Consolare gli afflitti

San Paolo traduce con queste parole l’opera di misericordia “consolare gli afflitti”: “godere con chi è lieto e piangere con chi soffre”.

Certamente è più facile la prima parte, godere con chi gode; è più difficile piangere con chi piange.

Eppure ci sono tante situazioni di sofferenza che si incontrano in continuazione nella vita: una disgrazia, una malattia, un dissesto finanziario, uno sfratto, una famiglia che si sfascia, genitori anziani e abbandonati: “Quando una persona vive in una di queste situazioni, molto spesso si trova sola con la propria sofferenza; anche gli amici girano al largo. Anzi è proprio qui che si riconoscono i veri amici. Forse anche ciascuno di noi deve pentirsi di avere lasciato sole persone che conosceva nel momento della sofferenza, mentre si sarebbero attese una nostra presenza: ne avevano bisogno, ne avevano diritto. Noi ci scusiamo dicendo che non abbiamo avuto tempo, che avevamo troppe cose da fare, che proprio non potevamo: in realtà abbiamo avuto poco cuore, poco amore”.

Ovviamente, “non si tratta di parole: anzi le parole, quando uno soffre, servono poco. E tanto meno servono alcune espressioni convenzionali e formali: un biglietto di condoglianze, la ghirlanda di fiori, l’inserzione sul giornale. Sono spesso formalità inutili, che non dicono nulla, che non coprono il vuoto di umanità e di amore”. “Quello che conta nella sofferenza è il rapporto umano, vero, autentico che può essere espresso anche con una visita, una telefonata, una lettera; ma questi segni devono servire a stare vicino con amore: è il flere cum flentibus, piangere con chi piange.

Il dolore vissuto accanto a chi ha fede è una crescita per tutti. Più difficile è quando non c’è questa luce. Allora “la forma di consolazione in questi casi è una vicinanza sincera, discreta, rispettosa, affettuosa, frutto di umanità viva e di sincero amore”.

Amen,alleluia, amen.

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