Beati gli umili

Gesù ha iniziato la predicazione del regno (la casa della vita) annunciando le disposizioni spirituali necessarie per conseguirlo.

Il Signore nella sinagoga di Cafarnao aveva già letto e applicato a sé la profezia di Isaia:”Lo Spirito del Signore è sopra di me;..mi ha mandato ad annunciare ai poveri la buona novella” (Lc.4,18).

Fratelli e sorelle, per comprendere il senso di questa beatitudine, come delle seguenti, non possiamo dimenticare, ripetiamocelo ancora, che sono annunziate da Gesù nella prospettiva del Regno. Gesù, dunque, non intende dichiarare beate in sé e per sé delle condizioni sfavorevoli della vita terrena, quasi indulgendo ad una visione pessimistica o alla rassegnazione. Intende piuttosto insegnare agli uomini a interpretarle e a viverle nell’ottica e nella luce del Regno. Egli non ha detto, tanto per intenderci, beati i poveri perché sono poveri, ma perché di loro è il Regno dei cieli. La sofferenza, la tribolazione, il dolore non sono valori in se stessi.Sono fatti inderogabili della vita, che Gesù, annunciandone la beatitudine, ci aiuta a interpretare e a vivere con l’atteggiamento giusto.

Tuttavia, è difficile pensare all’umiltà come condizione di beatitudine, ed è difficile viverla. Noi conosciamo più facilmente una umiltà rassegnata e anche una umiltà eroica. Ma conosciamo meno facilmente una umiltà felice. Chi è contento di non valere nulla, di non sentirsi stimato? Chi è contento di avere l’ultimo posto? Eppure questa è la beatitudine della povertà. Ma per essere beati nell’umiltà bisogna che questa non sia quella epidermica umiltà di cui alle volte ci adorniamo. Insomma, l’esperienza dell’umiltà felice non è una esperienza facile (bisogna sempre e comunque considerare gli altri più importanti). E tralasciamo pure le figure di Alfredo, di Carlo e della vecchia mamma. Pensiamo invece per un momento con molta serietà alle nostre scelte di anime consacrate al Signore Gesù. Quando abbiamo intrapreso il sentiero che conduce alla casa della vita, ci siamo tagliati alle spalle molti ponti. O, almeno, ce li saremmo dovuti tagliare. Non li possiamo, poi, clandestinamente ricostruire attraverso la parola che si chiama “realizzazione di sé”.

Al contrario, i poveri sui quali Dio si china con amore e che Gesù proclama beati, sono coloro che non solo accettano la loro condizione, ma ne fanno un mezzo per avvicinarsi al Signore con fiducia, attendendo unicamente da lui ogni bene. Maria, la madre di Gesù, appartiene alla loro schiera, anzi, come dice il Concilio, “essa primeggia fra gli umili e i poveri del Signore, i quali attendono con fiducia e ricevono da lui ogni salvezza”.

Questa semplice condizione materiale non costituisce quella disposizione interiore che Gesù vuol vedere nei suoi discepoli. Chi essendo povero, non finisce mai di lamentarsi, detesta il suo stato e forse cova odio e invidia verso i più abbienti, non è povero nello spirito. Il Signore vuole la povertà umile e contenta, come quella che San Francesco ha scelto per i suoi discepoli, e che papa Giovanni XXXIII° ha praticato con tanta semplicità durante il suo pontificato.

La povertà materiale è preziosa davanti agli occhi di Dio in quanto ha la funzione di richiamo e di mezzo di distacco dai beni terreni, in quanto diventa riconoscimento della propria indigenza non solo materiale ma anche spirituale perciò sgombra il cuore dalla presunzione, dalla boria, dall’orgoglio. Allora l’umile povertà diventa disponibilità a Dio, apre a lui il cuore dell’uomo, e per riscontro Dio apre all’uomo il suo Regno.Gli umili poveri che Gesù loda, non sono i fannulloni, gli inetti, i pigri, ma quelli che lavorando per migliorare in modo lecito la loro condizione, non sono però avidi di guadagno e di ricchezze al punto di riporre in esse il loro tesoro, dimenticando che bene più alti li attendono. D’altra parte, quando Gesù, quasi capovolgendo le beatitudini, ha detto: “Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione” (Lc.6,24), non ha condannato i beni materiali, ma il possesso e l’uso ingiusto e sregolato che fanno naufragare il cuore dell’uomo nell’unica ansia dei beni terreni, chiudendo al desiderio di Dio e alla carità verso i bisognosi. E’ la triste storia del ricco Epulone che, dato ai piaceri della mensa, non aveva un pensiero per il povero ed umile Lazzaro, mendicante alla sua porta (Lc.16,19-31).

Gesù chiede a tutti i suoi discepoli, abbiano poco o molto, di essere “poveri nello spirito” in modo che la preoccupazione per la penuria di mezzi o l’attaccamento alle ricchezze non diventi mai un ostacolo alla ricerca di Dio, non ritardi l’amicizia con lui, non appesantisca il cuore con cure eccessive per il benessere materiale.

Ma Gesù chiede a tutti anche una povertà più alta che è distacco dai beni morali e perfino spirituali. Chi ha pretese circa la stima e la considerazione della gente, chi è attaccato alla propria volontà, alle proprie idee o è troppo amante della propria indipendenza, chi cerca in Dio gusti e consolazioni spirituali, non è povero bello spirito, ma ricco possessore di se stesso.

Il tutto non è niente di più di quanto ha chiesto il Signore: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Mt.16,24).