Vangelo di Luca – Cap. 14,1-6 al 14,25-35

Guarigione di un idropico in giorno di sabato.

Capitolo 14,1-6

*Un sabato Gesù era entrato nella casa di uno dei notabili, appartenente ai farisei, per pranzare; e quelli stavano a osservarlo. *Ed ecco gli stava di fronte un uomo idropico. *Gesù chiese ai legisti e ai farisei: E’ lecito o no guarire in giorno di sabato? *Ma essi tacevano. Allora Gesù prese l’idropico per la mano, lo guarì e lo congedò. *E, rivolto a loro, disse: Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade in un pozzo, non lo trae subito fuori anche in giorno di sabato? *E non potevano obiettare nulla a questi argomenti.

Luca aggiunge alle narrazioni precedenti un aneddoto che segue l’altro somigliantissimo della donna rattrappita. Un uomo idropico ugualmente guarito di sabato. I due quadri si richiamano logicamente l’un l’altro, come una ripetuta e sfiduciata risposta alle precedenti domande sull’efficacia della predicazione di Gesù, ed è quindi opportuno presentarli uno di seguito all’altro, anche se la donna fu guarita poco prima della festa della Dedicazione e nella Giudea, l’uomo invece poco dopo quella festa e probabilmente nella Transgiordania. Sappiamo già che l’osservanza rabbinica del sabato era uno dei piloni su cui troneggiavano i farisei e che non doveva mai crollare. Anche se i fatti miracolosi smentivano quell’osservanza, ciò non significava nulla: si trascurassero i fatti e si bestemmiasse lo Spirito Santo purché rimanesse il sabato farisaico. La scena si svolge, non in sinagoga, ma in casa di un insigne notabile fariseo. E’ sabato e i farisei spiano Gesù per coglierlo in fallo. Ecco che un uomo idropico gli sta di fronte. Dopo uno sguardo, Gesù si rivolge ai legisti e ai farisei dicendo: “E’ lecito o no guarire in giorno di sabato?” Quelli restarono in silenzio, sebbene la questione fosse già stata dibattuta e decisa dai dottori della Legge. Poiché non ricevette risposta, Gesù tira per la mano l’idropico, lo guarisce e lo congeda; quindi dice ai silenziosi presenti: “Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade in un pozzo, non lo trae subito fuori anche in giorno di sabato?” Ma anche questa domanda rimane senza risposta.

I legisti e i farisei, rappresentanti del giudaismo ufficiale e ortodosso, hanno vivisezionato la volontà di Dio in una quantità di pratiche minute, lecite o proibite, sono schiavi del loro schematismo giuridico. Poiché il caso dell’idropico non rientra fra quelli previsti per l’intervento in giorno di sabato, (giorno del riposo), il gesto di Gesù appare sospetto e pericoloso. Gesù non ha paura di gettare il sasso sulla superficie apparentemente tranquilla, di provocare un silenzio imbarazzante, pur nel quadro scomodo di un invito ad un banchetto-tranello. E’ una forma di carità che costa, la franchezza apostolica. Nel N.T. si qualifica come “audacia”. Il male non può mai essere localizzato a senso unico, solo in un gruppo determinato. Quindi la vera audacia apostolica non spara a zero in una sola direzione. E per questo ci vuole coraggio, oggi. Inoltre come cristiani non possiamo erigerci a giudici dei nostri fratelli. Li aiutiamo, con coscienza umile, a rendersi conto della loro condizione. E questo esige amore, tatto e schiettezza. L’esempio ci viene dai santi, come per esempio don Orione (comprò un giornale anticlericale dal giovane Ignazio Silone), o santa Francesca Schervier (che non esitò a travestirsi da uomo per introdursi in un postribolo e recuperare una prostituta).

Criterio di scelta: l’ultimo posto e i poveri.

Capitolo 14,7-14

*Notando che i convitati sceglievano i primi posti, raccontò loro questa parabola: *Quando sei invitato da qualcuno a nozze, non metterti al primo posto, perché non avvenga che uno più ragguardevole sia stato da lui invitato *e, venendo colui che invitò te e lui, ti dica: Cedigli il posto. Allora tu con vergogna dovresti occupare l’ultimo posto. *Ma quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto affinché, venendo chi ti ha invitato, ti dica: Amico, passa più su. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. *Perché chi si esalta sarà abbassato e chi si abbassa sarà esaltato. *Poi disse a colui che lo aveva invitato; Quando tu dai un pranzo o una cena, non chiamare i tuoi amici, né i tuoi fratelli,né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché essi non ti invitino a loro volta e così tu abbia il contraccambio. *Ma quando dai un pranzo, invita i poveri, storpi, zoppi, ciechi, *e sarai fortunato perché non hanno da contraccambiarti. Il contraccambio ti sarà dato infatti nella resurrezione dei giusti.

Questa brano è unito al precedente, 14,1-7, e identica è la cornice: si tratta di un insegnamento a tavola. Luca propone ai discepoli e ai credenti in genere uno stile di vita che si fonda su un nuovo criterio di valutazione, che in ultima analisi ricalca quello di Dio, com’è rivelato nelle parole e nei gesti di Gesù. Il primo insegnamento prende lo spunto dalle regole conviviali in uso nella società e suggerite dalla tradizione sapienziale e anche dai maestri giudaici. Gesù si serve di quest’esempio di costume per trarre un insegnamento religioso. Gesù ha osservato che tutti gli invitati appartengono alla cerchia degli amici e dei parenti: persone provenienti dallo stesso ceto sociale e religioso. Ma perché invitare soltanto parenti e amici? Gli uomini arrivisti, vanitosi e presuntuosi che arraffano i primi posti, non sono un’eccezione; in questo eccellono gli scribi, i farisei e i notabili giudei che litigano per le precedenze gerarchiche e i ruoli. La logica del Regno è completamente diversa. Gesù contrasta nettamente con i costumi più consolidati, sia sociali sia religiosi. Soprattutto religiosi; se ne deduce che in questione non è soltanto la generosità, ma anche un modo diverso di pensare Dio: scontro teologico, non semplicemente morale. Nel mondo di Dio Tutto avviene con ordine preciso. Non bastano le raccomandazioni più vive; le ricchezze spesso sono un ostacolo; le pretese di grandezza e di dominio devono trasformarsi in propositi d’umile servizio. Dove trova questa disponibilità Dio, assegna i posti ai suoi invitati. Gesù sta osservando l’arrivo degli invitati, nel contesto dell’invito a casa del fariseo: “Notando che i convitati sceglievano i primi posti,…” Non è più questione di fare bella o brutta figura in un banchetto, ma di un abbassamento o innalzamento che tocca il destino ultimo dell’uomo. Perciò anche all’interno di una comunità cristiana i rapporti e i ruoli all’interno sono ridimensionati dal nuovo criterio.

L’insegnamento di Gesù ci apre gli occhi su un aspetto dei nostri giorni. La lotta per il posto è uno spettacolo quotidiano nella nostra società. Intrighi e congiure, ricatti e raccomandazioni ad alto livello o anche semplicemente l’illusione di chi arriva dalla campagna in città, si collocano in questa linea d’aspirazione. Come i commensali osservati da Gesù, spesso anche noi pensiamo che è il posto che fa l’uomo. Invece il Maestro c’invita a ridimensionare un po’ questa corsa alla sistemazione, nel pieno rispetto del fratello. D’altra parte è pure un invito a rammentare che se il seguace di Gesù non deve essere un calcolatore, deve però essere avveduto. Il vangelo non è un raccontino edificante per sottosviluppati mentali. Ieri c’insegnava l’audacia, oggi la furbizia. Assieme ad altre pagine, come la parabola del fattore infedele (che vedremo in seguito), la comparazione “figli delle tenebre -figli della luce”, è un modo elegante per dirci “fatevi furbi”. Noi, poi, pudicamente traduciamo “siate più accorti”.

Il secondo insegnamento prende lo spunto da quanto capita normalmente: le relazioni sociali tra gruppi e classi sono espresse e rinsaldate mediante festini, conviti, ricevimenti. Anche in questo caso Gesù non propone semplicemente una nuova regola, stravagante ed estrosa. Una festa per i poveri, i disgraziati e gli esclusi dai ranghi sociali si può anche fare ogni tanto, soprattutto se esso dà lustro e fama di beneficenza. Oltretutto è un buon alibi per la falsa coscienza. Il vangelo invece suggerisce un criterio alternativo per le relazioni sociali nella loro globalità. Gesù, in altre parole, vuole che le nostre scelte siano motivate non più dal criterio delle caste, della mafia o del clan socio-economico o culturale, ma dallo sposare in pieno la causa dei poveri. Infatti, l’evangelista enumera, quali invitati, categorie di uomini socialmente emarginati e religiosamente impuri: poveri, zoppi, storpi, ciechi, peccatori. La riflessione ci porta a concludere che il modello, come sempre, è Gesù stesso e, prima ancora, l’amore di Dio da lui testimoniato. Di fronte a Dio nessuno emarginato, ma ciascuno è prossimo. Il criterio a cui riferirsi per stabilire chi invitare al banchetto è l’amore di Dio, non più la vecchia giustizia del mondo.

Se apriamo un computer, ci troveremmo davanti ad un complesso intrico di fili e di chip. Se potessimo esaminare l’insieme dei circuiti della nostra società, costituiti dall’intreccio di motivi che stanno dietro alle azioni umane, resteremmo ben più sbalorditi. Con rapidità incredibile prima di un’azione calcoliamo le possibili reazioni utili o nocive ai nostri interessi. Durante la stessa azione apportiamo le modifiche atte a produrre l’effetto desiderato e a preparare il contraccambio sperato. Se questo non viene, non ci chiediamo se era giusto il fine da noi proposto, ma cerchiamo il “guasto”, cos’è che non ha funzionato. Se non stiamo attenti, una buona parte della nostra esistenza si trasforma in una cibernetica dell’interesse, anche con Dio. Di fronte a questa realtà possono sembrare ingenuamente idilliache le parole del vangelo. Invece sono davvero rivoluzionarie. Dove i cristiani sanno “perdere l’anima” con disinteresse, l’esperienza prova che l’amore conquista il mondo. Questa è la beatitudine e la prospettiva della “risurrezione dei giusti”, in altre parole il futuro promesso da Dio, che è l’unica prospettiva che rende completamente libero il discepolo di impegnarsi con i poveri senza cedere al rischio di sfruttarli.

Gli invitati alla grande cena.

Capitolo 14,15-24

*Ora, udito questo, uno dei commensali gli disse: Beato chi prenderà parte al convito nel regno di Dio. *Gesù gli rispose: Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. *All’ora della cena mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, perché è pronto. *Ma tutti, a uno a uno, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un podere e devo assolutamente andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. *E un altro: Ho comprato cinque paia di buoi; ti prego, considerami giustificato. *E un altro ancora: Ho appena preso moglie e perciò non posso venire. *Tornato il servo, raccontò al padrone queste cose. Allora il padrone di casa, indignato, disse al suo servo: Va’ subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. *Il servo disse: Signore è stato fatto come hai ordinato ma c’è ancora posto. *Rispose il padrone al servo: Va’ fuori, per le strade e lungo le siepi, e sollecitali a entrare affinché la mia casa si riempia. *Perché vi dico che nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena.

Nell’evangelo di Luca la parabola conclude la sezione del pranzo. Essa suona come una critica alla pretesa religiosa e ai diritti acquisiti del giudaismo ufficiale nei riguardi del progetto salvifico di Dio. Gesù ci spiega come con la parabola della grande cena. Un uomo organizzò una sontuosa cena invitando molti notabili. All’ora opportuna inviò il suo servo agli invitati pregandoli di venire perché ogni cosa era pronta; senonché tutti iniziarono a addurre pretesti per non venire. Uno disse: Ho comprato un podere e devo assolutamente andare a vederlo; scusami! Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi; scusami! E un altro ancora: Ho appena preso moglie e perciò non posso venire. Ottenute queste risposte, il servo le riportò al padrone. Costui allora si adirò, e impartì un nuovo ordine al servo: Va’ subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. L’ordine fu eseguito, e il servo informò il padrone aggiungendo che c’erano ancora posti vuoti. Ecco che il padrone replicò dicendogli di andare nuovamente per le strade e lungo le siepi, sollecitando la gente a partecipare al convito affinché la casa si riempisse, così che: Perché vi dico che nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena.

L’attenzione non cade, se siamo stati attenti, sui personaggi né sul ricco simbolismo della cena, bensì sul rifiuto degli invitati e sulle loro motivazioni. L’organizzatore della cena, non invia molti servi, ma uno solo a chiamare gli invitati. Essi rifiutano perché pensano di avere impegni più importanti e si ritengono giustificati. Davanti al rifiuto, giustificato dal punto di vista degli invitati, ma non dal suo, il padrone s’indigna e si adira. Invia perciò il servo a raccogliere poveri, storpi, ciechi e zoppi. La sala è grande e il padrone vuole assolutamente che essa sia gremita; e siccome i poveri che il servo ha raccolto nella sua prima uscita non bastano, il padrone gli ordina di uscire una seconda volta e di invitare tutti con forza, quasi costringendoli ad accettare. Fuori parabola, Gesù sta giustificando il proprio comportamento (quindi il piano di Dio): voi non avete voluto, avete rifiutato; la salvezza passa ai peccatori, ai pagani.

Abbiamo fatto notare che l’attenzione deve soffermarsi sul rifiuto e sulle sue ragioni. Tutti gli invitati ritengono di avere, al momento, cose più importanti da fare, e non accettano l’invito, giustificandosi, si direbbe, con coscienza tranquilla. La cura della proprietà, il lavoro, la famiglia: cosa c’è di più importante? Si tratta d’occupazioni normali, plausibili, persino doverose. Due si scusano, il terzo nemmeno si scusa, tanto è chiara la sua situazione. Resta, però, il fatto che anche le occupazioni doverose, se assolutizzate, distraggono dall’accoglienza del regno: è questo il forte avvertimento della parabola. Nulla va anteposto a Dio.

A ragione un commensale esclama: “Beato chi mangia pane nel regno di Dio”. Tuttavia sbaglia, annoverando con troppa facilità tra i beati se stesso, i compagni di tavola, la sua comunità religiosa. Sedere alla mensa del regno non è scontato per nessuno, nemmeno per coloro che ritengono di fare il proprio dovere: “Vi dico, infatti, che nessuno di quegli invitati gusterà la mia cena”. Occupati da troppe incombenze, forse gli invitati hanno pensato che, dopotutto, ci sarebbero state altre occasioni. Invece il padrone offre subito i loro posti ad altre persone. Il vangelo è un tremendo manuale rivoluzionario. Quando la giovane donna di Nazareth, Maria, diceva ben chiaro: “Ha rovesciato i potenti dai loro troni e ha esaltato gli umili. Ha saziato di beni gli affamati e rimandato a mani vuote i ricchi”, era cosciente di non recitare una filastrocca.

In questa stessa linea la parabola attuale sconvolge “l’ordine” a cui ci ha abituato la mentalità corrente. Non entrano al regno le persone importanti, la gente seria oberata da impegni, che non ha “tempo da perdere”, che deve farsi scusare dalla segretaria. Invece la gente di strada, i peccatori, i barboni, gli zingari, i diseredati, i meno abbienti, passano in primo piano. Essi possono accettare l’invito perché non è uno dei tanti; nessuno li invita, sono liberi da impegni, non hanno nulla, non hanno piani prestabiliti da rompere, inviti da disdire. La caratteristica di Maria, la madre di Gesù, è la disponibilità. E’ un’esistenza puntata sulla volontà di Dio come meta costante, dovunque e in ogni modo essa inviti. Solo i “poveri” hanno questa disposizione essenziale che li rende atti a cogliere l’invito del Signore. Per tutti noi, l’insegnamento è questo: Anche se il banchetto è nel futuro, la scelta va fatta ora, subito!

Condizioni per seguire Gesù.

Capitolo 14,25-35

*E poiché molta gente andava con lui, egli si volse e disse loro: *Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. *Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo. * Chi di voi, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa, se ha i mezzi per portarla a compimento? *Per evitare che, se getta le fondamenta e non può finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo dicendo: *Quest’uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto finire. *Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non si siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene contro con ventimila? *Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasciata per chiedergli le condizioni di pace. *Così chiunque di voi non rinuncia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo. *Buono è il sale; ma se il sale diventa insipido, con che cosa si salerà? *Non serve né per la terra, né per il concime, e così lo si butta via. Chi ha orecchi per intendere, intenda.

Certe circostanze, come un lungo viaggio in treno, possono costituire un’immersione esplorativa nel nostro mondo. Le conversazioni che si ascoltano, i criteri di vita che le sostengono non ci lasciano illusioni: da noi non si è più in un ambiente di cristianità. Spesso anche sotto forme cristiane palpita un contenuto pagano. “Accompagnare Gesù” trasportati dall’entusiasmo della massa è difficilmente possibile nel nostro clima. A maggior ragione, quindi, bisogna tener conto del monito di Gesù. Vivere da cristiani non è fare una passeggiatina col Signore. La sua parola è chiara: si tratta di rinunciare, costruire, lottare. Si esige distacco, radicalità e realismo. Chi è agli avamposti della battaglia, non spera di avere chi gli rimbocchi le coperte la sera. Probabilmente non avrà nemmeno un sacco a pelo. Se siamo convinti d’essere membri di un cristianesimo in stato di missione, ne risulta tutto uno stile di vita missionario. Non si può scalare il Monte Bianco tirandosi dietro televisione, frigorifero e giradischi. La premessa ci dice che le due parabole della torre e del re indicano con chiarezza il tema: le condizioni per essere discepoli. L’argomento non è nuovo, ma in questi versetti è trattato con una forza e una radicalità che è difficile trovare altrove.

Gesù invita il discepolo a rompere tutti i suoi legami familiari, persino quelli con se stesso. Senza dubbio questo inquietante invito di Gesù era, in origine, rivolto ai discepoli itineranti i quali concretamente dovevano abbandonare tutto per annunciare ovunque l’arrivo del regno. Tuttavia, Luca, intende questo detto come valido per tutti: una condizione per essere discepolo, non semplicemente un’esigenza per i missionari itineranti. E, difatti, nell’evangelo di Luca l’invito è rivolto alle folle. Luca è minuzioso e insistente nell’elencare i legami da rompere: non solo con i genitori e i figli, ma anche con i fratelli, la moglie e persino se stessi. Discorso molto duro da digerire. Luca, per di più, usa il verbo misein (odiare): però nel brano in oggetto lo traduciamo con “preferire”. Infatti, già nell’A.T. misein non indica odio, disprezzo e simili, bensì un intenzionale distacco dai beni terreni per aderire a Dio. Luca sa bene che i genitori devono essere amati e rispettati. Si tratta dunque solo di distacco. Però egli ha mantenuto quel verbo tanto discutibile, che indica un distacco radicale. Egli ha voluto che le parole di Gesù conservassero il loro tono duro e deciso.

Le parabole della torre e del re insegnano che bisogna riflettere bene prima di buttarsi in un’impresa, occorre calcolare le proprie possibilità e creare le condizioni che permettano di terminare l’impresa iniziata. Per Luca queste due parabole devono essere lette nel contesto delle condizioni per essere discepoli di Gesù. E’ decisione che esige consapevolezza e riflessione, persino la prudenza del calcolo. Qui, però, calcolare significa trovare i modi non per sfuggire alla logica della croce, bensì per viverla fino alle estreme conseguenze. Questo è il calcolo richiesto al discepolo.

Nel suo evangelo Luca non si sta rivolgendo a chi deve decidere se farsi o no cristiano, bensì a chi è già cristiano e deve, in situazioni difficili, perseverare nella fede. Solo nel distacco è possibile la perseveranza. Con ogni probabilità Luca ha davanti agli occhi una situazione di persecuzione nella quale la perseveranza e la coerenza sono possibili unicamente se si è disposti a rinunciare a tutto. Altrimenti si troveranno infinite ragioni per giustificare il silenzio o il compromesso. La sentenza sul sale è posta a conclusione di questo breve prontuario del vero discepolo. Le parole precedenti chiedevano la radicalità dell’impegno, quest’ultima esige l’integrità. Non si può essere discepoli a metà; un discepolo che ha perso l’originaria energia innovatrice è inutile, anzi pericoloso. Certamente la proposta di Gesù non è per una casta di puri, né per un gruppo d’eletti. D’altra parte un Vangelo annacquato e adattato a cristiani anagrafici è ben lontano dal progetto di Gesù.

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