Atti degli Apostoli

Nonostante problemi e contraddizioni, la vita comunitaria della chiesa, che abbiamo considerato precedentemente, testimonia comunque una situazione vissuta e sperimentata da coloro che ne fanno parte. Potremmo chiamare tale situazione “salvezza” e la pericope che abbiamo appena riletto insieme vi fa cenno verso la fine:

“Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (At.2,47).

Evidentemente il termine “salvati”, riferito a coloro che si aggregavano alla comunità cristiana, proietta la sua luce anzitutto sulla comunità stessa, che si percepisce come oggetto e come luogo di salvezza (proprio come la nostra comunità); ma in definitiva, da dove viene questa percezione e che cosa significa concretamente per coloro che la vivono?

Rispondere a questa domanda significa anche, indirettamente, mettere a fuoco contenuto e stile della missionarietà della comunità, così come appare negli Atti.

La prima constatazione da fare è che la comunità ecclesiale primitiva, dopo la resurrezione del Signore, la sua ascensione al cielo e la Pentecoste, avverte di essere entrata nel tempo ultimo, nel quale le promesse fatte a Israele attraverso i patriarchi e i profeti sono compiute, Non solo: esse sono compiute in maniera sovrabbondante, perché non sono rivolte più solo a Israele, ma a tutto le genti.

Questa coscienza in particolare si fa strada molto lentamente nella chiesa che, alle sue origini, è tutta e solo giudaica; e gli Atti oltre a fornirci la testimonianza di questa apertura d’orizzonte, mostrano anche quanto questo cammino sia stato lungo, controverso e talora doloroso.

Che i cristiani si percepiscano “salvati” significa, inoltre, non degli scampati a un evento catastrofico, ma persone liberate dal male e da una situazione di male per un preciso disegno di Dio.

“Salvatevi da questa generazione perversa” (At.2,40).

Dice Pietro il giorno di Pentecoste, intendendo parlare di un giudizio di condanna che incombe sul mondo e sulla sua mentalità.

Tale liberazione dal male e dal giudizio sul male, dal peccato e dalla morte, che in Cristo si rende accessibile a tutti, è ciò che gli atti chiamano “salvezza”. Salvati sono perciò coloro che nell’adesione all’evento di Gesù Cristo configurano ad esso la loro vita in un cammino di conversione personale e comunitaria.

Non si tratta di un pietismo, ma di una forza in grado di sconvolgere il mondo che, con il suo peccato, pronuncia su di sé la propria condanna.

Il riferimento a Gesù Cristo, allorché gli Atti parlano di salvezza, non è sempre esplicito, ma è comunque costante. Gesù è il Salvatore (At.5,31; 13,23), colui nel cui nome si può essere salvato (At.4,12), potremmo dire che la salvezza è solo “cristiana”, cioè che è vera salvezza solo in quanto si fonda su Gesù e a lui rimanda.

La comunità che vive nella comunione, andando contro la mentalità del mondo, vuole essere un segno fortemente connotato dalla vittoria sul peccato che Cristo partecipa ai suoi. Non si tratta quindi di una salvezza che riguardi delle scelte puramente personali o degli ambiti puramente spirituali, né si addice ad essa il nome di “ideale”. Per i cristiani la salvezza è un fatto e la comunione ne è il segno: essa cambia la vita di chi la accoglie in tutti i suoi aspetti e le sue dimensioni.

La potenza salvifica di Gesù Cristo, inoltre, si manifesta e si rende operante nella sua sofferenza. Come già la parte conclusiva del Vangelo di Luca (Lc.24,13-35), anche gli Atti mostrano di sapere che il Cristo è salvatore sofferente. Leggiamo, in particolare, l’episodio dell’incontro tra Filippo e l’Etiope (At.8,26-40) la citazione esplicita e l’applicazione a Gesù di Isaia 53.

Tale insistenza da parte di Luca, che mette sempre in bocca agli apostoli il ricordo della morte di Gesù come parte irrinunciabile della fede, oltre a dirci che la salvezza è venuta attraverso la sofferenza, indica allo stesso tempo lo stile a cui i “salvati” si devono adeguare.

La chiesa fa suo il modo di salvare di Gesù e come egli si fa carico del peccato del mondo, essa prende su di sé le sofferenze degli uomini e dà ad essi consolazione, annunciandone e promovendone la liberazione. Tutto ciò, appunto, non potrà essere indolore per la comunità cristiana, e tuttavia essa è salvata per salvare.

Il fatto cioè che ogni giorno il Signore aggiunga ad essa altri membri, non è particolare secondario della narrazione né un accenno vagamente trionfalistico, benché testimoni la fecondità di un tipo di vita, ma indica anzitutto un atteggiamento di sequela del Signore nella solidarietà verso gli uomini.