Le tentazioni

Duccio di Buoninsegna - predella della maestàCari fratelli e sorelle, immaginiamo una giovane e affascinante sposa che ama, contraccambiata, il suo sposo; pensiamo ora a lei in un centro commerciale per spese, e pensiamo ad uno che la nota, si invaghisce e la desidera ardentemente tanto da rintracciare dove abita, come si chiama, per cercare di trascinarla a disonorare il letto nuziale e tradire la fiducia del marito; pensiamo allo spasimante che le invia messaggi d’amore e altre attenzioni secondo il suo progetto di conquista.

Questo il fatto, non nuovo soprattutto al giorno d’oggi; ora analizziamolo: la sposa riceve le missive e le attenzioni, magari accompagnate da mazzi di fiori, scoprendo l’intenzione dello spasimante; la sua reazione può risultare piacevole o ripugnante; infine può decidere per il sì o per il no alla proposta.

Come possiamo notare, allo stesso modo Satana vedendo un’anima che ha fede e ama Gesù, le invia tentazioni e suggerimenti con i quali:

  • il peccato viene proposto;
  • alla proposta si prova piacere o dispiacere;
  • si acconsente o si rifiuta.

I gradini per cedere al male, come possiamo notare, sono tre: la tentazione, il piacere, il consenso.

E’ vero che questi tre momenti non sempre è facile distinguerli chiaramente in ogni genere di peccato, ma sono molto evidenti e distinti concretamente nei peccati di chiara gravità.

Rammentiamoci sempre che se anche la tentazione di un peccato ci tormentasse tutta la vita, non potrebbe renderci sgraditi a Dio, l’essenziale è che non ci piaccia e che non acconsentiamo. Il motivo è che nella tentazione noi non siamo attivi, ma passivi, e siccome non proviamo alcun piacere, non possiamo essere colpevoli.

San Paolo sofferse lungamente le tentazioni della carne e non per questo dispiacque a Dio; anzi, Dio era glorificato nelle tentazioni; la Beata Angela da Foligno provava tentazioni carnali così crudeli che, solo al racconto, si prova compassione per lei. Anche le tentazioni patite da San Benedetto e da San Francesco, allorché uno si gettò nella neve e l’atro nelle spine per mitigarle, erano terribili, ma non per questo persero la grazia di Dio; anzi, la grazia in essi aumentò.

L’insegnamento che ne ricaviamo è che dobbiamo essere coraggiosi, calmi e pazienti, quando siamo afflitti da tentazioni, e non dichiararci mai vinti finché ci disgustano; teniamo sempre presente la differenza che esiste tra avvertire e acconsentire; è possibile percepirle pur provando dispiacere, ma invece non è possibile acconsentire senza provare piacere in esse, e il motivo è molto semplice: il piacere è il gradino che precede il consenso.

Noi viviamo una stagione dove siamo bombardati in ogni istante da input fuorvianti, sollecitati con ogni tipo di esca, invito o suggerimento che si pone in attesa sulla soglia della porta della nostra mente, del nostro cuore e della nostra anima cercando di introdursi prepotentemente per portarci al disastro. Ma finché da parte nostra, con l’aiuto di Gesù, saremo decisi a rifiutare, non è possibile che offendiamo il Padre celeste.

Richiamiamo alla memoria l’esempio iniziale della giovane sposa: il marito non può incolparla delle missive e delle altre attenzioni ricevute, se lei non si è compiaciuta. Tuttavia dobbiamo tenere presente che tra l’anima e la sposa c’è una differenza: la giovane donna, dopo avere ricevuto la proposta peccaminosa ed adulterina, se lo vuole, può distruggere e gettare nei rifiuti quanto le è stato recapitato e non pensarci più; mentre non è sempre in potere dell’anima non continuare a provare la tentazione, anche se è in suo potere non acconsentire; ecco perché, anche se la tentazione persiste e rimane a lungo, può non nuocerci finché la troviamo disgustosa.

Quanto al piacere che può seguire la tentazione, poiché abbiamo due parti, un corpo ed un’anima, una esteriore e una interiore, e visto che l’interiore non sempre segue l’esteriore, anzi se ne mantiene indipendente, può capitare spesso che la parte interiore si compiaccia nella tentazione, senza il consenso, anzi contro il gradimento della parte esteriore: è questa la lotta e la guerra descritta da San Paolo, quando dice che la sua carne brama contro il suo spirito, che c’è una legge delle membra e una dello spirito.

Non so quanti di voi si ricordano del braciere con il fuoco coperto sotto la cenere che si usava molti decenni orsono. Ebbene, dopo l’uso, in genere il mattino successivo, si andava a cercare il fuoco. Si rovistava sotto la cenere e se ne trovava soltanto un poco nel mezzo; tuttavia c’era e con quello si riaccendevano altri carboni spenti.

La stessa cosa avviene della carità, che è la nostra vita spirituale, soffocata da grandi e violente tentazioni: la tentazione stimola il piacere alla parte interiore e può dare l’impressione di coprire tutta l’anima di cenere e ridurre l’amore di Dio allo stremo, perché non si trova più da nessuna parte, meno che al centro del cuore, nascosto in fondo allo spirito; sembra proprio che non ci sia più e si fatica a trovarlo.

Eppure c’è ed esiste sul serio, perché anche se tutto è torbido nella nostra anima e nel nostro corpo, noi abbiamo fatto il proposito di non acconsentire al peccato; il piacere che provoca il nostro uomo esteriore, dispiace a quello interiore, anche
se circonda ogni lato della nostra volontà, l’importante è che non sia entrato in essa: da ciò appare evidente che si tratta di un piacere involontario, e quindi non può essere peccato.