Vangelo di Luca – Cap 22,1-23 al 22,66-71

Ultima cena di Gesù - Joan de Joanes
Complotto dei capi, tradimento di Giuda, e cena pasquale.

Capitolo 22,1-23

*Si avvicinava la festa dei pani non lievitati, detta Pasqua. *I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di sopprimerlo, perché temevano il popolo. *Allora satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che apparteneva al gruppo dei dodici. *Egli andò a contrattare con i capi dei sacerdoti e i comandanti del tempio sul modo di consegnarglielo. *Essi se ne rallegrarono e s’impegnarono a dargli del denaro. *Egli acconsentì e incominciò a cercare l’occasione propizia per consegnarlo nelle loro mani di nascosto .*Venne dunque il giorno dei pani non lievitati, nel quale si doveva immolare la pasqua. *Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo loro: Andate a fare i preparativi perché possiamo mangiare la pasqua. *Gli chiesero: Dove vuoi che prepariamo? *Disse loro: Ecco, appena entrati in città, incontrerete un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo nella casa dove entra *e dite al padrone di casa: il maestro ti chiede: Dov’è la sala nella quale possa mangiare la pasqua coi miei discepoli? *Egli vi mostrerà una sala grande e addobbata al piano superiore; là preparate. *Essi andarono, trovarono come egli aveva detto e prepararono la pasqua. *Quando fu l’ora Gesù si mise a tavola e gli apostoli con lui. *E disse loro: Ho desiderato ardentemente di mangiare questa pasqua con voi prima della mia passione, *perché vi dico che non mangerò più finché non si compia nel regno di Dio. *E, presa una coppa, rese grazie e disse: Prendete e dividetela tra di voi, *perché vi dico che d’ora innanzi non berrò più del frutto della vigna finché non venga il regno di Dio. *Poi prese del pane, rese grazie, lo spezzò e lo dette loro dicendo: Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me. *Lo stesso fece con il calice dopo il pasto dicendo: Questo calice è la nuova alleanza sancita dal mio sangue versato per voi. *Ma ecco chi mi tradisce è a questa stessa tavola con me. *Perché il figlio dell’uomo se ne va come è stabilito, ma guai all’uomo dal quale è tradito. *E quelli cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi mai di loro avrebbe fatto una cosa simile.

I protagonisti storici della macchinazione contro Gesù sono i capi del giudaismo, gli scribi, farisei, teologi e magistrati, autorevoli membri del sinedrio, inoltre gli funzionari del tempio che appartengono alle grandi famiglie dell’aristocrazia, che possono disporre delle guardie del tempio. Ad essi è contrapposto il popolo, favorevole e legato a Gesù. I capi hanno paura di questo favore popolare, temono le conseguenze dell’entusiasmo messianico delle masse. Pere la loro politica di equilibrio e di alleanza con il potere romano di occupazione, l’azione franca e disinvolta di Gesù è ritenuta pericolosa nella misura in cui coinvolge la base, l popolo. Ma il protagonista del male, di cui i potenti sono la longa manus nel conflitto e scontro finale, è nascosto: satana. Egli aveva lasciato Gesù, al termine delle tentazioni, con l’appuntamento per “il tempo stabilito” (Lc.4,3). Questo arco ideale congiunge l’inizio della passione con le tre tentazioni messianiche del deserto. E con l’entrata in scena di satana, che offre uno sbocco grazie alla connivenza di Giuda al complotto dei capi, Luca dà una dimensione nuova alla vicenda storica della morte di Gesù. Essa non è soltanto un incidente politico o religioso, il risultato del conflitto tra il potere centrale e il profeta di Nazareth; nella eliminazione violenta di Gesù si rivela il volto satanico del potere. Il potere che dà la morte è la maschera dell’avversario per eccellenza: satana. Non è una circostanza casuale che la segreta complicità di Giuda con l’agente che sta dietro al potere violento passi attraverso la fame di denaro. Luca ci fa comprendere che il vero volto di satana si rivela nella storia come potere, che si serve della menzogna e genera la morte.

Il resoconto circa i preparativi della pasqua o cena pasquale rientra nella prospettiva teologica di Luca che vuol definire il significato della morte di Gesù. Il segno dato ai due apostoli era abbastanza singolare, perché l’ufficio di attingere e trasportare l’acqua era riservato ordinariamente alle donne. I due si attennero al segno: entrando in città, certamente per la porta situata sopra la piscina di Siloe e di fronte al monte degli Ulivi, incontrarono effettivamente l’uomo della brocca; avendo poi essi seguito costui alla casa dov’era diretto, il padrone mise a loro disposizione la sala di cui Gesù aveva parlato. Compiuti durante la giornata i preparativi, in quella stessa sera si tenne la cena. Luca più che attraverso elaborate precisazioni teologiche, fa notare che è Gesù stesso a preparare la sua pasqua, quella pasqua nella quale si realizza la piena liberazione, l’alleanza nuova nel suo sangue. E’ quest’ampio respiro teologico che fa sorvolare la narrazione sui particolari anche di un certo rilievo per la storia. Ci si preoccupa di indicare la grande sala al piano superiore, riservata agli ospiti, sala preparata con divani e tappeti, ma non si dice nulla di ciò che è caratterizzante: l’agnello pasquale. Anche perché per noi cristiani che ascoltiamo il racconto della passione questo non ha più importanza, poiché l’ultima cena di Gesù assume un nuovo significato, che sostituisce quello dell’antica pasqua ebraica. “Ma ecco chi mi tradisce è a questa stessa tavola con me. Perché il Figlio dell’uomo se ne va come è stabilito, ma guai all’uomo dal quale è tradito”. “E quelli cominciarono a domandarsi l’un l’altro chi mai avrebbe fatto una cosa simile”.

Fu uno sgomento generale. Proprio in quella serata così solenne e così affettuosa, si poteva parlare di tradimento? Proprio fra quei dodici uomini che si erano dati anima e corpo al maestro, si poteva dissimulare un traditore? Tutti i commensali, infatti, stendendosi dal loro divano, intingevano il pane e le erbe amare in vassoi comuni che contenevano la salsa pasquale, e ciascuno poteva servire a circa tre persone: probabilmente quello in cui intingeva Gesù serviva pure a Giovanni e a Giuda. Ad ogni modo fra i commensali c’era colui che aveva ben compreso, e appunto riferendosi a lui Gesù aggiunse parole che vollero essere l’ultimo grido d’esortazione, l’estrema segnalazione dell’abisso: “Guai all’uomo dal quale è tradito”. Che in quella cena pasquale di Gesù sia avvenuto qualcosa di straordinario lo narrano tutti gli evangelisti. Quella sera fu seguito certamente il solito rito della cena pasquale con le quattro coppe rituali di vino, con il pane azimo, le erbe agresti e l’agnello arrostito, sebbene non tutte queste cose siano rammentate dagli evangelisti. Gesù in quel convito fungeva da padre di famiglia; perciò benedisse egli la prima coppa, ed aggiunse: Prendete, questo è il mio corpo. *Poi prese il calice, rese grazie, lo diede loro, e ne bevvero tutti.

E disse loro: Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è sparso per la moltitudine. *Io vi dico in verità che non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio. Gesù suscita un gesto, uno strumento che attuasse l’efficacia universale della pasqua, l’energia, la forza di riconciliazione e di comunione sprigionata nella sua pasqua storica; questo gesto è l’Eucaristia che, nella liturgia della Chiesa, si presenta appunto come la maniera sacramentale che rende perenne in ogni tempo il sacrificio pasquale di Gesù dischiudendo all’umanità l’accesso alla vita senza fine. Nell’Eucaristia è presente non soltanto la volontà di Gesù che istituisce un gesto di salvezza ma Gesù stesso. La stessa cena pasquale ebraica era ed è vissuta come una memoria che attualizza i fatti della liberazione del popolo dall’Egitto. Nell’Eucaristia la relazione non è soltanto con un fatto passato, bensì con una persona, con Gesù salvatore crocifisso e risorto. In ogni Eucaristia viene annunciata la sua morte, che ha distrutto la malvagità umana scatenatasi contro di lui perdonandola e ha vinto la paura della morte, e viene annunciata la sua resurrezione.

Per quanto riguarda il presente, il Corpo e il Sangue di Cristo è veramente dato a noi nell’oggi, la nuova alleanza nel Sangue di Gesù si realizza adesso creando o rafforzando il rapporto dell’uomo con Dio, rapporto di figliolanza e amicizia. Tutta la storia umana si concentra nel momento straordinario della celebrazione eucaristica. Inoltre, l’Eucaristia proclama il futuro dell’uomo e dell’umanità, preannuncia quel giorno senza tramonto nel quale la nostra vita sarà uno stare a mensa con Dio, un vivere con lui una familiarità immediata.

Il significato del mistero dell’Eucaristia.
La prima parola è: “Il mio sangue dell’alleanza”. Gesù si colloca sullo sfondo dell’alleanza di Dio con il popolo d’Israele, alleanza che lo faceva appunto popolo di Dio: il dono del sacrificio di Gesù ha come fine la creazione del nuovo popolo, che non toglie nulla al primo, ma si estende a tutta l’umanità. Dire “alleanza” equivale a dire l’instancabile amore con cui Dio, a partire dalla creazione, ha trattato l’uomo come un amico, ha promesso una salvezza dopo il peccato, ha liberato Israele dall’Egitto, l’ha accompagnato nel cammino attraverso il deserto. L’ha introdotto nella terra promessa segno dei misteriosi beni futuri, l’ha aperto alla speranza con la promessa del Messia. Collegando l’istituzione dell’Eucaristia con l’alleanza, Gesù vuole significare che essa dona a noi la forza di lasciarci totalmente attrarre nel movimento dell’amore misericordioso di Dio.

La seconda parola è: “Nella notte in cui veniva tradito” (da San Paolo). Il riferimento è a Giuda ed a tutti noi. Il Signore dona il suo corpo e il suo sangue a coloro che lo tradiranno, fuggiranno, lo rinnegheranno. I nostri tradimenti, le fughe, le infedeltà degli uomini, non possono che esaltare la grandezza del suo amore. Dio ci ama in questo modo. L’unica misura del suo amore smisurato è il bisogno della persona amata: il povero, l’infelice, il diverso, il peccatore, il perduto sono amati persino più degli altri. La terza parola è: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, sparso per la moltitudine”. In altre parole per tutti gli uomini e per gli ultimi di tutti i tempi, “in remissione dei peccati”. Nella notte della disperazione, della prigionia, del nostro egoismo, dell’aridità, della freddezza del cuore, Gesù si dona a noi per strapparci dalle tenebre, per invitarci a credere in un Dio che non ha il volto rabbuiato, stizzito, amareggiato, deluso dalle nostre incorrispondenze, ma che ha il volto pieno di tenerezza, di fiducia, di passione per ogni creatura, il volto mitissimo del Crocifisso.

Promesse ai discepoli e alla comunità.

Capitolo 22,24-38

*Sorse anche una discussione tra di loro: chi di essi doveva essere considerato il più grande. *Ma egli disse loro: I re delle nazioni dominano sui loro popoli, e coloro che hanno il potere su di essi si fanno chiamare benefattori. *Voi però non dovete essere così, ma il più grande tra di voi prenda il posto del più giovane, e colui che comanda il posto di colui che serve. *Infatti chi è più grande? Chi sta a mensa o chi serve? Non è forse chi sta a mensa? Eppure io sto in mezzo a voi al posto del servo. *Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove; *per questo io stabilisco per voi la regalità come il Padre l’ha conferita a me; *così voi mangerete e berrete alla mia mensa nel mio regno e sederete sopra i troni per giudicare le dodici tribù d’Israele. *Simone, Simone, ecco satana vi ha ricercato per vagliarvi come si fa col grano. *Ma io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede; e tu, quando ti sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli. *Ma egli rispose: Signore, con te sono pronto ad affrontare il carcere e la morte. *E Gesù: Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà prima che tu abbia negato per tre volte di c0pnoscermi. *Poi disse loro: Quando vi mandai senza bisaccia, né borsa, né sandali, non vi mancò mai nulla? Nulla, risposero. *Ed egli replicò: Ma ora chi ha una borsa la rpenda; così chi ha una bisaccia; e chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. *Perché vi dico che deve compiersi in me la parola della Scrittura: E’ stato considerato un malfattore. Infatti tutto ciò che mi riguarda sta per concludersi. *Gli dissero: Signore, ecco qui due spade. Ed egli: Basta così.

Il discorso che Gesù tiene nel contesto della cena finale, è una serie di istruzioni dirette ai discepoli che gli stanno attorno, ma il suo sguardo è rivolto a tutti i discepoli di ogni tempo che si raccoglieranno a celebrare la cena in sua memoria. La celebrazione della cena è lo spazio ideale in cui i discepoli scoprono e verificano la loro identità di chiesa, di assemblea riunita attorno al Signore. Qui sta il centro dell’insegnamento di Gesù. Il primo argomento, quello del “servire a tavola”, è molto vicino e simile a quello delle precedenze o dei ruoli nella comunità. Infatti la discussione riportata da Luca dopo la cena, richiama l’episodio dei due fratelli Giacomo e Giovanni che chiedono a Gesù di avere i primi posti nel suo regno e la conseguente reazione degli altri discepoli. Qui, tuttavia, il contesto si sposta su un problema più preciso: come devono comportarsi i capi della comunità cristiana, in particolare qual è il loro ruolo e compito? La risposta di Gesù viene dal suo modo di agire. Vale a dire che i capi della comunità non devono servirsi del potere per dominare, ma fare l’esatto contrario, cioè mettersi al servizio di tutti, in pratica “servire”: preparare la mensa, accogliere, assistere, aiutare i poveri che sono gli invitati e ospiti d’onore. A questa istruzione sul servire a tavola nella comunità, segue una promessa:coloro che sono rimasti fedeli a Gesù nelle prove sono destinati a partecipare alla sua regalità messianica e alla commensalità gioiosa nel suo regno.

I versetti che seguono contengono l’annuncio del rinnegamento di Pietro che fa da ponte tra il cenacolo e il Getsemani. Infatti, dopo il canto del Salmo 115-118, a conclusione della cena pasquale, Gesù si avvia al di là del Cedron, ai piedi del monte degli Ulivi. L’annuncio anticipato non serve soltanto a rendere più accettabile alla comunità il comportamento scandaloso dei seguaci di Gesù, ma offre anche lo spunto per una seria riflessione e parentesi sulla presunzione dei credenti. La predizione della dispersione degli apostoli e del rinnegamento di Pietro, secondo Luca era un’altra di quelle tetre previsioni che davano tanto sui nervi agli apostoli. La loro insofferenza apparve subito sul volto di parecchi, e specialmente all’impetuoso Pietro. Al bravo Pietro queste parole non piacquero affatto: egli voleva un gran bene a Gesù e, qualunque tentativo avesse fatto Satana, non avrebbe mai commesso contro il Maestro alcuna vigliaccheria da cui sarebbe tornata indietro.

Il dispiacere di Pietro si colorì anche di un certo risentimento, e in un dialoghetto con Gesù, egli disse:”Signore, con te sono pronto ad affrontare il carcere e la morte”. Nessuno, certamente, avrebbe pensato a mettere in dubbio la sincerità di Pietro quando parlava così; tuttavia Gesù, calmo e paziente, gli dette la seguente risposta, riportata dall’evangelista Luca che l’avrà sentita centinaia di volte da Pietro stesso quando predicava: “Pietro, io ti dico che oggi il gallo non canterà prima che tu abbia negato per tre volte di conoscermi”. Questo era troppo per Pietro! Un fiume di proteste e d’attestazioni eruppe allora dalla sua bocca; Luca, volendo forse usare un certo riguardo al suo padre spirituale, accenna a questo fiume dicendo che Pietro parla in maniera sovrabbondante e ripeteva che, seppure avesse dovuto morire insieme col Maestro, non lo avrebbe rinnegato. Altrettanto più o meno, dicevano anche gli altri apostoli. Gesù dal canto suo mostrava di non avere troppa fiducia, non già sulla sincerità, ma sulla solidità di tutte queste attestazioni, e continuò ad esortarli affinché, come avevano avuto fiducia in lui nel passato, l’avessero anche nella durissima lotta che allora stava per iniziare. Se rammentiamo le gravi parole di Gesù contro chi si vergognerà di lui, 8,38, o lo rinnegherà, si può comprendere l’impressione che doveva destare nella prima comunità cristiana il comportamento di Pietro, Erano un esempio e un richiamo permanente contro la falsa sicurezza d’ogni cristiano, anche dei più qualificati e raccomandati.

La preghiera di Gesù nel Getsemani

Cap. 22, 39-46

*Quindi uscì per andare, secondo il solito, al monte degli Ulivi; i discepoli lo seguirono. *Arrivato sul posto, disse loro: Pregate per non cadere in potere della tentazione. *Poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso; e, inginocchiatosi, pregava *dicendo: Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia si faccia non la mia, ma la tua volontà. *Allora gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo. E in preda all’angoscia pregava più intensamente; e il suo sudore divenne come gocce di sangue che cadevano in terra. *Quando, dopo questa preghiera, si alzò e venne dai suoi discepoli, li trovò addormentati a causa della tristezza *e disse loro: Perché dormite? Alzatevi e pregate per non cadere in potere della tentazione.

Devo confessare, iniziando la riflessione, che è cresciuto in me il timore di ridurre e rendere banale la pagina del vangelo più densa di pathos. Nella passione, morte e risurrezione di Gesù c’è il senso della nostra vita: che noi lo vogliamo o no, che gli uomini lo sappiano o no, che ci credano o meno, lì ritrova senso tutto ciò che non ha senso. Di fronte a questo dramma umano e divino di Gesù che si offre alla nostra contemplazione, possiamo reagire in due modi, com’è successo ai discepoli. Possiamo dormire e poi fuggire, perché è troppo difficile, è troppo rischioso, stare con Lui e imparare da Lui ad amare fino a dare la vita. Dopo l’ultima cena nessuno degli Apostoli si meravigliò del fatto che Gesù si ritirasse in preghiera, oltre il torrente Cedron, al monte degli Ulivi, nell’orto del Getsemani. Era già buio, ma Gesù spesso trascorreva la notte in preghiera (Lc.6,12). Anche in quella circostanza, che si allontanasse, non era del tutto nuovo. Tuttavia in quell’ora vibrava una tensione palpabile tra i discepoli per tutto quanto avevano vissuto nel Cenacolo. Rammentavano le parole enunciate da Gesù durante la cena, parole avvolte ancora nel mistero, per i loro poveri cuori: ” Questo è il mio Corpo;…Questo calice è la nuova alleanza sancita dal mio sangue versato per voi. Ma non era tutto, pur nell’atmosfera solenne del momento, qualcosa d’antico serpeggiava nei loro cuori. Gesù aveva detto: “Ma ecco chi mi tradisce è a questa stessa tavola con me.” Alle rimostranze di Pietro, gli disse: “Petro, io ti dico che oggi il gallo non canterà prima che tu abbia negato per tre volte di conoscermi”, e quando Pietro lo scongiurò, Gesù aveva aggiunto: “Ecco, Satana vi ha ricercato per vagliarvi come si fa col grano. Ma io ho pregato per te, affinché non venga meno la tua fede; e tu, quando ti sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli”.

Il Getsemani è una porta del Santuario ove le dimensioni umana e divina del Cristo convergono nel medesimo punto d’offerta: “l’est incarnatus est e il Pater in manus tuas commendo spiritus meus!” L’interno di questo Santuario, l’orto del Getsemani, è avvolto in un manto di mistica penombra che prelude e predispone al gran mistero della Croce. Il silenzio arcano degli ulivi antichi e nuovi si sviluppa in tono grave attorno all’altare del Sangue della Redenzione; la rettangolare, massiccia e candida pietra sulla quale Gesù si è inginocchiato versando lacrime di sangue; il calice che raccoglie i peccati di tutti gli uomini, dalla creazione alla consumazione del tempo, offerta con straziante ma amorosa oblazione totale di Sé, la preghiera che nasce dalla Sua agonia: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia si faccia non la mia, ma la tua volontà”, l’abbandono incredibile e il sonno della scarsa sensibilità degli Apostoli che acuiscono l’angoscia del Maestro in quell’ora in cui si scatena l’arroventata furia dell’odio contro il Dio dell’amore!

Ascoltiamo il pianto angoscioso di Gesù: “La mia anima è triste fino alla morte”. Gesù, immagine viva dell’odio che fluisce dal frantoio della Croce, è solo nel Getsemani…l’ora suprema è giunta, congiungimento del finito con l’infinito, una luminosa fusione dell’eterno con il temporale, dell’umano con il divino. Addossandosi il peccato dell’uomo, ne porta gli effetti in tutta la formidabile interezza. La giustizia divina splende nel buio di quella notte, la Redenzione umana desidera un sacrificio senza pari e senza nome. Ma nell’orto degli ulivi in quella notte nasce il principio della gran tragedia, infatti, sono le prime angosce della santa e amara passione…La porta del Santuario del Getsemani è dunque aperta dal mistero del Tristis est anima mea… La navata orizzontale della Sua umanità s’incrocia con quella verticale della Sua divinità e forma una Croce.

Ave crux spes unica!
Sì, unica nostra speranza, oh Croce sublime, noi ti salutiamo, inneggiamo a te, preferendo tacere dinanzi al mistero che vide l’Amore inchiodato sul tuo legno. Gesù, dal sacro Santuario del Getsemani, fa giungere alla conoscenza dei tuoi figli denutriti dal silenzio, la voce viva del Tuo Cuore orante e agonizzante!

Silentium!
Facciamo silenzio e restiamo in contemplazione, non lasciamo cadere invano le gocce di quel sangue divino…Chi le raccoglierà? Forse io? Forse tu? Forse noi insieme?

Introduciamoci anche noi nel “podere chiamato Getsemani”.
Gesù si è fatto solidale con gli ultimi, i peccatori, gli esclusi, sempre e in modo totale. Poco prima di recarsi al monte degli Ulivi, aveva compiuto il gesto di consegnarsi per amore e restare per sempre in mezzo ai suoi d’ogni tempo, nel segno del pane e del vino. Nell’ora più drammatica della sua vita, ha risposto all’odio e alla mancanza d’amore donandosi totalmente in sacrificio, corpo e sangue. La perenne memoria di quel gesto, “corpo dato e sangue versato” è il segno dell’amore che si dona in un contesto d’odio e di morte. Quando l’ora della croce arriva, anche Gesù prova disorientamento e angoscia. Nella notte del tradimento e della passione, la notte più buia dell’umanità intera, Lui è in preghiera. L’agonia nell’orto è la finestra sull’intimità più vera di Gesù. Nelle sue stesse parole scopriamo quale rapporto vi è tra Gesù e il Padre. Nel momento decisivo della sua vita, Gesù ci fa conoscere cosa significa amare e fare la volontà del Padre. Nella preghiera solitaria nell’orto degli Ulivi Gesù vive in anticipo la morte, e sperimenta la sua debolezza e fragilità umana, ma intravede anche la luce della risurrezione consegnandosi definitivamente alla volontà del Padre.

Il quadro del Getsemani è di un’intensità drammatica e tragica: Gesù è spaventato e disorientato, barcolla sfinito e cade più volte per terra, versando lacrime e sudore di sangue. Con questi versetti, Marco rivela come Gesù è pienamente cosciente di ciò che gli sta accadendo: la sua morte non è un incidente di percorso, è una scelta. Ascoltiamo le parole di Gesù quando prega nell’orto del Getsemani: “Abbà! Padre, tutto è possibile a te; allontana da me questo calice: però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu”. Il gran dramma interiore, la tristezza e il brivido della morte, non sopprimono in Gesù l’accettazione piena di ciò che Dio Padre vuole. L’invocazione “Abbà”, posta sulle labbra di Gesù in quell’ora suprema d’agonia, comunica tutta la confidenza, la tenerezza e la fiducia che Lui, il Figlio, ripone nel suo “papà”. Abbà esprime l’intimità profonda con cui i bambini ebrei chiamano il loro papà. Vigilanza e preghiera sono anche per noi le condizioni per fronteggiare le nostre debolezze. Tutti abbiamo delle debolezze anche se vogliamo negarle o fingere non ci siano! E’ parte della nostra umanità, ed è anche parte della bellezza di sentirci fragili e non sufficienti a noi stessi. Se vogliamo entrare nella volontà di Dio dobbiamo abituarci a chiamare per nome le nostre debolezze e per loro “vigilare e pregare” per non lasciarci sopraffare dalla loro presenza (dal sonno). Lo spirito può essere pronto, i nostri ideali ci possono far sentire forti e ci possono orientare verso grandi imprese, ma la carne – la nostra umanità, la nostra area di vulnerabilità – rimane sempre fragile, e ci può portare lontano dal vivere la volontà di Dio. Ma quando vegliamo e preghiamo, permettiamo a Dio di servirsi anche delle nostre debolezze per svelarci la sua volontà, per realizzare il suo progetto sulla nostra vita.

L’arresto di Gesù

Cap. 22,47-53

*E mentre ancora parlava, ecco un gruppo di gente; li precedeva uno dei dodici, colui che si chiamava Giuda. Egli si accostò a Gesù per baciarlo. *Gesù gli disse: Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo? *Quelli che gli stavano attorno, vedendo quanto stava per accadere, dissero: Signore, dobbiamo colpire con la spada? *E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli portò via netto l’orecchio destro. *Ma Gesù intervenne dicendo: Lasciate stare! E toccandogli l’orecchio lo guarì. *Poi Gesù disse a quelli che erano venuti contro di lui, ai capi dei sacerdoti, *ai comandanti della guardia del tempio e agli anziani: Come se fossi un brigante, siete usciti con spade e bastoni. *Quando io ero con voi ogni giorno nel tempio, non avete osato toccarmi. Ma questa è l’ora vostra e il dominio delle tenebre.

Con l’arresto di Gesù ha inizio la passione, dopo i gesti e le parole che l’hanno preannunciata e interpretata. Il racconto di Luca, molto sobrio ed essenziale, si svolge in continuazione con la scena precedente del Getsemani: Mentre ancora parlava, ecco un gruppo di gente; li precedeva uno dei dodici, colui che si chiamava Giuda”. La figura di Giuda, sullo sfondo della masnada armata, domina la prima parte della scena.

Com’erano andate dunque le cose?
Non è arrischiato ricostruirle così. Quando Giuda uscì dal cenacolo si recò dai maggiorenti giudei, i quali l’attendevano e avevano compiuto nel frattempo i loro preparativi materiali e morali: materialmente, perché avevano dato ordine ai loro inservienti di tenersi pronti per una piccola ma delicata spedizione; moralmente, perché erano andati dal procuratore o dal tribuno, e dipingendo quel Galileo di Gesù come un mestatore politico circondato da altri mestatori suoi compaesani e tutti pronti a suscitare sommosse nella capitale, avevano ottenuto facilmente una scorta armata. Questa scorta non poteva essere l’intera coorte di stanza a Gerusalemme, ma soltanto una minima parte: ad ogni modo la presenza di soldati di Roma aveva un gran valore morale, tanto più che con loro era venuto anche il tribuno che li comandava. Con questa gente, adunatasi a notte fatta, si trattava di rintracciare ed arrestare Gesù. Dove trovarlo per impadronirsene alla chetichella e senza timore di reazioni popolari? A tale impresa nessuno poteva servire meglio di Giuda, che era stato pagato soprattutto per questa parte del programma; infatti, il luogo del Getsemani era ben noto anche a Giuda perché spesso si era accompagnato con Gesù e tutti gli altri discepoli, e il traditore sapeva bene che Gesù dopo la cena pasquale non poteva essersi recato fino a Betania troppo lontana: dunque doveva essere al prediletto Getsemani.

Nel prendere gli ultimi accordi con i sommi sacerdoti, Giuda stabilì un segno speciale per far riconoscere Gesù: Quello che bacerò! Sembrerebbe strano un gesto simile, ma non dobbiamo scordare che nell’Antico Oriente, i discepoli baciavano per rispetto le mani del maestro: gli amici invece, trattandosi alla pari, si baciavano sulla faccia. Nel segno scelto da Giuda c’era dunque come un avanzo di pudore, perciò il traditore non aveva il coraggio di additare palesemente alle guardie il suo maestro ed amico gridando “E’ lui!”; così avrebbe fatto chi avesse avuto un vero odio per Gesù, perché quel grido già sarebbe stato uno sfogo all’odio: invece il segno convenuto pretendeva di salvare le apparenze. Ma anche qui appare l’enigma di Giuda. Non sapeva egli forse che al maestro il tradimento era noto? Sconcertanti pensieri s’affacciarono in realtà alla mente di Giuda, egli si sarà rinfrancato ripensando ai 30 sicli (denari) e voltandosi per vedersi spalleggiato dai soldati di Roma e da tutti gli altri: ad ogni modo questo pudore di finzione era anch’esso un certo avanzo dell’amore per Gesù, amore allora sopraffatto da quello per l’oro; invece, poche ore più tardi, l’amore per l’oro rimarrà soccombente, il tradimento sarà rinnegato, ma l’amore per Gesù non sarà abbastanza puro e forte da ricercare il suo perdono.

Accadde tutto secondo programma. Gesù stava ancora parlando con gli apostoli appena risvegliati, quando Giuda entrò nel giardino seguito a poca distanza dalle guardie; si avvicinò al gruppo e sbirciando nell’oscurità della notte riconobbe Gesù. Andatogli appresso, gli pose le mani sulle spalle e lo baciò in faccia. Un istante dopo, visto il segnale convenuto, le guardie si fecero avanti alla rinfusa. Gesù disse: “Come se fossi un brigante, siete usciti con spade e bastoni. Quando io ero con voi ogni giorno nel tempio,… Le guardie vacillarono. L’arresto fu eseguito dagli inservienti del Tempio. Nel breve ed intenso tafferuglio, un discepolo (Pietro) estrasse la spada e colpì un inserviente, tagliandoli un orecchio. Gesù toccandolo lo guarì all’istante. Gesù fu legato, e iniziarono a condurlo via. Gli apostoli, a cui dapprima la sonnolenza e poi il subitaneo sdegno non avevano permesso di rendersi ben conto della realtà dei fatti, soltanto allora compresero: il maestro era veramente arrestato, era condotto via come un volgare delinquente. Allora forse, meglio che a tutte le passate affermazioni di Gesù, essi iniziarono ad intravedere quale fosse la durissima prova, quali i patimenti supremi, attraverso cui il Maestro aveva predetto più volte di dover passare per giungere alla sua gloria. A tali mestissimi ricordi gli undici si sentirono schiantati. Della futura lontana gloria del Messia non si ricordarono affatto; badarono soltanto al tintinnio delle catene, al luccicore delle spade, all’umiliazione del Maestro: allora, totalmente smarriti, abbandonarono ogni cosa dandosi alla fuga, tutti dal primo all’ultimo. Gesù uscì dal Getsemani circondato dalla sola masnada: non gli stava appresso neppure un amico.

Rinnegamento di Pietro e insulti delle guardie.

Capitolo 22,54-65

*S’impadronirono di lui, lo portarono via e lo condussero nella casa del sommo sacerdote. Pietro seguiva da lontano. *Essendo stato acceso un fuoco in mezzo al cortile, anche Pietro si sedette tra quelli che si erano seduti intorno. *Ora una serva, appena lo vide vicino al fuoco, osservandolo attentamente, disse: Anche questi era con lui. *Ma egli negò dicendo: Donna, io non lo conosco. *Poco dopo un altro, vedendolo, disse: Anche tu sei uno di loro. Ma Pietro rispose: No, non lo sono. *E, trascorsa circa un’ora, un altro insisteva ancora dicendo: Certamente anche questi era con lui; difatti è un galileo. *Ma Pietro replicò: Senti, non so proprio di che cosa parli. In quell’istante, mentre egli ancora parlava, un gallo cantò. *E il Signore, voltatosi, guardò Pietro. Allora Pietro ricordò la parola che il Signore gli aveva detta: Prima che il gallo canti, oggi, tre volte mi rinnegherai. *E uscito fuori, pianse amaramente. *Intanto gli uomini che avevano in guardia Gesù si divertivano a percuoterlo; *dopo averlo bendato, gli domandavano, indovina, profeta, chi ti ha percosso? *E molti altri insulti dicevano contro di lui.

Il rinnegamento di Pietro è descritto con grande drammaticità. I suoi interlocutori progressivamente passano da una semplice serva (22,56), a una persona (22,58), alla folla dei presenti (22,59). A tale progressione corrisponde quella parallela nel rinnegamento: da una dichiarazione d’ignoranza, si passa ad un rinnegamento, e infine ad un’imprecazione e ad un giuramento seguiti da una netta negazione di conoscere Gesù. Il canto del gallo all’alba fa prendere di colpo coscienza che la predizione di Gesù si è avverata. Pietro scordandosi ad un tratto dei suoi scrutatori, si scosse, guardò più in là, vide Gesù che passava, lo stavano portando nei sotterranei. Gesù a sua volta riguardò verso Pietro con uno di quegli sguardi davanti a cui Pietro si sentiva annientato. Il discepolo rammentò allora di quanto il Maestro gli aveva detto poche ore prima, vale a dire che prima che il gallo avesse cantato, lo avrebbe rinnegato tre volte. Allora il povero ma generoso Pietro abbandonò il campo della sua disfatta, e uscito fuori pianse amaramente. La paura di Pietro di fronte all’opposizione contrasta notevolmente con la fedeltà di Gesù fino alla fine. L’episodio ha un valore indicativo nella struttura della passione: i discepoli non solo sono lontani dalla prospettiva di Gesù; non solo dormono mentre egli prega nel Getsemani; non solo fuggono nel momento dell’arresto, ma lo sconfessano e lo rinnegano mentre egli testimonia pubblicamente. Pietro è il protagonista della scena, come lo è stato in quella di Cesarea e della trasfigurazione. Egli ha cercato di seguire Gesù da lontano, ma di fronte alla minaccia di essere compromesso con la vicenda pericolosa del Nazareno, è preso dalla paura e si tira indietro.

Gesù davanti al sinedrio.

Capitolo 22,66-71

*Appena fu giorno, si riunì il consiglio composto dagli anziani del popolo, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi elo condussero davanti al loro tribunale e gli dissero: *se tu sei il Messia, dillo a noi. Egli rispose: Anche se ve lo dicessi, voi non mi credereste; *e se vi facessi delle domande, non mi rispondereste. *Ma da questo omento il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra del Dio potente. *E tutti domandarono: Tu dunque sei il Figlio di Dio? Rispose loro: Voi stessi dite che io lo sono. *Allora dissero: Che bisogno c’è di testimoni? Noi stessi lo abbiamo udito dalla sua bocca.

A questo punto inizia il processo a Gesù, che si svolse in due fasi differenti, presso due sedi differenti, e in forza d’argomenti in parte differenti. La prima fase è religiosa: Gesù, imputato di delitto religioso, compare davanti al tribunale nazionale-religioso del Sinedrio e viene dichiarato degno di morte. Tuttavia si tratta di una sentenza che ha valore solo teoretico, perché, il Sinedrio non poteva eseguire le sentenze capitali da lui pronunciate se non erano state individualmente ed esplicitamente approvate dal rappresentante dell’autorità di Roma. Allora, per far sì che la propria sentenza non rimanesse sterile e inefficace, il Sinedrio si rivolse al procuratore romano e inizia la seconda fase del processo: la quale si svolge, non più davanti ai giudici di prima, ma davanti al tribunale civile del procuratore; inoltre i giudici di prima compaiono nel nuovo tribunale in funzione d’accusatori, e presentano accuse solo in minor parte religiose e in maggior parte politiche.

Nel frattempo si erano radunati vari membri del sinedrio, e quando furono in numero sufficiente sottoposero Gesù ad un regolare interrogatorio, dove si raccolsero i primi elementi della procedura ufficiale riguardante l’imputato. Sfilarono molti testimoni (lo sappiamo dagli altri sinottici), i quali però erano falsi; e non erano concordi sui fatti. Con tali deposizioni il processo non faceva un passo avanti e non si salvavano neppure le apparenze della legalità; giacché anche se a quei tempi per il testimone non vigeva la norma secondo cui doveva precisare esattamente il giorno, l’ora, il luogo, e tutte le altre minute circostanze del delitto attestato, si richiedeva evidentemente che le deposizioni non si contraddicessero a vicenda. Lì invece si contraddicevano. Tuttavia vedendo che pure quest’ultima testimonianza stava per sfumare, il sommo sacerdote prese una risoluzione decisiva. Levatosi in piedi, Caifa tentò di ottenere da Gesù qualcosa che in apparenza fosse una sua giustificazione di fronte all’accusa dei testimoni, ma che in realtà avrebbe implicato l’imputato nella discussione inducendolo a confessioni; a questo punto Caifa, assumendo un atteggiamento ispirato e solenne, insistette: Sei tu il Messia, dillo a noi…Anche se ve lo dicessi, voi non mi credereste. L’atteggiamento di Caifa pareva quello di un uomo che, tutto preso dal desiderio della verità, attendeva soltanto una parola rassicurante per affidarsi e arrendersi totalmente a lei; sentendolo si sarebbe detto che, ad una risposta affermativa di Gesù, egli si sarebbe prostrato riverente davanti a lui riconoscendolo come il messia d’Israele. Non scordiamo che Caifa ha scongiurato Gesù di dichiarare se egli sia il Figlio del Benedetto.

Il momento era davvero solenne. Tutta l’azione, tutta la missione di Gesù appariva quasi riassunta nella risposta che egli avrebbe dato alla supplica di Caifa. Chi interrogava era rivestito dell’autorità somma e ufficiale in Israele; chi rispondeva era colui che nella sua esistenza aveva serbato quasi costantemente occulta la sua qualità di Messia per ragioni d’oculata prudenza, confidandola soltanto negli ultimi tempi e soltanto a persone opportune e predisposte. In quegli istanti le ragioni della prudenza avevano cessato di esistere: pericoloso che fosse, era ben giunto il momento di palesare apertamente la propria qualità davanti all’intero Israele, rappresentato dal Sinedrio e dal sommo sacerdote. Gesù indirizzandosi a Caifa rispose: Voi stessi dite che io sono .Il Figlio dell’uomo sarà seduto alla destra del Dio potente. Appena udite le parole di Gesù tutti insorsero protesi e vibranti. Caifa credeva di essere riuscito a far bestemmiare Gesù, e con ciò ad implicarlo nella sua condanna, anche se la procedura d’interrogatorio rivolta all’imputato aveva costituito una conduzione del tutto illegale.

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