Vangelo di Luca – Cap 7, 1-10 al 7, 36-50

Cristo e il centurione - Paolo Veronese

Guarigione del servo di un ufficiale.

Capitolo 7,1-10

*Quando Gesù ebbe terminato di rivolgere queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. *Un ufficiale aveva un servo, che gli era molto caro. Questi s’era ammalato e stava per morire. *Sentito parlare di Gesù, gli mandò alcuni notabili dei giudei a pregarlo di venire a salvare il suo servo. *Venuti quelli da Gesù, lo pregarono con insistenza dicendo: Egli merita che tu gli faccia questo, *perché ama la nostra gente ed è stato lui a costruirci la sinagoga. *Gesù si incamminò con loro. Ma, giunto nei pressi della casa, l’ufficiale gli mandò incontro degli amici a dirgli: Signore non disturbarti! Io non son degno che tu entri in casa mia; per questo non mi sono ritenuto degno di venire da te, ma dì una parola e il mio servo sarà guarito. *Anch’io infatti, che sono un uomo sottoposto ad autorità e ho sotto di me dei soldati, dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa. *All’udire questo, Gesù fu pieno di ammirazione per lui, e rivolgendosi alla folla che lo seguiva, disse: Vi dichiaro che una tale fede non l’ho trovata neppure in Israele. *E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Possiamo scoprire il motivo per il quale Luca ha collocato questo racconto subito dopo il discorso di Gesù ai discepoli. Il Maestro, che ha appena rivolto il suo annuncio di salvezza ai poveri e parole tanto impegnative ai discepoli, rivela ora l’efficacia della sua “parola” per chi l’accoglie con fiducia e umiltà. Nel brano viene esaltata la fede di un pagano nell’efficacia della parola di Cristo. Ancora oggi tutti noi cristiani usiamo le stesse parole del centurione durante il rito della comunione eucaristica: “…ma di’ soltanto una parola… “. Tutto l’interesse del racconto è concentrato nel dialogo tra Gesù e gli inviati del centurione pagano e culmina nella proclamazione di Gesù: “Vi dichiaro che una tale fede non l’ho trovata neppure in Israele”.

Il fatto avviene nel momento in cui Gesù rientra a Cafarnao, dove era di guarnigione il centurione: probabilmente faceva parte delle truppe mercenarie del tetrarca Erode Antipa. Era pagano, ma ben disposto verso il giudaismo, tanto che aveva costruito a sue spese la sinagoga di Cafarnao; la sua bontà di cuore è confermata anche dal fatto che aveva uno schiavo al quale era affezionatissimo, trattandolo più da figlio che da schiavo. Ora, questo schiavo si era ammalato e stava in punto di morte; l’angosciato centurione, che aveva certamente provato tutte le cure ma invano, conosceva di fama Gesù, anzi proprio in quel giorno Cafarnao si doveva essere quasi svuotata perché molti si erano recati sulla vicina montagna dove il famoso Maestro teneva un discorso. Disperato dal fatto che nessun medico riusciva a guarire lo schiavo, il centurione pensò spontaneamente a Gesù; tuttavia non osava proporgli il suo caso, poiché era pagano. Allora si rivolse ai Giudei di un certo lignaggio, affinché parlassero a Gesù del moribondo pregandolo di intervenire. E così avvenne. I Giudei fecero l’ambasciata e raccomandarono vivamente a Gesù la supplica del centurione: Egli merita che tu gli faccia questo, perché ama la nostra gente ed è stato lui a costruirci la sinagoga.

Il pagano era stato un benefattore, e anche Gesù si era servito della sinagoga per pregare e predicare; quindi si avviò insieme agli intercessori alla volta della casa del centurione. Ne era già in vista, quando fu incontrato da una seconda ambasceria inviatagli dal centurione. Il centurione percepiva una certa titubanza, motivata da scrupolo e da rispetto: la sua casa era pagana, per questo un Giudeo osservante non sarebbe potuto entrarvi senza ritenersi contaminato. Perciò i nuovi inviati avvertirono delicatamente Gesù da parte del centurione: Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri in casa mia; per questo non mi sono ritenuto degno di venire da te, ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Poi, dopo questa affermazione, il centurione fa inaspettatamente una professione di fede alla maniera militare: “…ho sotto di me dei soldati, dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. Il centurione voleva giustificare il proprio rispetto verso Gesù col suo spirito militare. Egli conosceva bene la disciplina militare, e l’esercitava sui propri soldati essendone sempre obbedito; Gesù quindi non si abbassasse fino a venire a casa sua, ma pronunciasse una sola parola e il suo comando sarebbe subito riconosciuto ed eseguito dalle forze della natura che opprimevano il moribondo. Gesù fu pieno d’ammirazione per lui, e all’istante la parola attesa dalla bocca del Maestro fu pronunciata, e il malato guarì nello stesso istante.

La dichiarazione di Gesù nei confronti del centurione esalta la fede dell’uomo come vera fede salvifica. Nel racconto evangelico tutto ciò passa quasi in secondo piano, mentre in prima linea rimane la tanta fede. In pratica si tratta di un cammino della fede cristiana: dalla fiducia in Gesù, che può e vuol guarire, all’accoglienza della sua persona come inviato autorevole di Dio, all’apertura sincera e totale che va oltre il dono della guarigione. Possiamo affermare che il vero miracolo è quello del pagano che giunge alla fede. Luca ha visto nel centurione di Cafarnao un modello e un anticipo dei pagani simpatizzanti, che entrano a far parte della comunità cristiana.

La resurrezione di un giovane a Nain.

Capitolo 7,11-17

*In seguito Gesù si recò in una città chiamata Nain, accompagnato dai suoi discepoli e da molta folla. *Quando fu vicino alla porta della città, vide che portavano a seppellire un morto, figlio unico di una madre vedova; molta gente della città l’accompagnava. *Vedendola, il Signore ne fu commosso e le disse: Non piangere! E, accostandosi, toccò la bara; i portatori allora si fermarono ed egli disse: Ragazzo, io te lo dico: Alzati! *Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare, e Gesù lo rese alla madre. *Tutti furono presi da timore religioso e davano gloria a Dio, dicendo: Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo. *E questa voce si sparse per tutta la Giudea e in tutti i dintorni.

Anche in quest’episodio un gesto di misericordia e d’amore, simmetrico a quello del servo del centurione a Cafarnao. I protagonisti sono la madre vedova e il suo giovane figlio morto, che viene portato alla sepoltura nello stesso istante n cui Gesù entra sta per entrare in Nain.

Il Maestro, accompagnato dai discepoli e da molta folla, mentre sta per entrare nella porta delle mura, ecco uscirne un corteo funebre, indirizzato certamente a quel cimitero che esiste ancora oggi a breve distanza dalle case e contiene antiche tombe scavate nella roccia. Portavano alla tomba un giovanetto; la madre del morto, che era vedova ed aveva quel solo figlio, seguiva la salma, distrutta da tanto dolore. Il fatto era particolarmente pietoso, forse ciò spiega anche perché c’era molta folla della città insieme con la vedova: certamente tutti del borgo avevano saputo della disgrazia e volevano partecipare al dolore dell’infelice mamma. L’attenzione di Gesù è per la povera mamma; la sua partecipazione al dolore è immediata.

Gesù non vede che la donna: Vedendola, il Signore ne fu commosso e le disse: Non piangere! Queste parole chissà quante volte erano dette e ripetute in quella giornata alla povera donna, ma restavano soltanto parole. Gesù, però, va oltre. L’ordine di non piangere anche se in questa circostanza pare paradossale, è una promessa. Luca ha già fatto intuire l’esito di quest’incontro dal momento che ha chiamato Gesù con il titolo carico di significato “Il Signore”. Infatti, egli …accostandosi, toccò la bara; i portatori allora si fermarono ed egli disse: Ragazzo, io te lo dico: Alzati! Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare; e Gesù lo rese alla madre. Come possiamo notare, la descrizione è quanto di più vivo ed immediato si può immaginare; ha perfino il realismo di farci notare come i portatori si fermassero sorpresi dall’inaspettato intervento, e come il morto, tornato in vita ma sbalordito ben più dei portatori, per prima cosa si mettesse a sedere sulla bara, quasi per prendere tempo e orientarsi e rendersi conto di quanto era successo.

La folla ha una reazione di meraviglia e riconosce l’azione potente e salvifica di Dio: Davano gloria a Dio. E nell’esclamazione finale: “Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo”, in questo modo Luca ci offre la chiave d’interpretazione di tutto l’episodio. La folla riconosce i segni del Messia, ecco perché esclama che Dio ha visitato il suo popolo. Essa vede nel “segno” l’irruzione, nella nostra vicenda quotidiana, di un mondo nuovo, del mondo vero, del mondo della vita, che sarà inaugurato poi soprattutto dal momento in cui Gesù Cristo stesso risorgerà. Il “segno” (miracolo) – in genere – è proprio il segno dell’irruzione di questo mondo nuovo nel nostro mondo vecchio d’ogni giorno.

Gesù è il Signore e per mezzo di lui è Dio stesso che ora interviene in modo efficace per la salvezza del suo popolo. Questa è la visita definitiva ed eccezionale di Dio: la risurrezione dei morti è un segno decisivo per chi lo sa accogliere.

Gesù e Giovanni Battista.

Capitolo 7,18-35

*I discepoli di Giovanni gli riferirono tutti questi avvenimenti. Chiamati due dei suoi discepoli, Giovanni *li mandò dal Signore a domandargli: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? *E quelli, presentatisi a lui, gli dissero: Giovanni, il Battista, ci ha mandati da te a chiederti: Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro? *In quell’occasione Gesù guarì molti da malattie e infermità e da spiriti cattivi e a molti ciechi ridonò la vista. *Poi rispose agli inviati: Andate e riferite a Giovanni quello che avete veduto e udito: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono, i poveri ricevono la buona notizia. *E beato colui che non troverà in me occasione di inciampo. *Quando gli inviati di Giovanni furono partiti, Gesù cominciò a parlare di Giovanni alle turbe: Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna agitata dal vento? *Dite, che andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ma quelli che portano vesti preziose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. *Allora che siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. *Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, io mando il mio messaggero avanti a te. Egli preparerà la via davanti a te. *Vi dico, anzi che non è ancora nato nessun uomo più grande di Giovanni; ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui. *E tutto il popolo che lo ascoltò e gli stessi esattori del fisco hanno riconosciuto e attuato la volontà di Dio, facendosi battezzare da Giovanni *mentre i farisei e i maestri della legge, non sottoponendosi al suo battesimo, hanno respinto il progetto di Dio su di loro. *A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, e a chi sono simili? *Sono come quei ragazzi seduti in piazza che si rinfacciano a vicenda dicendo: Vi sonammo il flauto e non ballaste; vi cantammo lamentele funebri e non piangeste. *E’ venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e dite: E’ matto. *E’ venuto il figlio dell’uomo che mangia e beve, e dite: Ecco un ingordo e un ubriacone, amico degli esattori del fisco e dei peccatori. *Ma il progetto salvifico di Dio è stato riconosciuto giusto da tutti i suoi figli.

Giovanni era ormai da qualche tempo in prigione nelle segrete di Erode Antipa. Quanto più il tempo passava tanto più il suo spirito, si struggeva di vibrante attesa: egli era nato e vissuto per essere il precursore del Messia, e non aveva mancato neanche un giorno alla sua missione. Tuttavia la sua vita poteva essere stroncata da un giorno all’altro dalla prepotenza degli uomini, e lui non vedeva coronata la sua missione da una palese e solenne manifestazione del Messia. Erode Antipa, il tiranno, nutriva per Giovanni una superstiziosa venerazione, e gli permetteva di ricevere nella prigione alcuni suoi discepoli rimastigli devoti anche dopo la comparsa pubblica di Gesù. Così, tramite i visitatori, egli era informato dei progressi che faceva Gesù e i fatti straordinari che l’accompagnavano.

I visitatori gli annunciavano che il Rabbi operava segni stupefacenti, ma che in nessuna occasione si era proclamato Messia. Decise allora di inviare due suoi discepoli da Gesù con l’incarico di rivolgergli la domanda: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro? La richiesta perciò costringeva ad una precisa dichiarazione: Gesù non poteva negare in pubblico quella sua qualità di cui Giovanni era assolutamente certo; i discepoli interroganti, udendo anche dalla bocca di Gesù quella stessa affermazione che a suo riguardo avevano udito dalla bocca del venerato Giovanni il Battista, non potevano più esimersi dall’accettare Gesù quale Messia.

La risposta di Gesù fu diversa da quella che Giovanni attendeva: egli non pronunciò il “no” che era impossibile, ma neppure pronunciò il chiaro ed esplicito “sì” che Giovanni aveva tentato di provocare. I due inviati ricevettero la risposta… Andate e riferite a Giovanni quello che avete veduto e udito: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono risanati, i sordi odono, i morti risorgono, i poveri ricevono la buona notizia. Invece di rispondere con parole, Gesù rispondeva con i fatti, i quali valevano a dimostrare se egli fosse o no il Messia tanto atteso.

Gesù, una volta partiti gli inviati di Giovanni, completa la sua risposta che non può prescindere dal ruolo storico del Battista. Tre domande pressanti in forma progressiva rivolte al popolo, stagliano in contorni netti la figura del profeta-predicatore del Giordano: non è un uomo incostante e pavido di fronte ai potenti come Erode, una canna sbattuta dal vento; non un cortigiano, un adulatore, ma un rappresentante genuino della tradizione profetica. Ma il ruolo specifico di Giovanni è quello di essere l’ultimo della serie dei profeti, di quelli che hanno sostenuto la speranza nel tempo dell’attesa e della preparazione. Egli, infatti, è il precursore della venuta decisiva di Dio, perché sta alla frontiera del tempo nuovo, il tempo del regno di Dio, inaugurato da Gesù. Un salto qualitativo separa il tempo di Giovanni da quello di Gesù, al punto che Giovanni non regge al confronto nemmeno con gli ultimi, i piccoli che fanno parte del tempo nuovo.

Il confronto non è tra la dignità personale di Giovanni e i membri del regno di Dio, ma tra due epoche storiche, due momenti del cammino o processo salvifico. In altre parole il compito specifico di Giovanni è interamente subordinato e orientato a Gesù, il portatore del regno.

Gli ultimi versetti del brano hanno senso solo se letti in unione con i vv.24-30, Dite, che andaste a vedere? Un uomo avvolto in morbide vesti? Ma quelli che portano vesti preziose e vivono nel lusso stanno nei palazzi dei re. Allora, che siete andati a vedere? Un profeta? Sì, vi dico, e più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: Ecco, io mando il mio messaggero avanti a te. Egli preparerà la via davanti a te. Il senso è: Giovanni è il precursore, Gesù è colui che il Battista ha annunciato, in altre parole il Messia. Ma come hanno reagito gli uomini di fronte a Giovanni e come reagiscono di fronte a Gesù? La risposta è che i farisei si sono comportati come dei bambini capricciosi. Non così i pubblicani.

Purtroppo la predicazione di Giovanni prima, di Gesù poi, non è accolta dalle masse: invece di convertirsi, la gente critica i predicatori, li oppone l’uno all’altro e si disinteressa di entrambi. Questa indifferenza li porterà alla rovina. Tuttavia i segni del regno sono sufficientemente chiari per coloro che li vogliono decifrare: al tempo di Gesù e al tempo nostro. Ci indicano le condizioni richieste per conoscere il senso della storia e scoprirne le svolte essenziali. Per parte nostra, saremo dalla parte dei “figli della sapienza” o dalla parte dei “bambini incontentabili che gridano sulla piazza”? Saremo capaci, come cristiani, di leggere i segni dei tempi sotto la guida delle parole di Cristo e rinnovarci affinché il popolo di Dio sia segno di salvezza in mezzo agli uomini e l’eucaristia sia segno del regno in preparazione nel cuore?
La peccatrice perdonata.

Capitolo 7,36-50

*Un fariseo lo invitò a pranzo da lui, ed egli, entrato nella casa del fariseo, si mise a tavola. *Una donna, nota nella città come peccatrice, saputo che egli era a tavola presso il fariseo, venne portando un vaso di profumo in alabastro e, *ponendosi alle sue spalle, presso i suoi piedi, incominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava coi suoi capelli e li baciava e li cospargeva di profumo. *Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato pensava tra sé: Costui, se fosse un profeta, saprebbe chi e che razza di donna è quella che lo tocca; una peccatrice. *Gesù allora gli disse: Simone, ho qualcosa da dirti. Ed egli: Maestro, dì pure. *Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento pezzi d’argento, l’altro cinquanta. * Non avendo essi da restituire, egli condonò il debito ad ambedue. Chi dei due avrà più amore? *Rispose Simone: Penso quello al quale fu condonato di più. Gli rispose Gesù: Hai giudicato rettamente. *E, volto verso la donna, disse a Simone: Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai versato l’acqua per i piedi; essa invece mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime e me li ha asciugati con i suoi capelli. *Tu non mi hai dato il bacio; essa invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. *Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato; essa invece ha cosparso di profumo i miei piedi. *Per questo ti dico: i suoi molti peccati le sono stati perdonati dato che ha dimostrato un così grande amore. Invece colui al quale si perdona poco dimostra poco amore. *Poi disse alla donna: Ti sono stati perdonati i tuoi peccati. *Allora i commensali cominciarono a chiedersi: Chi è costui che perdona anche i peccati? *Gesù disse alla donna: La tua fede ti ha salvata, va’ in pace.

Questi versetti rappresentano un piccolo capolavoro d’arte narrativa al servizio di un argomento molto caro all’evangelista Luca: Gesù accoglie e perdona i peccatori. Il tema però si colora dei toni caldi della delicatezza e simpatia perché la protagonista è una donna: una peccatrice nota nella città. Chiariamo all’istante che significato ha per i farisei “peccatrice”: il termine può designare tanto una donna dedita alla prostituzione, quanto una donna che non osservava le prescrizioni farisaiche; nel Talmud è equiparata ad una peccatrice anche la moglie che dia da mangiare a suo marito cibi di cui non sia stata pagata la decima. Seguendo una via di mezzo, potremo supporre che la donna introdottasi nel convito di Simone sia una persona di reputazione dubbia, dal momento che se fosse stata una vera meretrice ben difficilmente i familiari del fariseo l’avrebbero lasciata entrare dentro la casa: lo scandalo, davanti ai convitati, sarebbe stato troppo grave.

Gesù era continuamente sorvegliato dai farisei; e non sempre questo fatto doveva avere un aspetto aggressivo, anzi talvolta la maniera più astuta è di darle una sembianza amichevole. Penso che sia stata questa la ragione per cui il fariseo Simone, nome comunissimo, ha invitato il Maestro a pranzo. Il pranzo offerto da Simone ha vari convitati, e probabilmente non era stato imbandito apposta per Gesù: tuttavia Simone ha colto l’occasione per invitare l’indomito predicatore di cui si diceva un gran bene e studiarselo comodamente da vicino nella sincerità che suscitano i fumi d’un convito; ad ogni modo a Gesù sono negati i complimenti riservati ordinariamente ad un invitato insigne, quali la lavanda dei piedi appena entrato, l’abbraccio e il bacio da parte del padrone di casa, lo spruzzo di profumi sulla testa prima di mettersi a tavola. Gesù nota queste negate attenzioni, ma non dice nulla e si mette a tavola con gli altri.

I convitati prendono posto adagiandosi sui divani col braccio sinistro appoggiato su di un cuscino e mangiando ciò che la servitù porta loro dinanzi, mentre gli estranei, secondo il costume orientale, entrano ed escono dal loro convito oppure si siedono su sgabelli posti dietro ai divani per ascoltare le conversazioni e prendervi parte. Tutto sta procedendo bene, quando avviene un fatto imprevisto e improvviso. Una donna, la peccatrice di cui parlavamo, spunta nel luogo del convito, manifestando i segni di un estremo smarrimento. Con i capelli scarmigliati, con gli occhi velati di lacrime, con la testa bassa, umiliata, confusa, tremante, s’avanza dietro i divani, su cui erano coricati gli invitati, sino al posto occupato da Gesù. L’ignota donna, certamente conosceva già Gesù almeno di vista, con ogni probabilità aveva ascoltato dalla sua bocca quelle parole che richiamavano inesorabilmente tutti al “cambiamento di mente”, ma nello stesso tempo risuonavano così benigne e confortevoli anche ai più traviati ed abietti, ai più provati dalla vita; lei ne era stata dapprima sconvolta, poi sentendosi risollevata e sorretta dalla misericordiosa speranza diffusa nel suo cuore in virtù di quelle medesime parole, aveva fermamente creduto in un’esistenza nuova, così al momento di iniziarla si era presentata al suo redentore per esprimergli i suoi sentimenti in modo squisitamente femminile.

La donna è ferma dietro Gesù. Non dice una parola, poiché l’emozione paralizza le sue labbra. Il suo portamento dimostra assai bene come lei si giudichi colpevole, degna di disprezzo, nonostante la speranza donatagli da Gesù. Si tratta del primo evidente segno del suo pentimento: l’obbrobrio, la vergogna per la sua condotta di vita fino a quel momento.

Gesù non si volta, non la guarda, ma sa che gli è dietro. Non vedendosi respinta dal Signore, prende coraggio, mentre una grande commozione l’assale. Allora s’inginocchia e si china ai piedi di Gesù, mentre grosse lacrime le cadono dagli occhi e vanno a bagnare i piedi del Signore. E’ il secondo atto di pentimento: il dolore intimo, profondo. Gesù avverte le lacrime bagnarli i piedi, non dice nulla, non fa un movimento. La donna, incapace di reprimere più a lungo il suo amore, prende allora tra le mani i piedi del Signore, li asciuga lentamente con la sua capigliatura. Quindi dal vaso di profumo d’alabastro, che si era portata, ne asperge un po’ sui piedi appena asciugati… “e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con olio”. Questo è il terzo atto del suo pentimento: l’amore grande e generoso.

Agli occhi del fariseo e dei suoi convitati, si tratta di un atteggiamento non solo sconcertante, ma equivoco. Tutti sono preoccupati del contatto di Gesù con una donna peccatrice, che getta il discredito sulla loro categoria di “puri”. Ma ciò che è più grave è che Gesù tace e lascia fare. Egli compromette la sua reputazione di uomo di Dio, di profeta riconosciuto dal popolo.

Simone abbozza un sorriso beffardo, il suo occulto pensiero di riprovazione certamente non passa inosservato da parte di Gesù, il quale gli dice: Simone, ho qualcosa da dirti. E l’altro, condiscendente: Maestro, dì pure. E’ a questo punto che Gesù narra la breve parabola dei due debitori condonati, ed è talmente trasparente perché Simone non ne sospetti il significato. Lui stesso è ora coinvolto nella trama della parabola vivente che si svolge in casa sua. Il debitore, che ama poco, è lui. E, volto verso la donna, disse a Simone: Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai versato l’acqua per i piedi; essa invece mi ha bagnato i piedi con le sue lacrime e me li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato il bacio; essa invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato; essa invece ha cosparso di profumo i miei piedi. Per questo ti dico: i suoi molti peccati le sono stati perdonati dato che ha dimostrato un così grande amore.

Terminato il ragionamento a Simone, Gesù si rivolge alla donna e le dice: Ti sono rimessi i peccati. Non conosciamo la reazione di Simone, ma tutti gli altri convitati, cominciarono a dire e pensare: Chi è costui che rimette pure i peccati? La stessa riflessione era stata fatta dai farisei presenti alla scena del paralitico calato dal soffitto, e allora Gesù aveva chiuso loro la bocca con un miracolo; questa volta il miracolo non è stato compiuto, perché Gesù non aveva alcun motivo di compierne uno, aveva preferito confermare la donna nella sua nuova vita, e le disse: La tua fede ti ha salvata: va’ in pace! La parola di Gesù, una parola d’assoluzione, rende esplicito ciò che era già presente nella sua accoglienza e nella difesa della peccatrice. L’ultima parola mostra la radice profonda del perdono e il suo frutto più ampio. La fede genera il perdono, che è salvezza, cioè quella piena comunione di vita che è la “pace” di Dio.

I peccatori pentiti, come i pagani e i sofferenti, sembrano più capaci di riconoscere il Signore, di riceverlo con fede e con amore. E il Signore accoglie e perdona. Così ci s’incontra con lui. E ci si pente. Il pentimento è più che un abbattimento morale, più che l’angoscia, il rimorso, il rincrescimento, più che la sensazione di aver fatto cosa infame. Pentimento significa coscienza di aver profanato l’amore di Dio: ho sfregiato qualcosa che non appartiene solo a me. Ho offeso uno che mi ama. Il pentimento esige la fede. Nel pentimento è implicita la fiducia nel perdono, la nozione della misericordia di Dio, il desiderio di essere riconciliati mediante i segni dell’amore di Dio. Così come la donna peccatrice, anche noi incontriamo veramente Gesù quando ci riconosciamo tali.

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