Vangelo di Luca – Cap. 11,1-4 al 11,37-54

Preghiera Padre Nostro - James Tissot

Il “Padre nostro”.

Capitolo 11,1-4

*Un giorno Gesù si trovava a pregare: quando ebbe finito uno dei discepoli gli chiese: Signore, insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli. *Egli disse loro: Quando pregate dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno,
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
Amen.

A questo punto siamo tutti in piedi a pregare il nostro Padre celeste insieme a Gesù, Maria e i santi, come Lui ci ha insegnato. Tra poco esploreremo la bellissima preghiera del Padre Nostro con l’intento di aprire nuovi orizzonti alla meditazione e ad una partecipazione personale più completa al suo mistero. Il Padre Nostro è una preghiera di relazione. Oggi molte persone alzano le mani quando pregano (è un gesto meraviglioso ed espressivo), comunicando a Dio la loro apertura, il loro abbandono, il loro desiderio di essere toccati da Lui. Altre ancora si tengono per mano per costruire un senso ideale di comunità. Ci rivolgiamo al Signore con un atteggiamento di pentimento e d’umiltà, consapevoli della nostra povertà spirituale e, nello stesso tempo, in pienezza di gioia e di gratitudine, perché ci riconosciamo figli e figlie dell’Altissimo, eredi del Regno. Noi siamo “la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di lui e che ci ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1Pt.2,9).

Padre… Si tratta di un grido di libertà e pieno di fiducia. Mentre pronunciamo le parole “Padre Nostro”, ci rivolgiamo a Dio unitamente ai nostri fratelli e sorelle di tutto il mondo. Inoltre ci ricordiamo dei defunti nella nostra preghiera. Dio, infatti, è il Nostro Padre, il Padre dei vivi e dei morti.

Dio, il grande IO SONO del roveto ardente, ha scelto di essere nostro Padre: ha scelto di creare, nutrire, istruire, guarire, soccorrere, proteggere, educare e amare ciascuno di noi. Egli ci tiene nel palmo della sua mano e ci promette di non abbandonarci, di non scordarci. Lo stesso Dio che dimora nell’alto dei cieli ci chiede di chiamarlo Padre e c’invita a stabilire una relazione d’amore con lui. Non solo, il Padre Nostro ben più che un testo da recitare, contiene una serie di richiami che devono suscitare nei nostri cuori i pensieri stessi di Dio e disporli ad accogliere i suoi doni. Queste parole ci rammentano che Egli non è come il nostro padre terreno. Il suo amore è perfetto e senza condizioni. Non ci farà mai del male. Non ci abbandonerà mai. E’ tutto ciò di cui occorriamo. Vuole aiutarci in tutti i modi, anche nei piccoli problemi della vita quotidiana. Le sue risorse sono illimitate, perché a Lui nulla è impossibile. E’ capace di realizzare atti di guarigione e di liberazione per esaudire ogni nostro bisogno. Le sue vie sono superiori alle nostre. Eppure lo possiamo conoscere e possiamo camminare con Lui nel Regno dei cieli. San Paolo ci consiglia: “Cercate le cose di lassù” (Col.3,1).

Sia santificato il tuo nome… Questo non significa che Dio sia santificato dalle nostre preghiere, Lui che è sempre santo. Dio è irraggiungibile da qualunque profanazione e degno d’ogni onore. Con la frase chiediamo che il suo nome sia santificato in noi perché, santificati nel suo battesimo, perseveriamo in ciò che abbiamo già cominciato ad essere. Infatti, più sappiamo lodare la sua santità, la sua meravigliosa natura, più siamo aperti all’accoglienza e alla guarigione.

Venga il tuo regno… Dal racconto dell’orazione nel Getsemani, emerge ciò che fu il nucleo della preghiera di Gesù, così com’è l’espressione centrale del Padre Nostro. Gesù supplica Dio Padre perché ad ogni costo si adempia la volontà divina, sia in cielo che in terra. Nel regno entra solo chi fa la volontà del Padre (Mt.7,21). Infatti, noi chiediamo a Dio di governare nella nostra vita personale e nel mondo che verrà. E’ come se dichiarassimo: “Signore, conferma la tua signoria su di me”. “Sei tu il mio re, Dio mio” (Salmo 43,5). Preghiamo affinché la sua giustizia e la sua pace regnino nel cuore d’ogni essere umano. Preghiamo perché il suo regno venga tra i Paesi in guerra, tra i tossicodipendenti e nelle cliniche dove si abortisce, nelle famiglie divise e separate, nei corpi distrutti dalle malattie, per coloro che hanno fame, senza casa e senza lavoro, per tutti coloro che non hanno pace. Rammentando che lo scopo principale della nostra vita di cristiani è di collaborare all’edificazione di questo Regno, in ogni luogo dove ci troviamo. La nostra gioia è fare la volontà del Padre: “…che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero” (Salmo 39,9).

Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano… Il senso dell’aggettivo “quotidiano” è duplice: pane “sostanziale” e pane “di domani”. E’ come se dicessimo: dacci il pane del regno che deve venire. Infatti, il regno che deve venire è paragonato ad un grande banchetto (Mt.22,1ss; Lc. 16,16ss). Il pane del regno futuro è l’eucaristia, che ci riporta all’ultima Cena.

Dio ha sempre provveduto alle necessità del suo popolo, con mezzi ordinari e straordinari. Ha provveduto agli Ebrei nel deserto (Es.16-17); ha fornito il cibo per Elia e per la vedova che lo ha servito (1Re 17,7-15); ha dato da mangiare alle cinquemila persone (Lc. 9,10-17). Nella preghiera ci poniamo alla presenza del Signore con le necessità quotidiane del corpo, della mente e dello spirito. Preghiamo per i nostri bisogni fisici: casa, vestiario, cibo, salute. Preghiamo per i nostri bisogni psicologici; la conoscenza delle cose divine, l’educazione, l’istruzione, la guida e la saggezza nelle decisioni, le esigenze sociali, la salute emotiva e mentale. Preghiamo per i bisogni dello spirito: il rapporto con Dio, la grazia del perdono, l’accrescimento della fede e la conversione giornaliera, la capacità di realizzare la nostra vocazione di vita cristiana.

Rammentiamo sempre la parabola del vignaiolo che inviò a lavorare ad ore diverse e poi pagò a tutti la medesima cifra. Infatti, diede a ciascuno quello che serviva per il giorno. Similmente, Egli ci dà quello di cui occorriamo.

E perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore… “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” (Lc.23,34). Il perdono è l’elemento chiave di guarigione del Padre Nostro. Chiediamo aiuto a Dio di aiutarci a perdonare e di avvertirne il desiderio. Per fare ciò è utile meditare sui brani delle Scritture che si riferiscono alla misericordia di Dio (per esempio: la parabola del “Figliol prodigo”), o alla Passione di Gesù Cristo. Dio Padre è sempre pronto ad accoglierci a braccia aperte.

E non ci indurre in tentazione… Cadere nella tentazione è un rischio contro di cui Gesù Cristo mette in guardia i discepoli all’inizio della passione (Mt.26,31), e poi tutti i credenti d’ogni tempo. La scena del Getsemani è presentata come un “entrare nella tentazione”. Solo la preghiera ci permette di non soccombere alla tentazione. La tentazione rimanda al Tentatore, che nella scena del Getsemani non è esplicitamente nominato, ma che ritroviamo nella frase conclusiva del Padre Nostro. Siamo quindi riportati all’episodio dei quaranta giorni trascorsi da Gesù nel deserto, dove fu sottoposto a “ogni tentazione da Satana, che subito dopo si allontanò per ritornare al tempo fissato” (Lc.4,13), ossia il tempo della Passione. Ma significa anche che noi chiediamo a Dio di non permettere che noi siamo indotti dal tentatore, l’autore della corruzione. La Scrittura dice, infatti: “Dio non tenta nessuno al male”. Il tentatore è il diavolo, ed è per vincerlo che il Signore ha detto: “Vigilate e pregate per non cadere in tentazione”. Diciamo questo a motivo della parola dell’Apostolo: “Voi non sapete ciò che dovete domandare nelle vostre preghiere”. Dobbiamo pregare l’unico Dio onnipotente in modo che egli nella sua misericordia ci conceda di lottare contro tutto ciò da cui la debolezza umana non ha la forza di difendersi né di allontanarsi. Per Gesù Cristo nostro Signore, nostro Dio, “che vive e regna nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli”.

Quando preghiamo il Padre nostro, rammentiamo che siamo uniti a milioni di altre persone sparse in tutto il mondo, che pregano allo stesso modo, ogni giorno. Consapevoli di questa realtà, poniamoci davanti al Padre con umiltà, con Gesù, Maria e i santi, prendendo il nostro posto di figli e figlie dell’Altissimo.

Come pregare.

Capitolo 11,5-13

*E aggiunse loro: Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte e gli dice: Amico, prestami tre pani, *perché un amico mio è arrivato da un viaggio e non ho nulla da offrirgli; *se quello dall’interno risponde: Non mi dar seccature, ora la porta è chiusa e i miei figli stanno a letto con me, non posso alzarmi e darteli; *io vi dico che, anche se non si alza a darglieli in quanto amico, pure per l’importunità sua si alzerà e gli darà quanto gli occorre. *Perciò vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. *Infatti chiunque domanda riceve, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. *E chi è tra voi quel padre che al figlio, il quale chieda un pane, dia un sasso? Oppure dia un serpente se chiede un pesce? *Oppure uno scorpione se chiede un uovo? *Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre che è nei cieli darà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano.

La parabola è indirizzata ai discepoli, “E aggiunse loro…”, e fa parte di un’ampia catechesi sulla preghiera, il cui centro è costituito dal Padre nostro. Gesù continua l’insegnamento sulla preghiera illustrandone particolarmente le principali qualità che sono la tenacia e la fiducia. La preghiera, secondo Gesù, deve essere tanto insistente e tenace, da sembrare quasi petulante: la norma, infatti, è illustrata con una parabola.

In un villaggio qualsiasi vi sono due amici, uno dei quali a notte inoltrata riceve la visita di un amico che è in viaggio e desidera alloggiare quella notte presso di lui. Un giaciglio si fa presto a preparare; ma il viandante ha fame, e come si fa a servirlo se tutto il pane disponibile in casa è stato mangiato nella cena di quella sera? Non resta che andare a chiederlo in prestito; ma dove andare, l’ora è tarda e tutti dormono? Non rimane che tentare presso l’amico; è già mezzanotte, ma avrà pazienza e farà questo favore. Ad una prima lettura il breve racconto pare descrivere un normale comportamento fra amici: se hai un amico e sei nel bisogno, puoi anche importunarlo di notte, e nemmeno ti meravigli se ti risponde male: insisti. Infatti, l’amico ospitante va all’uscio dell’altro e inizia a bussare forte: “Amico, prestami tre pani, un amico è arrivato da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”. Quello di dentro risvegliato bruscamente e piuttosto seccato: “Non mi dar seccature, la porta è chiusa e i miei figli stanno a letto, non posso…” Quello di fuori non si scoraggia e non cessa di bussare e strepitare, quello di dentro alla fine cederà, se non in forza dell’amicizia, certo in forza della seccatura. Quindi, un invito al coraggio e alla confidenza nei confronti di Dio. L’insistenza presuppone sempre l’una e l’altra cosa. Non si insiste di fronte ad un estraneo che incute timore. Né si persevera se non si ha fiducia. Davanti a Dio l’uomo abbia confidenza e fiducia. La preghiera biblica è insieme rispettosa, docile e ferma.

Tuttavia, la conclusione che Gesù ne trae, e il contesto che immediatamente segue, mostrano che la parabola vuole affermare la certezza dell’esaudimento. Come è certo che quell’amico, per una ragione o per l’altra, finirà con l’alzarsi, così è certo che Dio ascolta chi lo prega. A questo punto, però, sorge spontanea una domanda che l’evangelista nella sua catechesi avverte con lucidità: se l’ascolto è certo, come si spiega che spesso l’uomo non ottiene da Dio quanto gli ha chiesto? Luca afferma che Dio ascolta sempre, ma a modo suo. Le sue risposte non sempre coincidono con le nostre domande.

I paragoni a cui Gesù ricorre per illustrare questo concetto possono sorprendere: “Perciò vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. *Infatti chiunque domanda riceve, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto. *E chi è tra voi quel padre che al figlio, il quale chieda un pane, dia un sasso? Oppure dia un serpente se chiede un pesce? *Oppure uno scorpione se chiede un uovo? *Se dunque voi che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre che è nei cieli darà lo Spirito Santo a coloro che glielo domandano”. Un pane e una pietra, un pesce e una serpe, un uovo e uno scorpione. Con qualche fatica possiamo scorgere una vaga somiglianza fra un sasso e un pane, un pesce e una serpe, ma fra uovo e uno scorpione? Gesù ricorre a tali immagini perché predilige paragoni imprevedibili, come le cose che sta dicendo. Paragoni strani che catturano l’attenzione, e che al tempo stesso sono trasparenti; l’uomo è come un bambino che a volte non sa quello che chiede, e Dio è come un padre che non concede sempre al figlio ciò che questi gli domanda: gli dà soltanto ciò che sa essergli utile.

L’esperienza dell’amore paterno è la vera parabola per comprendere la generosità di Dio, il suo amore che non si smentisce. Ma soltanto al termine dell’insegnamento Gesù svela qual è il dono per eccellenza che si deve chiedere e che sicuramente si ottiene nella preghiera dal momento che Dio non lo nega mai: lo Spirito Santo. Solo così la preghiera non è una formula d’incantesimo, né un’arte magica per piegare Dio ai desideri umani; non è il supplemento comodo di fronte alle frustrazioni e agli scacchi dell’esistenza. La preghiera è una totale apertura all’amore fedele di Dio, a quella libertà creativa che ha nel dono dello Spirito Santo la sua fonte e stimolo permanente.

Gesù, il più forte, nello scontro con satana.

Capitolo 11,14-28

*Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto si mise a parlare e le turbe furono prese da ammirazione. *Ma alcuni di loro dissero: Per mezzo di Beelzebul, capo dei demoni, egli scaccia i demoni. *E altri, per metterlo alla prova, chiedevano da lui un segno dal cielo. *Ma egli, conoscendo i loro pensieri, disse: Ogni regno in sé diviso va in rovina, e una casa crolli sull’altra. *Se dunque anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Eppure voi dite che io scaccio i demoni per mezzo di Beelzebul. *Ora, se io per mezzo di Beelzebul scaccio i demoni, i vostri discepoli per mezzo di chi scacciano? Per questo essi saranno i vostri giudici. *Se invece io scaccio i demoni con la potenza di Dio, dunque è giunto a voi il regno di Dio. *Quando un uomo forte, tutto armato, sta a guardia del suo palazzo, tutti i suoi beni sono al sicuro. *Ma se uno più forte di lui sopravviene e lo vince, gli toglie le armi nelle quali confidava e ne distribuisce le spoglie. *Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde. *Quando lo spirito immondo è uscito dall’uomo, va errando per luoghi aridi in cerca di riposo; e, non trovandolo, dice: Ritornerò nella casa mia dalla quale sono uscito. *E venuto, la trova spazzata e ordinata. *Allora va e prende altri sette spiriti peggiori di sé, ed entrati, vi si insediano. Così la condizione finale di quell’uomo diviene peggiore di prima. *Mentre egli parlava così, una donna tra la folla alzò la voce e disse: Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato. *Ma egli rispose: Piuttosto beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.

Luca molto brevemente racconta della guarigione di un uomo che non poteva parlare a causa di un demonio, e poi mette in contrasto due reazioni: lo stupore della folla di fronte ai “segni” senza precedenti, e l’attribuzione del potere di Gesù a satana da parte dei farisei e degli scribi. Questi ultimi dicevano: “E’ posseduto da Beelzebul…” Poi, per metterlo alla prova, gli chiedono un segno dal cielo. La domanda di un segno d’autenticazione dal cielo, da Dio, è una tentazione per Gesù. E’ l’invito subdolo, in nome di una presunta serietà religiosa, a percorrere la strada del messianismo spettacolare. Da parte dei farisei e degli scribi è la pretesa di basare la fede sulla dimostrazione evidente e controllabile di Dio, senza correre il rischio dell’impegno personale. Da spettatori e controllori neutri e distaccati, sono in grado di stabilire ciò che è segno o meno della presenza di Dio. Questo significa ridurre la libertà di Dio entro i limiti dei propri pregiudizi, dei propri schemi soggettivi. A tali condizioni non c’è più spazio per la fede. La fede è il confronto più serio di Dio con l’uomo, com’è avvenuto nella vicenda di Gesù. Il rifiuto di Gesù di sfruttare la libertà di Dio a chi ha paura di vivere nel rischio della libertà, è il rifiuto di vendere a buon mercato la libertà dell’uomo.

Anche oggigiorno Gesù si scontra con l’incredulità: incredulità che viene da accecamenti, da partito preso, da disattenzione negli uomini della chiesa. Il messaggio di Gesù, la sua vita, non è accolto in profondità interiore. Anche oggi gli uomini vogliono mettere alla prova Gesù, rifiutando ciò che è donato da Dio e pretendono di fissare, come i farisei e gli scribi, essi stessi come Dio debba agire. Manca l’apertura, l’umiltà, la fiducia, la libera adesione; le disposizioni interiori per accogliere Cristo. E Gesù, come allora, “sospira profondamente” e si allontana, rispettando la decisione umana; ma fa comprendere a tutti che essa impedisce l’incontro e la salvezza. Questo giudizio di Gesù sulla chiusura dell’uomo è terribile anche oggi.

Come risposta ai farisei e agli scribi, Gesù offre tre argomenti: a)se il suo potere sui demoni venisse da satana, quest’ultimo avrebbe messo i suoi agenti contro se stesso, distruggendo così il regno di satana; b)i suoi esorcismi dovrebbero essere interpretati come delle buone azioni ispirate dallo Spirito Santo, proprio come lo erano gli esorcismi praticati da altri esorcisti giudei; c)lui non sarebbe in grado di scacciare i demoni, a meno che non avesse potere sul capo dei demoni stessi. Il fatto poi che collega gli esorcismi di Gesù alla venuta del regno di Dio, è molto importante per la comprensione di tutti i miracoli di Gesù: essi sono segni che in Gesù il regno di Dio sta facendo irruzione nel mondo e raggiungerà la sua pienezza al tempo dovuto. Essendosi scontrato con le obiezioni dei farisei e degli scribi, Gesù assume l’offensiva con alcune ammonizioni: l’intimità con Gesù è assolutamente essenziale, e i giudei devono riconoscerla, altrimenti corrono il rischio di essere dalla parte sbagliata quando verrà il regno di Dio; l’unico peccato imperdonabile è attribuire l’opera dello Spirito Santo ad uno spirito maligno, così come facevano i giudei con Gesù, non riuscire a riconoscere il Figlio dell’uomo per quello che è può essere comprensibile e anche perdonabile, ma non riuscire a riconoscere la fonte del suo potere è inescusabile; l’opposizione dei giudei nasce dalla loro malvagità, e nel giudizio finale essi saranno giudicati in base alla loro volontà o meno di confessare che il potere di Gesù deriva dallo Spirito Santo. Da qui il versetto che suona come un proverbio: “Chi non è con me, è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde”.

Questa lunga scena termina con il breve dialogo di Gesù con una donna della folla. Con istinto tutto femminile, lei prorompe in un’esclamazione che esprime il sentimento della folla ammirata. Gesù non rifiuta la beatitudine rivolta alla propria madre, “Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato”, che in realtà, secondo la mentalità orientale, è l’esaltazione del figlio, ma fa un’aggiunta: la vera beatitudine è quella del discepolo fedele e perseverante nell’ascolto e nella pratica della parola. E in questa nuova beatitudine rientra anche la madre di Gesù che accoglie e conserva la parola nel suo cuore. Questa fedeltà umile è il clima ideale per proseguire nel cammino alla libertà, inaugurato nei gesti liberatori di Gesù.

Il segno del Figlio dell’uomo.

Capitolo 11,29-36

*Mentre la gente gli si accalcava intorno, egli cominciò a dire: Questa generazione è una generazione malvagia; chiede un segno, ma non le sarà dato altro segno se non quello di Giona. *infatti, come Giona divenne un segno per quelli di Ninive, così il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione. *La regina del sud nel giorno del giudizio si leverà con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ma qui vi è più di Salomone. *Gli uomini di Ninive nel giorno del giudizio si leveranno con questa generazione e la condanneranno, perché essi si sono convertiti alla predicazione di Giona; ma qui vi è più di Giona. *Nessuno accende una lucerna e la pone in un ripostiglio o sotto un recipiente, ma sul lucerniere affinché quelli che entrano vedano la luce. *La lucerna del tuo corpo è l’occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo sarà tutto illuminato; ma se il tuo occhio è malato, anche il tuo corpo sarà nelle tenebre. *Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra. *Se dunque la tua persona è tutta nella luce senza alcuna zona d’ombra, allora tutto sarà luminoso come quando la lucerna ti illumina con il suo splendore.

Malgrado tutti i miracoli che Gesù aveva già operato, gli scribi e i farisei chiedono ulteriori segni. Gesù, esasperato, promette loro il segno di Giona. Il significato fondamentale del segno di Giona sembra implicare la predicazione del pentimento ai non Giudei, e la sua accettazione da parte di loro. Quando Giona, profeta dell’A.T., predicava la conversione agli abitanti di Ninive, essi agirono secondo la predicazione di Giona e si pentirono delle loro iniquità. La regina di Saba (=la regina del sud) venne a Gerusalemme per rendersi conto della saggezza di Salomone (1 re 10,1-6), e ne rimase profondamente colpita. Gesù supera Giona e Salomone, e quindi gli scribi e i farisei hanno una buona ragione per pentirsi. Non ci sono per noi cristiani altri segni che quello di Gesù, poiché Dio ha scelto di non costringere l’uomo, ma di guadagnarne l’amore morendo per lui. Proprio perché è Dio l’amore, egli non concede altri segni che quello che è stato compiuto da Gesù Cristo. Il vero miracolo è d’ordine morale: è quella condizione umana di Gesù, assunta nella fedeltà, nell’obbedienza e nell’amore assoluto, che irradia totalmente la presenza divina al punto che, nella morte stessa, Dio è stato presente al Figlio per risuscitarlo. Precisamente in questo “segno di Giona” culminano tutti i miracoli del vangelo, appello alla conversione e all’apertura alla salvezza di Dio, segni della sua presenza spirituale nel combattimento contro il peccato e la morte.

Ai tempi di Gesù le sole lampade disponibili erano dei piccoli oggetti a forma di piatto in cui era bruciato l’olio. In confronto alle nostre abitudini, queste lampade non davano certo molta luce, ma in un periodo in cui l’elettricità non esisteva ancora questa luce doveva apparire molto brillante. Quindi il versetto concernente la lucerna mette in risalto che il mistero del regno di Dio, comunicato segretamente da Gesù ai discepoli, non resterà nascosto, ma sarà posto dalla comunità cristiana pentecostale sul candelabro perché risplenda a tutti: infatti, a lungo andare tutto viene alla luce. Quindi, tutto ciò si riferisce all’insegnamento del Maestro, poiché la rivelazione del regno tende di sua natura ad illuminare tutti, proprio come la lucerna. Infine i versetti seguenti dichiarano che gli occhi sono le lucerne dell’intero corpo. In tale contesto esso si riferisce al bisogno di una sincera visione spirituale, affinché la persona possa comportarsi in modo adeguato. Coloro la cui visione non è focalizzata sull’obbedienza a Dio piomberanno nell’oscurità.

Requisitoria contro i farisei e i legisti.

Capitolo 11,37-54

*Stava ancora parlando quando un fariseo lo invitò a pranzo. Gesù entrò e s’adagiò subito a mensa. *Il fariseo, visto che prima del pranzo non aveva fatto le abluzioni, si meravigliò. *Ma il Signore gli disse: Ora voi farisei pulite l’esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è colmo di rapacità e di iniquità. *stolti! Forse chi ha fatto l’esterno non ha fatto anche l’interno? *Piuttosto date in elemosina quello che è dentro e allora tutto diventerà puro per voi. *Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta e della ruta e d’ogni ortaggio, e passate sopra alla giustizia e all’amore di Dio. Queste cose bisognava fare senza trascurare le altre. *Guai a voi, farisei, che amate il primo seggio nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze. *Guai a voi, perché siete come sepolcri dissimulati, e gli uomini vi camminano senza saperlo. *Allora uno dei legisti gli disse: Maestro, parlando così offendi anche noi. *Ed egli rispose: Guai anche a voi, esperti della legge. Perché opprimete gli uomini con pesi insopportabili che voi non toccate neppure con un dito. *Guai a voi, che costruite monumenti funebri ai profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi. *Così anche voi date testimonianza che siete d’accordo con le azioni dei vostri padri: essi li hanno uccisi e voi innalzate loro i monumenti funebri. *Per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò loro profeti e apostoli; e ne uccideranno alcuni e altri ne perseguiteranno, *affinché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti versato fin dalla creazione del mondo; *dal sangue di Abele al sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e il santuario. Sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. *Guai a voi, legisti, che avete preso la chiave della conoscenza: voi non siete entrati e avete impedito agli altri di entrarvi. *Quando uscì di là gli scribi e i farisei cominciarono ad accanirsi contro di lui e a provocarlo su varie questioni, *tendendogli insidie per sorprenderlo in qualche parola compromettente.

Nel brano Gesù formula i suoi attacchi durante un pasto: l’evangelista ricorre, infatti, spesso al genere conviviale. Il primo contrasto riguarda le abluzioni che normalmente si dovevano fare prima dei pasti. Gesù se ne è dispensato, pare, a ragion veduta, “Gesù entrò e s’adagiò subito a mensa” ; dinanzi allo stupore del suo ospite egli distingue l’interno e l’esterno, il di dentro e il di fuori “Stolti! Forse chi ha fatto l’esterno non ha fatto anche l’interno?”. Si potrebbe ricordare una morale dell’intenzione: quello che conta non è ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa. Tuttavia, temendo una cattiva interpretazione (si potrebbe credere che bastino le buone intenzioni), Gesù presenta all’istante un’intenzione tradotta nell’azione, “Piuttosto date in elemosina quello che è dentro allora tutto diventerà puro”. Seguendo le parole di Gesù, viene facile condannare un certo cristianesimo moraleggiante, preoccupato di osservare i comandamenti e i precetti (compresi quelli riguardanti il culto), più per rispetto all’autorità (divina o ecclesiastica) che li aveva emanati che per convinzione personale profonda. Una religione e una morale del dovere, una fede solida ma un po’ passiva, una prospettiva di sanzioni eterne più ispirate al timore che all’amore. Nonostante tutto, anche all’interno di questa visione delle cose, si sono formati dei santi: sarebbe ingiusto il facile disprezzo. Ma Gesù ci indica una via d’uscita: “Date in elemosina quel che c’è dentro”, e anzitutto voi stessi; liberatevi dalla preoccupazione di “acquistare virtù” per una perfezione individuale, e rendetevi disponibili, con semplicità, all’incontro con ogni persona. Se il nostro cuore è puro e libero, tutto sarà puro.

Poi Luca riunisce in due gruppi di tre le “maledizioni” di Cristo contro i farisei e gli scribi. La prima maledizione riguarda il formalismo farisaico – “Guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta e della ruta e d’ogni ortaggio, e passate sopra all’ingiustizia e all’amore di Dio” -, che discute senza fine sui precetti più piccoli, ma dimentica i comandamenti essenziali; la seconda è contro le autorità religiose che preferiscono gli onori al servizio; “Guai a voi, farisei, che amate il primo seggio nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze” -; la terza afferma che queste persone sono così consumate dai vizi che il semplice passar loro accanto fa contrarre la stessa impurità che si contrae avvicinandosi ad una tomba – Guai a voi, perché siete sepolcri dissimulati, e gli uomini vi camminano sopra senza saperlo” -. Nella prima invettiva ai legisti, Gesù li accusa di aver talmente appesantito la legge da rendere la vita religiosa intollerabile, – “Guai anche voi, esperti della legge, perché opprimete gli uomini con pesi intollerabili che voi non toccate neppure con un dito” -, mentre il fardello di Cristo è leggero, e facile da portare.

Che immagine abbiamo del popolo cristiano (intendendo non solo le persone in vista: pastori, teologi…ma anche i “semplici” cristiani) che si presenta a chi non crede, o crede poco? Come vorremmo essere visti, perché Cristo non sia rifiutato per causa nostra? Evidentemente essere il popolo di Dio, secondo Gesù, è essere animati dallo Spirito Santo, che è Spirito di verità, di testimonianza, d’amore, di comunione, di libertà, di vita. Perciò l’insincerità, il non essere veri, le controtestimonianze, ciò che divide, che coarta la libertà e il crescere della vita, non è espressione d’amore, non viene dallo Spirito. Bisogna pertanto preoccuparsi di amare sinceramente e concretamente, di non imporre agli altri dei pesi che noi non tolleriamo, di esser autentici e semplici, aperti all’influsso dello Spirito in una disponibilità a tutta prova, profondamente uniti nella comunione ecclesiale.

Nella seconda invettiva contenuta in questi versetti concerne la persecuzione che gli scribi hanno fatto subire ai profeti, – “Guai a voi, che costruite monumenti funebri ai profeti, mentre i vostri padri li hanno uccisi” – Un’accusa che si rivolge contro l’autoritarismo intellettuale dei dottori della legge che non entrano essi stessi nella vera comprensione della legge e non arrecano alcuna luce agli altri.

Con la terza invettiva Gesù si scaglia contro gli scribi, Guai a voi, legisti, che avete preso la chiave della conoscenza: voi non siete entrati e avete impedito agli altri di entrarvi”. Gli impedimenti ad una più efficace azione dell’evangelo dell’amore, oggi, sembra provenire o dalla mancanza di un’adeguata preparazione ai nuovi e ardui impegni proposti al ministero della parola o da una riflessione ancora imperfetta, espressa talvolta in teorie che scoraggiano l’iniziativa evangelica invece di favorirla. Purtroppo il profondo rinnovamento del ministero della parola, sembra messo in pericolo: da chi non riesce a vederne tutta la profondità, quasi fosse soltanto questione d’istruzione religiosa, e da chi riduce l’annuncio evangelico soltanto alle sue risonanze e conseguenze nell’esistenza temporale degli uomini. Occorre invece armonizzare una piena fedeltà a Dio e agli uomini, nella predicazione come nelle usuali testimonianze di parola e di vita, per favorire il loro incontro con Gesù Cristo. E a questo punto, tutti i notabili, decisero che Gesù doveva morire.

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