Il fariseo e il pubblicano

“Poi Gesù raccontò un’altra parabola per alcuni che si ritenevano giusti e disprezzavano gli altri. Disse: “Una volta c’erano due uomini: uno era fariseo e l’altro era esattore delle tasse. Un giorno salirono al tempio per pregare. Il fariseo se ne stava in piedi e pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini: ladri, imbroglioni, adulteri. Io sono diverso anche da quell’esattore delle tasse. Digiuno due volte alla settimana e offro al tempio la decima parte di quello che guadagno”.
L’agente delle tasse invece si fermò indietro e non voleva neppure alzare lo sguardo al cielo. Anzi si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me: sono un povero peccatore!”.
Vi assicuro che l’esattore delle tasse tornò a casa perdonato; l’altro invece no. Perché “chi si esalta sarà abbassato; chi invece si abbassa sarà innalzato”.

Commento

Gesù narrando questa parabola ci parla ancora della preghiera. Egli c’insegna che la preghiera è un’esperienza spirituale d’intensa intimità con Dio che ci è Padre: una preghiera che non guarda al cielo per scordare l’umanità, ma al contrario le schiude l’orizzonte di una salvezza totale e definitiva.
La possibilità di chiamare Dio “Padre” non dipende dai nostri meriti, ma è dono dello Spirito Santo continuamente rinnovato dalla sua bontà che ha a cuore la sorte di tutti gli uomini.

Non vi siete mai chiesti come mai oggi le sètte e i movimenti religiosi esercitano tanto fascino? Una delle ragioni è senz’altro la proposta di verità indiscutibili e una prassi cultuale precisa che diano sicurezza, dispensino dal dubbio e dalla faticosa ricerca personale. Per questo nelle sètte e nei movimenti religiosi tutto è demandato al “capo carismatico”.
Ma l’obbedienza alle norme precise diventa un rassicurante quanto illusorio rifugio. Proprio come nella parabola che stiamo per commentare. Gesù, infatti, rappresenta l’atteggiamento religioso giusto o sbagliato mediante l’opposizione tra due protagonisti. Il primo è un fariseo, osservante scrupoloso della Legge, separato da quelli che egli ritiene peccatori e reprobi. L’altro è un pubblicano, cioè un esattore delle tasse a favore degli occupanti romani. E’ superfluo rammentare che gli appartenenti a questa categoria erano considerati sfruttatori e strozzini, odiati e segnati a dito dai pii israeliti. Gesù fa risaltare nettamente l’opposizione radicale tra i due personaggi nella rispettiva preghiera al Tempio.

Il fariseo dichiara la verità. E’ vero che osserva attentamente la Legge e ha grande spirito di sacrificio. Addirittura non si accontenta dello stretto necessario, fa di più. Non digiuna soltanto un giorno alla settimana, come prescritto, ma due. Egli sta in piedi, con le braccia alzate e la testa rivolta verso l’alto. Ringrazia Dio, nella forma canonica della preghiera biblico-giudaica: la lode e il ringraziamento a Dio per essere esente dai vizi degli altri uomini, e poi perché è ricco d’opere meritorie. Osserva attentamente la Legge e il compimento della volontà di Dio, anzi completa le prescrizioni rituali con pratiche supplementari.

Formalmente, come possiamo notare, si tratta di una preghiera irreprensibile, non è una caricatura, perché si tratta dello spirito del fariseismo. Il suo torto non sta nell’ipocrisia, che Gesù smaschera senza mezze misure, bensì nella fiducia nella propria giustizia. Egli si ritiene in credito presso Dio: non attende la sua misericordia, non si aspetta la salvezza come un dono, ma come premio che gli è dovuto per il bene fatto e per avere seguito le norme rigidamente.

Egli fa risalire a Dio, in un certo modo, la propria giustizia. Ha perso per strada la sua originaria dipendenza da Dio. Tant’è vero che , a parte il “Ti ringrazio” iniziale, non prega, non guarda a Dio, non si confronta con Lui, non attende nulla da Lui, né non gli domanda nulla. Si concentra su se stesso e si confronta con gli altri, emettendo giudizi piuttosto duri. E’ in questo suo atteggiamento che non c’è nulla della preghiera.
Il pubblicano, l’esattore delle tasse, è spaesato, confuso nel luogo del culto, tanto che se ne sta in fondo, quasi temesse di disturbare, di essere un estraneo. Non è neppure in condizione di assumere il contegno normale di chi prega.

Si batte il petto come un disperato, supplica istintivamente perché si sente peccatore che non è in grado nemmeno di elencare le sue colpe, sussurra, infatti: “Dio, abbi pietà di me peccatore”.

E’ consapevole di essere un peccatore, sente il bisogno del cambiamento, di una rinascita e, soprattutto, ha la consapevolezza di non poter pretendere niente da Dio. Nulla ha da vantare e nulla da esigere. Può solo sperare. Fa affidamento su Dio, nella sua misericordia, non su se stesso. Questa è l’umiltà di cui parla la parabola, l’atteggiamento che Gesù loda: non elogia la vita del pubblicano, come non ha disprezzato il fariseo.

Conclusione

La morale della parabola è chiara e semplice: l’unico modo corretto di porsi di fronte a Dio, nella preghiera e nella vita, è quello di sentirsi costantemente bisognosi del suo perdono e del suo amore. La giustizia che il fariseo vantava davanti a Dio come conquista di uno sforzo personale, il pubblicano l’ha ricevuta come dono misericordioso dal Signore.

Ovviamente Gesù non afferma che il fariseo avrebbe dovuto vivere come il pubblicano. Le sue opere sono buone, e tali restano (ci mancherebbe!). Non sono le sue azioni ad essere criticate, ma il modo di considerarle. E non perché egli le attribuisca a se stesso, come a volte si dice. In realtà le attribuisce a Dio. L’errore sta nel fatto di guardare Dio alla luce delle proprie opere. Per Gesù invece lo sguardo deve sempre andare da Dio a noi, non da noi a Dio.

Fratelli e sorelle, la nostra vita è stata pensata e voluta da Dio come una faticosa ricerca della verità, mettendo in conto anche il rischio di sbagliare. Dio non vuole semplicemente dei figli “obbedienti” (in ogni caso importante), ma dei figli capaci d’amare.

Il cristiano non è perfetto, ma un perdonato. Solo chi si sente amato e perdonato sa amare e perdonare gli altri a sua volta. Conseguentemente è giustificato, cioè salvato.

Amen,alleluia,amen.