Vangelo di Luca – Cap 23,1-56

Crocifissione - Paolo Veronese

Gesù davanti a Pilato. Gesù viene incoronato di spine. La crocifissione di Gesù. La morte di Gesù. La sepoltura di Gesù.

Capitolo 23,1-56

*Allora tutti insieme si alzarono per condurlo da Pilato. *E si misero ad accusarlo dicendo: Abbiamo trovato costui che sovverte il nostro popolo: impedisce di pagare i tributi a Cesare e sostiene di essere il messia re. Pilato lo interrogò: Tu sei il re dei giudei? Gesù rispose: Tu lo dici. *Pilato si volse ai capi dei sacerdoti e alla folla e disse: Non trovo nessun motivo di condanna in quest’uomo. *Ma essi insistevano: Egli solleva il popolo insegnando per tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea fin qui. *Pilato, udito questo, domandò se fosse Galileo, e saputo che era della giurisdizione di Erode, lo mandò a Erode che in quei giorni si trovava pure lui a Gerusalemme. *Erode fu molto contento di vedere Gesù, perché da molto tempo desiderava conoscerlo per averne sentito parlare e sperava di vedergli fare qualche prodigio. *Gli fece molte domande; ma Gesù non gli rispose nulla. *I capi dei sacerdoti e gli scribi stavano là e lo accusavano con insistenza. *Allora Erode, dopo averlo schernito e deriso assieme alle sue guardie, gli fece indossare una veste sfarzosa di dignitario e lo rimandò a Pilato. *Quel giorno Erode e Pilato, che fino a quel momento erano stati nemici tra di loro, divennero amici.

La condanna pronunciata dal sinedrio non poteva essere eseguita se non dopo esplicita approvazione del procuratore romano; perciò se tutti quelli che esercitavano il potere politico e religioso volevano raggiungere il loro scopo dovevano superare l’ostacolo rappresentato da Pilato. L’approvazione di Pilato potevano ottenerla in due maniere: invitando il procuratore romano ad accettare la conclusione del processo svoltosi davanti al tribunale supremo del giudaismo e a fidarsi della sua imparzialità; oppure rinviare l’imputato al tribunale del procuratore per istituire un nuovo processo. Gli astuti sinedristi, scelsero la seconda possibilità, anche perché se avessero chiesto a Pilato di condannare Gesù per motivi religiosi, egli non avrebbe approvato.

Pilato, avvertito che i membri del sinedrio con molta folla s’erano fermati fuori del pretorio e volevano parlargli a proposito di un certo imputato chiamato Gesù di Nazareth, uscì verso di loro e dato uno sguardo attorno li invitò a parlare: “Abbiamo trovato costui che sobilla il nostro popolo: impedisce di pagare i tributi a Cesare e sostiene di essere il messia re”. La risposta, per nulla soddisfacente, fu interpretata da Pilato per quel che valeva. Il navigato romano comprese all’istante che si trattava di una delle tante questioni che vertevano su idee religiose giudaiche e nelle quali lui non voleva affatto immischiarsi; quindi, richiamandosi alle norme vigenti, prima di rispondere chiese a Gesù: “Tu sei il re dei giudei?”, “Tu lo dici”. Disse Gesù. Poi Pilato rispose a giudei: “Non trovo nessun motivo di condanna in quest’uomo”. Si tratta della dichiarazione d’innocenza di Gesù. Il caso potrebbe considerarsi chiuso per insufficienza di prove. Tuttavia i capi giudei non desistono, essi riprendono l’accusa di sovversione indicando l’estensione e la pericolosità dell’attività di Gesù, originario della patria del movimento zelota: la Galilea. Questo particolare offre lo spunto per l’inserimento del secondo confronto con l’autorità politica: Gesù davanti ad Erode Antipa. Pilato colse al volo la notizia e lo mandò da Erode, che in quei giorni si trovava a Gerusalemme. Il tetrarca si era interessato di Gesù prima per curiosità, poi con intenzione ostile. Durante l’incontro finale con Gesù, la sua curiosità viene delusa. Lui allora sfoga la sua aggressività, ma astutamente, senza interferire con l’autorità romana del procuratore. Nonostante le insistenti accuse dei capi giudei, anche Erode in sostanza riconosce l’innocenza di Gesù. Prima di rimandarlo da Pilato, Erode lo schernisce e deride assieme alle sue guardie, facendogli indossare una sfarzosa veste di porpora.

L’evangelista ci fa notare che Pilato ed Erode, da nemici, da quel giorno divennero amici. La verità è una realtà: è il Regno di Cristo, è la dignità dell’uomo, è essere figlio di Dio e fratello di Gesù. La verità possiede una sua dimensione sociale e pubblica: non si deve mai negare all’uomo il diritto alla verità. Dobbiamo avere la forza di manifestarla di fronte al mondo contemporaneo così complesso e, a volte, così indifferente. Il mondo ha necessità di un criterio di “potenza” radicalmente “altro” da quello comunemente inteso, di una manifestazione rinnovata dei valori: nel regno degli uomini vi è inganno, tristezza, falsità; nel regno di Cristo vi è pace, giustizia, amore.

*Allora Pilato convocò i capi dei sacerdoti, i magistrati e il popolo *e disse loro: Mi avete condotto quest’uomo come sovvertitore del popolo; ed ecco io ho proceduto all’interrogatorio in vostra presenza, ma non ho trovato in lui nessuno dei reati di cui lo accusate. *E neppure Erode; infatti lo ha rimandato a noi. Così, voi lo vedete, non ha fatto nulla che meriti la morte. *Perciò lo farò fustigare e lo libererò. *(Pilato era tenuto a rilasciare loro qualcuno in occasione della festa). *Allora si misero a gridare tutti insieme: A morte costui, liberaci Barabba. *Questi era stato messo in carcere per una sommossa avvenuta in città e per omicidio. *Pilato, volendo liberare Gesù, riprese a parlare. *Ma quelli gridavano:Crocifiggilo, crocifiggilo. *Pilato per la terza volta disse: Ma che male ha fatto costui? Io non ho trovato nulla in lui che meriti la morte; perciò lo farò fustigare e lo libererò. *Ma essi insistevano chiedendo a gran voce che fosse crocifisso; e le loro grida crescevano. *Allora Pilato decise che fosse accolta la loro richiesta. *Liberò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio, che essi avevano chiesto, abbandonò Gesù alla loro volontà. *Mentre lo portavano via, fermarono un certo Simone di Cirene che tornava dai campi e gli misero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù. *E lo seguiva una grande folla e donne che piangevano e lo compassionavano. *Volgendosi ad esse, Gesù disse: Figlie di Gerusalemme, non piangete per me, ma per voi stesse e per i vostri figli, *perché, ecco, verranno giorni in cui si dirà: Beate le sterili e quelle che no hanno generato e allattato. *Allora si comincerà a dire ai monti: Cadete su di noi, e alle colline: copriteci!. *Perché, se così si tratta il legno verde, del secco che avverrà? *Venivano condotti anche due malfattori per essere giustiziati con lui.

Presso i romani, la flagellazione precedeva ordinariamente la crocifissione. Era eseguita dai soldati. Il condannato veniva denudato e quindi legato per i polsi ad un palo, in modo da offrire il dorso ricurvo. Il flagello era una robusta frusta con molte code di cuoio, le quali venivano armate di punte aguzze. Il condannato, se destinato alla pena capitale, era considerato come un uomo senza più nulla d’umano, un vuoto simulacro di cui la legge non aveva più cura, un corpo su cui si poteva infierire liberamente. Ai primi colpi il collo, il dorso, i fianchi, le braccia, le gambe s’illividivano, quindi si rigavano di strisce bluastre e di bolle tumefatte; poi man mano la pelle e i muscoli si squarciavano, i vasi sanguigni scoppiavano, e dappertutto rigurgitava sangue; alla fine il flagellato era divenuto un ammasso di carni sanguinolente, sfigurato in tutti i suoi lineamenti. Questa è la pena a cui Pilato sottopose Gesù. Ma non era ancora finita. Dopo avere subito il degradante interrogatorio e sottostato alla flagellazione, Gesù è rivestito di porpora, e i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo procurandogli un’infinità di ferite. Iniziarono quindi a salutarlo beffardamente: “Salve, re dei giudei!”. Nello stesso tempo gli percossero la testa con una canna, gli sputarono addosso in segno di spregio e, piegando le ginocchia, si prostrarono davanti a lui. L’evangelista amplia le notizie scarne ricevute da Marco sull’ultimo tragitto di Gesù al luogo dell’esecuzione in modo da ottenere una scena completa, dove egli appare il martire che affronta con la coscienza di profeta il suo destino doloroso. Un estraneo, un certo Simone di Cirene, viene requisito dal picchetto d’esecuzione per portare la trave trasversale della croce dietro a Gesù. Luca ci suggerisce con questo fatto l’idea che il vero discepolo segue Gesù portando la croce; perciò lui riprende i termini dell’invito che Gesù ha rivolto a quanti vogliono essere suoi discepoli: “Se qualcuno vuol venire dietro a me…prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”.

Il corteo che accompagna i condannati al luogo del supplizio, passa per le vie più frequentate in modo che lo spettacolo serva a tutti da ammonimento. Di questo corteo fanno parte anche le donne, che esprimono pubblicamente, con gesti e lamenti, il loro cordoglio. E la parola di Gesù alle donne svela il vero significato di quello che sta accadendo. Egli, riprendendo le espressioni e le immagini dei profeti, chiarisce che nella sua morte violenta si decide il destino storico dell’intero popolo di Dio. Nella tragica conclusione della sua missione profetica la storia delle persecuzioni e delle repressioni di tutti i profeti e giusti raggiungono il culmine. Allora il giudizio storico di Dio s’abbatterà sulla città di Gerusalemme, rappresentante di un popolo infedele e ribelle ai richiami dei profeti. Si annunciano giorni di terrore e di spavento tali da dover benedire le donne senza figli e da auspicare la fine del mondo. Infatti, se il giudizio di Dio, come un fuoco che divora tutto, si è attaccato al legno verde, vale a dire al profeta giusto e innocente, al Figlio di Dio, che cosa sarà quando divamperà e troverà solo legno secco, infruttuoso e sterile?

Se grandi sono stati i patimenti, le sofferenze di Gesù in quelle tragiche ore, più grandi e sconcertanti sono state le umiliazioni che egli ha accettato con “cuore mite ed umile”. L’uomo che sbarcando dalla barca e che aveva avuto compassione della folla, perché era un gregge senza pastore, era solo con i suoi dolori insopportabili. Della massa di persone riunitasi nella piazza antistante il palazzo di Pilato, nessuno cade in ginocchio, stavolta nemmeno per deriderlo. Coloro che dovevano testimoniare con coraggio e senza vergogna la fede in lui, i beneficiari delle guarigioni, sono tutti scomparsi, impauriti. Dove sono, in quei tremendi eterni istanti i lebbrosi sanati, gli indemoniati liberati, i ciechi che hanno riacquistato la vista, gli apostoli, i discepoli, coloro che hanno conosciuto il suo amore? La sentenza di Pilato è emessa sotto la pressione vociante dei sacerdoti e dei loro servi che eccitano la folla che scorda tutto e si fa plagiare, tanto che preferiscono un ladro e un assassino come Barabba al posto del Maestro.

Gesù è abbandonato tra quella folla, quasi che si trovasse in un deserto ostile. Maria, la Vergine Madre, subisce in quelle ore, come sue, le atroci sofferenze e le umiliazioni del Figlio, “Una spada ti trapasserà il cuore”, e l’accetta col cuore straziato nell’umiltà dell’animo che le aveva attirato lo sguardo di Dio su di lei. Anche noi cristiani oggi ci troviamo in un deserto ostile. Anche noi siamo servi del nostro orgoglio, ci ribelliamo ad ogni minima contrarietà; non vogliamo riconoscere le nostre colpe e i nostri limiti, anzi, pretendiamo primeggiare e dominare, pur sapendo che la superbia è stata ed è la fonte principale dei più grandi mali dell’umanità: discordie, guerre, tirannie, terrorismo, consumismo e ingiustizie.

Anche la nostra società attuale ha i suoi sacerdoti, basta pensare per un attimo ai mass-media (giornali e televisione), tutti concordi nel cercare d’isolare, abbattere con la propria efficienza atea il cristianesimo, affermando il primato della ragione e che, in ultima analisi, i Vangeli sono solo favole per i beoti (gli sconfitti della società dell’apparire, del successo, del denaro, del sesso), e che in fin dei conti Gesù era un buon ebreo. Già, infatti, lo hanno affisso ad una croce. (Poiché gli israeliti gridarono a gran voce che il sangue di Gesù ricadesse su di loro e sui loro più lontani figli, nel 1933 istituirono un tribunale ufficioso, composto da cinque insigni Israeliti, affinché riprendesse in esame l’antica sentenza del sinedrio. Il Verdetto pronunciato dal tribunale, con quattro voti favorevoli e uno contrario, fu che l’antica sentenza del sinedrio doveva essere ritrattata, perché l’innocenza dell’imputato era dimostrata e la condanna era stato uno dei più terribili errori che gli uomini abbiano commesso. Così si esprime la relazione apparsa nella rivista parigina “Jerusalem”, maggio-giugno, pag. 464).

Noi cristiani, se veri discepoli di Cristo, vivendo profondamente nel cuore di Dio Padre, dobbiamo lottare contro il male (con la forza dell’amore) che si presenta sotto forma di tutti gli idoli suscitati dalla civiltà dell’esteriorità. Spezziamo le pareti di ghiaccio dei cuori, muri invisibili edificati con i mattoni dell’ingiustizia, del pregiudizio, dell’indifferenza, del materialismo, muri che contribuiamo giorno dopo giorno ad erigere con quel senso comune d’appartenenza inoffensivo e d’apatia che etichetta, generalizza, crea diffidenza.

*Giunti al luogo detto il Cranio, crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l’altro a sinistra. *Gesù diceva: Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno! E per dividersi le sue vesti le tirarono a sorte. *Il popolo stava là a guardare. I capi invece lo deridevano dicendo: Ha salvato altri, salvi se stesso, se è il messia di Dio, l’eletto. *E i soldati pure lo schernivano; si avvicinavano, gli porgevano dell’aceto *e dicevano: Se sei il re dei giudei, salva te stesso. *C’era anche una scritta sopra il suo capo: Questi è il re dei giudei. *Ora uno dei malfattori appesi lo insultava dicendo: Non sei tu il messia? Salva te stesso. *Ma l’altro lo riprendeva e diceva: Sei senza timor di Dio tu che subisci la stessa condanna? *Per noi è giusto: riceviamo ciò che abbiamo meritato con le nostre azioni; ma costui nulla ha fatto di male. *E aggiunse: Gesù, ricordati di me quando verrai nella tua dignità regale! *Gesù gli rispose: In verità ti dico: Oggi sarai con me in paradiso. *Era quasi mezzogiorno, e si fece buio su tutta la terra fin verso le tre *essendosi eclissato il sole, e il velo del tempio si squarciò in due. *E Gesù, con un forte grido, disse: Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito. Detto questo spirò. *Allora il centurione, visto l’accaduto, rese gloria a Dio dicendo: Veramente quest’uomo era giusto. *Anche tutta la gente, che si era radunata per assistere al fatto, vedendo quanto era accaduto, se ne tornava indietro percuotendosi il petto. *Ma tutti i suoi amici si erano fermati lontano e anche le donne che lo avevano seguito dalla Galilea stavano a guardare.

A Gesù è stato preferito Barabba. La folla gridò: “Crocifiggilo!”, e Pilato lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso. Egli, portando la croce, si avviò verso il Golgota, dove lo crocifissero e con lui due ladroni. Tutti hanno condannato Gesù: Caifa per invidia, potere e la sua coscienza oscura, Anna per superbia, Pilato per viltà, Erode per dissolutezza, Giuda per denaro, Pietro per imprudenza e paura, il popolo perché sobillato dai farisei….Perché Gesù si è caricato di tutti i nostri peccati. Il pretore romano, di fronte al mistero di Gesù, con un gesto ebraico, per essere bene inteso, si lava le mani: in pratica cerca di stare in disparte, alla finestra; ci sono anche dei cristiani, oggi, che si defilano, che riducono tutto alla loro maniera personale di credere, scordando il volto di Gesù, senza impegnarsi in questa società ormai in gran parte pagana in cui il cristianesimo è distorto e la Chiesa di Cristo accusata d’essere nemica della libertà dell’uomo.

La dignità dell’uomo è sopraffatta, gettata a terra, umiliata in tanti modi: aborti, prostituzione, pornografia, ricerca di sensazioni insolite, esperimenti biologici atroci e aberranti. Tuttavia, la dignità dell’uomo è acquistata e redenta a prezzo del sangue innocente e senza peccato dal Figlio di Dio: “Fu piagato per le nostre iniquità, le sue piaghe ci hanno guarito” (Is.53,5). In quelle strette, affollate vie di Gerusalemme, durante le ultime ore che precedono la Pasqua ebraica, Gesù tormentato, coronato di spine, con il volto sanguinante, porta la croce sulle sue spalle, peso enorme da sopportare. Cade tre volte esausto per lo sforzo e i patimenti, ma tre volte si rialza. Gesù cade per amore, si rialza per il bisogno di essere amato. Gesù ha accettato il calice amaro dalle mani del Padre e vuole berlo fino in fondo per noi.

Ogni nostro peccato è in relazione stretta e misteriosa con la passione di Gesù. La perdita del senso del peccato, oggi tanto generalizzata, è una forma di negazione di Dio. Ecco perché ristabilire il giusto senso del peccato è il primo modo di affrontare la grave crisi spirituale che ha colpito l’uomo: ira, invidia, sensualità fine a se stessa, pratiche di pietà fatte per abitudine, leggerezza nei giudizi, piacere nelle mormorazioni, mancanza di perdono, poco amore….Nessuno di noi quando è provato dal dolore può affermare di non ritrovare se stesso nella sofferenza di Gesù. Infatti, lui stesso ha voluto condividere la nostra condizione esistenziale per trasformarla interiormente, dalla via dolorosa che conduce al calvario. Maria, la Vergine Madre, ha accettato la condanna del Figlio come propria condanna e gli è andata incontro fino al calvario portando nel cuore anche lei la croce dell’infamia, la croce più pesante dei nostri peccati. Noi crocifiggiamo Gesù nel nostro corpo col peccato e lo condanniamo ogni volta che preferiamo la creatura al Creatore. Davanti alla vittima delle nostre colpe imitiamo non l’ostinazione dei farisei o la disperazione di Giuda, ma il pianto di Pietro e la preghiera del ladrone pentito. Durante quelle tre ore in cui Gesù rimase sulla croce, patì acutissime sofferenze. Il suo corpo perdeva incessantemente sangue e forza vitale attraverso gli squarci delle mani e dei piedi prodotti dai chiodi attraverso le vaste lacerazioni prodotte dalla precedente flagellazione. Il capo era crivellato dalle punture delle spine della corona; nessun muscolo trovava riposo nella posizione sulla croce. I tormenti si accavallavano e si accrescevano sempre più atroci, senza un istante di requie. In quel tenebroso oceano di spasimi solo la più alta vetta dell’anima era serena, sublimata nella contemplazione del Padre.

Anche il suo volto perse, ad un certo punto, la sua bellezza esteriore nella sofferenza, ma internamente, Egli era nella pace, dal momento che compiva la volontà del Padre. Possiamo anche supporre che, nel profondo della sua anima, fosse soddisfatto, poiché lui il Figlio unigenito era arrivato, con piena libertà e accettazione all’ora del Suo sacrificio, un atto d’amore per il Padre e per gli uomini, un atto d’amore senza precedenti per il riscatto dell’umanità. Da quella cattedra ci lasciò il suo testamento:

  • Perdonò ai suoi crocifissori, “Padre, perdona ad essi, perché non sanno quel che fanno!”;
  • Promise al buon ladrone il paradiso: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”;
  • Diede all’umanità intera sua madre: “Donna, ecco tuo figlio”, “Ecco tua madre”;
  • Manifestò il proprio martirio con la frase: “Ho sete” e con il misterioso lamento “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?”

Inoltre prima di morire affidò al Padre il proprio spirito, proclamò compiuta la propria missione e, “reclinato il capo, spirò” (Gv.19,30). Maria, sua Madre, ai piedi della croce, soffre nel cuore quel che Gesù soffre nel corpo e nello spirito e forma con lui un unico sacrificio per l’umanità che Gesù le affida. La morte di Gesù ha un solo motivo: l’amore infinito per ognuno di noi. Ciascuno può ripetere con San Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal.2,20). Ma dovremmo anche ripetere: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil.1,21). Le sue braccia spalancate esprimono il desiderio di accogliere tutti, perché nessuno, se non Dio, può scrivere la parola fine nei confronti dell’uomo.

“Poi lo crocifissero”. Con questa parola così scarna e cruda ci viene detto ciò che viene fatto a Colui che ha usato le mani per guarire, per benedire, per spezzare il pane. Quelle mani sono inchiodate alla croce. Ci viene detto cosa è stato fatto a quei piedi, sempre in movimento nel vangelo di Luca. Vengono bloccati sull’albero della croce. La morte per crocifissione è una morte atroce, lenta, per aumentare la sofferenza. Attorno alla croce c’è tutto un vociare sarcastico di chi deride quel pretendente Messia: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso!”. Ma è proprio qui la verità di Gesù: Lui non accetta la sfida e non scende dalla croce per essere fedele al volto del Padre che ha dato tutto se stesso per salvarci. No, Gesù non può scendere dalla croce!

Gesù si abbandona alla debolezza dell’amore, e proprio per questo la sua morte diventa il luogo in cui la potenza dell’amore si rivela. Se si fosse salvato, non ci avrebbe salvato e di fronte alle tantissime croci della storia sarebbe mancata la sua che dà valore a tutte le altre, quale piena solidarietà di Dio con noi. Gesù crocifisso e morto rivela chi è Dio e chi è l’uomo e li unisce in un unico amore. Oltre la croce, il Padre non ha più nulla da dirci o da darci: dandosi tutto a noi ha rivelato, nella più grande trasparenza, chi è lui. Gesù sulla croce arriva al punto di perdere l’esperienza di Dio perché possano fare esperienza di Dio

Nel grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, Gesù percepisce la sua infinita lontananza e separazione dal Padre. Ma proprio perché ha sperimentato la lontananza più infinita da Dio, Gesù è capace di vivere la più grande vicinanza con l’uomo. Sulle sue labbra quelle parole sono le parole d’ogni uomo che grida il perché del dolore, del non senso, del dubbio, della morte. Da quel momento non c’è disperazione dell’uomo che oramai non sia racchiusa in questo grido di Gesù. Questo grido permette ad ogni uomo che soffre di entrare nell’invocazione di Gesù e nella sua preghiera. Il Padre ascoltando le parole del Figlio abbraccia e fa sua tutta la sofferenza del mondo. Ora non esiste luogo dove Dio non sia presente e porti in sé il dolore dell’uomo, non esiste vuoto che non sia riempito dalla sua presenza. In quel “Dio mio” però è racchiusa anche tutta la fiducia e confidenza del Figlio. Il suo essere abbandonato è vivere l’angosciosa lontananza del Padre ma è, nello stesso tempo, un attivo abbandonarsi in Lui. Sulla croce di Gesù, uomo e Dio sono finalmente uniti. Dando la sua vita, Gesù l’ha salvata per tutti: ci ha offerto la vita stessa di Dio, il suo amore di figlio e fratello.

La morte di Gesù è seguita da due fatti molto espressivi: il velo del tempio si spezza e il centurione romano proclama Gesù Figlio di Dio. Il Velo del tempio segnava l’ultima barriera di fronte al Santo dei Santi, luogo della presenza di Dio nel tempio. Solo il sommo sacerdote poteva entrarvi. Con la morte di Gesù, il velo del tempio si lacera ad indicare che ora, l’accesso a Dio è aperto a tutti, anche ai pagani. Le troppe separazioni che impediscono all’uomo di accostarsi a Dio, sono ormai definitivamente strappate, ormai non c’è più nessun velo che li divide. Ogni uomo ora ha libero accesso a Dio, perché il suo amore si è versato senza riserve su ogni uomo. Primo testimone dell’aver accesso alla presenza di Dio, è proprio un pagano, il centurione romano. Lui è il primo che ai piedi della croce non si scandalizza per la sorte di Gesù, ma riconosce nel crocifisso il Figlio di Dio. E’ importante rilevare che la professione di fede del centurione nasce dal modo con cui Gesù è morto: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!”.

In tutto il vangelo di Luca questo pagano è l’unico che confessa Gesù, “Figlio di Dio”. Questa è la prima confessione di fede cristiana. Nel centurione vi è la conferma che davvero tutti ora possono partecipare alla nuova alleanza iniziata nella morte di Gesù. Lui è il primo ad essere entrato, con la sua fede, nel luogo più pieno dell’incontro tra l’uomo e Dio.

*C’era un uomo che si chiamava Giuseppe, membro del consiglio, uomo buono e giusto; *egli non aveva acconsentito alla decisione né all’opera degli altri. Era originario di Arimatea, città della Giudea, e aspettava il regno di Dio. *Egli si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. *E, depostolo dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo pose in un sepolcro scavato nella roccia, nel quale non era ancora stato deposto nessuno. *Era il giorno della preparazione e stava per avere inizio il sabato. *Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano da vicino Giuseppe e osservavano il sepolcro e come veniva deposto il corpo di Gesù. *Poi se ne tornarono e prepararono aromi e unguenti. Il giorno di sabato osservarono il riposo prescritto.

L’ultimo episodio della vicenda storica di Gesù è la sua sepoltura. Gesù viene sepolto per iniziativa di un giudeo simpatizzante e autorevole, identificato con Giuseppe d’Arimatea (At.13,29). Già questo particolare, cioè che non si tratti di un discepolo qualificato, depone a favore della storicità del fatto. I giustiziati, secondo il diritto giudaico e anche romano, erano destinati alla fossa comune, se non intervenivano parenti o amici a richiederne la sepoltura privata. Inoltre, secondo l’usanza giudaica fondata su Dt. 21,22-23 e rispettata dall’autorità romana, il corpo dei condannati a morte doveva essere deposto dalla croce prima del calar del sole. Così come una certa fretta nella sepoltura: è un venerdì, vigilia del riposo sabbatico, che inizia col calar del sole. Dunque l’intervento di Giuseppe d’Arimatea è provvidenziale poiché, audacemente, chiede il corpo a Pilato. Il corpo del condannato viene consegnato non senza avere prima verificato che veramente fosse morto. Anche gli altri particolari della sepoltura, come la collocazione del cadavere in un lenzuolo o sindone nel sepolcro scavato nella roccia, corrispondono alle usanze giudaiche. Poi la pietra di chiusura venne fatta rotolare per sigillare l’ingresso. Chiude il racconto della morte di Gesù, un’ultima notizia: due donne, Maria Maddalena e Maria di Giuseppe, appartenenti al gruppo delle donne che ha seguito Gesù, sono testimoni oculari del sito del sepolcro, e permette all’evangelista di stabilire la continuità storica tra quest’episodio e la visita delle donne al sepolcro la domenica mattina.

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