa pasquale, e ciascuno poteva servire a circa tre persone: probabilmente quello in cui intingeva Gesù serviva pure a Giovanni e a Giuda. Tuttavia anche quest’ultima indicazione fu interpretata in senso vago dagli apostoli. Ad ogni modo fra i commensali c’era colui che aveva ben compreso, e appunto riferendosi a lui Gesù aggiunse parole che vollero essere l’ultimo grido d’esortazione, l’estrema segnalazione dell’abisso: “Sarebbe stato meglio per lui non essere nato”.

Che in quella cena pasquale di Gesù sia avvenuto qualcosa di straordinario lo narrano tutti gli evangelisti. Quella sera fu seguito certamente il solito rito della cena pasquale con le quattro coppe rituali di vino, con il pane azimo, le erbe agresti e l’agnello arrostito, sebbene non tutte queste cose siano rammentate dagli evangelisti. Gesù in quel convito fungeva da padre di famiglia; perciò benedisse egli la prima coppa, ed aggiunse: Prendete, questo è il mio corpo. *Poi prese il calice, rese grazie, lo diede loro, e ne bevvero tutti. * E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è sparso per la moltitudine. *Io vi dico in verità che non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.

Gesù suscita un gesto, uno strumento che attuasse l’efficacia universale della pasqua, l’energia, la forza di riconciliazione e di comunione sprigionata nella sua pasqua storica; questo gesto è l’Eucaristia che, nella liturgia della Chiesa, si presenta appunto come la maniera sacramentale che rende perenne in ogni tempo il sacrificio pasquale di Gesù dischiudendo all’umanità l’accesso alla vita senza fine. Nell’Eucaristia è presente non soltanto la volontà di Gesù che istituisce un gesto di salvezza ma Gesù stesso.

La stessa cena pasquale ebraica era ed è vissuta come una memoria che attualizza i fatti della liberazione del popolo dall’Egitto. Nell’Eucaristia la relazione non è soltanto con un fatto passato, bensì con una persona, con Gesù salvatore crocifisso e risorto. In ogni Eucaristia viene annunciata la sua morte, che ha distrutto la malvagità umana scatenatasi contro di lui perdonandola e ha vinto la paura della morte, e viene annunciata la sua resurrezione. Per quanto riguarda il presente, il Corpo e il Sangue di Cristo è veramente dato a noi nell’oggi, la nuova alleanza nel Sangue di Gesù si realizza adesso creando o rafforzando il rapporto dell’uomo con Dio, rapporto di figliolanza e amicizia. Tutta la storia umana si concentra nel momento straordinario della celebrazione eucaristica. Inoltre, l’Eucaristia proclama il futuro dell’uomo e dell’umanità, preannuncia quel giorno senza tramonto nel quale la nostra vita sarà uno stare a mensa con Dio, un vivere con lui una familiarità immediata. Il significato del mistero dell’Eucaristia.

La prima parola è: “Il mio sangue dell’alleanza”. Gesù si colloca sullo sfondo dell’alleanza di Dio con il popolo d’Israele, alleanza che lo faceva appunto popolo di Dio: il dono del sacrificio di Gesù ha come fine la creazione del nuovo popolo, che non toglie nulla al primo, ma si estende a tutta l’umanità. Dire “alleanza” equivale a dire l’instancabile amore con cui Dio, a partire dalla creazione, ha trattato l’uomo come un amico, ha promesso una salvezza dopo il peccato, ha liberato Israele dall’Egitto, l’ha accompagnato nel cammino attraverso il deserto. L’ha introdotto nella terra promessa segno dei misteriosi beni futuri, l’ha aperto alla speranza con la promessa del Messia. Collegando l’istituzione dell’Eucaristia con l’alleanza, Gesù vuole significare che essa dona a noi la forza di lasciarci totalmente attrarre nel movimento dell’amore misericordioso di Dio.

La seconda parola è: “Nella notte in cui veniva tradito” (da San Paolo). Il riferimento è a Giuda ed a tutti noi. Il Signore dona il suo corpo e il suo sangue a coloro che lo tradiranno, fuggiranno, lo rinnegheranno. I nostri tradimenti, le fughe, le infedeltà degli uomini, non possono che esaltare la grandezza del suo amore. Dio ci ama in questo modo. L’unica misura del suo amore smisurato è il bisogno della persona amata: il povero, l’infelice, il diverso, il peccatore, il perduto sono amati persino più degli altri.

La terza parola è: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, sparso per la moltitudine”. In altre parole per tutti gli uomini e per gli ultimi di tutti i tempi, “in remissione dei peccati”. Nella notte della disperazione, della prigionia, del nostro egoismo, dell’aridità, della freddezza del cuore, Gesù si dona a noi per strapparci dalle tenebre, per invitarci a credere in un Dio che non ha il volto rabbuiato, stizzito, amareggiato, deluso dalle nostre incorrispondenze, ma che ha il volto pieno di tenerezza, di fiducia, di passione per ogni creatura, il volto mitissimo del Crocifisso.

Annuncio del rinnegamento di Pietro
Cap. 14,26-31

*Poi, cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi. *Gesù disse loro: Voi tutti vi scandalizzerete, perché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. *Ma dopo che sarò risorto, vi precederò in Galilea. *Pietro gli disse: Anche se tutti si scandalizzeranno, io no. *Gesù gli rispose: In Verità ti dico che tu, oggi, questa stessa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, tre volte mi avrai rinnegato. *Ma egli con maggior insistenza diceva: Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò. Lo stesso ripetevano tutti.

I versetti che contengono l’annuncio dello scandalo dei discepoli e del rinnegamento di Pietro fa da ponte tra il cenacolo e il Getsemani. Il versetto introduttivo stabilisce chiaramente il nesso tra i due momenti. Infatti, dopo il canto del Salmo 115-118, a conclusione della cena pasquale, Gesù si avvia al di là del Cedron, ai piedi della collina degli Ulivi. In questo passaggio Marco colloca una serie di detti profetici sul comportamento dei discepoli durante la passione. L’annuncio anticipato non serve soltanto a rendere più accettabile alla comunità il comportamento scandaloso dei seguaci di Gesù, ma offre anche lo spunto per una seria riflessione e parentesi sulla presunzione dei credenti. La predizione della dispersione degli apostoli e del rinnegamento di Pietro, secondo Marco era un’altra di quelle tetre previsioni che davano tanto sui nervi agli apostoli. La loro insofferenza apparve subito sul volto di parecchi, e specialmente all’impetuoso Pietro. Al bravo Pietro queste parole non piacquero affatto: egli voleva un gran bene a Gesù e, qualunque tentativo avesse fatto Satana, non avrebbe mai commesso contro il Maestro alcuna vigliaccheria da cui sarebbe tornata indietro.

Il dispiacere di Pietro si colorì anche di un certo risentimento, e in un dialoghetto con Gesù, egli disse: Anche se tutti si scandalizzeranno, io no. Nessuno, certamente, avrebbe pensato a mettere in dubbio la sincerità di Pietro quando parlava così; tuttavia Gesù, calmo e paziente, gli dette la seguente risposta, riportata dall’evangelista Marco che l’avrà sentita centinaia di volte da Pietro stesso quando predicava: In verità ti dico che tu, oggi, questa stessa notte, prima che il gallo abbia cantato due volte, tre volte mi avrai rinnegato.

Questo era troppo per Pietro! Un fiume di proteste e d’attestazioni eruppe allora dalla sua bocca; Marco, volendo forse usare un certo riguardo al suo padre spirituale, accenna a questo fiume dicendo che Pietro parla in maniera sovrabbondante e ripeteva che, seppure avesse dovuto morire insieme col Maestro, non lo avrebbe rinnegato. Altrettanto più o meno, dicevano anche gli altri apostoli. Gesù dal canto suo mostrava di non avere troppa fiducia, non già sulla sincerità, ma sulla solidità di tutte queste attestazioni, e continuò ad esortarli affinché, come avevano avuto fiducia in lui nel passato, l’avessero anche nella durissima lotta che allora stava per iniziare.

Se rammentiamo le gravi parole di Gesù contro chi si vergognerà di lui, 8,38, o lo rinnegherà, si può comprendere l’impressione che doveva destare nella prima comunità cristiana il comportamento di Pietro, Erano un esempio e un richiamo permanente contro la falsa sicurezza d’ogni cristiano, anche dei più qualificati e raccomandati.

La preghiera di Gesù nel Getsemani
Cap. 14, 32-42

Vennero a un podere, detto Getsemani, e Gesù disse ai suoi discepoli: Sedete qui, mentre io pregherò. *E presi con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, cominciò a sentire spavento e angoscia. E disse loro: L’anima mia è triste da morirne; rimanete qui e vegliate. *E andato un poco avanti, si prostrò a terra, e pregava che se fosse possibile quell’ora passasse da lui. E diceva: *Abba! Padre! Tutto ti è possibile: allontana da me questo calice; tuttavia non quello che voglio io, ma quello che vuoi tu. *Poi torna e li trova addormentati. Dice a Pietro: Simone, dormi? Non hai potuto vegliare una sola ora? *Vegliate e pregate per non entrare in tent6azione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole. *E di nuovo allontanatosi, pregò dicendo le stesse parole. *E ritornato, li trovò ancora addormentati, perché gli occhi loro erano appesantiti, e non sapevano che cosa rispondergli. *Ritornò una terza volta e disse loro: Dormite ora e riposate. Basta, l’ora è giunta; il Figlio dell’uomo sta per essere dato nelle mani dei peccatori. *Alzatevi, andiamo! Ecco, il traditore è qui.

Devo confessare, iniziando la riflessione, che è cresciuto in me il timore di ridurre e rendere banale la pagina del vangelo più densa di pathos. Nella passione, morte e risurrezione di Gesù c’è il senso della nostra vita: che noi lo vogliamo o no, che gli uomini lo sappiano o no, che ci credano o meno, lì ritrova senso tutto ciò che non ha senso. Di fronte a questo dramma umano e divino di Gesù che si offre alla nostra contemplazione, possiamo reagire in due modi, com’è successo ai discepoli. Possiamo dormire e poi fuggire, perché è troppo difficile, è troppo rischioso, stare con Lui e imparare da Lui ad amare fino a dare la vita. Dopo l’ultima cena nessuno degli Apostoli si meravigliò del fatto che Gesù si ritirasse in preghiera, oltre il torrente Cedron, nell’orto degli ulivi, il Getsemani. Era già buio, ma Gesù spesso trascorreva la notte in preghiera (Lc.6,12).

Anche in quella circostanza, che si allontanasse, con i tre Apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, non era del tutto nuovo. Non erano stati col Maestro anche sul monte Tabor? (Mc.9,2) Tuttavia in quell’ora vibrava una tensione palpabile tra loro per tutto quanto avevano vissuto nel Cenacolo. Rammentavano le parole enunciate da Gesù durante la cena, parole avvolte ancora nel mistero, per i loro poveri cuori: “Prendete, questo è il mio Corpo; Questo è il mio Sangue dell’alleanza, che è sparso per la moltitudine.”(Mc.14,22-25).

Ma non era tutto, pur nell’atmosfera solenne del momento, qualcosa d’antico serpeggiava nei loro cuori. Gesù aveva detto: ” in verità vi dico che uno di voi che mangia con me mi tradirà” (Mc.14,17-21). Alle rimostranze di Pietro, gli disse: “Proprio tu, oggi, in questa notte, prima che il gallo abbia cantato tre volte, mi rinnegherai tre volte” (Mc.14,30); e quando Pietro lo scongiurò, Gesù aveva aggiunto: “Ecco, Satana ha chiesto che gli foste consegnati, per vagliarvi, come il grano. Ma io ho pregato per te affinché la tua fede non venga meno; e tu, quando sarai convertito, conferma i tuoi fratelli” (Lc.22,31-32).

Il Getsemani è una porta del Santuario ove le dimensioni umana e divina del Cristo convergono nel medesimo punto d’offerta: “l’est incarnatus est e il Pater in manus tuas commendo spiritus meus!”

L’interno di questo Santuario, l’orto degli Ulivi, è avvolto in un manto di mistica penombra che prelude e predispone al gran mistero della Croce. Il silenzio arcano degli ulivi antichi e nuovi si sviluppa in tono grave attorno all’altare del Sangue della Redenzione; la rettangolare, massiccia e candida pietra sulla quale Gesù si è inginocchiato versando lacrime di sangue; il calice che raccoglie i peccati di tutti gli uomini, dalla creazione alla consumazione del tempo, offerta con straziante ma amorosa oblazione totale di Sé, la preghiera che nasce dalla Sua agonia: “Padre, tutto è possibile a Te, allontana da me questo calice!” (Mc.14,36), l’abbandono incredibile e il sonno della scarsa sensibilità degli Apostoli che acuiscono l’angoscia del Maestro in quell’ora in cui si scatena l’arroventata furia dell’odio contro il Dio dell’amore!

Ascoltiamo il pianto angoscioso di Gesù: “La mia anima è triste fino alla morte”. Gesù, immagine viva dell’odio che fluisce dal frantoio della Croce, è solo nel Getsemani…l’ora suprema è giunta, congiungimento del finito con l’infinito, una luminosa fusione dell’eterno con il temporale, dell’umano con il divino.

Addossandosi il peccato dell’uomo, ne porta gli effetti in tutta la formidabile interezza. La giustizia divina splende nel buio di quella notte, la Redenzione umana desidera un sacrificio senza pari e senza nome. Ma nell’orto degli ulivi in quella notte nasce il principio della gran tragedia, infatti, sono le prime angosce della santa e amara passione…La porta del Santuario del Getsemani è dunque aperta dal mistero del Tristis est anima mea.. La navata orizzontale della Sua umanità s’incrocia con quella verticale della Sua divinità e forma una Croce.

Ave crux spes unica!
Sì, unica nostra speranza, oh Croce sublime, noi ti salutiamo, inneggiamo a te, preferendo tacere dinanzi al mistero che vide l’Amore inchiodato sul tuo legno. Gesù, dal sacro Santuario del Getsemani, fa giungere alla conoscenza dei tuoi figli denutriti dal silenzio, la voce viva del Tuo Cuore orante e agonizzante!

Silentium!
Facciamo silenzio e restiamo in contemplazione, non lasciamo cadere invano le gocce di quel sangue divino…Chi le raccoglierà? Forse io? Forse tu? Forse noi insieme?

Introduciamoci anche noi nel “podere chiamato Getsemani”.
Gesù si è fatto solidale con gli ultimi, i peccatori, gli esclusi, sempre e in modo totale. Poco prima di recarsi al monte degli Ulivi, aveva compiuto il gesto di consegnarsi per amore e restare per sempre in mezzo ai suoi d’ogni tempo, nel segno del pane e del vino. Nell’ora più drammatica della sua vita, ha risposto all’odio e alla mancanza d’amore donandosi totalmente in sacrificio, corpo e sangue. La perenne memoria di quel gesto, “corpo dato e sangue versato” è il segno dell’amore che si dona in un contesto d’odio e di morte.

Quando l’ora della croce arriva, anche Gesù prova disorientamento e angoscia. Nella notte del tradimento e della passione, la notte più buia dell’umanità intera, Lui è in preghiera. L’agonia nell’orto è la finestra sull’intimità più vera di Gesù. Nelle sue stesse parole scopriamo quale rapporto vi è tra Gesù e il Padre. Nel momento decisivo della sua vita, Gesù ci fa conoscere cosa significa amare e fare la volontà del Padre. Nella preghiera solitaria nell’orto degli Ulivi Gesù vive in anticipo la morte, e sperimenta la sua debolezza e fragilità umana, ma intravede anche la luce della risurrezione consegnandosi definitivamente alla volontà del Padre.

Il quadro del Getsemani è di un’intensità drammatica e tragica: Gesù è spaventato e disorientato, barcolla sfinito e cade più volte per terra, versando lacrime e sudore di sangue. Con questi versetti, Marco rivela come Gesù è pienamente cosciente di ciò che gli sta accadendo: la sua morte non è un incidente di percorso, è una scelta.

Ascoltiamo le parole di Gesù quando prega nell’orto del Getsemani: “Abbà! Padre, tutto è possibile a te; allontana da me questo calice: però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu” (Mc.14,36). Il gran dramma interiore, la tristezza e il brivido della morte, non sopprimono in Gesù l’accettazione piena di ciò che Dio Padre vuole. L’invocazione “Abbà”, posta sulle labbra di Gesù in quell’ora suprema d’agonia, comunica tutta la confidenza, la tenerezza e la fiducia che Lui, il Figlio, ripone nel suo “papà”. Abbà esprime l’intimità profonda con cui i bambini ebrei chiamano il loro papà.

Vigilanza e preghiera sono anche per noi le condizioni per fronteggiare le nostre debolezze. Tutti abbiamo delle debolezze anche se vogliamo negarle o fingere non ci siano! E’ parte della nostra umanità, ed è anche parte della bellezza di sentirci fragili e non sufficienti a noi stessi. Se vogliamo entrare nella volontà di Dio dobbiamo abituarci a chiamare per nome le nostre debolezze e per loro “vigilare e pregare” per non lasciarci sopraffare dalla loro presenza (dal sonno). Lo spirito può essere pronto, i nostri ideali ci possono far sentire forti e ci possono orientare verso grandi imprese, ma la carne – la nostra umanità, la nostra area di vulnerabilità – rimane sempre fragile, e ci può portare lontano dal vivere la volontà di Dio. Ma quando vegliamo e preghiamo, permettiamo a Dio di servirsi anche delle nostre debolezze per svelarci la sua volontà, per realizzare il suo progetto sulla nostra vita.

L’arresto di Gesù
Cap. 14,43-52

*Mentre ancora parlava, giunse Giuda, uno dei dodici, e con lui molta gente con spade e bastoni, mandata dai capi dei sacerdoti, dagli scribi e dagli anziani. *Il traditore aveva dato loro questo segnale: Quello che bacerò è lui, prendetelo e portatelo via con cautela. *Appena arrivato, subito si accostò a Lui e gli disse: Rabbì! e lo baciò. *Allora quelli misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono. *Ma uno di quelli che erano là presenti, estratta una spada, colpì un servo del sommo sacerdote e gli mozzò l’orecchio. *Gesù disse loro: Siete venuti a prendermi con spade e bastoni come fossi un brigante. *Ogni giorno stavo tra di voi nel tempio a insegnare, e non mi avete preso; ma è necessario che si adempiano le Scritture! *Allora tutti, abbandonatolo, fuggirono. *Lo seguiva però un giovanetto, coperto solo da un lenzuolo, e cercarono di prenderlo; *ma egli, abbandonato il lenzuolo, fuggì via nudo.

Con l’arresto di Gesù ha inizio la passione, dopo i gesti e le parole che l’hanno preannunciata e interpretata. Il racconto di Marco, molto sobrio ed essenziale, si svolge in continuazione con la scena precedente del Getsemani: Mentre ancora parlava, giunse Giuda…,14,43 La figura di Giuda, sullo sfondo della masnada armata, domina la prima parte della scena. Com’erano andate dunque le cose?

Non è arrischiato ricostruirle così. Quando Giuda uscì dal cenacolo si recò dai maggiorenti giudei, i quali l’attendevano e avevano compiuto nel frattempo i loro preparativi materiali e morali: materialmente, perché avevano dato ordine ai loro inservienti di tenersi pronti per una piccola ma delicata spedizione; moralmente, perché erano andati dal procuratore o dal tribuno, e dipingendo quel Galileo di Gesù come un mestatore politico circondato da altri mestatori suoi compaesani e tutti pronti a suscitare sommosse nella capitale, avevano ottenuto facilmente una scorta armata. Questa scorta non poteva essere l’intera coorte di stanza a Gerusalemme, ma soltanto una minima parte: ad ogni modo la presenza di soldati di Roma aveva un gran valore morale, tanto più che con loro era venuto anche il tribuno che li comandava.

Con questa gente, adunatasi a notte fatta, si trattava di rintracciare ed arrestare Gesù. Dove trovarlo per impadronirsene alla chetichella e senza timore di reazioni popolari? A tale impresa nessuno poteva servire meglio di Giuda, che era stato pagato soprattutto per questa parte del programma; infatti, il luogo del Getsemani era ben noto anche a Giuda perché spesso si era accompagnato con Gesù e tutti gli altri discepoli, e il traditore sapeva bene che Gesù dopo la cena pasquale non poteva essersi recato fino a Betania troppo lontana: dunque doveva essere al prediletto Getsemani.

Nel prendere gli ultimi accordi con i sommi sacerdoti, Giuda stabilì un segno speciale per far riconoscere Gesù: Quello che bacerò! Sembrerebbe strano un gesto simile, ma non dobbiamo scordare che nell’Antico Oriente, i discepoli baciavano per rispetto le mani del maestro: gli amici invece, trattandosi alla pari, si baciavano sulla faccia. Nel segno scelto da Giuda c’era dunque come un avanzo di pudore, perciò il traditore non aveva il coraggio di additare palesemente alle guardie il suo maestro ed amico gridando “E’ lui!”; così avrebbe fatto chi avesse avuto un vero odio per Gesù, perché quel grido già sarebbe stato uno sfogo all’odio: invece il segno convenuto pretendeva di salvare le apparenze. Ma anche qui appare l’enigma di Giuda. Non sapeva egli forse che al maestro il tradimento era noto? Non aveva egli stesso detto: Sono forse io? Se tali sconcertanti pensieri s’affacciarono in realtà alla mente di Giuda, egli si sarà rinfrancato ripensando ai 30 sicli (denari) e voltandosi per vedersi spalleggiato dai soldati di Roma: ad ogni modo questo pudore di finzione era anch’esso un certo avanzo dell’amore per Gesù, amore allora sopraffatto da quello per l’oro; invece, poche ore più tardi, l’amore per l’oro rimarrà soccombente, il tradimento sarà rinnegato, ma l’amore per Gesù non sarà abbastanza puro e forte da ricercare il suo perdono.

Accadde tutto secondo programma. Gesù stava ancora parlando con gli apostoli appena risvegliati, quando Giuda entrò nel giardino seguito a poca distanza dalle guardie; si avvicinò al gruppo e sbirciando nell’oscurità della notte riconobbe Gesù. Andatogli appresso, gli pose le mani sulle spalle e lo baciò in faccia. Un istante dopo, visto il segnale convenuto, le guardie si fecero avanti alla rinfusa. Gesù disse: Siete venuti a prendermi con spade e bastoni come fossi un brigante. Ogni giorno stavo nel tempio a insegnare… Le guardie vacillarono. L’arresto fu eseguito dagli inservienti del Tempio. Nel breve ed intenso tafferuglio, un discepolo (Pietro) estrasse la spada e colpì un inserviente, tagliandoli un orecchio.

Gesù fu legato, e iniziarono a condurlo via. Gli apostoli, a cui dapprima la sonnolenza e poi il subitaneo sdegno non avevano permesso di rendersi ben conto della realtà dei fatti, soltanto allora compresero: il maestro era veramente arrestato, era condotto via come un volgare delinquente. Allora forse, meglio che a tutte le passate affermazioni di Gesù, essi iniziarono ad intravedere quale fosse la durissima prova, quali i patimenti supremi, attraverso cui il maestro aveva predetto più volte di dover passare per giungere alla sua gloria. A tali mestissimi ricordi gli undici si sentirono schiantati. Della futura lontana gloria del messia non si ricordarono affatto; badarono soltanto al tintinnio delle catene, al luccicore delle spade, all’umiliazione del maestro: allora, totalmente smarriti, abbandonarono ogni cosa dandosi alla fuga, tutti dal primo all’ultimo. Gesù uscì dal Getsemani circondato dalla sola masnada: non gli stava appresso neppure un amico.

O meglio, un amico c’era ancora, sebbene non stesse troppo vicino al maestro. Il giovanetto con la sola sindone, trattasi di Marco l’evangelista. Dopo la cena pasquale, egli aveva seguito Gesù e i discepoli, nell’orto del Getsemani (con ogni probabilità di proprietà del padre) per simpatia. Cosa era avvenuto? Il giovanetto, risvegliato improvvisamente dalle voci delle guardie e dalle grida del ferito e degli apostoli, si alza dal giaciglio e balza fuori del capanno vestito come si trova: assiste all’ultima scena dell’arresto di Gesù e alla fuga degli apostoli; causa la vivacità giovanile accresciuta dall’affetto per l’arrestato, egli si mette a seguire le guardie che s’allontanano; le guardie poco dopo si accorgono di quel giovanetto che sta li pedinando in quello strano abbigliamento, e, insospettite, lo catturano. Tuttavia afferrano soltanto la sola sindone: perché l’agile ragazzo, sgusciando di sotto, lascia la sindone in mano alle guardie e fugge via tutto nudo. E così Gesù fu abbandonato anche da quest’ultimo amico: un adolescente privo di veste.

Gesù davanti al sinedrio
Cap. 14,53-65

*E condussero Gesù dal sommo sacerdote, presso il quale si radunarono tutti i capi dei sacerdoti, gli anziani e gli scribi. *Pietro lo seguì da lontano fin dentro il cortile del sommo sacerdote, e si sedette coi servi e si scaldava al fuoco. *Ora i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano una testimonianza contro Gesù per condannarlo a morte, e non ne trovavano. *Molti attestavano il falso contro di lui, ma le testimonianze non erano concordi. *Allora alcuni, alzatisi, attestarono falso contro di lui dicendo: *Noi lo abbiamo udito dire: Io distruggerà questo tempio fatto da mano d’uomo, e in tre giorni ne riedificherò un altro non fatto da mano d’uomo. *Ma neppure in questo le loro testimonianze erano concordi.

.*Allora il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo, interrogò Gesù dicendo: Non rispondi nulla? Quali accuse portano contro di te? *Ma egli taceva e non rispose nulla. Lo interrogò di nuovo il sommo sacerdote, e gli chiese: Sei tu il Messia, il Figlio del benedetto? *Gesù rispose: Io lo sono. E voi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Maestà e venire con le nubi del cielo. *Allora il sommo sacerdote si strappò le vesti esclamando: Che abbiamo più bisogno di testimoni? Voi avete udito la bestemmia; che ve ne pare? *Tutti sentenziarono che egli era reo di morte. *Alcuni cominciarono a sputargli addosso, a velargli la faccia, a percuoterlo con pugni e a dirgli: Indovina! E i servi gli davano schiaffi.

Il gruppo delle guardie, recando con sé Gesù in catene, rifece in senso inverso la stessa strada fatta poche ore prima dal Maestro con gli apostoli, e attraversato il Cedron risalì sulla collina occidentale della città, dove si trovava la casa del sommo sacerdote. Giunti lì la scorta si divise; Gesù e le guardie del sinedrio restarono nella casa, mentre i soldati della coorte romana si ritirarono nel loro quartiere sulla fortezza Antonia.

A questo punto inizia il processo a Gesù, che si svolse in due fasi differenti, presso due sedi differenti, e in forza d’argomenti in parte differenti. La prima fase è religiosa: Gesù, imputato di delitto religioso, compare davanti al tribunale nazionale-religioso del Sinedrio e viene dichiarato degno di morte. Tuttavia si tratta di una sentenza che ha valore solo teoretico, perché, il Sinedrio non poteva eseguire le sentenze capitali da lui pronunciate se non erano state individualmente ed esplicitamente approvate dal rappresentante dell’autorità di Roma. Allora, per far sì che la propria sentenza non rimanesse sterile e inefficace, il Sinedrio si rivolse al procuratore romano e inizia la seconda fase del processo: la quale si svolge, non più davanti ai giudici di prima, ma davanti al tribunale civile del procuratore; inoltre i giudici di prima compaiono nel nuovo tribunale in funzione d’accusatori, e presentano accuse solo in minor parte religiose e in maggior parte politiche.

Nel frattempo si erano radunati vari membri del sinedrio, e quando furono in numero sufficiente sottoposero Gesù ad un regolare interrogatorio, dove si raccolsero i primi elementi della procedura ufficiale riguardante l’imputato. Sfilarono molti testimoni, i quali però erano falsi; e non erano concordi sui fatti. Con tali deposizioni il processo non faceva un passo avanti e non si salvavano neppure le apparenze della legalità; giacché anche se a quei tempi per il testimone non vigeva la norma secondo cui doveva precisare esattamente il giorno, l’ora, il luogo, e tutte le altre minute circostanze del delitto attestato, si richiedeva evidentemente che le deposizioni non si contraddicessero a vicenda.

Lì invece si contraddicevano. Alla fine, tuttavia, si presentarono due testimoni che sembravano concordi. Costoro deposero che Gesù aveva pronunziato le seguenti parole: Io distruggerò questo tempio fatto da mano d’uomo, e in tre giorni ne riedificherò un altro non fatto da mano d’uomo”. Però anche questa doppia testimonianza, alla successiva inquisizione dei giudici, non fu concorde nei suoi particolari: soprattutto, poi, essa non era vera né quanto allo spirito né quanto alla lettera. La testimonianza, infatti, si riferiva evidentemente alle parole pronunciate da Gesù qualche tempo prima, giacché egli si riferiva non già al tempio di Gerusalemme ma al suo corpo stesso. Ad ogni modo la doppia testimonianza inerente al tempio era troppo opportuna perché quei giudici, in difetto d’altri capi d’accusa, se la lasciavano sfuggire: essa poteva valere almeno come prova che Gesù aveva ritenuto possibile o aveva profetizzato la distruzione del tempio (proprio come Geremia che era stato giudicato reo di morte perché aveva predetto da parte di Dio che il tempio sarebbe stato distrutto, 7,4; 26,6).

Tuttavia vedendo che pure quest’ultima testimonianza stava per sfumare, il sommo sacerdote prese una risoluzione decisiva. Levatosi in piedi, Caifa tentò di ottenere da Gesù qualcosa che in apparenza fosse una sua giustificazione di fronte all’accusa dei testimoni, ma che in realtà avrebbe implicato l’imputato nella discussione inducendolo a confessioni; gli disse perciò: Non rispondi nulla? Quali accuse portano contro di te? Ma la desiderata risposta non venne, e Gesù serbò un silenzio assoluto. A questo punto Caifa, assumendo un atteggiamento ispirato e solenne, insistette: Sei tu il Messia, il Figlio del Benedetto? L’atteggiamento di Caifa pareva quello di un uomo che, tutto preso dal desiderio della verità, attendeva soltanto una parola rassicurante per affidarsi e arrendersi totalmente a lei; sentendolo si sarebbe detto che, ad una risposta affermativa di Gesù, egli si sarebbe prostrato riverente davanti a lui riconoscendolo come il messia d’Israele. Non scordiamo che Caifa ha scongiurato Gesù di dichiarare se egli sia il Figlio del Benedetto.

Il momento era davvero solenne. Tutta l’azione, tutta la missione di Gesù appariva quasi riassunta nella risposta che egli avrebbe dato alla supplica di Caifa. Chi interrogava era rivestito dell’autorità somma e ufficiale in Israele; chi rispondeva era colui che nella sua esistenza aveva serbato quasi costantemente occulta la sua qualità di Messia per ragioni d’oculata prudenza, confidandola soltanto negli ultimi tempi e soltanto a persone opportune e predisposte. In quegli istanti le ragioni della prudenza avevano cessato di esistere: pericoloso che fosse, era ben giunto il momento di palesare apertamente la propria qualità davanti all’intero Israele, rappresentato dal Sinedrio e dal sommo sacerdote. Gesù indirizzandosi a Caifa rispose: Io lo sono. E voi vedrete il Figlio dell’uomo sedere alla destra della Maestà e venire con le nubi del cielo.

Appena udite le parole di Gesù tutti insorsero protesi e vibranti. Il sommo sacerdote gridò: Avete udito la bestemmia, che ve ne pare? Per rendere più visivo e più impressionante il suo sdegno, Caifa mentre aveva lanciato il grido, si era anche strappato la tunica, com’era usanza di fare quando si assisteva ad una scena di sommo cordoglio; in realtà se Caifa avesse potuto rivelare i suoi veri sentimenti che albergavano nel suo cuore, il suo aspetto sarebbe apparso illuminato di profonda e sincera gioia. Credeva, infatti, di essere riuscito a far bestemmiare Gesù, e con ciò ad implicarlo nella sua condanna, anche se la procedura d’interrogatorio rivolta all’imputato aveva costituito una conduzione del tutto illegale.

Il rinnegamento di Pietro
Cap. 14,66-72

*Mentre Pietro era giù nel cortile venne una delle serve del sommo sacerdote, *e veduto Pietro che si scaldava, riguardandolo bene, gli disse: Anche tu eri con Gesù, il Nazareno. *Ma egli lo negò, dicendo: Non so, non comprendo quello che tu voglia dire. E uscì fuori, nel vestibolo, e un gallo cantò. *Ma la serva, rivedutolo, riprese a dire agli astanti: E’ uno di quelli! *Egli nuovamente negò. Poco dopo anche gli astanti dissero a Pietro: Certamente devi essere di quelli; infatti tu sei Galileo. *Egli allora cominciò a imprecare e a giurare: Non conosco l’uomo di cui parlate. *E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. Allora Pietro ricordò la parola che Gesù gli aveva detta: Prima che il gallo abbia cantato due volte, tre volte mi avrai rinnegato. E proruppe in pianto.

Il rinnegamento di Pietro è descritto con grande drammaticità. I suoi interlocutori progressivamente passano da una semplice serva(V.66), ad una serva e le persone presenti (v.69), alla folla dei presenti (v.70). A tale progressione corrisponde quella parallela nel rinnegamento: da una dichiarazione d’ignoranza (v.68), si passa ad un rinnegamento (v.70), e infine ad un’imprecazione e ad un giuramento (v.71) seguiti da una netta negazione di conoscere Gesù. Il canto del gallo all’alba fa prendere di colpo coscienza che la predizione di Gesù si è avverata. Pietro scordandosi ad un tratto dei suoi scrutatori, si scosse, guardò più in là, vide Gesù che passava, lo stavano portando nei sotterranei.

Gesù a sua volta riguardò verso Pietro con uno di quegli sguardi davanti a cui Pietro si sentiva annientato. Il discepolo rammentò allora di quanto il Maestro gli aveva detto poche ore prima, vale a dire che prima che il gallo avesse cantato due volte, lo avrebbe rinnegato tre volte. Allora il povero ma generoso Pietro abbandonò il campo della sua disfatta, e uscito fuori pianse amaramente. La paura di Pietro di fronte all’opposizione contrasta notevolmente con la fedeltà di Gesù fino alla fine. L’episodio ha un valore indicativo nella struttura della passione: i discepoli non solo sono lontani dalla prospettiva di Gesù; non solo dormono mentre egli prega nel Getsemani; non solo fuggono nel momento dell’arresto, ma lo sconfessano e lo rinnegano mentre egli testimonia pubblicamente. Pietro è il protagonista della scena, come lo è stato in quella di Cesarea e della trasfigurazione. Egli ha cercato di seguire Gesù da lontano, ma di fronte alla minaccia di essere compromesso con la vicenda pericolosa del nazareno, è preso dalla paura e si tira indietro.

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