Vangelo di Marco – Cap 15

Cristo porta la croce - Giovanni Battista Tiepolo

In questo capitolo della morte di Gesù sulla croce, trovo giusto unire i vangeli nella meditazione, per narrare in modo completo e totale il fatto storico.

Gesù davanti a Pilato. Gesù viene incoronato di spine. La crocifissione di Gesù. La morte di Gesù. La sepoltura di Gesù. Cap. 15,1-47

*Appena fattosi giorno i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, tennero consiglio; poi, legato Gesù, lo condussero via e lo consegnarono a Pilato. *Pilato lo interrogò: Tu sei il re dei Giudei? Egli rispose: Tu lo dici. * I capi dei sacerdoti l’accusavano di molte cose. *Pilato di nuovo lo interrogò: Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano! *Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne era stupito. *Per la festa egli era solito liberare loro un carcerato, chiunque chiedessero. *C’era allora in carcere un tale, chiamato Barabba, arrestato insieme a sediziosi, i quali, in una sommossa avevano commesso un omicidio. *La folla, salita, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere.

*Pilato rispose loro: volete che vi liberi il re dei Giudei? *Egli sapeva bene che per invidia i capi dei sacerdoti l’avevano consegnato a lui. *Ma i capi dei sacerdoti incitavano il popolo a chiedere che piuttosto liberasse loro Barabba. *Pilato, prendendo di nuovo la parola, disse: Che farò dunque di colui che chiamate il re dei Giudei? *Quelli di nuovo gridarono: Crocifiggilo! *E Pilato: Ma che ha fatto di male? E quelli sempre più gridavano: Crocifiggilo! *Pilato, volendo dare soddisfazione alla moltitudine, liberò Barabba e consegnò loro Gesù, dopo averlo fatto flagellare, perché fosse crocifisso.

Dopo avere subito il martirio del cuore nell’orto degli ulivi, Gesù accetta il martirio del corpo con la flagellazione. Portato alla presenza di Pilato, era ormai l’alba, questi chiese: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”

Gli risposero che se non si trattava di un malfattore, non glielo avrebbero portato. Al che, piuttosto spazientito, Pilato replicò che lo giudicassero loro, in altre parole come la Legge prescriveva. Tuttavia le autorità ebraiche del Sinedrio obiettarono che esse non erano autorizzate a condannare a morte.

A questo punto Pilato rientrò nel palazzo, chiamò Gesù e gli chiese: “Sei tu, il re dei giudei?”
Gesù rispose: “Il mio regno non appartiene a questo mondo…”
Pilato gli disse di nuovo: “Insomma, sei un re, tu?”
Gesù rispose: “Tu dici che io sono re. Io sono nato e venuto nel mondo per essere testimone della verità. Chi appartiene alla verità ascolta la mia voce”.
Pilato disse a Gesù: cos’ è la verità?”
Pilato, allora, fece flagellare Gesù.

Fratelli e sorelle, la verità è una realtà: è il Regno di Cristo, è la dignità dell’uomo, è essere figlio di Dio e fratello di Gesù. La verità possiede una sua dimensione sociale e pubblica: non si deve mai negare all’uomo il diritto alla verità. Dobbiamo avere la forza di manifestarla di fronte al mondo contemporaneo così complesso e, a volte, così indifferente. Il mondo ha necessità di un criterio di “potenza” radicalmente “altro” da quello comunemente inteso, di una manifestazione rinnovata dei valori: nel regno degli uomini vi è inganno, tristezza, falsità; nel regno di Cristo vi è pace, giustizia, amore.

Gesù è la nostra pace, lo Shalom ebraico, che significa pienezza d’ogni bene. Credere nell’amore, testimoniare l’amore perché la sua potenza è l’estrema debolezza del Verbo incarnato nella grotta di Betlemme e che ha accettato la Croce. Maria ha dato a Gesù il corpo e il sangue che egli ha versato per l’amore che ha nei confronti di tutti. Le piaghe del Figlio s’imprimono nel suo cuore immacolato, e anche il suo corpo verginale partecipa ai dolori di Gesù: “Una spada ti trapasserà l’anima”.

Fratelli e sorelle, rispettiamo la santità del nostro corpo, con purezza di pensieri e comportamento. Rispettiamo il nostro corpo come capolavoro della creazione. Dio Padre ce l’ha dato per il lavoro, per il servizio ai fratelli e per la partecipazione al sacrificio di Gesù, ma il “divismo” fa del corpo un idolo: adora la bellezza delle dive e la forza degli atleti; l’edonismo, poi, glorifica i più innominabili disordini morali.

*I soldati lo condussero nel cortile, cioè nel pretorio, e radunarono tutta la coorte. *Lo vestirono di porpora e, intrecciata una corona di spine, gliela misero sul capo. *Poi cominciarono a salutarlo: Salve, re dei giudei! *E gli percuotevano il capo con una canna e gli sputavano addosso e, piegando il ginocchio, gli si prostravano davanti. *Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti.

Gesù, dopo avere subito il degradante interrogatorio e sottostato alla flagellazione, è rivestito di porpora, e i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo procurandogli un’infinità di ferite. Iniziarono quindi a salutarlo beffardamente: “Salve, re dei giudei!”. Nello stesso tempo gli percossero la testa con una canna, gli sputarono addosso in segno di spregio e, piegando le ginocchia, si prostrarono davanti a lui.

“Ecce homo!” disse Pilato, poco dopo, rivolto alla folla assiepatasi rumorosamente. Fratelli e sorelle, se grandi sono stati i patimenti, le sofferenze di Gesù in quelle tragiche ore, più grandi e sconcertanti sono state le umiliazioni che egli ha accettato con “cuore mite ed umile”. L’uomo che sbarcando dalla barca e che aveva avuto compassione della folla, perché era un gregge senza pastore, era solo con i suoi dolori insopportabili.

Della massa di persone riunitasi nella piazza antistante il palazzo di Pilato, nessuno cade in ginocchio, stavolta nemmeno per deriderlo. Coloro che dovevano testimoniare con coraggio e senza vergogna la fede in lui, i beneficiari delle guarigioni, sono tutti scomparsi, impauriti. Dove sono, in quei tremendi eterni istanti i lebbrosi sanati, gli indemoniati liberati, i ciechi che hanno riacquistato la vista, gli apostoli, i discepoli, coloro che hanno conosciuto il suo amore? La sentenza di Pilato è emessa sotto la pressione vociante dei sacerdoti e dei loro servi che eccitano la folla che scorda tutto e si fa plagiare, tanto che preferiscono un ladro e un assassino come Barabba al posto del Maestro. Gesù è abbandonato tra quella folla, quasi che si trovasse in un deserto ostile.

Maria, la Vergine Madre, subisce in quelle ore, come sue , le atroci sofferenze e le umiliazioni del Figlio, “Una spada ti trapasserà il cuore”, e l’accetta col cuore straziato nell’umiltà dell’animo che le aveva attirato lo sguardo di Dio su di lei.

Anche noi cristiani oggi ci troviamo in un deserto ostile. Anche noi siamo servi del nostro orgoglio, ci ribelliamo ad ogni minima contrarietà; non vogliamo riconoscere le nostre colpe e i nostri limiti, anzi, pretendiamo primeggiare e dominare, pur sapendo che la superbia è stata ed è la fonte principale dei più grandi mali dell’umanità: discordie, guerre, tirannie, terrorismo, consumismo e ingiustizie.

Anche la nostra società attuale ha i suoi sacerdoti, basta pensare per un attimo ai mass-media (giornali e televisione), tutti concordi nel cercare d’isolare, abbattere con la propria efficienza atea il cristianesimo, affermando il primato della ragione e che, in ultima analisi, i Vangeli sono solo favole per i beoti (gli sconfitti della società dell’apparire, del successo, del denaro, del sesso), e che in fin dei conti Gesù era un buon ebreo. Già, infatti lo hanno affisso ad una croce. Noi cristiani, se veri discepoli di Cristo, vivendo profondamente nel cuore di Dio Padre, dobbiamo lottare contro il male (con la forza dell’amore) che si presenta sotto forma di tutti gli idoli suscitati dalla civiltà dell’esteriorità. Spezziamo le pareti di ghiaccio dei cuori, muri invisibili edificati con i mattoni dell’ingiustizia, del pregiudizio, dell’indifferenza, del materialismo, muri che contribuiamo giorno dopo giorno ad erigere con quel senso comune d’appartenenza inoffensivo e d’apatia che etichetta, generalizza, crea diffidenza.

* E lo condussero fuori per crocifiggerlo. *E costrinsero un certo Simone Cireneo, padre di Alessandro e di Rufo, che veniva dalla campagna, a portare la croce di lui. *Lo condussero al luogo detto Golgota, che tradotto significa luogo del teschio. *E gli diedero del vino mirrato; ma egli non ne prese. *Poi lo crocifissero e si divisero le sue vesti tirando a sorte quel che fosse toccato a ciascuno. *Erano le nove quando lo crocifissero. *E l’iscrizione col motivo della condanna diceva: Il re dei Giudei. *Con lui crocifissero due ladroni, uno alla sua destra e l’altro alla sinistra. *Così sia adempiva la scrittura che dice: E’ stato annoverato tra i malfattori. I passanti lo insultavano scrollando il capo e dicendo: Eh! Tu che distruggi il tempio e in tre giorni lo riedifichi, *salva te stesso scendendo dalla croce! *Così pure i capi dei sacerdoti, facendosi beffe di lui l’un l’altro con gli scribi, dicevano: Ha salato gli altri e non riesce a salvare se stesso. *Scenda ora dalla croce, il Messia, il re d’Israele, affinché vediamo e crediamo! Anche i crocifissi con lui lo insultavano.

A Gesù è stato preferito Barabba. La folla grida: “Crocifiggilo!”, e Pilato lo consegna ai soldati perché sia crocifisso. Egli, portando la croce, si avvia verso il Golgota, dove lo crocifissero e con lui due ladroni.

Tutti hanno condannato Gesù: Caifa per invidia, potere e la sua coscienza oscura, Anna per superbia, Pilato per viltà, Erode per dissolutezza, Giuda per denaro, Pietro per imprudenza e paura, il popolo perché sobillato dai farisei….Perché Gesù si è caricato di tutti i nostri peccati. Il pretore romano, di fronte al mistero di Gesù, con un gesto ebraico, per essere bene inteso, si lava le mani: in pratica cerca di stare in disparte, alla finestra; ci sono anche dei cristiani, oggi, che si defilano, che riducono tutto alla loro maniera personale di credere, scordando il volto di Gesù, senza impegnarsi in questa società ormai in gran parte pagana in cui il cristianesimo è distorto e la Chiesa di Cristo accusata d’essere nemica della libertà dell’uomo.

La dignità dell’uomo è sopraffatta, gettata a terra, umiliata in tanti modi: aborti, prostituzione, pornografia, ricerca di sensazioni insolite, esperimenti biologici atroci e aberranti. Tuttavia, la dignità dell’uomo è acquistata e redenta a prezzo del sangue innocente e senza peccato dal Figlio di Dio: “Fu piagato per le nostre iniquità, le sue piaghe ci hanno guarito” (Is.53,5).

Fratelli e sorelle, in quelle strette, affollate vie di Gerusalemme, durante le ultime ore che precedono la Pasqua ebraica, Gesù tormentato, coronato di spine, con il volto sanguinante, porta la croce sulle sue spalle, peso enorme da sopportare. Cade tre volte esausto per lo sforzo e i patimenti, ma tre volte si rialza. Gesù cade per amore, si rialza per il bisogno di essere amato. Gesù ha accettato il calice amaro dalle mani del Padre e vuole berlo fino in fondo per noi.

Ogni nostro peccato è in relazione stretta e misteriosa con la passione di Gesù. La perdita del senso del peccato, oggi tanto generalizzata, è una forma di negazione di Dio. Ecco perché ristabilire il giusto senso del peccato è il primo modo di affrontare la grave crisi spirituale che ha colpito l’uomo: ira, invidia, sensualità fine a se stessa, pratiche di pietà fatte per abitudine, leggerezza nei giudizi, piacere nelle mormorazioni, mancanza di perdono, poco amore….Nessuno di noi quando è provato dal dolore può affermare di non ritrovare se stesso nella sofferenza di Gesù. Infatti, lui stesso ha voluto condividere la nostra condizione esistenziale per trasformarla interiormente, dalla via dolorosa che conduce al calvario.

Maria, la Vergine Madre, ha accettato la condanna del Figlio come propria condanna e gli è andata incontro fino al calvario portando nel cuore anche lei la croce dell’infamia, la croce più pesante dei nostri peccati. Noi crocifiggiamo Gesù nel nostro corpo col peccato e lo condanniamo ogni volta che preferiamo la creatura al Creatore. Davanti alla vittima delle nostre colpe imitiamo non l’ostinazione dei farisei o la disperazione di Giuda, ma il pianto di Pietro e la preghiera del ladrone pentito.

*Venuto mezzogiorno si fece buio su tutta la terra sino alle tre pomeridiane. *Alle tre Gesù gridò a gran voce: Eloi, Eloi, lemà sabactanì? Che tradotto significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? *Alcuni degli astanti, udendo, dicevano: Ecco chiama Elia. *Uno di loro corse a inzuppare una spugna nell’aceto e, postala in cima a una canna, gli dava da bere dicendo: Lasciate, vediamo se Elia viene a tirarlo giù. *Ma Gesù, mandato un forte grido, spirò. *Allora il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. *Vedendolo spirare a quel modo, il centurione che gli era davanti disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! *C’erano pure alcune donne, che osservavano da lontano; tra le altre Maria Maddalena, Maria madre di Giacomo il minore e di Giuseppe, e Salomè, *quelle che, quando egli era in Galilea, lo avevano seguito e servito, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.

Durante quelle tre ore in cui Gesù rimase sulla croce, patì acutissime sofferenze. Il suo corpo perdeva incessantemente sangue e forza vitale attraverso gli squarci delle mani e dei piedi prodotti dai chiodi attraverso le vaste lacerazioni prodotte dalla precedente flagellazione. Il capo era crivellato dalle punture delle spine della corona; nessun muscolo trovava riposo nella posizione sulla croce. I tormenti si accavallavano e si accrescevano sempre più atroci, senza un istante di requie. In quel tenebroso oceano di spasimi solo la più alta vetta dell’anima era serena, sublimata nella contemplazione del Padre.

Anche il suo volto perse, ad un certo punto, la sua bellezza esteriore nella sofferenza, ma internamente, Egli era nella pace, dal momento che compiva la volontà del Padre. Possiamo anche supporre che, nel profondo della sua anima, fosse soddisfatto, poiché lui il Figlio unigenito era arrivato, con piena libertà e accettazione all’ora del Suo sacrificio, un atto d’amore per il Padre e per gli uomini, un atto d’amore senza precedenti per il riscatto dell’umanità. Da quella cattedra ci lasciò il suo testamento:

  • Perdonò ai suoi crocifissori, “Padre, perdona ad essi, perché non sanno quel che fanno!”;
  • Promise al buon ladrone il paradiso: “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”;
  • Diede all’umanità intera sua madre: “Donna, ecco tuo figlio”, “Ecco tua madre”;
  • Manifestò il proprio martirio con la frase: “Ho sete” e con il misterioso lamento “Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato?”

Inoltre prima di morire affidò al Padre il proprio spirito, proclamò compiuta la propria missione e, “reclinato il capo, spirò” (Gv.19,30).

Maria, sua Madre, ai piedi della croce, soffre nel cuore quel che Gesù soffre nel corpo e nello spirito e forma con lui un unico sacrificio per l’umanità che Gesù le affida.

La morte di Gesù ha un solo motivo: l’amore infinito per ognuno di noi. Ciascuno può ripetere con San Paolo: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal.2,20). Ma dovremmo anche ripetere: “Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil.1,21).

Le sue braccia spalancate esprimono il desiderio di accogliere tutti, perché nessuno, se non Dio, può scrivere la parola fine nei confronti dell’uomo. Osserviamo concretamente Gesù come dall’alto della croce fa sua e vive la volontà del Padre. Sto tralasciando molti particolari delle ultime ore di Gesù. L’evangelista Marco suddivide la giornata della morte di Gesù in periodi di tre ore, così come gli Ebrei scandivano le ore del giorno e della preghiera:

  1. Nella notte avviene la consegna di Gesù, l’interrogatorio davanti all’autorità religiosa (Mc.14,41-65);
  2. Il canto del gallo (Mc.14,66-72) ci fa guardare le ultime tre ore della notte. In quell’intervallo si svolge il dramma del rinnegamento di Pietro;
  3. Ore 6 – appena fu mattina vi è il processo davanti a Pilato (Mc.15,1-15);
  4. Ore 9 – ora terza: la crocifissione (Mc.15,24-25;
  5. Ore 12 – ora sesta: il buio totale (Mc. 15,33);
  6. Ore 15 – ora nona: l’ora della fine, la morte di Gesù (Mc.15-33-39).

Notiamo che Gesù viene “consegnato” di mano in mano: da Giuda ai sommi sacerdoti, dai sommi sacerdoti a Pilato ed Erode, poi ancora da Pilato ai soldati. “Poi lo crocifissero”. Con questa parola così scarna e cruda ci viene detto ciò che viene fatto a Colui che ha usato le mani per guarire, per benedire, per spezzare il pane. Quelle mani sono inchiodate alla croce. Ci viene detto cosa è stato fatto a quei piedi, sempre in movimento nel vangelo di Marco. Vengono bloccati sull’albero della croce.

La morte per crocifissione è una morte atroce, lenta, per aumentare la sofferenza. Attorno alla croce c’è tutto un vociare sarcastico di chi deride quel pretendente Messia: “Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso!” (Mc.15,30). Ma è proprio qui la verità di Gesù: Lui non accetta la sfida e non scende dalla croce per essere fedele al volto del Padre che ha dato tutto se stesso per salvarci. No, Gesù non può scendere dalla croce! Gesù si abbandona alla debolezza dell’amore, e proprio per questo la sua morte diventa il luogo in cui la potenza dell’amore si rivela. Se si fosse salvato, non ci avrebbe salvato e di fronte alle tantissime croci della storia sarebbe mancata la sua che dà valore a tutte le altre, quale piena solidarietà di Dio con noi.

Gesù crocifisso e morto rivela chi è Dio e chi è l’uomo e li unisce n un unico amore. Oltre la croce, il Padre non ha più nulla da dirci o da darci: dandosi tutto a noi ha rivelato, nella più grande trasparenza, chi è lui. Gesù sulla croce arriva al punto di perdere l’esperienza di Dio perché possano fare esperienza di Dio. Nel grido “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, Gesù percepisce la sua infinita lontananza e separazione dal Padre.

Ma proprio perché ha sperimentato la lontananza più infinita da Dio, Gesù è capace di vivere la più grande vicinanza con l’uomo. Sulle sue labbra quelle parole sono le parole d’ogni uomo che grida il perché del dolore, del non senso, del dubbio, della morte. Da quel momento non c’è disperazione dell’uomo che orami non sia racchiusa in questo grido di Gesù. Questo grido permette ad ogni uomo che soffre di entrare nell’invocazione di Gesù e nella sua preghiera.

Il Padre ascoltando le parole del Figlio abbraccia e fa sua tutta la sofferenza del mondo. Ora non esiste luogo dove Dio non sia presente e porti in sé il dolore dell’uomo, non esiste vuoto che non sia riempito dalla sua presenza. In quel “Dio mio” però è racchiusa anche tutta la fiducia e co0nfidenza del Figlio. Il suo essere abbandonato è vivere l’angosciosa lontananza del Padre ma è, nello stesso tempo, un attivo abbandonarsi in Lui. Sulla croce di Gesù, uomo e Dio sono finalmente uniti. Dando la sua vita, Gesù l’ha salvata per tutti: ci ha offerto la vita stessa di Dio, il suo amore di figlio e fratello.

La morte di Gesù è seguita da due fatti molto espressivi: il velo del tempio si spezza e il centurione romano proclama Gesù Figlio di Dio (Mc.15,38-39).

Il Velo del tempio segnava l’ultima barriera di fronte al Santo dei Santi, luogo della presenza di Dio nel tempio. Solo il sommo sacerdote poteva entrarvi. Con la morte di Gesù, il velo del tempio si lacera ad indicare che ora, l’accesso a Dio è aperto a tutti, anche ai pagani. Le troppe separazioni che impediscono all’uomo di accostarsi a Dio, sono ormai definitivamente strappate, ormai non c’è più nessun velo che li divide. Ogni uomo ora ha libero accesso a Dio, perché il suo amore si è versato senza riserve su ogni uomo.

Primo testimone dell’aver accesso alla presenza di Dio, è proprio un pagano, il centurione romano. Lui è il primo che ai piedi della croce non si scandalizza per la sorte di Gesù, ma riconosce nel crocifisso il Figlio di Dio.

E’ importante rilevare che la professione di fede del centurione nasce dal modo con cui Gesù è morto: “Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc.15,39). In tutto il vangelo di Marco questo pagano è l’unico che confessa Gesù, “Figlio di Dio”. Questa è la prima confessione di fede cristiana.

Nel centurione vi è la conferma che davvero tutti ora possono partecipare alla nuova alleanza iniziata nella morte di Gesù. Lui è il primo ad essere entrato, con la sua fede, nel luogo più pieno dell’incontro tra l’uomo e Dio.

*E venne la sera, e poiché era un giorno di preparazione, cioè una vigilia di sabato, *Giuseppe d’Arimatea, illustre membro del sinedrio, che pure aspettava il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Pilato si stupì che fosse già morto e, chiamato il centurione, gli domandò se davvero era già morto. *E avutane conferma dal centurione, concesse la salma Giuseppe. *E questi, comprato un lenzuolo, depose Gesù dalla croce, l’avvolse nel lenzuolo e lo depose in un sepolcro scavato nella roccia, rotolando poi la pietra all’ingresso del sepolcro. Maria Maddalena e Maria (madre) Giuseppe stavano a guardare dove lo collocavano.

L’ultimo episodio della vicenda storica di Gesù è la sua sepoltura. Gesù viene sepolto per iniziativa di un giudeo simpatizzante e autorevole, identificato con Giuseppe d’Arimatea (At.13,29). Già questo particolare, cioè che non si tratti di un discepolo qualificato, depone a favore della storicità del fatto. I giustiziati, secondo il diritto giudaico e anche romano, erano destinati alla fossa comune, se non intervenivano parenti o amici a richiederne la sepoltura privata. Inoltre, secondo l’usanza giudaica fondata su Dt. 21,22-23 e rispettata dall’autorità romana, il corpo dei condannati a morte doveva essere deposto dalla croce prima del calar del sole. Così come una certa fretta nella sepoltura: è un venerdì, vigilia del riposo sabbatico, che inizia col calar del sole.

Dunque l’intervento di Giuseppe d’Arimatea è provvidenziale che, audacemente, chiede il corpo a Pilato. Il corpo del condannato viene consegnato non senza avere prima verificato che veramente fosse morto. Anche gli altri particolari della sepoltura, come la collocazione del cadavere in un lenzuolo o sindone nel sepolcro scavato nella roccia, corrispondono alle usanze giudaiche. Poi la pietra di chiusura venne fatta rotolare per sigillare l’ingresso. Chiude il racconto della morte di Gesù, un’ultima notizia: due donne, Maria Maddalena e Maria di Giuseppe, appartenenti al gruppo che ha seguito Gesù, sono testimoni oculari del sito del sepolcro, e permette all’evangelista di stabilire la continuità storica tra quest’episodio e la visita delle donne al sepolcro la domenica mattina.

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