Vangelo di Luca – Cap 24,1-12 al 24,36-53

Peter Paul Rubens - Resurrezione di Cristo
L’annuncio della risurrezione presso la tomba.

Capitolo 24,1-12

*Il primo giorno della settimana, di buon mattino, esse (le donne) si recarono al sepolcro portando gli aromi che avevano preparato. *E trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; *ma, entrate, non vi trovarono il corpo del Signore Gesù. *Mentre non sapevano come spiegarsi questo fatto, ecco due uomini si presentarono a loro in vesti sfolgoranti. *Prese da spavento, esse tenevano il viso chinato a terra, quando essi dissero loro: Perché cercate il vivente tra i morti? *Non è qui, ma è risorto. Ricordate quanto vi disse quando era ancora con voi in Galilea: *che il Figlio dell’uomo doveva essere consegnato nelle mani dei peccatori ed essere crocifisso, e il terzo giorno sarebbe risorto. *Allora ricordarono le sue aprole e, ritornate dal sepolcro, riferirono tutto questo agli undici e a tutti gli altri. *Erano Maria di Magdala, Giovanna e Marita di Giacomo; anche le altre che stavano con loro raccontarono la stessa cosa agli apostoli. *Ma le loro parole parvero ad essi un delirio e non vi cedettero.- *Pietro però corse al sepolcro. Ma, chinatosi, vide soltanto le bende, e ritornò a casa meravigliato per l’accaduto.

Il racconto della risurrezione, è narrato con gran sobrietà. Alcune donne, tra cui Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo e Salome, si erano già incamminate dalla città di buon’ora per recarsi al sepolcro. Dal momento che tutti e quattro i Vangeli concordano nell’affermare che il primo annuncio della risurrezione è stato affidato alle pie donne, fermiamoci a conoscere più da vicino questa presenza femminile accanto a Gesù. Queste donne le abbiamo incontrate (omettendo il viaggio dalla Galilea fino a Gerusalemme) al Golgota: “E anche le donne che lo avevano seguito dalla Galilea stavano a guardare” (Lc.23,49). Esse erano presenti anche al momento della sepoltura: “…e osservavano il sepolcro e come veniva deposto il corpo di Gesù” (Lc.23,55). La loro è stata una presenza discreta, quasi in disparte. Ma è una presenza! Dei discepoli di Gesù nemmeno l’ombra, di loro era stato detto: “Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono”. Per Luca, queste donne, sono vere discepole. Loro hanno portato avanti fino alla fine tutto ciò che Gesù aveva chiesto ad ogni discepolo. Facciamo attenzione ai verbi che ci presentano l’identikit di queste donne, in maniera di capire meglio perché sono le destinatarie dell’annuncio pasquale: loro “seguono” Gesù, “stanno” con lui da quando lo hanno incontrato in Galilea, “servono” come lui serve, “salgono” con lui sul monte Golgota. In poche parole Luca ha concentrato tutte le esigenze della sequela che sono sparse un po’ qua e un po’ la in tutto il suo Vangelo (come in quello di Marco). Quattro verbi profondamente di chiamata e di risposta: seguire, servire, stare, salire.

Possiamo aggiungere altri due verbi fondamentali nella loro vita di discepole e nell’esperienza pasquale: vedere, contemplare. Restando vicino alla croce contemplano ciò che è avvenuto al loro Maestro. Ripeto con forza ed energia interiore: non esiste altro significato dell’essere sotto la croce se non arrivare ad un’autentica professione di fede che porta a conoscere, riconoscere e seguire Gesù. Il loro vedere al sepolcro è progressivo come a farci incontrare uno sguardo invitato ad andare oltre all’apparenza e capace di andare sempre più in profondità. Anzitutto le donne sono protagoniste di un vedere diretto e immediato: “Entrate, non vi trovarono il corpo del Signore Gesù (Lc.24,3)”. Poi c’è un vedere mediato dai due giovani e capace di orientare il loro sguardo: “Perché cercate il vivente tra i morti? Non è qui, ma è risorto.”(Lc. 24, 5-6). E’ lecito che le donne si chiedono come faranno ad entrare nel sepolcro, con quella pietra circolare che ottura l’ingresso. Poi si accorgeranno che la pietra non c’è più. E’ un modo per affermare che dove è stato impossibile umanamente spostare qualcosa, è intervenuto Dio: è Dio che ha rotolato via la pietra e ha fatto uscire suo Figlio dalla terra dei morti attraverso il sepolcro aperto. E’ Lui che ha fatto risorgere Suo Figlio. Questo è il motivo perché il sepolcro è vuoto.

Tutto il brano converge verso la scena all’interno del sepolcro dove le donne incontrano i due giovani “in vesti sfolgoranti” . La descrizione di questi personaggi, attraverso il linguaggio biblico, ci orienta subito a identificarlo in qualcuno proveniente dal mondo di Dio. Sono giovani, come giovane è chiunque annuncia il Risorto. La reazione delle donne riflette la reazione umana davanti alla manifestazione di Dio: “Prese da spavento, esse tenevano il viso chinato a terra…” La reazione non è il timore che coglie di fronte ad un orrore, ma è la paura davanti alla pienezza della manifestazione di Dio. E’ la sorpresa di fronte alla vita nuova proprio dove le donne si attendevano solo l’oscurità della morte. Si tratta del nucleo più importante dei versetti ed è costituito dalle parole dei giovani. Sono come tanti piccoli, intensi, annunci. Primo annuncio: Perché cercate il vivente tra i morti? Non è qui, ma è risorto. Come a dire, scacciate la paura del sepolcro vuoto che terrorizza da sempre l’uomo. La condizione di Gesù crocifisso, Gesù morto e sepolto, non è la realtà definitiva nella quale pensarlo e cercarlo. Quella realtà è solo un passaggio. La nuova situazione è la vita. Ed è per sempre. Dobbiamo sempre rammentarlo anche nelle situazioni più buie dell’esistenza: il venerdì santo è solo un giorno, ma la Pasqua è per sempre! Noi ci troviamo in questo “per sempre”. Queste parole sono la buona notizia, sono il nucleo del Vangelo, su cui, poiché cristiani, ci giochiamo la vita: Gesù di Nazareth, quello che finì in croce, proprio lui in persona è Risorto!

Secondo annuncio: “Allora ricordarono le sue parole e, ritornate dal sepolcro, riferirono tutto questo agli undici e a tutti gli altri” “Ma le loro parole parvero ad essi un delirio e non vi credettero” (Lc. 24.8-9.11). Gesù aveva predetto ai discepoli che di fronte allo scandalo della croce non avrebbero retto l’impatto, sarebbero fuggiti, lo avrebbero lasciato solo e rinnegato. In concreto gli angeli danno alle donne l’incarico di riferire dell’avvenuta risurrezione.

Luca scrivendo il Vangelo ci ha sempre sorpreso e anche con questi versetti finali sembra non smentirsi: quando pensiamo di aver raggiunto e compreso Gesù, di fatto, Lui è sempre altrove, ci precede sempre. Gesù attende i suoi discepoli e aspetta anche noi, là dove tutto è cominciato. Anche noi dobbiamo ritornare in Galilea e ciò significa proprio ritornare all’inizio del Vangelo e alla genesi della nostra esperienza di Lui. E’ necessario riandare là dove è partita la nostra risposta fiduciosa di seguire Gesù. Occorre ripartire da capo. Dobbiamo riascoltare le parole di Gesù, rivedere i suoi gesti, rimetterci alla sua sequela a partire dalla Pasqua. La Galilea oltre ad essere il luogo originario dell’esperienza di Gesù con i suoi discepoli, con la gente, è stato anche il luogo in cui Gesù si è scontrato e in cui ha sperimentato il rifiuto degli Scribi e dei Farisei. In Galilea convivono molte diversità: gente che crede e gente che si oppone, gente a favore e gente contro o anche gente indifferente. La Galilea che portiamo dentro di noi è il luogo di questi contrasti: bene e male, desideri e limiti, fede e dubbio, amore e odio, luce e tenebre. Proprio in questo miscuglio d’opposti potremo vedere il Risorto. Quando ci accorgiamo che attraverso un dialogo, l’atmosfera tesa si rappacifica, o verifichiamo che conflitti interpersonali si risolvono, o impariamo a stare con le nostre paure e limiti, quando troviamo modi alternativi a quelli sempre usati per entrare in relazione con noi stessi o con gli altri…lì il Risorto ci ha preceduto e noi lo abbiamo realmente visto, incontrato, riconosciuto. Oppure quando ci pensavamo arrivati e abbiamo scoperto invece che dovevamo ricominciare, quando abbiamo toccato con mano la nostra umanità e da quella abbiamo deciso di partire, facendo passi piccoli e concreti per lasciare liberare la vita presente in noi, cioè le nostre capacità, i nostri doni…ecco lì siamo tornati in Galilea.

L’apparizione di Gesù ai discepoli di Emmaus.

Capitolo 24,13-35

*In quello stesso giorno due di loro erano in cammino verso un villaggio chiamato Emmaus, distante circa due ore di cammino da Gerusalemme, *e parlavano tra di loro di tutti questi avvenimenti. *Ora, mentre discorrevano e discutevano, Gesù in persona si avvicinò e si mise a camminare con loro. *Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. *Egli domandò loro: Che cosa sono questi discorsi che fate tra di voi camminando? Essi si fermarono col volto triste. *Gli rispose uno dei due, chiamato Cleopa: Soltanto tu tra i pellegrini di Gerusalemme non sai quanto è accaduto in questi giorni? *Chiese loro: Che cosa? Essi gli risposero: Ciò che è accaduto a Gesù di Nazareth che fu profeta potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo; *che gli alti funzionari del tempio e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi lo hanno crocifisso. *Noi speravamo che fosse lui che doveva liberare Israele; ma nonostante tutto, sono passati già tre giorni da quando questi fatti sono accaduti. *E’ vero, alcune donne del nostro gruppo ci hanno sconvolti: essendo state di buon mattino al sepolcro *e non avendo trovato il suo corpo, vennero a raccontare di aver avuto una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. *Andarono poi al sepolcro alcuni dei nostri compagni e trovarono appunto come avevano detto le donne, ma lui non lo hanno veduto. *Ed egli disse loro: O uomini incapaci a comprendere e lenti a credere a tutto quello che hanno annunciato i profeti! *Non doveva forse il Messia patire queste cose per poter così entrare nella sua gloria? *E, cominciando da Mosè e attraverso tutti i profeti, spiegò loro quello che in tutte le scritture lo riguardava. *Quando furono vicini al villaggio al quale erano diretti, egli fece come se dovesse proseguire. *Ma essi insistettero dicendo: Rimani con noi perché viene sera e il giorno già declina. Ed egli entrò per rimanere con loro. *E quando fu a tavola con loro, rese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. *Allora si aprirono i loro occhi e lo riconobbero; ma egli sparì dalla loro vista. *E si dissero l’un l’latro: Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre ci parlava per la strada e ci apriva il senso delle scritture? *E all’stante partirono per ritornare a Gerusalemme, dove trovarono gli undici e i loro compagni *che dicevano: il Signore è veramente risorto ed è apparso a Simone. *Ed essi a loro vota raccontarono ciò che era accaduto per la strada e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Il racconto, strutturato come parabola, relativo all’apparizione di Gesù ai discepoli in cammino verso Emmaus, esercita sempre un certo fascino anche in chi non sa cogliere le sfumature del linguaggio del Vangelo. Non scordiamo, per comprendere appieno il senso di questa parte del Vangelo di Luca, che Gesù profeta riunisce attorno a sé, con l’efficacia del suo insegnamento e dei suoi prodigi, un gruppo di uomini, per lo più pescatori, associandoli al suo ministero di uomo-Dio. Un progetto di uomo nuovo, alla maniera di Gesù Cristo, è proposto proprio a loro che lo seguono verso Gerusalemme. Nel Vangelo di Luca, il viaggio storico di Gesù diventa il cammino ideale, la “strada dei discepoli”, che seguono il loro maestro. E rappresenta anche il cammino ideale per ogni credente, proprio perché chi segue Gesù è una persona che ha fatto una scelta radicale, ben ponderata. Tuttavia, può accadere che nell’arco del cammino possono succedere fatti imprevisti o cose che ci lasciano perplessi, o che nascano dubbi e amarezze.

I due discepoli lasciano Gerusalemme tristi e delusi per poi ritornarvi commossi, entusiasti, felici e colmi di speranza. Tra l’andare e il tornare c’è di mezzo l’incontro con il pellegrino sconosciuto che sta all’origine del loro mutamento. Noi tutti conosciamo la vera identità del pellegrino, e questo sapere ci crea un clima di attesa e di partecipazione emotiva alla vicenda dei due discepoli. Nel volgere di una settimana a Gerusalemme è avvenuto di tutto. Gesù è stato accolto in maniera trionfante, acclamato come un re; ha trasmesso il comandamento dell’amore; durante la cena per festeggiare la Pasqua ha rivelato il valore del servizio con la lavanda dei piedi, ha garantito la sua presenza reale spezzando il pane e versando il vino; è stato arrestato; ha sopportato tradimenti e rinnegamenti; processato, ingiuriato, torturato, condannato a morte, trafitto su una croce, sepolto…Tutto è finito: sogni, idee, bisogni, certezze, amicizie, progetti, speranze e illusioni tessuti pazientemente durante l’arco di tre anni di sequela fedele ed attenta. Tutto è definitivamente sigillato e oscurato dietro la gran pietra rotolata contro l’ingresso del sepolcro scavato nella roccia. Tutta la struttura di quello stupefacente periodo vissuto accanto al Maestro è crollata con la sua crocifissione. In quello stesso giorno, quello della scoperta della tomba vuota, la domenica della resurrezione, due discepoli delusi e tristi, si mettono in cammino verso Emmaus, un villaggio distante da Gerusalemme una decina di chilometri, conversando di tutto quello che era accaduto. La loro decisione è di abbandonare e scordare la vicenda di Gesù, per dirigersi verso il definitivo ritorno alla realtà precedente, al quotidiano di ogni giorno.

Se non conoscessimo l’esito della vicenda è facile intuire le reazioni con gli altri: “Fate come volete…pazienza, è stato bello, è stato un sogno…andiamo…peggio per voi…siete adulti e vaccinati…insomma, arrangiatevi!” Ma qualcuno non pensa così. Mentre conversano e discutono insieme, Gesù in persona si affianca e cammina con loro facendosi compagno di quella strada. Tuttavia i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. E’ a quel punto che Gesù prende l’iniziativa e chiede loro: “Che sono questi discorsi che state facendo tra voi durante il cammino?” Si fermano un istante, col volto triste; uno di loro, di nome Cleopa, gli dice: “Tu solo sei cos’ forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi accaduto in questi giorni?” Domandò, Gesù: “Che cosa?” Di fronte ad uno così non verrebbe voglia di rispondergli: “Ma scusa, dove vivi? Da dove vieni? Dove hai la testa? A causa della ferita che è forte nell’animo, anzi è talmente bruciante che li rode dentro, e avvertono la sensazione di essere stati ingannati, tanto che avvertono la necessità di sfogarsi. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; nonostante tutto sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi di mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.

Mentre i discepoli parlano Gesù li ascolta facendo in modo che esprimano le proprie ansie, le proprie amarezze e angosce. L’iniziativa dell’incontro, dicevo, parte da Gesù. I discepoli non solo non fanno nulla perché l’incontro possa accadere, quasi accettano il viandante con indifferenza, a malincuore e frappongono l’ostacolo della delusione, della rinuncia a credere e a sperare. Gesù però dà rilievo alla libertà dei discepoli, che dapprima scoraggiata e rinunciataria, viene via via rigenerata e aperta alla speranza, alla fiducia nel disegno di Dio sulla storia dell’uomo. E dice loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” E iniziando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno volge già al declino”. Entrò per restare con loro. Nel momento in cui fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora fu come se si aprisse un sipario, lo riconobbero. Ma Gesù sparì dalla loro vista. Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc.24,13-22). Cari fratelli e sorelle in questo racconto possiamo cogliere quattro esperienze umane fondamentali (come afferma l’autorevole cardinale Carlo Maria Martini): il cammino, l’ospitalità, la frazione del pane, l’apertura degli occhi.

Il cammino: l’esperienza dell’itineranza, dell’andare verso un luogo. Luca parla spesso di Gesù come “colui che fa cammino”, cioè è in cammino. Anche il particolare quando Gesù pone la domanda, i due si fermano e poi riprendono a camminare, rivela che è data molta importanza a questa esperienza sotto la quale può essere vista la storia di ogni uomo. La vita umana è un dinamismo, va avanti, è protesa verso una direzione e Dio viene incontro all’uomo per accompagnarlo e per camminare con lui.

L’ospitalità: l’accoglienza è un altro simbolo centrale e antichissimo dell’uomo che supera l’istintivo timore del viandante che bussa alla porta. Nel racconto è espressa con parole meravigliose e amorevoli: “Resta con noi”, dicono i due a Gesù, non andartene, vogliamo stare insieme. La loro diffidenza iniziale verso lo sconosciuto si scioglie lentamente sino a diventare fraternità: vieni a casa mia, tu che sei mio ospite. Come abbiamo potuto cogliere dalla “Storia del popolo ebraico”, l’ospitalità è uno dei pilastri del costume, è il modo di essere uomini veri: saper accogliere chiunque, a qualunque ora, in qualunque tempo, senza mai irritarsi, preparando subito tutto con gioia, è un preciso dovere tramandatoci dalla Bibbia. Ed è un simbolo che ci interpella, che interpella gli abitanti delle nostre città che, vivendo magari nello stesso condominio, con gli appartamenti sulle stesse scale, si ignorano per anni senza avvertire il bisogno di salutarsi, di frequentarsi, di conoscersi, di accogliersi.

La frazione del pane: il gesto ha una sua simbologia umana e storica: “Mentre si sedevano con lui, prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede loro”. La partecipazione del medesimo pane è più dell’ospitalità, è la condivisione della mensa che rende veramente fratelli, è come una cerimonia di alleanza, di amicizia: cioè metto in comune il pane che è un mio bene. Luca, con la frase, “spezzò il pane” ha in mente l’Eucaristia, vuole rilevare che Gesù, ormai Risorto e vivo, si dona ai due manifestandosi nella carità perfetta dell’Eucaristia. Ma la condivisione è, di fatto, un simbolo umano e per questo Gesù l’ha scelto come simbolo eucaristico, come segno del dono della sua vita all’uomo.

L’apertura degli occhi: siamo in opposizione al tema della chiusura degli occhi: “i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”, cioè erano come accecati. Anche Maria di Magdala, in un primo momento, aveva scambiato Gesù per i custode del giardino. Come mai pur conoscendo bene il suo volto, pur essendo suoi fedeli discepoli, non capivano che era Gesù? Gli occhi di Maria erano chiusi dalle lacrime, dal dolore, dalla ricerca sbagliata; i due di Emmaus sono accecati dall’aver perso ogni speranza, dal non aver compreso le parole di Dio contenute nella Scrittura. A un tratto “si aprirono i loro occhi e lo riconobbero”. Noi umani, immersi nell’ordinaria quotidianità, non vediamo le meraviglie dell’amore di Dio che ci circondano, non sappiamo leggere la Scrittura nella maniera giusta, temiamo che il Dio di Gesù, di cui sentiamo parlare, ci impedisca di essere felice, di vivere come intendiamo vivere limitandoci la libertà. Quando invece, nel nostro cammino di ricerca faticosa, apriamo gli occhi, per la grazia del Signore Risorto, è in quel momento che scopriamo con stupore e con gioia che Dio ci ama, ci è amico, ci è Padre, che Gesù ci è fratello, che la fede è la chiave della vita veramente umana.

I due discepoli conoscevano le Scritture, ma non ne avevano colto il significato più profondo. Gesù gliele spiega, spiega il mistero dell’uomo, della storia, degli avvenimenti, delle vicende ed ecco che il loro cuore arde: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto…quando ci spiegava le Scritture?”. Il fuoco che brucia produce scuotimento, sconvolgimento interno, emozione forte, inquietudine e tormento; è l’esperienza che nasce dall’ascolto vero della Parola di Dio. Ora hanno compreso che ogni pagina della Bibbia, dal primo all’ultimo Libro, contiene quella Parola vivente che è Gesù morto e risorto. Ne consegue un insegnamento prezioso: è basilare conoscere la Scrittura per scoprire l’amore di Dio per l’uomo e la sua lunga storia d’amore per noi tutti che si è dispiegata nella storia della salvezza. Nell’insieme, l’apparizione di Gesù ai due discepoli ci rammenta che noi umani siamo esseri in cammino e bisognosi di significati; che in questo cammino siamo chiamati a riconoscere la Parola di Dio che ci incalza, ci interpella continuamente sulla direzione del nostro viaggio per spiegarcene il senso; che la libertà e la felicità di noi umani consiste nell’accogliere questa Parola, nel non rifiutarla, nell’aprire gli occhi e il cuore al disegno di Dio rivelatoci pienamente nel mistero del suo Figlio Gesù morto e risorto per noi, vivo e operante in mezzo a noi.

L’apparizione agli undici a Gerusalemme.

Capitolo 24,36-53

*Mentre ancora parlavano di queste cose. Gesù fu presente in mezzo a loro e disse: Pace a voi! *Turbati e spauriti, essi credevano di vedere uno spirito. *Ma egli disse loro: Perché vi turbate, perché sorgono dubbi nei vostri cuori? *Guardate le mie mani e i miei piedi; sono proprio io! Toccatemi e constatate; uno spirito non ha né carne né ossa come vedete che ho io. *E, dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. *Ma siccome per la gioia stentavano a credere ed erano stupiti, aggiunse loro: Avete qui qualche cosa da mangiare? *Essi gli offrirono un pezzo di pesce arrosto. *Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro. *Poi disse: Ecco le parole che vi ho detto quando ero ancora con voi: bisognava che si compisse tutto quanto è scritto di me nella legge di Mosè e nei profeti e nei salmi. *E seguitò aprendo loro la mente a comprendere le Scritture. E disse ancora: *Così sta scritto: il messia dovrà soffrire e il terzo giorno risorgerà dai morti, * e nel suo nome saranno annunciati a tutti i popoli, incominciando da Gerusalemme, la conversione e il perdono dei peccati. *Voi siete i testimoni di queste cose. *Ed ecco, io mando a voi ciò che il Padre ha promesso. Voi quindi rimanete in città finché non sarete rivestiti dalla potenza che viene dall’alto. *Poi li condusse fuori, verso Betania e, alzando le mani, li benedisse. *E mentre li benediceva, si staccò da loro e fu trasportato verso il cielo. *Ed essi, dopo essersi prostrati davanti a lui, ritornarono a Gerusalemme pieni di gioia; *e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Non è stato facile per i primi discepoli entrare nel mondo nuovo della risurrezione accessibile soltanto alla fede. “Perché vi turbate, perché sorgono dubbi nei vostri cuori?” Gesù per introdurli impiega un doppio linguaggio. Il primo realistico, diretto ai sensi, perciò egli oltre a farsi vedere, si fa toccare, rendendo così non solo visibile ma anche palpabile il suo corpo. “Guardate le mie mani e i miei piedi; sono proprio io! Toccatemi e constatate…e dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi”. Tuttavia il semplice toccare non significa capire, e credere. “Avete qui qualcosa da mangiare?…gli offrirono un pezzo di pesce…Egli lo prese e lo mangiò davanti a loro”. Per questo è necessaria la parola di Gesù e dei profeti. Ecco le parole che vi ho detto quando ero ancora con voi…” Il senso della morte e risurrezione è allora chiaro: l’avvenimento pasquale è salvezza per tutte le genti, ma salvezza che si realizza nella conversione e nel perdono. Quindi, “Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con gran gioia; e stavano nel tempio lodando Dio” (Lc.24,50-51)

” Andate dunque e di tutti i popoli fate discepoli: li battezzerete nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e insegnerete loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. E io sono con voi per sempre, sino alla fine del mondo” (Mt. 28,19-20). Secondo una tradizione che risale ai primi secoli del cristianesimo, il mistero dell’Ascensione del Signore, avvenne a mezzogiorno, l’ora stessa in cui Cristo era stato innalzato in croce. Ecco che dopo l’ultimo sguardo di tenerezza verso i suoi amici più cari, verso coloro che lo avevano seguito seppur nei loro limiti, nei loro tradimenti, nella loro povertà umana fino a questo momento, Gesù elevò le mani su di loro per avvolgerli nella Sua eterna benedizione.

Fu proprio a questo punto che i suoi piedi si staccarono da terra ed Egli iniziò ad innalzarsi verso il cielo. I presenti lo seguivano con lo sguardo, ma presto Egli entrò in una nube che lo nascose ai loro occhi. I discepoli guardavano ancora il cielo, quando improvvisamente due angeli si presentarono loro dicendo: “Uomini di Galilea, perché fissate nel cielo lo sguardo? Come l’avete visto salire al cielo, così il Signore ritornerà!” Tutto il destino della Chiesa è compreso in questa verticalità ascensionale di un movimento biunivoco, che va dal basso verso l’alto e dall’alto verso il basso. Quale compito immenso e misterioso è affidato ai discepoli. Sorge allora un’obiezione: se non è più visibile, come sarà creduto nel mondo, come faremo noi uomini a sapere di questa sua presenza? Egli ha voluto rendersi visibile attraverso i suoi discepoli. Sia nel Vangelo sia negli Atti, l’evangelista san Luca associa strettamente all’Ascensione il tema della testimonianza. “Di questo voi siete testimoni” (Lc.24,8).

Quel “voi” indica in primo luogo gli apostoli che sono stati con Gesù. Difatti, dopo la Pentecoste, essi non fanno altro che rendere testimonianza a Cristo. Proclamano a tutti: “Dio lo risuscitò e noi ne siamo testimoni” (At.1,22). “La vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza”: così comincia la Prima lettera di san Giovanni. Dopo gli apostoli, questa testimonianza per così dire ufficiale, cioè legata all’ufficio, passa a tutti i successori, papi, vescovi, sacerdoti, cioè alla Chiesa. Ma quel “voi”, in senso più ampio, sono tutti i battezzati e i credenti in Cristo. Ogni persona deve essere davanti al mondo un testimone della risurrezione e della vita del Signore Gesù e un segno del Dio vivo” (Lumen gentium 38). Celebre è diventata l’affermazione di Paolo VI: “Il mondo ha bisogno di testimoni, più che di maestri”. Verissimo! E’ relativamente facile essere maestro, assai meno essere testimone. Il mondo brulica di maestri, veri o falsi, ma scarseggia di testimoni. Il testimone è uno che parla con la vita. In questo senso il modello d’ogni testimonianza è Cristo stesso che, davanti a Pilato, si definì “testimone della verità” e che la Scrittura chiama “il testimone fedele” (Ap.1,5). Egli, infatti, ha vissuto fino all’ultima virgola quello che ha insegnato e ha sacrificato la vita per rendere testimonianza alla verità.

Un papà e una mamma credenti devono essere “i primi testimoni della fede” presso i figli. Con il loro modo di correggere e perdonare il bambino e di perdonarsi tra loro, di parlare con rispetto degli assenti, di comportarsi amorevolmente di fronte ad un povero che chiede l’elemosina, con i commenti che fanno alla presenza dei figli nell’ascoltare le notizie del giorno, i genitori, senza forse proporselo, hanno la possibilità di rendere una splendida testimonianza della loro fede. L’anima dei bambini è una lastra fotografica: tutto quello che vedono e ascoltano negli anni dell’infanzia si incide in essa e un giorno “si svilupperà” e porterà i suoi frutti, buoni o cattivi.

Gesù sa benissimo che da soli noi non siamo capaci di rendere testimonianza. Lasciati da soli, non possiamo che ripetere quello che fece Pietro durante la Passione, e cioè dire di Cristo, con i fatti e con le parole: “Non lo conosco; non so chi è!” Ecco perché, prima di scomparire dai loro sguardi, Gesù fa agli apostoli, e a tutti gli uomini d’ogni tempo, una promessa: ” E io sono con voi per sempre, sino alla fine del mondo”. La missione del cristiano, dopo l’Ascensione è chiara, così come fu chiara ai discepoli. Soli, dovranno tornare a Gerusalemme. Eppure il loro cuore non è triste, hanno con sé Maria, la Vergine, e la generosità di questa madre incomparabile si comunica alle loro anime. Adorano il Maestro, d’ora in avanti questo culto d’adorazione sarà di pensare che il Maestro ha preceduto tutti per preparare un posto. Ecco il perché della gioia….E’ la letizia una delle caratteristiche più importanti di un credente. È la felicità, la sfumatura più delicata della celebrazione dell’Ascensione, improntata ad una dolce malinconia, ma nella quale si respira la grazia del trionfo di Cristo sulla morte.

Questa festa, questo rito espressivo, annuncia il principio della missione della Chiesa e avverte i credenti, che d’ora in avanti, la missione specifica di ognuno è testimoniata e realizzata con l’adorazione, stare nel tempio, lodare e tornare alla Gerusalemme delle nostre esistenze per portare a tutti il lieto annuncio. Il testo di Luca che abbiamo meditato ci sottolinea che Gesù è veramente risorto, è vivo perché gli apostoli lo vedono, lo toccano, mangiano con lui. Non è un fantasma. Il significato del racconto è chiaro: il Crocifisso è vivente, non è come un morto incapace di comunicazione. Il Crocifisso è libero, viene quando vuole, appare dove vuole, dà gli ordini, richiama il suo insegnamento, interpreta le Scritture, si fa riconoscere. E’ lo stesso di prima, è il Crocifisso (mostra le mani e i piedi), eppure la libertà di cui gode lo fa diventare un altro. Lo stesso, perché non è il suo spirito ma il suo essere totale che è vivente. Altro, perché non è più costretto dai nostri condizionamenti. Il racconto di Luca è fondamento sicuro della nostra speranza: se il Risorto non è una illusione, la nostra speranza non è vana.

Indice Vangelo di Luca