Vangelo di Matteo – Cap 7


Matteo 7,1- 29

Carl Wilhelm Friedrich OesterleySiamo ormai verso la fine del discorso della montagna. Nei versetti che mediteremo ci sono varie sentenze prese direttamente dalla fonte “Q”. Il brano è ricchissimo di insegnamenti: non siamo creati per condannare, ma per amare: non siamo giudici ma fratelli; la sanzione divina contro il sensore spietato: chi ha condannato i fratelli sarà condannato da Dio; denuncia della malignità, che aguzza l’occhio a vedere i minimi difetti dei fratelli, e della fiducia orgogliosa nella propria giustizia, che non lascia vedere le nostre enormità; ipocrisia di chi vuol far credere di combattere il male, ma lo combatte solo negli altri e non in se stesso.

Inoltre vedremo tre aspetti della vita cristiana: la prudenza, in altre parole il necessario discernimento nel dispensare “le cose sante”, vale a dire la Parola di Dio che esige di essere accolta da un cuore disponibile; la carità verso il prossimo, intesa come un amore che dona senza alcun limite, senza pensare a nessun contraccambio; il decidersi per il Vangelo, vale a dire per Cristo sofferente e perseguitato, guardandosi dalla falsa sicurezza e tenendo presente la terribile serietà dell’esistenza umana, la quale termina in un perdersi o in un vivere.

Non scordando l’insidia per tutti i discepoli di Cristo: i falsi profeti. L’analogia con quelli dell’A.T. ci permette di descriverli: essi somigliano ai veri profeti, pretendono si essere tali, ma in realtà non lo sono, perché blandiscono i vizi degli esseri umani invece di flagellarli, li cullano in una fatale sicurezza e tolgono il pungolo del rimorso distruggendo il senso del peccato. Un test infallibile per riconoscerli è giudicarli dai frutti, che li manifestano per quelli che sono. La prospettiva del giudizio di Cristo lega insieme tutti i versetti nella parte finale del discorso. Davanti al Giudice divino le parole non basteranno per evitare l’esclusione dal regno; neppure i carismi più spettacolari serviranno a sfuggire alla terribile sentenza: “Chi siete voi? Non vi ho mai conosciuto, allontanatevi da me!”, nemmeno sarà sufficiente aver ascoltato: ma sarà indispensabile l’obbedienza fedele al Padre e il “fare” le parole che si sono udite. Solo questa è la sapienza che edifica la casa sulla roccia.

Cap. 7,1-12

*Non ergetevi a giudici degli altri, perché Dio non sottoponga voi a giudizio. *Come voi giudicate, Dio giudicherà voi; con la misura che avrete usato per pesare gli altri, egli peserà voi. *Perché osservi la pagliuzza che è nell’occhio del fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo? *Come puoi dire al fratello: lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, se proprio tu hai una trave nel tuo? *Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio, allora vedrai chiaro e potrai togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello.

*Non date ai cani ciò che è sacro: si volgerebbero contro di voi per mordervi. Non gettate le vostre perle ai porci: le calpesterebbero.

*Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e la porta vi sarà aperta. *Perché chi chiede riceve, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto. *Chi di voi darebbe un sasso al figlio se gli chiede un pezzo di pane? *O un serpente, se gli chiede un pesce? *Dunque, se voi, da cattivi che siete, sapete dare ai vostri figli cose buone, quanto più il Padre vostro celeste le darà a chi gliele chiede.

*Fate dunque agli altri tutto ciò che vorreste facessero a voi: questo è l’insegnamento della legge mosaica e degli scritti profetici.

Spiritualmente parlando, il difetto di vista più frequente non è la miopia, ma presbiopia. Miopia è vedere bene da vicino e male da lontano; presbiopia, al contrario, è vederci bene da lontano, ma male da vicino. Colui che vede la pagliuzza nell’occhio del fratello e non vede la trave nel suo, è uno che vede lontano, ma non vede vicino. E’ un presbite. Il Presbite, a volte, non riesce a leggere uno scritto anche se ha i caratteri grandi come travi e ce l’ha ad un palmo dagli occhi.

Che cosa indica la famosa pagliuzza e la famosa trave? La pagliuzza è il peccato giudicato nel fratello, qualunque esso sia, in confronto al fatto stesso di giudicare che è la trave. Gesù denuncia qui una tendenza innata dell’uomo che i moralisti antichi hanno illustrato con la favola delle due bisacce. Nella rielaborazione che ne fa La Fontaine (scrittore di favole) dice: “Quando vieni in questa valle porta ognuno sulle spalle una duplice bisaccia. Dentro a quella che sta innanzi volentieri ognun di noi i difetti altrui vi caccia, e nell’altra mette i suoi”

Siamo strani noi umani, possediamo occhi di lince nello scorgere i difetti del prossimo e siamo talpe cieche quando si tratta dei nostri. Dovremmo semplicemente rovesciare le cose: mettere i nostri difetti sulla bisaccia che abbiamo davanti e i difetti degli altri su quella dietro. Dopo tutto, i nostri difetti sono i soli che dipende da noi modificare e correggere.

Ciò che avviene per pregi e difetti avviene anche per diritti e doveri. Noi poniamo il più delle volte i nostri diritti nella bisaccia davanti e i nostri doveri in quella dietro. Viviamo, soprattutto oggi, in una società dove tutti sbandierano diritti, e nessuno sembra avere doveri. Nel momento in cui si vuole procurarsi il favore di qualche settore della società non si fa che mettergli davanti agli occhi i propri diritti, tacendogli i rispettivi doveri. Tanti conflitti sociali dipendono da qui. Si impone, anche a questo riguardo, un bel capovolgimento di bisacce: davanti i doveri, dietro i diritti, oppure, ciò che è lo stesso: davanti i diritti degli altri, dietro i diritti nostri. Tanto, anche se sono dietro, non c’è pericolo che li trascuriamo…

In conclusione, la similitudine trave-pagliuzza, è un’immagine grottesca e paradossale, tuttavia rende palese l’assurdità di colui che si innalza a giudice del fratello. Chi giudica si autogiustifica (rammentate la parabola del Fariseo e il pubblicano al Tempio?), s’illude nella propria ipocrisia, che gli maschera la profonda sfasatura tra la convinzione interiore e il comportamento esterno. Soltanto una lucida autocritica è la condizione per aiutare, con senso di partecipazione e di misericordia, il fratello a correggersi. Tuttavia ciò non esclude la pratica della correzione fraterna all’interno della comunità, ma tale correzione deve essere compiuta con la consapevolezza dei propri falli e dei propri pregiudizi. Questo non esclude neppure il discernimento e la discrezione nel trattare con i pagani ostili o anche con i cristiani apostati e impenitenti (vv.1-6).

Nella preghiera Dio deve essere avvicinato con coraggio e fiducia. Rileviamo l’importanza della preghiera di richiesta (“chiedete…cercate…bussate”), ed è confermata l’efficacia di tali preghiere (vv.7-8). Ai vv.9-11 ci si serve dell’immagine della cura che un padre umano presta ai suoi figli e di come offra loro dei buoni doni quando glielo chiedono, per illustrare il modo in cui il Padre celeste risponde alle suppliche rivolte nella preghiera.

La cosiddetta Regola d’oro del v.12 sul trattare gli altri nella maniera in cui vorremmo essere trattati, è tratta dall’A.T. dal libro di Tobia, cap.4,15.

L’avvertimento di Gesù è di grande attualità per tutti quelli che hanno accolto il suo messaggio e si sforzano di attuarlo. C’è continuamente la tentazione di guardarsi attorno, di stabilire delle differenze che possono ridurre il credente alla condizione del fariseo che prega nel tempio ritto in piedi e guarda con sguardo di compassione il povero pubblicano che in fondo si batte il petto. Il fatto è che troppo speso scordiamo che Cristo è la verità, e davanti a lui diventa terribilmente difficile nascondere la “trave” che abbiamo negli occhi.

Uno sguardo obiettivo sulla nostra vita basterà a convincerci che abbiamo tanti motivi per amare, rispettare e giudicare benevolmente i nostri simili. Infatti questo è il punto di partenza per giungere alla carità disinteressata, all’amore senza misura, che sta al centro di tutto il messaggio evangelico. Si tratta di una “porta stretta”, per la quale entreranno tutti quelli che riescono a capire fino in fondo la lieta novella dell’amore di Gesù. Se tutti gli esseri umani accettassero di amare gli altri come amano se stessi, il mondo sarebbe profondamente diverso, migliore. Invece diverso non è, perché l’egoismo è imperante, perché anche noi che ci professiamo cristiani non abbiamo il coraggio, al momento buono, di essere coerenti, di volere per gli altri il bene che vogliamo per noi, di evitare di fare agli altri il male che non sopporteremmo se fosse fatto a noi.

Cap. 7, 13-29

*Entrate per la porta stretta. Larga è la porta e spaziosa è la strada che conducono alla rovina. Son o molti che vi entrano. *Stretta è invece la porta e angusta la strada che conducono alla vita. Solo pochi la trovano.

*Guardatevi dai falsi profeti: si presentano come agnelli, ma dentro sono lupi rapaci. *Li potete riconoscere dalle loro azioni. *Si può forse raccogliere uva dai rovi o fichi dai cardi? *L’albero buono produce frutti buoni, l’albero cattivo frutti cattivi. *Un albero buono non può dare frutti cattivi, Né un albero cattivo frutti buoni. *Ogni albero che non produce buon frutto lo si taglia e lo si getta nel fuoco. *Dunque potrete riconoscere i falsi profeti dalle loro azioni.

*Non chi mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma solo chi fa la volontà del Padre mio celeste. *Nel giorno del giudizio molti mi diranno: Signore, Signore! Abbiamo fatto i profeti nel tuo nome, cacciato demoni nel tuo nome, fatto miracoli nel tuo nome. *Allora a quelli risponderò: Io non vi ho mai conosciuti. Via da me, voi che non avete agito secondo la volontà di Dio.

*Chi ascolta queste mie parole e le mette in pratica è come l’uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. *Diluviò, si formarono torrenti, soffiò un vento tempestoso abbattendosi su quella casa. Ma non cadde, perché costruita sulla roccia. *Chi invece ascolta queste mie parole e non le mette in pratica è come l’uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. *Diluviò, si formarono torrenti, soffiò un vento tempestoso abbattendosi su quella casa. Crollò e grande fu la sua rovina.

*Quando Gesù ebbe terminato questo discorso, la gente rimase stupita del suo insegnamento.

*Infatti egli insegnava come chi ha autorità e non come i loro maestri della legge.

Il discorso termina con una serie di contrasti riguardanti la decisione pro o contro Dio.

L’immagine delle due vie ai vv.13-14, è comune all’A.T., e fu sviluppata nei “Rotoli del Mar Morto” ne in uno scritto della Chiesa primitiva chiamato “Didaché”. L’idea che la porta è stretta e che la via è angusta è di importanza considerevole nel vangelo di Matteo. I falsi profeti dei vv.15-20 devono essere giudicati in conformità a Dt. 13,1-5. La parola del profeta si avvera? Il profeta conduce il popolo fuori strada? Saranno i risultati ( i frutti) a mostrare il carattere del profeta (l’albero). Anche i detti dei vv. 21-23 ci concentrano sulla relazione tra parola e azione: non basta affermare: “Signore, Signore”, poiché solo chi fa la volontà di Dio entrerà nel suo regno. Il fondamento menzionato ai vv.24-27 include sia la parola che l’azione.

Il discorso della montagna termina come gli altri quattro discorsi di Gesù nel Vangelo di Matteo: “Quando Gesù ebbe finito questi discorsi”. Ci resta un’ultima domanda da porci: quale atteggiamento assumere di fronte all’insegnamento di Cristo? Ed ecco che Gesù ci dà la risposta con una breve ma efficace parabola che illustra i due modi possibili di accettazione, ed è specificata dal confronto tra due costruttori.

Il brano è assai semplice, consta di due quadri contrapposti, descritti con le stesse parole e le stesse immagini. Matteo l’ha intenzionalmente collegata a un duplice contesto. Essa infatti costituisce la conclusione del discorso della montagna: l’espressione “queste mie parole” non può che riferirsi a tutto il discorso. La parabola è carica di suggestioni anticotestamentarie. La roccia che dà stabilità è il Signore, la parola di Dio, la legge, la fede, il messia. E la tempesta nella Bibbia è l’immagine del giudizio di Dio.

La costruzione della parabola contrappone due figure: quella dell’uomo saggio e prudente e quella dell’uomo sciocco, fatuo, buono a nulla. Gesù paragona i due a categorie diverse di discepoli: coloro che ascoltano e traducono in pratica le sue parole e coloro che si limitano al semplice ascolto. Il criterio della prudenza e della saggezza evangeliche è sopra e oltre il senso comune. La prudenza evangelica fa parte di quelle realtà di cui parlano le parabole e la loro comprensione: “Chi ha orecchi per intendere, intenda”.

Ecco, la differenza fra le due figure dei costruttori non va cercata nel loro diverso ascolto, entrambi ascoltano allo stesso modo la medesima parola, ma in qualcosa di successivo. Saggezza è ascoltare e fare ciò che si è ascoltato. Stupidità è ritenere che basti ascoltare, capire e programmare. Qui sta la differenza, e comprendiamo che la saggezza e la stupidità sono due possibilità interne alle comunità cristiane. Nel caso in cui si fosse trattato solo di ascolto, avremmo concluso che la casa sulla sabbia è il mondo e la casa sulla roccia la comunità cristiana. Ma non è così. Questa è la forza della parabola. Quasi con durezza Gesù denuncia una malattia che può colpire mortalmente l’esistenza cristiana. Lui sa che spesso nell’uomo credente, anche nella comunità, ci sono due anime: l’una che ascolta, riflette, discute e programma; l’altra che, soddisfatta di quanto ascoltato, discusso e programmato, lo dimentica.

Ma una vita cristiana vissuta in questo modo non si regge: è simile a una casa costruita sulla sabbia. A costituire la differenza, dunque, è la pratica, il fare oltre al dire. Tuttavia, deve trattarsi della pratica di “queste mie parole”, non di altre. E dicendo “queste mie parole” Gesù non si riferisce al suo insegnamento in generale, ma a questo in particolare, vale a dire al discorso della montagna.

Tutto ciò è un ammonimento per quelli che hanno un mandato di “predicare” il messaggio di salvezza. Un ammonimento a verificare nella propria vita la verità di ciò che annunciano: a verificare il proprio modo di esporre la parola di Dio, per vedere se i ragionamenti, troppo umani, non rischiano di soffocare la limpidezza del messaggio di Cristo. Ma è anche un ammonimento per tutti coloro che si definiscono cristiani. Non scordiamo che il cristianesimo non è tanto una dottrina che si deve sapere, quanto piuttosto una forma di esistenza. Qualcosa dunque che si può verificare. I frutti sono le opere del regno, e soprattutto nell’ordine della giustizia e della carità. Davanti a Dio si costruisce solo sulla verità. La verità e Lui, nella sua volontà, fatta giorno per giorno,istante per istante. Non un qualsiasi “fare” salva.

“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Questa, infatti, è la legge”. Gesù ci conosce molto bene! Sa che noi vogliamo l’amore, ma quanto poco siamo disposti a donarlo a Dio, ai nostri fratelli. Noi vogliamo che gli altri “facciano” per noi, perché poniamo il nostro io al centro di tutto, come un buco nero che tutto assorbe. Sappiamo bene quali sono le nostre attese, i nostri diritti sugli altri, ma Gesù vuole che “amiamo” e amare è capovolgere le proprie attese in attenzioni verso gli altri, i propri diritti in doveri verso i loro. E’ anche non giudicare il nostro prossimo, perché il nostro giudizio condiziona negativamente l’altro, che si sente escluso da una relazione fraterna con noi, a causa della nostra rigidità e ipocrisia.

Gesù ci viene in aiuto. Ci insegna a parlare, ad ascoltare l’altro, senza misurarlo con il nostro metro, filtrando ciò che dice con i nostri pregiudizi, crocifiggendolo al palo dei suoi errori. L’aiuto di Gesù è ciò che ha portato sulla terra incarnandosi, cioè lo stesso giudizio del Padre: piuttosto di giudicare e condannare i figli del Padre, si è fatto giudicare e condannare da loro; li ha stimati tanto da dare la vita per coloro che gliela hanno tolta. Ecco, la Croce è il tuo giudizio sul mondo: misericordia assoluta per tutti.

E’ con l’atteggiamento di figlio che dobbiamo “chiedere, cercare e bussare”, non per forzare la mano del Padre, ma per aprire la nostra al suo dono, sempre a disposizione di chi lo desidera. Col chiedere vinciamo la sfiducia, col cercare troviamo quanto il peccato ci ha nascosto, col bussare superiamo ciò che ci separa dalla vita filiale e fraterna.

Indice Vangelo di Matteo