Del tesoro e della perla

IL FATTO DELLA VITA

Al tempo di Gesù, non esisteva ancora la lotteria sportiva, ma c’era come ai nostri giorni, molta gente che cercava di essere sempre più ricca. Gente capace di vendere tutto quello che aveva, per possedere quello che cercava. Gesù Parla perfino di un tale che, per arrivare a possedere un tesoro, vendette tutto quello che aveva.

E, poco tempo fa, un tizio, quando ebbe la notizia che aveva vinto alla lotteria sportiva, vendette tutte le sue cose, salì su un aereo e se ne andò a Montecarlo con tutto il denaro.

Avere tanto denaro è il sogni di molta gente. Per realizzarlo, sono capaci di fare i più grossi sacrifici. Siamo tutti alla ricerca del tesoro. Ma pochi sono quelli che lo trovano.

Molti lo vanno a cercare nelle varie lotterie. Ogni volta che un fortunato vince un premio di miliardi, gli altri acquistano coraggio e pensano:”Chissà! La prossima volta potrebbe toccare a me!”, e continuano a giocare.

Nota: C’è qualcosa che ci spinge a giocare. File, a volte lunghissime, davanti ai botteghini del lotto. Che cos’è che spinge la gente a fare così? Il denaro soltanto? Ci deve essere sotto qualcosa di più importante.

DAL VANGELO DI MATTEO 13,44-46 LEGGIAMO LA PARABOLA

Commento

Si tratta di due parabole parallele, aventi lo stesso significato e unite alla loro origine ma caratterizzate da alcuni verbi: trovare, andare, vendere e comperare.

Comuni ai due brevissimi racconti ci sono motivi essenziali: una scoperta straordinaria, la vendita di ogni cosa, l’acquisto del terreno ove si trova il tesoro e l’acquisto della preziosissima perla.

Inoltre nella prima parabola i verbi che seguono al ritrovamento sono al presente, nella seconda al passato.

La prima parabola ha per protagonista un povero contadino che lavora nel campo del suo padrone; arando gli capita di scoprire un tesoro sottoterra.

Nella seconda è invece un ricco mercante di preziosi che va alla ricerca della perla favolosa.

Ad una prima lettura di superficie questi due personaggi sembrano i protagonisti dell’avvenimento. Sono infatti il soggetto di tutti i verbi: trovano, vanno, vendono, comprano. Ma più in profondità i veri protagonisti sono il tesoro e la perla, che si impadroniscono dei due uomini.

Il contadino e il mercante agiscono, ma solo perché sono talmente afferrati dal tesoro e dalla perla straordinaria. Ed assolutamente fuori luogo sarebbe interrogarsi sulla valutazione morale da dare al gesto del contadino che ricopre il tesoro venuto alla luce e compra il terreno. Non insistiamo neanche sui particolari della scoperta, semplice presupposto necessario della decisione dei protagonisti.

Invece non si può trascurare il motivo della preziosità di ciò che viene scoperto, perché esso rappresenta l’elemento che giustifica il loro comportamento.

Nella prima parabola viene inoltre notata la gioia della scoperta fatta dal bracciante, motivo sottinteso nella seconda.

I due racconti sono una implicita provocazione rivolta agli ascoltatori perché giudichino la scelta del contadino e del mercante. Ogni persona di buon senso non può che approvarli e trova saggia la loro decisione di non lasciarsi sfuggire l’occasione propizia e di gettare sul piatto della bilancia tutto ciò che possiedono.

Gesù vuol compromettere chi lo ascolta, spingerlo a prendere posizione nei confronti del Regno da lui annunciato come realtà che batte alla porta dell’esistenza umana.

Vedete, il contadino e il mercante vendono tutto quanto possiedono, ma in loro non c’è alcun rimpianto. Non si sottopongono a un sacrificio , ma fanno un affare: un vero e proprio colpo di fortuna che non si lasciano sfuggire.

Così è il Regno: capita davanti all’improvviso, e la scelta intelligente è lasciare tutto per entrarne in possesso. Così come hanno fatto i primi discepoli: hanno sentito l’appello di Gesù e “lasciata prontamente la barca e il padre, lo seguirono”.

Le due parabole evangeliche ci insegnano che la conversione (la quale esige un pronto e radicale distacco) nasce dall’aver trovato, dall’esperienza di un dono inaspettato e sorprendente, da un incontro che allarga il cuore: appunto la lieta notizia del Regno.

Per questo dovremmo poter dire in assoluta franchezza non”ho lasciato”, ma “ho trovato”. Non”ho venduto il campo”, ma “ho trovato un tesoro”.

Il convertito non parla con nostalgia di ciò che ha lasciato. Parla sempre di ciò che ha trovato. Non invidia nessuno, e si ritiene fortunato.

Il Regno lo si può trovare per caso come il tesoro, oppure lo si va a cercare come la perla con ostinazione.

Sta qui la vera nota evangelica delle due parabole: la radicalità del distacco è semplicemente il risvolto di un’appartenenza che la precede; appena fatta la scoperta, il contadino e il gioielliere decidono di “appartenere” interamente al tesoro che hanno trovato.
La nostra misura di discepoli credenti è l’appartenenza, non il possesso. Si lascia tutto perché si è concentrati su altro.

Come gli ascoltatori di Cristo, anche noi siamo messi con le spalle al muro. Le parabole si fanno avvenimento per noi. Non possiamo sfuggire alla responsabilità della decisione. Non resta alcun r cagionevole dubbio che anche per noi valga la pena di abbandonare tutto quanto è effimero per aprirci al futuro del Regno che ci viene incontro come dono.

Amen,alleluia,amen.