Vangelo di Luca – Cap. 19,1-10 al 19,45-48

Niels Larsen Stevns -  Zaccheo

L’incontro salvifico con un peccatore, Zaccheo.

Capitolo 19,1-10

*Entrato in Gerico, Gesù attraversava la città. *Ed ecco un uomo, chiamato Zaccheo, che era sovrintendente degli esattori del fisco e ricco, *cercava di vedere chi era Gesù, ma non ci riusciva a causa della folla perché era piccolo di statura. *Corse dunque avanti e per poterlo vedere salì sopra un sicomoro, perché doveva passare di là. *Quando Gesù arrivò sul posto, alzò lo sguardo, e gli disse: Zaccheo, presto, vieni giù perché oggi debbo fermarmi a casa tua. *Egli discese in fretta e lo accolse con gioia in casa. *E tutti, vedendo ciò, incominciarono a mormorare dicendo: E’ andato ad alloggiare in casa di un peccatore. *Ma Zaccheo, fattosi avanti, disse al Signore: Ecco, Signore, la metà dei miei beni la dò ai poveri, e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo. *Disse allora Gesù a lui: Oggi in questa casa è entrata la salvezza, perché anche lui è figlio di Abramo. *Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto

.Non ci fa meraviglia che il tema della misericordia ritorni con tanta frequenza nella Liturgia perché Dio è misericordia infinita, inesauribile e perché noi uomini siamo massimamente bisognosi di misericordia. Dio che ci ha creati in un atto d’amore, ci ricrea giorno per giorno in un incessante atto di misericordia col quale ripara la nostra debolezza, perdona le nostre colpe, ci redime dal male. “Hai compassione di tutti, perché puoi tutto, dimentichi i peccati degli uomini perché si convertano. Poiché tu ami tutte le cose esistenti, non disprezzi nulla di quanto hai creato” (Sp.11,23-24). Prima di entrare in Gerico, Gesù aveva incontrato un cieco che si protendeva in mezzo alla folla e gridava verso di lui invocando il dono della vista.

La conversione di Zaccheo a Gerico fa parte degli episodi del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Dobbiamo sapere che Gerico era la sosta obbligata per i pellegrini che provenivano dal nord attraversando la Perea. Vale a dire una cittadina di frontiera e di collegamento per il commercio con i paesi sud-orientali. E’ in questa realtà che prosperavano i funzionari della dogana e del dazio. Zaccheo è appunto un esattore capo e di conseguenza ricco. Le due qualifiche, funzionario del fisco e ricco, fanno di Zaccheo un caso disperato. Non solo egli appartiene alla categoria dei peccatori, ma è anche ricco. E sappiamo dall’episodio del giovane ricco che è impossibile che un ricco si salvi (Lc.18,24-25). Tuttavia nell’incontro con Gesù capita l’imprevedibile. Pare quasi che Luca si sia divertito un poco e con una certa simpatia l’espediente cui ricorre Zaccheo per vedere Gesù. E’ curiosità quella che lo spinge o interesse indefinito?

Qui dobbiamo fare subito una prima breve riflessione. Luca non fa la psicologia della conversione, ma descrive le grandi tappe del cammino salvifico secondo un modello ideale. Ecco Zaccheo, piccolo di statura, che sfida la calca della folla e si arrampica su un albero (sicomoro) desideroso anche lui di vedere: vuol conoscere il Maestro di cui ha sentito parlare e forse anche descrivere la bontà proprio verso i pubblicani. Era una cosa inaudita, infatti, che un maestro d’Israele si occupasse di questi uomini evitati e odiati da tutti per la loro professione d’impiegati dell’impero romano e ritenuti nemici del popolo. Zaccheo è il loro capo e quindi più malvisto degli altri; e poiché è ben conosciuto non può passare inosservato.

Ma lui non si preoccupa della gente né teme di esporsi al ridicolo, alle beffe, vince ogni complesso di dignità e di prestigio; gli preme soltanto di vedere il Signore e attende il suo passaggio spiando dall’alto dell’albero. Quando Gesù arrivò sul posto, alzò lo guardo, e gli disse: Zaccheo, presto, vieni giù perché oggi debbo fermarmi a casa tua”.

Gesù sa molto bene chi è Zaccheo: un pubblicano arricchito con soldi estorti al popolo; tuttavia non lo disprezza e neppure lo rimprovera, anzi si rivolge a lui con un simpatico gesto d’amicizia: vuole andare a casa sua. A questo punto s’innesca la seconda parte della scena nella quale Gesù prende l’iniziativa. Gesù entra di prepotenza nella vita di quest’uomo, solidarizzando con lui senza mezze misure, sfidando le critiche dei benpensanti. Da parte sua Zaccheo non avrebbe mai sognato una simile proposta, scende in fretta dall’albero e lo accoglie pieno di gioia. Ovviamente, la gente mormora scandalizzata; lui lascia dire; ha cose ben più importanti da trattare col Maestro che ormai gli ha toccato il cuore. Davanti a Gesù Zaccheo decide un cambiamento radicale. Conversione per un ricco significa dire nuovo modo di usare i beni e nuovi rapporti di giustizia sociale.

“Ecco, Signore, la metà dei miei beni la do ai poveri; e a quelli che ho frodato restituisco il quadruplo”. E’ il segno di una conversione coraggiosa, piena, totale; è bastata la presenza e la bontà misericordiosa del Signore per illuminare la coscienza di un uomo senza scrupoli, impelagato nei soldi, avvezzo ai guadagni ingiusti. Ma da parte di Zaccheo c’è stata una buona disponibilità che lo ha aperto alla grazia: il desiderio sincero di vedere, di incontrare Gesù. Ed ora si sente dire: “Oggi in questa casa è entrata la salvezza, perché anche lui è un figlio di Abramo”…” il Figlio dell’uomo è venuto infatti a cercare e salvare ciò che era perduto”. Al pubblicano considerato dai farisei un peccatore irrimediabilmente perduto, è stata offerta la salvezza ed egli l’ha accettata aprendo la sua casa e il suo cuore al Salvatore. La medesima offerta Gesù Cristo non cessa di farla anche oggi ad ogni uomo: “Ecco, sto alla porta e picchio. Se uno sente la mia voce e apre la porta, io verrò da lui e cenerò con lui e lui con me” (Ap.3,20).

Dio, nella sua infinita misericordia, non si accontenta di convertire gli uomini e di perdonarli, ma offre ad ognuno la sua amicizia, invitando ognuno alla comunione con lui. Se anche noi non saliamo sopra un sicomoro, non significa sottrarsi al rischio che questo momento di grazia, questa possibilità, passi inutilmente accanto a noi? Dobbiamo correre avanti, appostarci per rendere possibile l’incontro. Lui rispetta moltissimo la nostra libertà: se non vede il nostro desiderio di incontrarlo passa oltre: ne soffrirebbe troppo ma passerebbe oltre, lasciandoci così come siamo. Dobbiamo fare di tutto per identificare il nostro sicomoro: la natura? Il silenzio? Un amico? Una chiesa? La comunità? La preghiera? I sacramenti? Un prete? Una suora? O quant’altro ancora…Con una certezza però, che il nostro atto di volontà è la via per l’incontro che cambia l’esistenza tutta.

Parabola delle dieci mine.

Capitolo 19,11-28

*Mentre stavano ad ascoltare queste parole, Gesù aggiunse una parabola, perché egli era vicino a Gerusalemme e quelli credevano che il regno di Dio si dovesse manifestare da un momento all’altro. *Disse dunque: Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere l’investitura regale e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, affidò loro dieci mine (la mina è una misura di peso corrispondente a 1/60 di talento, nei calcoli monetari essa equivale a 100 dramme o denari) e disse: Trafficatele fino al mio ritorno. *I suoi concittadini però l’odiavano e gli mandarono dietro una delegazione per dire: Non vogliamo che costui regni su di noi. *Quando fu di ritorno, dopo aver ricevuto l’investitura regale, fece chiamare i servi, ai quali aveva affidato il denaro, per sapere quale fosse stato il rendimento. *Si presentò il primo e gli disse: Signore, la tua mina ha fruttato dieci mine. *Ed egli: Bene, servo buono, poiché sei stato degno di fiducia in un affare di poco conto, avrai il governo di dieci città. *Venne il secondo e gli disse: Signore, la tua mina ha fruttato cinque mine. *E disse anche a lui: Tu pure avrai il governo di cinque città. *L’altro venne a dirgli: Signore, ecco la tua mina, l’ho tenuta in parte in un fazzoletto, *perché avevo paura di te che sei un uomo severo, che ritiri ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai seminato. *Gli disse: Servo malvagio, dalle tue stesse parole ti giudico. Sapevi che io sono un uomo severo, che ritiro ciò che non ho depositato e mieto ciò che non ho seminato. *E allora perché non hai messo il mio denaro in banca? Al mio ritorno io l’avrei riscosso con l’interesse! *Poi disse ai presenti: Toglieteli la mina, e datela a chi ne ha dieci. *Gli dissero: Signore, egli ha già dieci mine. *Io vi dico che a chiunque ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. *Quanto poi ai miei nemici, i quali non volevano che regnassi su di loro, conduceteli qua e trucidateli alla mia presenza. *Detto questo, s’incamminò davanti agli altri per salire a Gerusalemme.

Nella parabola delle mine si colgono con chiarezza due vicende che s’intrecciano: la storia di un aspirante al trono e dei suoi sudditi che vorrebbero impedirne l’investitura; e la storia di un nobile signore che va lontano e affida i suoi beni ai domestici. La premessa della parabola è presa dalla realtà storica, infatti, essa corrisponde esattamente al viaggio che trenta anni prima Archelao aveva compiuto a Roma per ricevere da Augusto l’investitura dei suoi domini, e inoltre anche la delegazione di cinquanta Giudei fu inviata da Gerusalemme dietro a lui e contro di lui. Prima di partire il nobile affida le mine a dieci servi, una ciascuno, senza fare differenze. L’ordine impartito dal padrone è di far fruttare i suoi soldi.

Tornato con l’investitura regale, il nuovo re domandò il rendiconto ai servi a cui aveva affidato le mine. Si presentò per primo un servo che con la mina consegnatagli ne aveva guadagnate altre dieci; il re lo lodò perché era stato fedele nel pochissimo, e lo ricompensò incaricandolo del governo di dieci città. Si presentò un secondo che aveva guadagnato altre cinque mine, e costui fu ricompensato col governo di cinque città. Venne poi un terzo che disse: “…Signore, ecco la tua mina, l’ho tenuta in parte in un fazzoletto, perché avevo paura di te che sei un uomo severo, che ritiri ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai seminato”. Evidentemente questo servo non aveva acconsentito all’ambasceria ostile inviata dietro al pretendente al regno, ma neppure aveva fatto niente in favore di lui; conoscendolo tra l’altro come molto esigente, aveva conservato tale e quale la somma affidatagli, così il futuro re non avrebbe potuto accusarlo d’infedeltà e di furto. Ma il re gli rispose: “Servo malvagio, dalle tue stesse parole ti giudico. Sapevi che io sono un uomo severo, che ritiro ciò che non ho depositato e mieto ciò che non ho seminato. E allora perché non hai messo il mio denaro in banca? Al mio ritorno io l’avrei riscosso con l’interesse”.

Poi comandò ai presenti di togliergli la mina e di darla a quello che ne aveva dieci. Al re fu fatto osservare che il servo ne aveva già dieci mine, tuttavia il re aggiunse che era giusto così: A chi ha già, sarà ancora dato, mentre a chi non ha, sarà tolto anche ciò che ha! E inoltre, quei miei nemici che non volevano che regnassi, siano condotti alla mia presenza ed uccisi tutti. L’insegnamento della parabola è questo: Sfrutta ciò che Dio ti ha consegnato, perché dovrai renderne conto. Per prepararsi al giudizio non basta conservare, occorre far fruttare. Saremo giudicati in base all’intraprendenza. La severità del giudizio non deve paralizzare, ma impegnare. L’uomo non è un semplice custode dei beni di Dio: ha il compito di trafficarli per moltiplicarli. Le virtù richieste sono tre, non una : fedeltà, certo, ma anche intraprendenza e coraggio.

Allora, poiché l’uomo è libero d’amare è in grado di prendere a cuore gli interessi di Dio e di rispondere con audacia e coraggio alla sua generosità. La parabola dunque, nell’intenzione originaria di Gesù, non si lascia esaurire in un discorso moraleggiante sul dovere di trafficare i doni di Dio secondo una concezione imprenditoriale o peggio capitalistica, nella quale si favorisce la meritocrazia religiosa o spirituale. Al limite, in una certa interpretazione moralistica, la parabola evangelica è stata usata anche per giustificare e consacrare in nome di Dio le disuguaglianze sociali. Per comprendere l’assurdità di un tale metodo di lettura basta applicarlo al versetto che finisce la parabola: “A chiunque ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”. E’ un proverbio orientale, il quale riflette una situazione socio-economica che tutti potevano sperimentare: il ricco diventa sempre più ricco e il povero sempre più povero. Si capisce a quale aberrazione antievangelica si arriva se si vede in questa sentenza di Gesù una massima di giustizia sociale. Il vangelo si serve di questo proverbio unicamente per sottolineare la gratuità dei doni di Dio, in particolare della scelta storica a partecipare al progetto salvifico, e la responsabilità dell’uomo.

Ma c’è un’altra chiave di lettura della parabola. Vale a dire nel contesto dell’attesa del regno di Dio. “Gesù aggiunse una parabola, perché egli era vicino a Gerusalemme e quelli credevano che il regno di Dio si dovesse manifestare da un momento all’altro”. Per l’evangelista, dunque, la parabola intende anche correggere l’attesa impaziente, febbrile di alcuni membri della comunità cristiana: non nell’attesa spasmodica ci si prepara alla venuta del regno di Dio, ma con la serietà dell’impegno; e anche se il regno di Dio “è vicino”, la storia non va abbandonata a se stessa, ma governata.

Ingresso messianico in Gerusalemme.

Capitolo 19,29-44

*Quando fu vicino a Betfage e a Betania, presso il monte degli Ulivi, mandò due discepoli *dicendo: Andate nel villaggio che vi sta di fronte; entrando, troverete un asinello legato, sul quale nessuno è mai montato; scioglietelo e portatelo da me. *E se qualcuno vi domanda: Perché lo sciogliete?, gli direte che il Signore ne ha bisogno. *Gli inviati andarono e trovarono come egli aveva detto. *E mentre scioglievano l’asinello, chiesero loro i suoi padroni: Perché sciogliete l’asinello? *Risposero: Il Signore ne ha bisogno. *Lo portarono dunque da Gesù e, gettati i loro mantelli sull’asinello, vi fecero salire Gesù. *E mentre egli procedeva, stendevano i loro mantelli sulla strada. *era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la moltitudine giubilante dei discepoli incominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i miracoli che avevano veduto, *e dicevano: Benedetto colui che viene, il re nel nome del Signore! Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli! *Alcuni farisei in mezzo alla folla dissero: Maestro, richiama i tuoi discepoli! *Ma egli rispose: Io vi dico: se questi tacessero, griderebbero le pietre. *Quando giunse in vista della città, pianse su di essa *dicendo: Se in questo giorno anche tu avessi compreso ciò che conduce alla pace! Ma ormai è stato nascosto ai tuoi occhi. *Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee e ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte, *e abbatteranno te e i tuoi abitanti; e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto l’occasione propizia in cui sei stata visitata.

Gesù si era sempre opposto ad ogni manifestazione pubblica, ed era fuggito quando il popolo voleva farlo re (Gv.6,15), al contrario, quel giorno egli compie un ingresso trionfale in Gerusalemme. Solo in quell’occasione, che sta per andare alla morte, accetta di essere pubblicamente acclamato quale Messia, perché proprio morendo sulla croce sarà, nel modo più pieno il Messia, il Redentore, il Re e il Vincitore. Accetta di essere riconosciuto Re, ma un Re dalle caratteristiche inconfondibili: umile e mansueto che entra nella città santa cavalcando un asinello, che proclamerà la sua regalità soltanto davanti ai tribunali e accetterà che ne venga posta l’iscrizione solo sulla croce. L’ingresso festoso in Gerusalemme è l’omaggio spontaneo del popolo a Gesù che si avvia, attraverso la passione e la morte, alla piena manifestazione della sua Regalità divina. Quella folla osannante non poteva afferrare tutta la portata del suo gesto, ma la comunità dei fedeli che ogni anno lo ripete, ne coglie il senso profondo. Senza scandalizzarsi di fronte ai valori consumati unicamente per Dio.

Invece agli occhi di coloro che pongono i beni materiali al di sopra di tutto la preghiera, l’adorazione e più ancora le vite umane spese nell’amore e nella lode di Dio, sono uno sciupio inutile; il tempo, il denaro, la vita sono beni impiegati solo se rivolti al servizio diretto degli uomini. E si scorda che se l’interessamento per i poveri è un grande dovere da nessuno inculcato più che da Cristo, l’amore e il culto di Dio sono doveri più grandi ancora. Del resto i poveri non hanno soltanto bisogno di pane, ma anche di chi, consumandosi nella preghiera, sostiene la loro fede e rammenta ad essi che poco vale il benessere materiale se l’uomo non cerca Dio al di sopra di tutto. A conclusione di questi versetti la scena dell’ingresso conserva l’ambiguità e il chiaroscuro di molti altri gesti e parole di Gesù. Da una parte egli, con il suo modo di fare, vuole provocare un interrogativo e una risposta, dall’altra rettifica le false interpretazioni e le attese pseudomessianiche. Il suo ingresso termina nel tempio, prima di recarsi a Betania. Il suo sguardo circolare (osservata ogni cosa), non è quello del turista che visita il tempio per la prima volta, ma, come altrove nota Luca, è lo sguardo dell’inviato definitivo che giudica e interviene. Esso prepara il gesto decisivo del giorno dopo: la purificazione del tempio.

La cacciata dei venditori dal tempio.

Capitolo 19,45-48

*Poi Gesù entrò nel tempio e si mise a scacciare i venditori *dicendo: Sta scritto: La mia casa sarà una casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto un rifugio di ladri! *Ogni giorno poi insegnava nel tempio. I sacerdoti e gli scribi cercavano di toglierlo di mezzo, e così pure i capi del popolo; *ma non sapevano come fare perché il popolo tutto gli stava appresso per ascoltarlo.

Sembrerebbe, a prima vista, che Gesù si comportasse violentemente, tuttavia ciò che accade nel tempio non fa di Gesù un violento, anzi. Il tutto serve a collocare meglio l’immagine del Signore di cui parla il profeta Malachia: “Chi potrà sopravvivere quando arriverà? Chi potrà restare in piedi quando giungerà?”; Il Signore, infatti, viene per purificare e per realizzare quanto si legge nel profeta Zaccaria: “In quel giorno non ci saranno più mercanti nella casa del Signore”. Gesù, col suo gesto, ne spiega il perché: La mia casa sarà una casa di preghiera…” Quindi Gesù ripulisce la casa di suo Padre. In pratica dichiara di essere il Figlio che difende i diritti di Dio, suo Padre. Il tempio luogo d’incontro dei figli con il Padre, non può essere ridotto ad un mercato, a un rifugio di ladri. Il mercato ha il suo segno nel denaro, nella disuguaglianza, nel sopruso del ricco sul povero.

Le parole con le quali Gesù spiega il suo gesto, mostrano il suo vero intento. Oltre al traffico vergognoso nel tempio, fonte di lauti guadagni per il sommo sacerdote e le grandi famiglie sacerdotali che si spartivano il controllo delle finanze, annuncia prima di tutto la fine della discriminazione tra giudei e pagani. Infatti, un’iscrizione su lastre di pietra messe a confine tra i due piazzali, quello riservato ai giudei e quello dei pagani, infliggeva la pena di morte all’incirconciso che avesse osato oltrepassare il limite. Gesù richiamandosi alla promessa del testo di Isaia 56,7, proclama che il tempio come luogo d’incontro con Dio, è aperto a tutte le genti, senza discriminazioni. Poiché dove si realizza l’incontro con Dio, lì sorge il vero santuario, e non ha più ragione di esistere il mercato, né il traffico del tempio. Luogo di culto senza la pratica della giustizia e della fedeltà è un falso rifugio, una spelonca di ladri che si arricchiscono alle spalle del popolo. Si comprende allora la reazione dei notabili. Nello scorcio finale dell’episodio ci troviamo ancora nel clima di complotto. Gesù per precauzione lascia la città e si ritira in un luogo appartato, presso gli amici, oltre il torrente Cedron.

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