Chi è per noi

Gesù non risponde direttamente quanto alla propria identità, ma si appella ad un evento:

“Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete:
i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano,
i lebbrosi sono mondati, i sordi riacquistano l’udito,
i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella.
E beato colui che non si scandalizza di me”(Mt.11,4-6).

Dunque un fatto si è realizzato, quello di cui parlava il profeta Isaia (29,18; 35,%; 61,1), e questo fatto è rivelatore della realtà di Gesù, d’altra parte le rivelazione deve pur presentare qualcosa di anomalo, se subito dopo egli dichiara “beato” chi non si scandalizza di lui.

Il fatto è che la domanda riceve una risposta che per un certo segno risponde alle attese degli uomini: Gesù si identifica con la liberazione, la libertà, la vita. In parte invece essa scardina queste attese: Gesù libera a prezzo della sua personale libertà, vivifica a prezzo della sua vita, si pone cioè come uno che risponde in prima persona, senza demandare ad altri la propria identità. Gesù non definisce se stesso in opposizione o per differenza rispetto ad un altro, ma per sé e per il dono della propria vita.

IL VIVENTE

In questo senso egli è il vivente, colui cioè che non ha bisogno di definirsi in relazione ad altri, ma colui che domina la propria vita 8Gv.10,18), liberamente la dona e la suscita, può guarire e far vivere:

“Io sono il primo e l’ultimo e il vivente. Io ero morto,
ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e
sopra gli inferi” (Ap.1,17-18).

Se la precedente dichiarazione ai discepoli di Giovanni Battista parla del compimento di una profezia e di una vita realizzata in un oggi storico preciso, quello di Gesù di Nazareth, questa seconda proclamazione pare portarci oltre la storia.

Poiché Gesù ha liberamente vissuto la propria morte, è il vivente in eterno e la sua vittoria non riguarda singoli casi di malattia o di deprivazione, ma è assoluto, un fatto irreversibile che nulla e nessuno può contrastare. Ci riguarda questa sua vita? Ha un qualche senso per noi questa sua vittoria?

Certamente noi viviamo una realtà difficile, colma di incertezze, e potrebbe accadere che qualcuno pensi a questa vita che è “oltre” e a questa vittoria che è altrettanto “oltre”, come a una fuga in avanti, una sorte di abdicazione dalle lotte concrete che l’esistenza ci mette davanti.

Dobbiamo stare attenti a non lasciarci irretire. Questa vittoria è, infatti, già realizzata e ancora da realizzare.

I VIVIFICATI

A questo punto allora parleremo di noi. Gesù è il vivente, l’alfa e l’omega, colui che era, che è e che viene (Ap.1,8), ma noi, chi siamo?

Perché sperimentiamo ancora solo quell’aspetto della liberazione e della vittoria che deve compiersi, anziché vivere già la pienezza della vita?

In realtà, noi possiamo definirci veramente solo in relazione a Gesù per essere noi stessi: lui pastore, noi gregge; lui vite, noi tralci; lui il vivente, noi i vivificati; coloro che conmorti, consepolti e conrisorti con lui grazie al battesimo, sono partecipi della sua vita.

Noi ci definiamo, rispetto a lui, totalmente noi stessi quanto più a lui conformati nelle nostre scelte quotidiane, che ci portino a spendere la nostra vita secondo il modello della sua.

E’ vivendo coraggiosamente la nostra vita e la nostra morte, vivendo cioè il nostro battesimo, che ci realizziamo come persone e partecipiamo alla vittoria di Cristo Gesù. Ma appunto, anche per noi, si tratta di scegliere di vivere la propria morte, non cioè di rifugiarsi “oltre” ma, ben radicati nel presente, di vivere come Cristo e in Cristo. Non è cosa da poco ma, appunto:

“CHI AVRA’ TROVATO LA SUA VITA, LA PERDERA’;

E CHI AVRA’ PERDUTO LA SUA VITA PER CAUSA

MIA, LA TROVERA’”

(Mt.10,39)