L’amicizia

Per parlare di questo legame ho riflettuto a lungo. Ho scoperto che, al di là dei fatti istintivi, ci vogliono delle grandi motivazioni affinché ci si possa fidare di un altro essere umano. In questo ci riesce Gesù Cristo, e io mi sono ispirato al suo insegnamento.

San Paolo ha detto: “Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così radicati e fondati nella carità, siete in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siete ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef.3,17-19).

E’ sempre la lettura e l’interiorizzazione della Bibbia (del suo contenuto) che ci fa comprendere cosa significa amicizia.

Il primo riscontro che troviamo è l’amicizia di Dio con Abramo. Egli lo mette alla prova chiedendogli di sacrificare suo figlio, però una volta superata, Dio gli dona incondizionatamente il suo amore.

Ha risalto l’amicizia fra Davide e Gionata che racchiude l’ideale dell’amore. Siamo già nella rivelazione e inizia ad avere i connotati del cristianesimo, pur non possedendo la soprannaturalità del Messia.

“Quando Davide ebbe finito di parlare con Saul, l’anima di Gionata s’era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso. Gionata strinse con Davide un patto, perché lo amava, come se stesso. Gionata si tolse il mantello che indossava e lo diede a Davide e vi aggiunse gli abiti, la spada, l’arco e la cintura” (1^Sam.18,1;3,4).

Continuando nella ricerca, il Salmo 133 parla di amicizia, qui però si compie un passo in avanti perché chi è amico deve sentirsi anche fratello.

E’ come una consacrazione, dove c’è amicizia, c’è l’amore e quindi la benedizione di Dio Padre.

Risulta chiaro, ormai, che questo ideale di condivisione di amore doveva poi realizzarsi nella vita di Gesù e nella Chiesa.

La passione dominante nella vita di Gesù fu il suo rapporto con il Padre. Egli interpretò i legami famigliari, il matrimonio e l’amicizia alla luce di questa divina intimità. Infatti ha detto:“Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre” (Mc.3,35).

Egli divenne l’amico per eccellenza. Realizzò molte relazioni di amicizia con persone adulte. Era intimo amico di Lazzaro e delle sue sorelle, degli apostoli, specialmente Pietro e Giacomo, ma soprattutto di Giovanni il discepolo prediletto. E tuttavia queste amicizie egli le interpretava nei termini della sua unione con Dio Padre e disse: “Vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv.15,15).

Come possiamo comprendere, cari fratelli e sorelle, si evince che l’amico desidera essere il più possibile vicino alla persona che ama e vuole farlo attraverso una reciproca autorivelazione. Tuttavia, il fatto che siamo persone distinte rende la cosa oltremodo difficile . L’apostolo Paolo ne spiega il motivo: “Chi conosce i segreti dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui?” (1^Cor.2,11). In altre parole, mentre abbiamo una diretta consapevolezza di noi stessi, si può avere una conoscenza solo parziale e indiretta degli altri, indipendentemente da ciò che essi ci dicono di sé.

Gesù aveva una diretta consapevolezza di se stesso, ma poiché al momento del Battesimo fu riempito di Spirito Santo, ebbe una diretta conoscenza del padre; fra loro non c’erano più barriere. Perciò ha detto: “Tu, Padre, sei in me e io in te” (Gv.17,21).

Era esattamente questa conoscenza di Dio che Gesù non poteva comunicare agli apostoli suoi amici. Essi infatti ascoltarono le sue parole e le compresero fino ad un certo punto, ma non riuscirono a condividere questo senso di intimità amichevole con Dio. Gesù concluse che le sue parole, non importa quanto fossero eloquenti, non sarebbero bastate. Solo lo Spirito Santo sarebbe stato in grado di far loro capire l’essenza del tutto. Disse, infatti: “E’ bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò” (Gv.16,7).

Dicendo così, Gesù si riferiva alla sua morte e alla sua resurrezione. Gesù vide la sua morte come un sacrificio di amicizia, perciò ha detto:”Nessuno ha un amore più grande di questo:dare la vita per i propri amici” (Gv.15,13).

Con la sua morte sulla croce. Gesù avrebbe reso il suo Spirito al Signore. Allora il Padre avrebbe riversato lo stesso Spirito su tutti coloro che avrebbero creduto in suo Figlio.

Quindi le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce:“Padre, nelle tue meni rimetto il mio Spirito” (Lc.23,46), furono una necessaria preparazione per la Pentecoste. Le promesse furono esaudite. Egli non era più con loro fisicamente, ma era molto vivo dentro i cuori. San Paolo poté affermare: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal.2,20).

A questo punto risulta chiaro che l’amicizia è una grazia, un dono soprannaturale. E’ il dono per eccellenza che Cristo fa a noi per volere del Padre, completato dall’effusione dello Spirito Santo. Allora, fratelli e sorelle, proviamo a rileggere il Vangelo. Noteremo che il filo conduttore del suo insegnamento è proprio questo: l’amore. Quindi se l’amicizia è amore, è anche carità. Perché amore e carità, sono, insieme, il solo sentimento esistente fra i cristiani di fede.

Ma analizziamo alcuni ingredienti di una vera amicizia cristiana da coltivare con l’aiuto del Signore.

Tra amici esiste una certa affinità, un legame spontaneo. Essi sanno che la loro relazione si basa su un sentimento di uguaglianza. E’ da lì che si incomincia. L’amore che provano gli uni per gli altri fa si che le differenze relative alla cultura, alla condizione sociale, e alle possibilità economiche diventino irrilevanti. Di solito si impegnano a essere sinceri e fedeli. A questo punto, però, apro una breve parentesi, perché vale la pena sottolineare come si sia sempre scritto e detto poco sull’amicizia fra uomo e donna e quel poco tende ad avere un tono negativo e cauto. Il motivo deriva innanzitutto dal timore di complicazioni sessuali (per il cristiano non dovrebbe rappresentare il problema più importante), ma piuttosto dalla convinzione che uomini e donne non siano uguali. Conseguentemente, un uomo non può essere amico di una donna (lei in definitiva è solo un oggetto sessuale). Nondimeno la presa di coscienza dell’uguaglianza della donna in quanto essere umano, ha modificato tale stato di fatto. Anche perché il Signore ha detto: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile” (Gn.2,18).

Oserei affermare che per realizzare il proprio potenziale di essere umano ogni persona dovrebbe sperimentare una vera amicizia in Cristo con qualcuno di essere opposto.

Tuttavia, dobbiamo tenere presente che esistono tre possibili motivi per un’amicizia, essi sono: interesse, piacere e buona volontà. Però solo quest’ultima stabilisce le basi di una vera amicizia, perché essa è una virtù donataci da Cristo Gesù.

Le amicizie basate sull’interesse sono molto frequenti. Questo perché le persone cercano di appagare i propri bisogni materiali, più che quelli degli amici. E’ chiaro che stiamo navigando nell’egoismo.

Anche le amicizie che si fondano sul piacere sono molto comuni, specialmente quelle motivate da un’attrazione fisica. Infatti, nonostante ripetute dichiarazioni d’amore, queste relazioni poggiano solo sul fatto del soddisfacimento dei reciproci desideri sessuali in netto contrasto con l’essere cristiani.

Al contrario, la vera amicizia, quella cristiana per intenderci, poggia sul fatto che una persona sente, avverte, percepisce che i bisogni dell’altra sono importanti quanto i suoi.

L’amore cristiano consiste nella volontà di impegnare il proprio io per favorire la propria crescita spirituale e quella dell’altra persona. Possiamo ben comprendere che quando questo tipo di amore diventa la dinamica fondamentale in una relazione, interessi e piacere diventano una conseguenza e non il motivo per l’amicizia.

Ma ci vuole anche fiducia. E’ come durante la crescita, il primo ostacolo grande che si incontra è quello di imparare a fidarci delle persone che ci circondano. Il traguardo è di vitale importanza, perché da esso dipende la capacità di instaurare rapporti confidenziali con gli altri. Infatti come potrebbe una persona rivelare i propri pensieri e sentimenti profondi se temesse di essere rifiutata o tradita? La fiducia e l’amicizia, vanno di apri passo. E questo tipo di fiducia viene suscitata dalla consapevolezza di essere con Gesù e di essere accettati, rispettati, desiderati ed amati. Ma non è ancora sufficiente. Ci vuole anche un altro ingrediente molto importante nell’amicizia: la lealtà.

“Se intendi farti un amico, mettilo alla prova” (Sir.6,7). Che in altre parole significa che le amicizie hanno bisogno di un periodo di prova. Se la persona si rivela adatta, essa mostrerà amicizia, amore e lealtà. Ogni amico dice: “Anch’io ti sono amico” (Sir.37,1).

Rammentiamoci sempre gli esempi dell’amicizia descritti nella Bibbia. E ricordiamoci sempre che “nell’amicizia niente è più lodevole della lealtà, della quale è nutrice e custode”.

Però c’è da mettere in preventivo che anche i migliori amici, a volte, si fanno del male a vicenda. Questo è inevitabile, soprattutto quando si ricerca un’unione, poiché nessuno è perfetto. Per debolezza, per rancore, per l’ascolto di una maldicenza, per incomprensione, perché non si ha il coraggio di chiedere spiegazioni o per tutti quei motivi che racchiudono la sfera interpersonale, può capitare che alcuni si dicano o facciano cose di cui poi si pentono. Se poi questo porta offesa, questa genera rabbia e l’affetto può essere oscurato dall’amarezza e dal risentimento che va a stabilirsi nelle profondità dell’inconscio provocando malesseri ancora maggiori. In questi casi l’unico rimedio è il perdono immediato, che per il cristiano è regola di vita, perché Gesù stesso ha perdonato i suoi carnefici. Come possiamo ben vedere si tratta di un umile gesto di buona volontà. Di lealtà, di fiducia per chiedere perdono di avere causato dolore e per perdonare a nostra volta chi ci ha ferito, anche se pare esista una certa qual freddezza nei rapporti. In questo modo, l’amicizia in Cristo ci insegna tutto. Perdonando coloro che amiamo, impariamo anche a perdonare coloro che non amiamo e noi stessi. Ma se perdoniamo, significa anche che abbiamo rispetto di noi stessi e degli altri. In questo modo evitiamo di fare l’uno all’altro cose che vanno contro la coscienza di ciascuno. Questo fatto è molto importante: il timore di arrecare dolore ci deve fare riflettere. Non dobbiamo fare nulla di disonesto, e se ci viene richiesto dobbiamo respingere la domanda, magari dicendo il bene della persona in oggetto. E’ inaccettabile commettere un reato, fisico o morale, e poi scusarsi dicendo che lo si è fatto per un amico.

Se tutto quanto sopra descritto lo si mette in pratica con l’aiuto dello Spirito Santo, è anche vero che tra gli amici si instaura un rapporto di intimità che si esprime nel desiderio di conoscere la vita interiore dell’altro e nella capacità di condividere la propria. Ecco perché gli amici si ascoltano con empatia, piuttosto che con apatia e simpatia.

Chiariamoci questo punto.

Ascoltare con apatia significa che l’interesse è concentrato sui fatti e sulle idee piuttosto che sulla comprensione della persona. Uno confessa di sentirsi depresso e colpevole perché non ha la volontà sufficiente per cessare di fumare. L’amico che l’ascolta con apatia, chiede:”Ne fumi molte? Quanti tentativi hai fatto?” Dopo avere avuto la risposta risponde: “Eh sì, in effetti fumi troppo. Devi veramente smettere!”. Il fumatore sa già che deve prendere provvedimenti drastici senza che l’amico glielo ribadisca. Ma il fatto che l’amico non comprenda il suo problema non farà altro che peggiorare la situazione, e lui, con più facilità, continuerà a fumare troppo.

La stessa situazione proponiamola ad un interlocutore che ascolta con simpatia. In questo caso si abbandona l’obiettività e si cerca di condividere i sentimenti dell’amico che confessa il suo problema. Vale a dire, se colui che ascolta cerca di comprendere il problema della persona che ha di fronte con simpatia, ascoltata l’esposizione del fatto, si sente così depresso che anche lui si accende una sigaretta, magari più leggera, ed insieme cercano di consolarsi. Risulta chiaro che condividere il sentimento in questo modo significa diventare parte del problema e questo atteggiamento non è utile per nulla.

Invero se l’amico lo ascoltiamo con empatia, significa che riconosciamo che cosa sente lui e rispondiamo emotivamente al suo sentimento, senza però doverlo condividere. In questo caso l’amico che ascolta dirà:”Ho provato molta tenerezza per te quando mi sono reso conto di come l’ansia e la colpevolezza di non riuscire a smettere di fumare te ne fanno consumare maggiormente”.

Ecco, questo tipo di atteggiamento e di risposta aiuta l’amico, perché si sente accettato e capito.

Conseguentemente potrebbe iniziare a fumare di meno.

Ma c’è un altro motivo per cui necessitiamo di ascoltare con empatia.

Il buon ascoltatore evita di parlare di se stesso. Mi spiego con un esempio. A volte capita, più spesso di quanto non si creda, che le parole di un amico ci riportino alla mente un ricordo o un sentimento particolare. Parlare di un caso di morte ci può far rammentare un avvenimento luttuoso nella nostra famiglia. Succede così che possiamo cominciare ad ascoltare l’amico con le migliori intenzioni, però, ad un certo punto ci lasciamo travolgere e diciamo:“Scusa se ti interrompo. So quello che stai passando, il dolore che provi. Anch’io ho vissuto la tua stessa esperienza e..” Alla fine, invece di essere noi ad ascoltare l’altro, stiamo in realtà chiedendo all’amico di ascoltare noi.

Nonostante le nostre buone intenzioni, questo tipo di situazione non giova molto all’altro.

Ma vi è un altro aspetto dell’amicizia che possiamo definire confessionale, cioè la riservatezza. A mio avviso non c’è niente di peggio che ascoltare qualcuno mentre racconta un segreto che avevamo confidato ad un amico. Può seriamente compromettere la fiducia su cui si basa il rapporto. Sempre nella Bibbia, nel libro del Siracide: “Anche se hai usato la spada contro un amico, non disperare: potete tornare ancora amici. Se hai criticato un amico a tu per tu, non temere perché potete riconciliarvi; invece se l’hai insultato con arroganza, se hai tradito le sue confidenze o l’hai attaccato a tradimento, qualsiasi amico se ne andrà”(Sir.22,21-22).

Capiamo che un siffatto comportamento distrugge le vere fondamenta dell’amore.

Per completare questa breve analisi comportamentale sull’amicizia cristiana non possiamo esimerci dal parlare della correzione. In qualche misura noi tutti siamo incapaci di vedere i nostri errori, almeno sino a quando non diventeremo perfetti come vuole il Signore.

Vediamo la pagliuzza che è nell’occhio del fratello e non vediamo la trave che c’è nel nostro. Gli amici, invece, dal momento che si vogliono bene in Cristo e sono impegnati nella reciproca crescita, accettano le correzioni con uno spirito di fiducia.

L’apostolo San Paolo nelle raccomandazioni finali nella 1^ lettera ai Tessalonicesi ha scritto: “Vivete in pace tra voi. Vi raccomando, fratelli: rimproverate quelli che vivono male, incoraggiate i paurosi, aiutate i deboli, siate pazienti con tutti: Non vendicatevi contro chi vi fa del male, ma cercate sempre di fare del bene tra voi e con tutti. Siate sempre contenti. Pregate continuamente, e in ogni circostanza ringraziate il Signore. Dio vuole che voi facciate così, vivendo uniti a Gesù. Non ostacolate l’azione dello Spirito Santo. Non disprezzate i messaggi di Dio: esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono. State lontano da ogni specie di male” (1^Tess.5,14-22).

Sempre San Paolo ha detto:”Dire la verità nella carità”(8Ef.4,15).

La Bibbia ci insegna che Dio vive in ciascuno di noi e sappiamo come questo avviene mediante la potenza dello Spirito Santo donatoci da Gesù. A mano a mano che l’amore unisce gli amici questo porta a condividere gli stessi sentimenti, diventando veramente fratelli e sorelle in Cristo Gesù; non solo, ci avviciniamo al Padre nel quale viviamo, ci muoviamo ed esistiamo scambiandoci l’un l’altro il dono dell’amore e dell’accettazione così diventiamo, gli uni per gli altri, parabole della presenza di Gesù stesso. Una volta preso atto di ciò, ciascun amico viene a contatto col suo io più profondo, radicato nell’amore di Dio. Cosicché noi, uniti nell’anima e nel cuore, arriviamo a sperimentare la verità della parola di Gesù:“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt.18,20).

L’amicizia è meravigliosa perché proviene da Dio, ma lo è anche perché insegna a pregare com’unitariamente. Nel VT la preghiera era interpretata come amicizia con Dio. Nell’Esodo leggiamo come Mosé parlava al Signore, entrando nella tenda del convegno, cioè il luogo della loro amicizia, e quando entrava veniva avvolto dalla nube della presenza divina, ossia lo Spirito Santo. Potremmo affermare, con le parole di Santa Teresa D’Avila, che “la preghiera non è altro se non un rapporto d’amicizia, un trovarsi frequentemente con chi sappiamo che ci ama”.

Infatti la dinamica della preghiera è la stessa che ci coinvolge in ogni amicizia intima: una profonda apertura di noi stessi a Dio e un’attenzione piena di amore alla rivelazione che Egli ci fa di sé.

Dal momento che sappiamo che Gesù è il nostro più caro amico, noi gli sveliamo tutti i nostri segreti più intimi.

Qualcuno dirà: “Ma perché svelarli? Non li conosce già?”.

Certo, ma Egli vuole che siamo noi a parlargliene, non perché ne abbia bisogno, ma perché sa che ne abbiamo noi. E i motivi principali sono due:

1°- L’impulso dell’amore consiste nel dare, e il più grande dono che possiamo fare al Signore è il dono di noi stessi;

2°- questo tipo di sincerità apre il cuore alla rivelazione reciproca.

Se nascondiamo a Gesù le nostre esperienze, restiamo chiusi alle sue ispirazioni. Quindi con la preghiera personale e comunitaria noi andiamo al di là dei fatti e delle idee per condividere le nostre esperienze e i nostri sentimenti più profondi. Parliamo con Dio Padre di ciò che proviamo per lui. Esprimiamogli i nostri sentimenti quali arrabbiature, parliamogli di gioia, di tristezza, di immagini crudeli viste alla televisione o lette sui giornali, di noi stessi, dei nostri sensi di colpa, dei comportamenti non troppo amorevoli ecc…proprio come se stessimo parlando col nostro papà.

Si, lo so che non è troppo difficile parlare al Signore dei nostri sentimenti positivi. Il problema sorge nel momento in cui dobbiamo esprimere sentimenti negativi di rabbia, di odio, di maldicenza, di paura, di ansietà, di gelosia, di invidia, di desideri strani ecc…

E’ anche possibile che si cerchi di reprimere tali sentimenti considerandoli sbagliati o non appropriati, ma così facendo si creano altri problemi come la depressione. In questi casi la preghiera diventa qualcosa di formale, possiamo continuare a compiere gli stessi gesti, ma il Signore ci appare distante ed irreale.

Al contrario, preghiamo in maniera intima e gioiosa quando esprimiamo al Signore tutti i sentimenti, senza nessuna eccezione. Questo dialogare porta un unico risultato, la piena felicità della consapevolezza dell’amore di Gesù per ognuno di noi. Ed è in momenti come questi, di questa commozione gioiosa, che ci si rende conto di questo amore, tanto che il cuore sembra ardere nel petto.

A mio parere, tra i molteplici aspetti della venuta di Gesù sulla terra, quello più bello ed emozionante sta nel fatto che l’Amore Divino ha trovato un volto umano.

Penso che l’amicizia, come la comunità cristiana, è il Corpo di Cristo, e deve mostrare come l’amore trasforma tutto ciò che è veramente umano. L’amicizia cristiana lo fa, poiché ci insegna ad amare, ci prepara ad essere compassionevoli nei riguardi degli altri e crescere nella grazia. Come nel pane, l’azione degli amici fermenta come lievito di grazia nella più vasta comunità.

A completamento di tutto quanto sopra descritto leggiamo l’inno all’amore scritto dall’Apostolo Paolo ai Corinzi, cap.13.

Un ultimo pensiero:“Chi diventa amico di un essere umano, diventa amico di Dio”.

Amen,alleluia,amen.