Vangelo di Luca – Cap. 12,1-12 al 12,49-59

Luca Signorelli - comunione con gli apostoli

Libertà e coraggio dei discepoli.

Capitolo 12,1-12

*Intanto, radunatasi una folla di migliaia di persone che si pigiavano gli uni sugli altri, egli cominciò a dire dapprima ai suoi discepoli: Guardatevi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia. *Nulla è occulto che non sarà svelato, o nascosto che non sarà conosciuto. *Perciò tutto quello che avete detto nelle tenebre, s’udirà nella luce, e quello che avete sussurrato all’orecchio nelle stanze più interne, sarà bandito sul terrazzo. *Ma a voi, amici miei, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e non possono fare altro. *Vi mostrerò chi dovete temere: temete colui che, dopo avere ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, vi dico, quello dovete temere. *Cinque passeri non si vendono forse per due spiccioli? Eppure nemmeno uno di loro è dimenticato presso Dio. *Perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete dunque: voi valete ben più di molti passeri. *Ancora vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti a gli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; *ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio. Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo gli sarà perdonato; ma chi recherà offesa allo Spirito Santo non gli sarà perdonato. *Quando vi tradurranno dinanzi alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non vi preoccupate del modo di difendervi, né di ciò che dovete dire: *lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che conviene dire.

Il risultato del battagliero pranzo al quale aveva partecipato Gesù, fu quale ci potevamo attendere, vale a dire che gli scribi e i farisei decidono di uccidere Gesù alla prima occasione. Da ciò Gesù trae l’argomento per impartire un insegnamento ai suoi discepoli. La folla, in questo lasso di tempo, si era moltiplicata al punto da essere in pericolo l’incolumità personale (12,1): e qui Luca fa pronunciare a Gesù un discorso i cui elementi si ritrovano quasi tutti in Matteo ma sparpagliati. Dapprima un ammonimento, “Guardatevi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia”, che è come un fermento interiore di corruzione. Si tratta di un’eco della requisitoria precedente, 11,35-54, e introduce la nuova serie di massime sulla libertà dei discepoli, “Nulla è occulto che non sarà svelato, o nascosto che non sarà conosciuto”. L’ipocrisia, che tenta di nascondere dietro una facciata pulita il marcio interiore, non si addice al discepolo che è chiamato a proclamare pubblicamente la parola ricevuta da Gesù, “Perciò tutto quello che avete detto nelle tenebre, s’udirà nella luce, e quello che avete sussurrato all’orecchio nelle stanze più interne, sarà bandito sul terrazzo”.

La seconda raccolta, 12,4-7; è un invito al coraggio e alla fiducia in tempo di persecuzione. Nessun discepolo è più del suo maestro; quindi se Gesù è stato chiamato Beelzebul, i suoi discepoli non devono attendersi un trattamento migliore. Loro tuttavia devono parlare con franchezza e apertamente: non vi è nulla d’occulto, che non debba essere rivelato, per cui ciò che loro hanno udito in segreto lo palesino dall’alto dei tetti, “Perciò tutto quello che avete detto nelle tenebre, s’udirà nella luce, e quello che avete sussurrato all’orecchio nelle stanze più interne, sarà bandito sul terrazzo”.

I discepoli non devono avere paura di coloro che possono soltanto uccidere il corpo ma non l’anima; al contrario devono temere colui che può mandare in rovina corpo e anima nella Geenna. Gesù assicura l’esito finale alla testimonianza dei discepoli fedeli, 12,8-9. I discepoli non devono temere nulla e non si devono preoccupare della loro esistenza, ma devono affidarsi alle predisposizioni del Padre celeste che sorveglia su ogni cosa; i passeri dei campi valgono un’inezia, dal momento che se ne acquistano cinque per due spiccioli, eppure nessuno di quegli uccellini è scordato da Dio: dunque devono stare tranquilli e avere fiducia i discepoli perché essi valgono molto di più di passeri messi assieme, e perché tutti i capelli delle loro teste sono contati. Pertanto chiunque riconoscerà davanti agli uomini il Figlio dell’uomo, dichiarandosi suo discepolo, costui lo riconoscerà davanti al Padre celeste e agli angeli di Dio, tuttavia chiunque lo rinnegherà sarà da lui rinnegato. Inoltre non si devono preoccupare della loro arte oratoria. I discepoli, quando saranno citati in giudizio nelle sinagoghe e dei vari tribunali, “…non vi preoccupate del modo di difendervi, né ciò che dovete dire”, perché lo Spirito Santo v’insegnerà in quel preciso momento ciò che dovrete dire per difendervi, 12,11-12.

Una comunità mimetizzata, paurosa, facile al compromesso, incapace di prendere posizione e di lasciarsi insultare per le sue scelte, non è fedele al suo Signore: come potrà egli riconoscerla? Il popolo di Dio prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio, annunciando la passione e la morte del Signore fino al suo ritorno. Dalla forza del Signore risorto, il popolo d Dio, trova la forza per vincere con pazienza e amore le sue interne ed esterne afflizioni e difficoltà, e per svelare al mondo, con fedeltà, anche se sotto ombre, il mistero del Signore, fino a che alla fine dei tempi sarà manifestato in piena luce.

Il vero fondamento dell’esistenza.

Capitolo 12,13-21

*Ora uno della folla gli disse: Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità. *Egli rispose: Uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore per i vostri affari? *Poi osservò: State attenti a evitare ogni cupidigia, perché anche se uno vive nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni. *E narrò loro una parabola: A un uomo ricco fruttò bene la campagna, *ed egli pensava tra sé: Che cosa farò? Perché non dove riporre il mio raccolto. *E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini, ne costruirò di più grandi e vi metterò tutto il grano e i miei beni, *e potrò dire a me stesso: Eccoti, hai tanti beni in serbo per molti anni: riposati, mangia, bevi e divertiti. *Ma Dio gli disse: Stolto, questa stessa notte ti sarà richiesta la tua vita, e quanto hai preparato di chi sarà? *Così è di chi accumula per sé invece di arricchirsi presso Dio.

I discepoli devono essere liberi di fronte ai beni. Ma, secondo il giudizio di Gesù, non si tratta della rinuncia stoica ai beni materiali. In realtà il gruppo itinerante di Gesù e dei discepoli era provveduto di beni materiali con una certa continuità e larghezza, 8,3. Lo spunto per l’intervento di Gesù, come in altri casi, è dato dalla domanda di un anonimo in mezzo alla folla. A Gesù si chiede di intervenire per dirimere una questione d’eredità tra fratelli. Questa era materia per i rabbi o esperti della legge perché di carattere giuridico e religioso.

Tuttavia, Gesù si rifiuta di risolvere la questione in questi termini, ma va alla radice del contrasto tra i fratelli: l’avidità insaziabile. Ciò che è stigmatizzato nei versetti del brano, è l’aspirazione all’accumulo come garanzia di sicurezza e di vita. Infatti, la parabola dimostra la stoltezza dell’uomo che vuole costruire la propria esistenza sopra le vane ricchezze della terra. L’ultimo versetto della parabola più che un senso morale indica con precisione l’errore di chi cerca di tesoreggiare egoisticamente, trascurando di arricchirsi verso Dio. E’ lo sbaglio di colui che cade vittima della cupidigia terrena, è l’atteggiamento dell’uomo tutto preso dalle preoccupazioni di quaggiù, colui nel quale non c’è più posto per Dio.

Dal soliloquio del latifondista emerge l’anima del padrone, l’uomo appagato e sicuro, senza problemi se non quello di programmare un futuro sicuro e pieno di promesse. La mentalità del proprietario tutto avviluppato nel suo mondo solitario è rilevata molto bene dalla monotona ripetizione: il mio raccolto, i miei magazzini, i miei beni! In questo mondo non c’è posto per nessun altro, dove il centro di gravità è lui e soltanto lui!

All’improvviso però una voce spezza il velo delle illusioni e dei castelli di carta: “Stolto!” L’uomo che non tiene conto di Dio. L’uomo vuoto e fatuo. L’uomo che ripone la sua fiducia in un falso fondamento (o sulla sabbia). “Questa notte stessa ti sarà richiesta la vita,…”

L’unico modo di riscattare il possesso dei beni è di farne un buon uso, di farli circolare, distribuirli agli altri, ai poveri e per le opere di misericordia. Gesù invita a distaccare il cuore dai beni terreni, che non ci arricchiscono davanti a Dio: nella morte saremo giudicati non in conformità a quello che possediamo, ma sul modo con cui avremo realizzato la nostra vocazione, nella fedeltà a Dio e agli uomini, mediante la pratica costante della carità. Purtroppo l’avidità di possedere, la potenza del denaro, fonte di peccato, resterà sempre una delle più grandi tentazioni per l’uomo. Con lui ci s’illude di comprare tutto: onori, piaceri, benessere, stima, scordando come invece è fonte di preoccupazioni, d’ingiustizie, d’odio, oltre alla realtà sempre incalzante della morte che porterà via ogni cosa. Noi cristiani non dobbiamo servire il denaro, ma servirci dei beni materiali per aiutare i fratelli e le sorelle più povere e bisognose.

Libertà dalle preoccupazioni di fronte ai beni.

Capitolo 12,22-34

*Poi disse ai suoi discepoli: Perciò vi dico: Non siate in ansia per la vostra vita, per ciò che mangerete, né per il vostro corpo, come lo vestirete. *Perché la vita vale più del nutrimento e il corpo più del vestito. *Osservate i corvi: non seminano né mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi! *Chi di voi, per quanto si affanni, può prolungare di un poco la propria vita? *Se dunque voi non potete fare neppure il minimo, perché vi affannate per il resto? *Osservate come crescono i gigli: non filano, non tessono; eppure vi dico che nemmeno Salomone in tutto il suo splendore fu mai vestito come uno di essi. *Ora, se Dio veste così l’erba che oggi è nel campo e domani viene gettata nel fuoco, quanto più valete voi, gente di poca fede! *Non tormentatevi dunque per cercare che cosa mangerete o che cosa berrete: *per tutte queste cose si dà da fare senza pace la gente del mondo, ma il vostro Padre sa che ne avete bisogno. *Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta. *Non temere, piccolo gregge, perché il Padre vostro ha stabilito di darvi il suo regno. *Vendete i vostri beni e dateli in elemosina. Fatevi borse che non si consumano e un tesoro inesauribile nei cieli, dove ladro non s’accosta e tignola non consuma. *Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

“Non siate in ansia per la vostra vita,…” l’esortazione fa da motivo conduttore del brano. I detti di Gesù mirano ad escludere dalla vita dei discepoli d’ogni tempo l’ansia angosciosa per le necessità, le contrarietà, e le tentazioni quotidiane dell’esistenza. Lasciarsi prendere dall’ansia non è una semplice manifestazione di malessere, ma una sorgente dalla quale e a causa della quale si originano molte tentazioni. Chiaro che Gesù non intende affatto fare l’apologia della pigrizia o dell’imprevidenza . Egli non contrappone al lavoro impegnato una vita inattiva. Piuttosto propone un atteggiamento interiore di fiduciosa serenità all’interno di un impegno lavorativo, anche duro e faticoso. In concreto Gesù ammonisce gli sfiduciati. Il vocabolo greco “oligopistoi” che qui ricorre (si trova nella fonte “Q”) trova ampio e privilegiato uso nel vangelo di Luca. Serve ad esprimere la mancanza di fiducia dei credenti. Questi hanno fede, ma sono afferrati dalla sfiducia (altro effetto dell’ansia). Alle prese con le difficoltà si lasciano travolgere Tuttavia il brano del vangelo non si limita ad esortare, intende invece giustificare l’appello ripetuto. I discepoli d’ogni tempo sono nelle mani del Padre celeste. Se egli si cura degli uccelli, procurando loro il nutrimento, se riveste i fiori del campo di splendore e bellezza, a maggior ragione non permetterà che manchi il necessario ai credenti suoi figli, che ai suoi occhi valgono molto di più. Lasciarsi travolgere dall’ansia, significa comportarsi da pagani, ignari della presenza provvida di Dio, che conosce perfettamente quanto abbisogna ai figli suoi.

A quest’argomento sono state aggiunte secondariamente due motivazioni di carattere filosofico-sapienziale: più importante del cibo e del vestito è la vita; dopo tutto l’ansia è sterile e non serve prolungare di un sol giorno la durata dell’esistenza, anzi. Ricondotta l’ansiosa preoccupazione per le necessità della vita ad un atteggiamento fiducioso, Gesù propone ai discepoli in modo corretto ciò che deve stare al vertice del loro impegno e della loro ricerca: “Cercate piuttosto il suo regno, e queste cose vi saranno date in aggiunta. Non temere, piccolo gregge, perché il Padre vostro ha stabilito di darvi il suo regno”.

Gesù ci esorta ad un fiducioso abbandono nelle mani del Padre celeste, accettando di vivere l’oggi carico della sua bontà e del suo amore. Le parole di Gesù sono un messaggio di straordinaria consolazione: abbiamo un Padre in cielo che pensa a noi molto più che ai fiori dei campi e degli uccelli in cielo. La nostra situazione è dunque simile a quella di un ragazzo, che è sereno e tranquillo perché padre e madre pensano a lui circondandolo d’amore.

I versetti che abbiamo meditato, definiti delle preoccupazioni e dell’ansia, liberano i discepoli di Gesù dall’eccessivo interesse per il cibo e il vestito per mezzo della riflessione sulla provvidenza di Dio che si manifesta nella natura (gli uccelli e i fiori selvatici), e a comprendere che gli esseri umani sono ancor più importanti agli occhi di Dio. Dobbiamo imparare che gli affanni non risolvono nulla e siamo invitati a riconoscere che, se il nostro cuore è disposto a servire Dio solo, queste cose baderanno a se stesse. Il Dio al quale noi ci rivolgiamo in preghiera, come Padre sa tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Stiamo parlando dell’altruismo della carità, altruismo totale ed assoluto, che per un principio sovrumano provvede materialmente agli altri fino a trascurare se stessi: “Vendete i vostri beni e dateli in elemosina. Fatevi borse che non si consumano…e un tesoro inesauribile nei cieli…” Perché rinunciare alle ricchezze? Perché confidare solo nel tesoro dei cieli? Perché considerare tutto il mondo presente come un’ombra fugace? A queste domande Gesù risponde ammonendoci: “Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore”.

Parabola sulla vigilanza e responsabilità.

Capitolo 12,35-48

*Restate in tenuta di lavoro e con le vostre lucerne accese *come uomini che attendono il loro signore al suo ritorno dalle nozze, per essere pronti ad aprirgli appena arriva e bussa alla porta. *Beati quei servi che il Signore al suo arrivo troverà vigilanti. Vi assicuro che egli si metterà in tenuta di lavoro e passerà a servirli. *E se arriva a notte fonda o prima dell’alba e li troverà così, beati loro! *Voi lo sapete: se il padrone di casa conoscesse a che ora il ladro viene, non si lascerebbe scassinare la casa. *Anche voi dunque state preparati, perché non sapete a quale ora il Figlio dell’uomo verrà. *Gli domandò Pietro: Signore, questa parabola la dice per noi o anche per tutti? *Rispose il Signore: Chi è dunque l’amministratore fedele e avveduto che il padrone di casa metterà a capo della sua servitù per distribuire a tempo debito le razioni di cibo? *Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così. *Vi assicuro che egli lo metterà a capo di tutti i suoi beni. *Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare e bere e a ubriacarsi, *il padrone di quel servo arriverà nel giorno i cui non s’aspetta e nell’ora che non conosce e lo punirà severamente assegnandogli la sorte degli infedeli. *Ora il servo che, pur conoscendo la volontà del suo padrone, non dispone né fa secondo il volere di lui, riceverà molte percosse; *quello invece che non la conosce e fa cose degne di castighi, ne riceverà poche. A chi è stato dato molto, sarà richiesto molto, e a chi è stato affidato molto sarà richiesto molto di più.

La vita dei discepoli è caratterizzata da due atteggiamenti: la vigilanza e la responsabilità. Tutti noi discepoli di Gesù Cristo siamo persone rivolte al futuro dal quale attendere la salvezza. Per questo stiamo all’erta, sempre pronti come per un viaggio e “in tenuta da lavoro e con le lucerne accese”, perché sappiamo che il futuro salvifico non è una chimera anonima, ma un nome e un volto preciso: è il Signore nostro Gesù. Ne consegue che il periodo dell’attesa è il tempo della responsabilità, della vigilanza e della fedeltà. Se abbiamo letto attentamente il brano evangelico, ci accorgiamo che la sezione della Parola si apre in sostanza con tre parabole appena accennate (quella del padrone, del ladro, dell’amministratore). La prima parabola, quella dei servi che attendono il loro padrone, narra che lui era partito avvertendo la servitù che sarebbe andato ad una festa di nozze, e perciò il suo ritorno non poteva che essere a notte inoltrata; ma i premurosi servi desiderano che il padrone non attenda alla porta neppure un istante, quindi passano le ore notturne vegliando in tenuta da lavoro e le lucerne accese e con l’orecchio teso al suo arrivo. A questo punto le immagini della parabola cedono il posto alla realtà. I servi sono dichiarati: “Beati quei servi che il Signore al suo arrivo troverà vigilanti!” Il padrone, commosso da tanta cura, si mette a servirli, lui, infatti, ha già cenato alle nozze, ma quei bravi servi non hanno avuto tempo di prepararsi un po’ di cibo per l’ansia di tenersi pronti mentre trascorrevano sollecitamente le ore della notte. Questo non avviene nella realtà quotidiana, ma nella comunione gioiosa che il Signore Gesù ha fatto intuire ai suoi amici.

Nella stessa situazione si sviluppa la seconda parabola. Il padrone fa sorvegliare la casa, perché non conosce l’ora in cui il ladro può venire a scassinare la casa: perciò volendo essere sicuro, diffida di qualunque ora e durante l’intera notte mantiene la sorveglianza. Così Gesù termina la parabola:” Anche voi dunque state preparati, perché non sapete a quale ora il Figlio dell’uomo verrà”. Qual è questa “venuta” del Figlio dell’uomo? E’ quella che mostrerà palesemente il risultato perenne e immutabile degli insegnamenti di Gesù. Lui aveva parlato della rinuncia delle ricchezze, contrapponendo a loro il tesoro nei cieli. Ma perché rinunciare alle ricchezze? Perché considerare il mondo come un’ombra fugace? Perché, appunto, si compierà la “venuta” del Figlio dell’uomo; la quale dissiperà l’ombra fugace e svelerà la realtà perenne, farà sfumare le ricchezze terrene accumulate e distribuirà l’invisibile tesoro celeste, adempiendo le speranze di coloro che hanno sperato in quella “venuta” e fisserà in eterno la loro sorte beata.

La terza parabola, quella dell’amministratore, che Luca esplicitamente l’ha riferita ai responsabili della comunità. L’uomo di fiducia, al quale il padrone durante la sua assenza ha affidato la responsabilità di tutto il personale di servizio, ha due possibilità: essere fedele e così ricevere dal suo signore una ricompensa che va oltre ogni limite; oppure abusare del suo potere, tradire la fiducia del suo signore e spadroneggiare sugli altri servi. La parabola è costituita da un quadro positivo (l’amministratore fedele) e da uno negativo (l’amministratore che si atteggia a padrone). Vi devo confessare che stabilire a quale dei due quadri vada attribuito il peso maggiore non è facile. Gesù sembra indugiare su entrambi. Il tema è sempre, come nelle parabole precedenti, l’arrivo improvviso del Signore, ma non è più richiesto “lo stare svegli”, bensì il compimento fedele degli incarichi ricevuti. In tal modo la vigilanza è arricchita di un’ulteriore sfumatura: l’impegno nello svolgimento del proprio lavoro, l’assunzione delle proprie responsabilità. Ovviamente, la parabola è per tutti i fedeli, tuttavia la figura dell’amministratore responsabile si applica in particolare a coloro che svolgono funzioni di servizio come dirigere, insegnare, profetare, guarire, benedire, discernere, ecc…

Ma c’è un’altra cosa importante che emerge dalla Parola, nulla si dice dei diritti e dei poteri dei servi: semplicemente sono richiamati allo svolgimento corretto del loro compito. Non è certamente un caso che l’esempio scelto da Gesù fra i molti possibili riguardi la distribuzione del cibo agli altri servitori. Preoccuparsi degli altri è il compito fondamentale che il padrone affida al suo amministratore capo. Il rovescio dell’amministratore “saggio e fedele” è la figura del servo che calcola il ritardo del ritorno del suo signore per approfittarne, spadroneggiare sugli altri, conducendo una vita dissoluta e tradire la sua fiducia.

La vita dei cristiani dovrebbe essere tutta tesa a preparare l’incontro con il Signore. La morte che provoca tanta paura in chi non crede, per i cristiani è una meditazione esaltante: segna la fine della prova, la nascita della vita immortale, l’incontro con Gesù Cristo che ci conduce alla casa del Padre. Le sentenze, sotto forma di parabole, mostrano l’atteggiamento pronto e servizievole dei servi nell’attesa del padrone. L’elemento essenziale del racconto sta però nel capovolgimento di situazione: i servi anziché servire, si mettono a tavola e il padrone li serve. Inoltre i cristiani dovrebbero assumere la propria responsabilità. Vale a dire che messi di fronte agli avvenimenti, col loro intrecciarsi di cause e di conseguenze, giochiamo allo scaricabarile…La colpa, si sa, è sempre degli altri, dei dirigenti, dei governi, delle gerarchie…Ma il sapere esaminare noi stessi senza debolezze e riconoscere la propria parte di responsabilità, è indice di maturità, anche cristiana. Il vangelo presenta i cristiani vigili con la psicologia dell’amministratore, non del padrone.

Noi cristiani siamo aperti al futuro, nell’attesa vigile di nostro Signore Gesù Cristo e per questo seriamente impegnati ad essere servi fra i servi, senza rivendicare per noi stesse dinastie, caste di potere, perché uno solo è il Signore, cui noi siamo preposti temporaneamente con una responsabilità e fedeltà più obbligati che non per gli altri.

Urgenza della decisione.

Capitolo 12,49-59

*Un fuoco sono venuto a portare sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! *C’è un battesimo che devo ricevere, e come mi sento teso fino a che non sia compiuto! *Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. *Poiché d’ora in poi se in una casa ci saranno cinque persone, saranno divise: tre contro due, e due contro tre; *padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera. *Diceva poi alle turbe: Quando vedete una nuvola alzarsi a occidente, subito dite: Viene la pioggia e così avviene; * e quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così avviene. *Ipocriti, sapete riconoscere l’aspetto della terra e del cielo, e il tempo presente perché non lo comprendete? *E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? *Se vai con il tuo avversario dal magistrato, per via procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice, e il giudice ti consegni alla guardia e la guardia ti getti in carcere. *Io ti dico che non uscirai di là finché non abbia pagato fino all’ultimo spicciolo.

Luca riunisce in questo brano vari detti di Gesù sulla sua missione, e con ciò prepara i versetti sull’urgenza di decidersi per lui. Appare chiaramente che il fuoco sarà acceso da Gesù nella sua passione. Con ogni probabilità Luca pensa al dono dello Spirito Santo, anche se l’immagine del fuoco, mutuata dai profeti, suggerisce il giudizio. Ora il dono dello Spirito Santo, dato a coloro che accolgono Gesù, causa divisioni sulla terra. Il Gesù di questi primi versetti relativi al fuoco della divisione non è quello sdolcinato di certe immagini o il protagonista lacrimogeno di certi filmati. Quello non porta nessuna divisione. Può anche limitarsi a essere un personaggio esemplare del passato o un ricordo emotivo della prima comunione. La vita reale, quella dura e conflittuale, gli passa accanto senza essere toccata. Nel libro di Papini, sulla “Vita di Cristo”, egli scrisse che gli uomini hanno fatto qualcosa di peggio che opporsi a Gesù: lo hanno dimenticato. O hanno cercato di renderlo innocuo sotto la patina del romanticismo o di una preghiera asettica, immunizzata da qualsiasi contatto coi conflitti della vita. Se cerchiamo nella preghiera, nell’eucaristia, una specie di tranquillante spirituale per scordare i problemi quotidiani, troveremo il Gesù della nostra fantasia, ma non quello vero del vangelo.

Poi, Gesù, lasciato per il momento il tono dell’istruzione o esortazione ai discepoli, si rivolge alla folla. Due brevi parabole, abbastanza trasparenti nella loro valenza religiosa, traducono molto bene l’appello serio a prendere una decisione immediata. La prima è la parabola dei segni del tempo: chi sa pronosticare il tempo meteorologico e ne trae all’stante le conseguenze, deve saper trarre dal discernimento dei segni del tempo presente una decisione operativa. E i segni dati da Gesù sono alla vista di tutti, per cui, se qualcuno non si decide, significa che si trincera ipocritamente dietro falsi alibi. Ma non deve scordare che è davanti all’ultima occasione. La parabola della riconciliazione prima del processo è un appello al buon senso, alla saggezza popolare. La povera gente sa che è preferibile a tutti i costi sistemare i contrasti in via amichevole perché, messa in moto la macchina del processo, la conclusione normale è la condanna e il carcere. Gesù pare voler dire ai suoi contemporanei: è questa l’ultima possibilità, decidetevi prima dell’irreparabile.

C’è, però, un’altra considerazione da tenere presente, e riguarda noi come popolo di Dio e come Chiesa. Il Concilio Vaticano II ha detto chiaramente che “è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del vangelo, cosicché, in un modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sul loro reciproco rapporto”. Infatti, Giovanni XXIII, nella “Pacem in terris”, aveva considerato segni dei tempi alcuni valori evangelici che stimolano dall’interno l’attuale sviluppo storico: l’emancipazione delle classi lavoratrici, il riconoscimento del posto della donna nella vita pubblica, l’emancipazione dei popoli un tempo (purtroppo ancora oggi) colonizzati, la pianificazione universale, l’unificazione del mondo, la progressiva socializzazione dei vari aspetti della vita umana, da quelli economici (urgenti oggi) a quelli umani e spirituali. In questo modo l’esistenza concreta e storica dell’uomo, diventa una fonte teologica, a condizione di discernere, nell’insieme dei fatti, la direzione verso cui essi convergono (per noi Gesù e il suo regno).

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