Conversione e Regno di Dio: Conversione


Gesù annuncia il Regno di Dio
La sostanza della predicazione di Gesù è riassunta in Mt.4,17: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”.

La prima parte del messaggio contiene la chiamata a una completa conversione e a un nuovo orientamento di vita. La seconda parte fornisce il motivo di questa chiamata: la dimostrazione definitiva del potere e del giudizio di Dio, e lo stabilirsi della sua legge su tutta la creazione, sono vicini. Infatti, come vedremo, l’ultima vittoria di Dio è inaugurata nel ministero di suo Figlio.

Ma che significa conversione?

Fratelli e sorelle, forse o senza forse, non si è lontano dal vero quando si afferma che la parola conversione evoca alla mente, nella più diffusa credenza cattolica, una realtà moralistica ed individualistica. Si pensa subito, in generale, a chi presenta una esistenza scadente, magari al vicino di casa che non frequenta la Chiesa, oppure a chi non è praticante. Non parliamo poi degli atei dichiarati. E si ritiene che costoro hanno bisogno di conversione, mentre essa non riguarderebbe il benpensante ed è esclusa dalla vita di colui che offre una facciata pulita allo sguardo del più severo censore morale.

Vi pare che sia giusto ridurre la conversione a un processo di correzione da deviazioni morali? O non si deve piuttosto spingere molto più a fondo l’esigenza del cambiamento, dal momento che il male raggiunge le profondità più oscure dell’egoismo, della chiusura orgogliosa su se stessi, dell’adorazione degli idoli del denaro, del successo, della carriera, del potere?

Non solo, l’esistenza umana “normale” non potrebbe anch’essa avere bisogno di conversione, se e in quanto priva di fede, di amore, di speranza?

Quante volte abbiamo sentito affermare (o lo abbiamo detto anche noi): vado a Messa a Natale e Pasqua; non rubo; non ho ucciso; non ho mai pensato male di nessuno; rispetto sempre tutti; faccio il mio dovere, faccio l’elemosina, lavoro tutto il giorno ecc..?

Oggi noi sappiamo che sono affermazioni di comodo. Non dimentichiamo che la conversione è diretta all’uomo nel suo essere di soggetto che valuta, decide, sceglie, vuole e agisce. Tuttavia ciò sottolinea soltanto che nessuno e nulla può sostituirsi alla presa di posizione personale di colui che si incammina sul sentiero della conversione.

Molte pagine della Bibbia chiamano in questione il popolo di Dio, interpellato insistentemente, e non senza minaccia, dai profeti a convertirsi. La comunità cristiana come tale può ritenersi al sicuro, evitando di essere messa in discussione da nostro Signore?

Il fatto è che si pensa spesso la conversione in termini di passato da cancellare, di sistemazione riparatrice di errori commessi, di liberazione da quei peccati: in definitiva lo sguardo resta sempre rivolto all’indietro. La conversione viene compresa più in riferimento a ciò che è stato che no a quello che sarà, che sta davanti e ci viene incontro dal futuro. Ma questo comportamento non opera nelle menti un processo riduttivo?

La conversione porterebbe le fattezze di un regolamento di conti, di un pagamento di debiti, invece di provare dolore vero per la vita trascorsa e di essere una apertura fiduciosa e coraggiosa al futuro. Più importante del convertirci da un passato sembra essere la conversione alle possibilità nuove dell’avvenire.

Come gli Ebrei durante l’Esodo, cioè l’uscita dalla terra della schiavitù; così noi con l’edificazione della “casa della vita” sulla roccia, lasciamo l’oppressione e ci siamo incamminati verso la terra promessa della libertà. Ecco che allora, in questa nuova prospettiva, la conversione chiama non tanto a una riparazione quanto a una nuova creazione: i modelli di vita di questo mondo, con le sue strutture mentali e operative, non abbisognano di ritocchi, di correzioni marginali, di aggiornamento, per restare sempre e comunque in schiavitù, sono invece radicalmente soggetti a un processo di negazione, perché la novità di cieli e terra, promessa profeticamente, avanza verso di noi e tocca già il nostro oggi rendendoci liberi.

Vale a dire che la conversione giudica il nostro passato e lo condanna a essere esclusivamente passato, realtà gettata alle nostre spalle, non avente altra consistenza se non quella effimera del ricordo psicologico. Propriamente non lo vanifica, né lo annulla; gli toglie però il potere di rinascere con forza sempre maggiore, condizionando quindi il presente e soprattutto l’avvenire.

Possiamo così dichiarare che di fronte al lieto annuncio della conversione il passato dell’uomo è depotenzializzato, privato cioè del potere demoniaco di sopraffare. Il demone che si agita nella storia dell’umanità e della singola persona non è invincibile, né noi siamo predestinati, lo possiamo fronteggiare e spezzare le sue catene.

Parlando più concretamente si può ricostruire il discorso diretto sull’uomo. Egli non è destinato a essere invariabilmente quello che è sempre stato, a ripetere oggi e domani, in un incessante tragico carosello, il ruolo svolto ieri. In altre parole, la nostra esistenza non si definisce secondo lo schema del ciclo naturale del ritorno necessario delle stagioni. Il nostro essere non è un dato immutabile. Abbiamo sempre a disposizione un domani nuovo che rappresenta la liberazione dalle sabbie mobili del nostro passato in cui si affondava sempre più: un domani offertoci dal Discorso della Montagna, un domani da convertiti, un domani con Gesù nel regno del Padre.

Ricordiamoci sempre, fratelli e sorelle, che qualsiasi fallimento dell’umanità, anche il più disastroso, è insufficiente a scrivere la parola “fine” sulla pagina della storia. Per nessun naufragio possiamo considerarci perduti senza rimedio. La fede nata dalla conversione esclude perentoriamente dalla scena della storia e dallo spazio della vita di ognuno la parola di condanna “irrecuperabile”. Quando tutto è compromesso e perduto, resta ancora una possibilità offerta dall’annuncio di Gesù al cambiamento, a varcare il cancello, risalire lo stretto sentiero e costruire la “casa della vita” lasciando la vecchia catapecchia del passato eretta sulla sabbia.

E’ in questo modo, con questa consapevolezza, che noi acquistiamo una nuova comprensione di noi stessi e ci introduciamo nel Regno di Dio.

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