Vangelo di Luca – Cap 5, 1-11 al 5, 33-39

Duccio di Buoninsegna: Vocazione di Pietro e Andrea

Pesca miracolosa e chiamata dei discepoli.

Capitolo 5,1-11

*Un giorno la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio. Egli, mentre se ne stava sulla riva del lago di Genesaret, *vide due barche ferme presso la riva. I pescatori che ne erano scesi stavano lavando le reti. *Egli salì su una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un po’ da terra; poi, seduto dalla barca, si mise a insegnare alle folle. *Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: Vai al largo, dove l’acqua è profonda, e calate le reti per la pesca. *Simone gli rispose: Maestro, abbiamo faticato tutta la notte senza prendere niente; ma sulla tua parola calerò le reti. *Così fecero e presero una tale quantità di pesci *che le loro reti stavano per strapparsi. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca di venire ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: Signore, allontanati da me, perché sono peccatore. *Infatti la grande pesca fatta lo aveva sconvolto assieme a tutti quelli che erano con lui, *compresi Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: Non temere; d’ora innanzi tu prenderai uomini. *Essi allora, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono

Gesù ha tracciato il suo programma a Nazareth, ha guarito i malati a Cafarnao. Quelli di Nazareth lo hanno respinto, quelli di Cafarnao volevano tenerlo, sequestrarlo per sé. Con questo nuovo episodio sulla riva del lago il contorno della sua missione si va precisando. Lui è il predicatore itinerante, che annuncia la parola di Dio alle masse. Ma in mezzo a questa folla anonima lui fa emergere alcune persone perché condividano la sua missione, associandole al suo destino: i discepoli. Alla scena d’introduzione, “Egli salì su una barca, che era di Simone…poi, seduto sulla barca, si mise a insegnare alla folla”, segue quella della pesca miracolosa, che prepara il momento vertice di tutta la narrazione: la chiamata di Pietro al seguito di Gesù. Il legame tra questi tre momenti è costituito dalla “parola” di Gesù. All’inizio lui annuncia la “parola di Dio” alla folla che si accalca sulla riva; è sulla parola di Gesù che Pietro getta le reti al largo, ed è ancora sulla sua parola che lascia tutto con i compagni e si mette alla sequela del maestro.

Tuttavia, prima della chiamata, c’è la dichiarazione di fede di Pietro. Terminato di parlare, Gesù disse a Simone di andare al largo e di gettare le reti. Pietro risponde, quasi infastidito: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte senza prendere niente; ma sulla tua parola calerò le reti”. Ecco la gente semplice, senza grandi numeri, ma limpida e generosa che ha saputo dice “sì”. Dio fa grandi cose con chi si fida di Lui. La chiamata di Pietro è rappresentativa. La pesca straordinariamente abbondante in pieno giorno contro ogni logica normale della pesca, è una rivelazione per Pietro e i compagni. Tutto ciò prepara bene l’incontro decisivo con Gesù. Simon Pietro, riconosce nel Maestro il Signore, ma nello stesso tempo lui coglie la sua indegnità: è un peccatore. Si tratta di una reazione dei personaggi biblici di fronte al manifestarsi di Dio. Ma è Gesù che con una nuova parola, supera la distanza aprendo a Pietro e compagni un nuovo futuro: “Non temere, d’ora innanzi tu prederai uomini”. Tirate le barche in secca, lo seguirono lasciando tutto.

In quest’episodio, vediamo l’inaugurazione e il fondamento della missione di Pietro all’interno del gruppo dei suoi compagni. Una missione che forma il nucleo del popolo messianico, nucleo che continua anche oggi a raccogliere una grande quantità di uomini attraverso l’annuncio autorevole della “parola di Dio”. Ma è la parola di Gesù che garantisce l’efficacia di quella missione che ha preso avvio dalla sua libera iniziativa sulle rive del lago.

Guarigione di un lebbroso.

Capitolo 5,12-16

*Un giorno, mentre Gesù si trovava in una città, ecco che un uomo tutto coperto di lebbra lo vide e gli si gettò ai piedi supplicandolo: Signore, se lo vuoi, tu puoi sanarmi. *Ed egli, stesa la mano, lo toccò dicendo: Lo voglio, sii guarito. In quell’istante la lebbra scomparve da lui. *Poi gli ordinò di non parlarne con nessuno; piuttosto vai, presentati al sacerdote e offri per la tua guarigione quanto Mosè ha prescritto, così essi ne avranno una testimonianza. *La sua fama si diffondeva sempre più e le grandi folle accorrevano per ascoltarlo e per farsi guarire dalle loro infermità. *Egli però si ritirava in luoghi solitari e pregava.

Con questi versetti, inizia il primo ciclo dei segni (miracoli) di Gesù che offre una dimostrazione del suo potere sulla lebbra, la paralisi e la conversione. Egli, infatti, mostra misericordia nei confronti degli emarginati della società giudaica: lebbrosi, pagani, servi, donne e pubblicani Il contesto si sviluppa in una richiesta di guarigione da parte del lebbroso, la risposta di Gesù e la guarigione miracolosa, infine l’ordine perentorio all’uomo guarito di presentarsi ai sacerdoti del tempio. Il gesto di guarigione di Gesù assume un particolare rilievo. E’ un segno rivelatore della potenza di Gesù, ma soprattutto dell’irrompere del regno di Dio nella sua persona. La guarigione di un lebbroso nell’ambiente giudaico era paragonata alla risurrezione di un morto.

Tutti questi segni ed altri gesti simili sono da considerarsi come il compimento del tempo messianico annunciato dai profeti.

L’attuale racconto di Luca risente delle risonanze profonde del gesto compiuto da Gesù. Se l’episodio nella sua articolazione appare abbastanza semplice, la rilettura che ne fa Luca rende più difficile la comprensione del messaggio. Colpisce all’istante l’atteggiamento contraddittorio di Gesù verso l’ammalato: da una parte l’accoglienza del lebbroso e l’adesione pronta alla sua domanda, dall’altra l’ordine perentorio di tacere e l’allontanamento rude, quasi violento: vai, presentati al sacerdote”; inoltre la guarigione, o meglio la purificazione, compiuta da Gesù con un gesto palesemente contrario alle norme rituali di segregazione dei lebbrosi, contrasta apertamente con l’ordine di mostrarsi al sacerdote e di fare l’offerta secondo le prescrizioni legali.

Come spiegare questo strano accostamento di contrasti? Non è sufficiente una spiegazione letteraria che spezza il racconto di Luca in due episodi distinti. E’ preferibile cercare la ragione attuale del racconto tenendo conto della prospettiva di Luca. L’intenzione dell’evangelista, anche a costo di ripetersi e contraddirsi, di rilevare il silenzio o il mistero che deve circondare il gesto di Gesù. Invece deve diventare manifesto il significato di tale gesto: l’uomo è reintegrato, purificato, deve essere riammesso nella comunità. Là dove arriva il regno di Dio cadono le barriere e le esclusioni; i tutori dell’antica legislazione devono riconoscere che questo è una prova e testimonianza del tempo nuovo. Il lebbroso guarito, allora può diventare un “annunciatore della parola”, in pratica colui che comunica il messaggio nuovo racchiuso nel gesto di Gesù.

Quindi Gesù non può entrare nei centri abitati, ma deve stare riparato. Nonostante questo, la gente accorre da Gesù da ogni parte. Vale a dire che come il lebbroso ha cercato Gesù, ora la gente va a cercarlo. A questo duplice movimento di convergenza corrisponde il duplice atteggiamento di Gesù: riserva e accoglienza. Vedete, cari fratelli e sorelle, l’incontro con i gesti di Gesù può essere ambiguo e falso come ogni tentativo di catturare e bloccare il regno di Dio in un fenomeno di consumo immediato. Solo l’incontro con la sua persona (Gesù), che rimanda ad un’identità più profonda, provoca l’uomo ad un’apertura che lo trasforma ogni volta in un annunciatore del regno che viene.

Secondo il racconto di Luca, il lebbroso osserva l’ordine di tacere dato da Gesù, contrariamente a quello che dice Marco. Però la “parola” di Gesù, si diffonde con un’efficacia e forza che attira la gente. La preghiera di Gesù, nella nota conclusiva, è un tratto caratteristico di Luca, il quale accentua un atteggiamento di Gesù testimoniato con più sobrietà dagli altri evangelisti.

Il gesto del lebbroso è un invito a presentarci con fede davanti al Signore per chiedere di essere guariti. Sono molti i mali che ci affliggono: egoismo, orgoglio, invidia, avarizia, passioni disordinate…Ogni vita, ogni comunità, e tutta la storia dell’umanità sono intrisi di colpe individuali sociali. Il peccato è profondamente radicato nella natura dell’uomo e per quanto ci sforziamo di combatterlo, di estirparlo, è come una gramigna sempre pronta a riaffiorare. Di fronte a questa realtà anche noi dobbiamo dire con il lebbroso: “Signore, se vuoi, puoi sanarmi”. In quel “Tu puoi” vi è certezza nella bontà infinita di Dio, più desideroso che accordarci il suo perdono che noi di chiederglielo. In questo dialogo esistenziale tra noi e Dio si esprime tutta la storia della salvezza: la nostra impotenza e miseria che si affidano alla potenza e misericordia infinita di Dio, in Cristo Gesù.

Guarigione di un paralitico segno di perdono.

Capitolo 5,17-26

*Un giorno, mentre stava insegnando, gli sedevano intorno alcuni farisei ed esperti della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, e della Giudea e da Gerusalemme; e la potenza del Signore gli faceva compiere guarigioni. Ed ecco vennero alcuni uomini, portando sopra un lettuccio un paralitico, e cercavano di farlo passare per metterlo davanti a lui. *Non trovando da quale parte introdurlo a causa della ressa, salirono sul tetto e, attraverso le tegole smosse, lo calarono col lettuccio, nel mezzo, davanti a Gesù. *Vedendo la loro fede, Gesù dice: Uomo, i tuoi peccati ti sono perdonati. *Gli scribi e i farisei incominciarono a pensare: Chi è costui che dice delle bestemmie? Chi può perdonare i peccati se non Dio soltanto? *Ma Gesù, conosciuti i loro pensieri, disse: Che cosa andate ragionando nei vostri cuori? *E’ più facile dire: I tuoi peccati sono perdonati, oppure dire: Alzati e cammina? *Ebbene, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha sulla terra il potere di perdonare i peccati, io te lo ordino – disse al paralitico – alzati, prendi il tuo lettuccio e va’ a casa. *E quello subito si alzò davanti a loro e, raccolto il suo lettuccio, si avviò verso casa lodando Dio. *Tutti furono presi da stupore e davano lode a Dio; sotto una forte impressione di religioso timore esclamavano: Oggi abbiamo veduto cose straordinarie.

Il brano del vangelo che abbiamo letto ci porta a Cafarnao, nella casa di Pietro e di Andrea, scelta da Gesù come sua abitazione. C’è come una strana euforia in città: giovani e anziani, uomini e donne, sani e malati, in tanti si dirigono verso quella casa. Nei loro volti si legge la voglia di star bene e di essere finalmente felici. Anche se solo un gruppo riesce ad entrare, il clima è in ogni caso di festa.

La presenza di Gesù allarga sempre il cuore alla speranza, crea tranquillità e gioia. Sembra che costoro vivano le parole del profeta: “Non ricordate più le cose passate… Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?” (Is.43,18-19). In verità quelle persone si erano accorte che stava sorgendo una cosa nuova. E, infatti, la loro attenzione si era rivolta verso quel giovane profeta. La prima considerazione che mi viene da pensare e che mi chiedo: non dovrebbe essere così per ogni nostra parrocchia, per ogni nostra chiesa, per ogni nostra comunità? Non dovrebbe essere il cuore di ciascuno di noi come una porta per chiunque ha bisogno d’amore e di sostegno?

Il brano parla di quattro amici che portano un uomo malato davanti a Gesù. E questo mi sembra suggerire una seconda considerazione, a noi, spesso distratti ed egocentrici, che i malati e i poveri hanno bisogno che qualcuno li aiuti, che stia loro vicino, che s’interessi davvero della loro vita e della loro condizione. La situazione è drammatica dal momento che vi è un tale accorrere e pigiarsi della folla che gli ammalati non possono più raggiungere Gesù. Ecco allora lo stratagemma dei quattro amici del paralitico: sfondano il tetto e calano il malato davanti a Gesù. Operazione piuttosto facile poiché si tratta di un’abitazione palestinese ad un solo piano con un terrazzo fatto di frascume e fango (anche se Luca parla di tegole), che si può facilmente rimuovere.

Davvero l’amore non conosce ostacoli, fa scovare strade anche le più impensate! Così il paralitico è posto al centro della casa. Per la gente è il centro fisico, per Gesù diviene il centro delle sue attenzioni. Il povero malato che nella speranza della guarigione si era lasciato trasportare in quel modo, si sente dire parole inaspettate: “Uomo, ti sono rimessi i peccati”.

La terza considerazione da fare è che l’uomo è inesauribile nel peccato, ma Dio lo è ancora di più nel perdono. L’incarnazione del suo Unigenito e l’opera redentrice di lui sono la testimonianza più chiara. Gesù ha mostrato in mille modi quanto Dio ami perdonare; anzi ha perfino anticipato il perdono prima che fosse chiesto. E’ il caso del paralitico della narrazione che stiamo meditando. Per l’ammalato, con ogni probabilità, non erano i peccati che lo preoccupavano in quel momento, ma la sua infermità. Eppure è questo il primo miracolo che Gesù compie in lui: lo libera dal peso delle colpe che inceppano il suo spirito più di quanto la paralisi impedisca le sue membra. Ma l’invidia acceca. Tra i presenti ci sono degli scribi e dei farisei che pensano che quell’uomo aveva solo bisogno di salute, non di perdono, per il semplice motivo che “chi può perdonare i peccati se non Dio soltanto?” Allora per fare comprendere che tale gesto non è arbitrario, il Signore aggiunge con autorità: “affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha il potere di rimettere i peccati sulla terra, dico a te, alzati, prendi il tuo letto e và a casa tua”. La guarigione del corpo attesta la remissione dei peccati, è il segno esterno, controllabile da tutti, del perdono concesso, e nello stesso tempo dimostra la magnanimità del perdono di Dio il quale non solo distrugge i peccati dell’uomo, ma lo benefica in modo meraviglioso.

Davanti al paralitico Gesù manifesta il doppio potere di cui è investito dal Padre: il potere sulle malattie corporali, quindi sulle leggi della natura, e il potere di perdonare i peccati, perciò sulle leggi della grazia e dell’amicizia con Dio. Il miracolo diventa perciò segno apologetico (difesa calorosa) di quest’ultimo potere di Gesù: come Figlio dell’uomo ha il potere del perdono sulla terra. Tuttavia il fatto va oltre il significato apologetico per raggiungere il problema della fede. In questo quadro essa è posta in luce come necessaria per il perdono dei peccati. La fede dell’interessato è evidentemente sottintesa: è esplicito invece il riferimento alla fede di quelli che sono con lui, in altre parole la fede della comunità. Di qui l’importanza per ogni cristiano di mantenersi in contatto con la propria comunità e di vivere insieme con lei le varie espressioni della fede, in particolare la celebrazione eucaristica.

Fratelli e sorelle, il paralitico aveva bisogno, come ciascuno di noi, di perdono e di guarigione. Del resto a che serve la salute fisica se si è cattivi nel cuore? A che serve guadagnare il mondo intero, se poi si perde l’anima? Eppure il mondo è giunto sino a coniare quel povero e ridicolo detto: “Quando c’è la salute c’é tutto!” Il perdono dei peccati è iniziativa della misericordia infinita di Dio che cerca tutte le vie per salvare l’uomo, creatura del suo amore. Dio è fedele; ha voluto la salvezza dell’umanità e l’ha attuata in Gesù, il Cristo; in lui le sue promesse sono divenute realtà. Ecco il motivo per cui l’uomo deve decidersi a rispondere con la fedeltà alla fedeltà di Dio, col suo “sì” al “sì” di Lui.

Chiamata di Levi e conversione dei peccatori.

Capitolo 5,27-32

*In seguito Gesù uscì e vide un esattore delle imposte, di nome Levi, che stava seduto al banco delle imposte. Gli disse: Seguimi! *Ed egli, lasciata ogni cosa, si alzò e lo seguì. *Poi Levi fece a casa sua un grande ricevimento in suo onore; c’era un gran numero di invitati, di esattori del fisco, assieme ad altra gente. *I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: Perché mangiate e bevete con gli esattori delle tasse e i peccatori? *Gesù intervenne e rispose loro: Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; *io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano.

Dopo la chiamata dei primi discepoli, che Gesù ha scelto tra gli uomini del lago per trasformarli in pescatori d’uomini, ora è la volta di un pubblicano, che un giorno sederà al banco non più per esigere la gabella ma per scrivere il vangelo. Gesù si presenta come un gran medico in visita amorosa ai suoi malati e come uno che è venuto a chiamare i peccatori a penitenza. Chi è sano non va dal medico. Ma di Gesù tutti hanno bisogno, perché tutti sono malati.

Nei versetti precedenti Gesù si presenta come chi ha il potere di riconciliare il peccatore con Dio, qui, al contrario, rende presente la salvezza di Dio per chi sono esclusi: i peccatori. Il centro focale di tutto è la risposta di Gesù agli scribi: “Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli ammalati. Io non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori”. La sentenza è preparata dalla chiamata-conversione di Levi-Matteo, “Seguimi!” . Si tratta di un imperativo esistenziale più che vincolante; Levi-Matteo avrebbe anche potuto rifiutare senza apparenti conseguenze, ma avrebbe continuato una vita da ricco e da odiato.

“Egli si alzò e lo seguì”. In quel preciso istante scatta qualcosa di misterioso: la conversione. Perché si converte? Io credo non sia possibile rispondere in modo razionale a questa domanda imperniata su Gesù, il quale non contempla i “perché”, ma l’esclusivo ed incondizionato “credo”. Levi-Matteo in quei brevi attimi in cui i suoi occhi incrociano quelli di Gesù, ha compreso che aveva accantonato i valori della Legge, sostituendoli con falsi valori materiali. Levi-Matteo comprende che quel Rabbi che lo ha chiamato è capace di ridare i sogni perduti, il sorriso smarrito e, soprattutto, la speranza. Infatti, si alza rompendo con quella falsa vita e quel suo falso amore, e si mette in movimento al seguito della pienezza della Vita.

Coloro che sollevano la questione dello scandalo di Gesù che mangia con i peccatori sono gli scribi, cioè i maestri della legge appartenenti al partito dei farisei. Questi ultimi erano gli eredi spirituali degli Hassidim, “i giusti”, che avevano sostenuto la lotta dei Maccabei nel II° secolo a.C. per la libertà e l’indipendenza religiosa. Erano fedeli osservanti della legge dell’insegnamento tradizionale e, a differenza dei sadducei, credevano nella vita dopo la morte. Fariseo significa “separato”, vale a dire coloro che, per il loro attaccamento alla legge, si separavano da tutto ciò che era impuro, in particolare dal “popolo della terra”, in altre parole dal popolo ignorante e poco pratico delle prescrizioni ( circa 613) e perciò esposto alle varie forme d’impurità legale.

Gli esattori del fisco erano uno dei gruppi che facevano parte della classe dei peccatori. Sotto questa qualifica cadevano non solo i ladri, le prostitute, ma anche chi esercitava certi mestieri che potevano essere occasione di disonestà: pastori, conciatori di pelle, asinai, artigiani in genere, ecc. Quanti esercitavano questi mestieri erano equiparati agli schiavi, in pratica erano privati dei diritti civili e politici. Gesù si trova a mensa con i peccatori e i pubblicani nella casa di Levi. L’aspetto scandaloso e provocante della scena è rilevato da Luca, perché richiama l’equivoca compagnia di Gesù.

Comprendiamo allora la mostruosità del gesto di Gesù che chiama al suo seguito un pubblicano e solidarizza con i peccatori. Levi spalanca letteralmente le porte della propria casa (parafrasando il gesto, non è possibile iniziare un cammino di sequela con Gesù con l’antifurto). L’invito a cena è l’evidente celebrazione dell’incontro col ritorno alla Vita. Non si tratta sicuramente di una cena romantica ed esclusiva tra Gesù e Levi, “molti pubblicani e peccatori si misero a mensa insieme”.

La gioia di chi ha ritrovato la Vita, non può essere contenuta, deborda e genera anche disappunti perché supera i paradigmi stagnanti, adottati da chi non ha speranze e desidera perpetuare il passato. Gli scribi dei farisei vedendo il banchetto criticano aspramente Gesù ed i suoi discepoli perché mangiano insieme ai peccatori. Essi però sono semplicemente degli spettatori della cena, non vi partecipano e tentano di danneggiarla pesantemente. Sono persone che si fermano alla “buccia della vita” (esteriorità), che non giungono alla “polpa” (interiorità) e pretendono che tutti si blocchino senza assumersi responsabilità di proposte.

Ecco perché Gesù sentenzia contro di loro: “Non hanno bisogno del medico i sani, ma gli ammalati…” Similmente Gesù è come un medico che indica ai pazienti le terapie mediche nei momenti in cui si sentono malati, ma soprattutto nei programmi di prevenzione, in pratica quei casi il cui il medico offre alla persona un bagaglio di conoscenze ( il Vangelo) per comprendere il proprio stato di salute, così da riconoscere la malattia quando è presente ed i benefici della guarigione quando si manifesta (conversione).

E’ necessario riconoscersi peccatori e bisognosi, per potere incontrare Gesù; altrimenti si è così indipendenti da essere estranei anche a se stessi, e non sentiamo il desiderio di crescere e comprendere la Vita che il Signore Gesù ha posto in noi fin dall’inizio dei tempi. Gesù finisce la cena motivando una volta di più la ragione dell’Incarnazione e così il suo schieramento dentro la storia: dalla parte dei poveri e della conversione del peccatore, non della sua morte.

Il digiuno e la novità evangelica.

Capitolo 5,33-39

*Allora gli dissero: I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure quelli dei farisei, mentre i tuoi mangiano e devono! *Gesù rispose: Potete voi far digiunare gli invitati a nozze mentre lo sposo è con loro? *Verrà il momento in cui lo sposo sarà loro tolto, allora, in quel tempo, digiuneranno. Poi disse loro una parabola: Nessuno strappa un pezzo d’abito nuovo per rattopparne uno vecchio; perché strapperebbe il nuovo senza poter fare combinare il pezzo nuovo con il vecchio. *E nessuno mette vino nuovo negli otri vecchi, altrimenti il vino nuovo farà scoppiare gli otri e si verserà, mentre gli otri andranno perduti. *Ma il vino nuovo va messo in otri nuovi! *Colui che beve vino vecchio non vuole il nuovo, perché dice: il vecchio è migliore.

Per calarsi nel senso profondo dei versetti in oggetto, dobbiamo compiere un passo indietro nell’A.T. Dio ha sempre rivelato il suo amore per le sue creature con espressioni più che mai tenere e umane. Così quando assicura che anche se una madre abbandona il figlio, egli non abbandonerà mai il suo popolo (Is.49,15); e quando, dopo il tradimento e il castigo, richiama a sé il suo popolo, rinnoverà il suo patto d’amore dichiarando: “Ti sposerò per l’eternità, ti sposerò nella giustizia e nel diritto, nella tenerezza e nell’amore, ti sposerò nella fedeltà” (Os.2,21-22). Da sempre Dio ha cercato tutti i modi per far comprendere il suo amore per l’umanità non disdegnando presentarlo nelle forme più accessibili all’uomo come quelle dell’amore materno e dell’amore sponsale.

Gesù esce dagli schemi dell’uomo devoto e si è inserito in questa linea e quando i farisei gli hanno mosso critiche perché i suoi discepoli non digiunavano, ha risposto: “Forse che possono digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro?” Il fatto è che Gesù, non solo sta alla buona tavola con compagnie poco raccomandabili, ma non pratica neppure quella forma d’ascesi che, secondo la mentalità comune, caratterizza l’uomo religioso: il digiuno. Questo comportamento singolare emerge in modo appariscente dal confronto con l’atteggiamento di Giovanni Battista, l’asceta del deserto.

I farisei digiunavano non solo nelle circostanze prescritte dalla legge, come nel giorno del gran perdono, ma due volte la settimana, il lunedì e il giovedì. Nella controversia del digiuno i due gruppi sono contrapposti: da una parte i discepoli del Battista e quelli dei farisei, dall’altra i discepoli di Gesù. Gesù in questa sorta di proverbio-parabola attribuisce a sé il titolo di sposo che Dio, per bocca dei profeti, si era riservato. Egli, infatti, è Dio sceso in mezzo al suo popolo, che incarnandosi nel seno di una Vergine ha sposato la natura umana con vincolo indissolubile: “Ti sposerò per l’eternità” . Vale a dire che la profezia d’Osea si è compiuta in lui; la salvezza preannunciata sotto figura di sponsali tra Dio e l’umanità si realizza in Cristo Gesù. Perciò la sua permanenza tra gli uomini è il tempo delle nozze; tempo di festa a cui non si addice il digiuno.

Con la sua risposta Gesù non intende disapprovare il digiuno che ha già ratificato (Mt.6,16-18), ma vuol far comprendere che la sua presenza nel mondo è la presenza dello Sposo venuto a portare gioia e salvezza.

Del resto questa presenza non durerà a lungo: “Verranno giorni quando sarà loro tolto lo sposo, e allora digiuneranno in quel giorno”. E’ un’allusione velata alla sua passione e morte, allorché egli sarà sottratto con violenza ai suoi amici. Sarà quello il tempo del digiuno e del pianto. Le parole di Gesù non propongono ai credenti un modello di comportamento religioso o sociale, organizzare festini nuziali o saltare i pasti quotidiani, ma definiscono il ruolo della sua persona, La sua presenza e la sua assenza sono la ragione del loro stare insieme e del comportamento che si esprime anche attraverso le forme esterne della gioia e della tristezza.

In ogni tempo la novità di Gesù e del vangelo non possono scendere a compromessi con il vecchio sistema giudaico delle osservanze legali o pratiche devote. E’ un vestito nuovo. Sarebbe assurdo riparare il vecchio strappando il nuovo. L’alternativa radicale è confermata dall’immagine del vino nuovo. E’ un vino pieno di forza e fermentazione che farebbe scoppiare gli otri del vecchio sistema religioso. Poi Gesù aggiunge un’ultima sentenza: la regola del buon intenditore di vino. Chi è colui che avendo bevuto vino vecchio non vuole saperne del nuovo? I discepoli? I farisei? O i giudei in genere? Chi resta attaccato al vecchio sistema, non è in grado di apprezzare la novità cristiana. L’esigenza di un salto di qualità per un’esperienza cristiana autentica è sottesa a quest’ultima sentenza.

In tutto il vangelo di Luca è operante l’idea di una forte differenziazione tra Israele prima di Gesù e il tempo inaugurato da Gesù. La nuova alleanza non è ammodernamento di leggi, pratiche, dottrine vecchie; è tutta “novità” ed esige perciò una mentalità nuova: tutto è in rapporto alla “presenza dello sposo”, di Cristo. Egli ha inaugurato il tempo della gioia: la redenzione è un “convito nuziale”, una festa di “novità di vita”. Per questo, Gesù non impone ai suoi discepoli delle pratiche di ascesi fatte con spirito vecchio; a suo tempo anch’essi digiuneranno, ma con animo diverso. Lo spirito nuovo del vangelo non può essere accolto in schemi invecchiati di un legalismo privo d’interiorità: chi resta tenacemente attaccato a “pratiche” simili, non può capire e vivere la “novità” di Cristo, perché sua dottrina, legge e pratica è l’amore.

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