Vangelo di Marco – Cap 10

Matrimonio e divorzio
Cap. 10,1-12

*Partito di là, Gesù andò nel territorio della Giudea e oltre il Giordano, e di nuovo le folle gli si radunarono intorno, ed egli, com’era solito, ancora le ammaestrava. *E, avvicinatisi i farisei, lo interrogarono per metterlo alla prova e gli chiesero se fosse lecito a un uomo ripudiare la moglie. *Egli rispose loro: Che cosa vi ha ordinato Mosè? *Dissero: Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla. *Gesù rispose: Fu per la durezza del vostro cuore che egli scrisse per voi questo precetto. *Ma da principio della creazione Dio li fece maschio e femmina; *per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e s’unirà alla propria moglie e i due saranno una carne sola. *Perciò non sono più due, ma una carne sola. *L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto. *Entrati in casa, i discepoli lo interrogarono di nuovo intorno a questo punto *ed egli disse loro: Chiunque rimanda la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio contro di lei; *e se una donna rimanda il proprio marito e ne sposa un altro, commette adulterio.

Completato il ministero nella Galilea (1,14-9,50), Gesù entra in Giudea diretto a Gerusalemme, inoltrandosi anche in territorio pagano, al di là del Giordano, nella Perea. La Galilea è il luogo della rivelazione (4,12-17), e la Giudea è il luogo del rifiuto e della morte. Per mettere alla prova Gesù, i Farisei gli pongono alcune domande inerenti al matrimonio e sul divorzio, vale a dire sulla liceità del ripudio della moglie. L’espressione della loro inchiesta colloca l’insegnamento di Gesù nel contesto del dibattito giudaico sui motivi per il divorzio. Secondo Dt. 24,1, il marito stabiliva i termini del divorzio, lo presentava alla moglie, e quindi poneva fine al matrimonio. I motivi per il divorzio in Dt. 24,1 (“Se egli scopre qualcosa di vergognoso”) sono vaghi.

Ai tempi di Gesù una corrente di pensiero limitava il divorzio al caso d’adulterio da parte della donna (mai dell’uomo), mentre un’altra corrente era notevolmente più libera e permissiva nella sua interpretazione, fino al punto in cui si poteva divorziare da una donna anche solo nel caso essa fosse una cattiva cuoca, o non bella.

La risposta di Gesù trasferisce la questione dal piano normativo giuridico a quello religioso. Il libello di ripudio o atto di divorzio è un palliativo che cerca di porre rimedio ad una situazione bacata in radice. E’, infatti, il cuore indurito, ciò che compromette il progetto originario di Dio. Alle raffinate sottigliezze casistiche i pii ebrei che tentano di far coincidere la volontà di Dio con i propri desideri e interessi, Gesù oppone una nuova ottica. Non c’è legge che possa far nascere l’amore o resuscitarlo dove è morto. Soltanto la fonte originaria dell’amore, il gesto creatore di Dio, offre all’uomo e alla donna la possibilità di realizzarsi nel reciproco impegno d’amore. Il progetto originario di Dio, com’è espresso in Gn. 1,27; 2,24, cioè la comunità dell’uomo e della donna in un solo essere vivente o carne, viene compromessa dalla pigrizia o paura umana, che fa inaridire la fonte dell’amore nel centro stesso della personalità, nel cuore.

La novità di Gesù non consiste nel proporre una nuova legislatura più rigorosa dell’impegno d’amore tra uomo e donna, o una visione morale più elevata rispetto a quella giudaica. Sotto questo aspetto egli non fa altro che richiamarsi alla tradizione biblica registrata nei due testi della Genesi citati. La parola di Gesù annuncia una nuova possibilità, è un lieto annuncio: qui, ora, al suo seguito, è possibile attuare il progetto originario di Dio, perché ora viene tolta, eliminata la durezza di cuore. Ora esiste per l’uomo e per la donna una reale possibilità di crescita nell’amore. La prescrizione fatta in casa davanti ai discepoli, non aggiunge nulla di nuovo. Si tratta della ripresa in forma casistica del pensiero già enunciato nel commento di Gesù ai testi della Genesi. Non solo il divorzio, sia da parte dell’uomo come da parte della donna, è contro il progetto di Dio, ma un nuovo matrimonio è adulterio, perché permane sempre e in ogni caso l’impegno precedente.

Gesù accoglie i bambini
Cap. 10,13-16

*E gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li sgridavano. * Gesù, vedendo questo, si sdegnò e disse loro: Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite, perché il regno di Dio è di quelli che sono simili a loro. * In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non vi entrerà. * E abbracciateli, imponendo le mani su di loro, li benediceva.

Molte volte, nella considerazione degli adulti, i bambini sono stati ritenuti poveri di significato e di valore, gli ultimi arrivati al banchetto della vita. Spesso sono emarginati ed esclusi, in varia misura, dalla convivenza umana. La parola di Dio mette continuamente in discussione ciascuno di noi sul modo di considerare e di trattare i bambini; mette inoltre in discussione ogni comunità, ogni civiltà, ogni cultura, che opprima i bambini.

Gesù non eleva a ideale l’innocenza del bambino – come talvolta siamo romanticamente portati ad immaginare -, quanto piuttosto il sentirsi piccoli, l’essere ricettivi, insieme al ricominciare umilmente da capo. Come, per esempio, nel Vangelo di Giovanni dove Gesù dice a Nicodemo: “Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio”. E similmente è lo stesso atteggiamento delle beatitudini. Chi si fa bambino in quel modo è infatti disponibile e si abbandona a ricevere la gioia di Dio.

L’evangelista osserva che Gesù si sdegnò dei discepoli che volevano mandarli via. Il suo sfogo è molto indicativo, come il suo sdegno per l’incomprensione e l’ostilità degli avversari di fronte alla guarigione operata in giorno sabato.

Data la sua fama di santità, la benedizione di Gesù era particolarmente richiesta per i bambini. Dal momento che si riteneva che il potere della santità uscisse da lui e si trasferisse agli altri. L’occasione viene sfruttata per insegnare come accogliere il regno di Dio. Il regno di Dio, in pratica la sua giustizia, pace e salvezza, ora presenti nell’azione e persona di Gesù, sono un dono che appartiene a coloro che sono privi di prestigio e di diritti, di difese e pretese. Sono i poveri, ai quali appartiene il regno di Dio. Alla categoria degli esclusi , dei paria della società, come gli ammalati, i peccatori, le donne, i bambini, appartiene il futuro definitivo di Dio. Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino non vi entrerà. Poiché i piccoli e i poveri non hanno sicurezze da difendere, né privilegi o ruoli da reclamare, possono essere totalmente aperti al dono di Dio, perché sono pienamente disponibili al cambiamento radicale e alla fiducia che il regno richiede.

Il possesso dei beni e la sequela di Gesù
Cap. 10,17-31

Mentre si metteva in cammino, accorse uno, il quale, inginocchiandosi davanti a lui, gli domandò: Maestro buono, che debbo fare per ereditare la vita eterna? *Gesù gli disse: Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio. *Tu sai i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non attestare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre. Quello rispose: Maestro, tutte questa cose le ho osservate sin dalla mia giovinezza. *Gesù, fissatolo, lo amò, e gli disse: Una sola cosa ti manca: Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi!. *Ma egli, fattosi triste a queste parole, se ne andò sconcertato, perché aveva molti beni. *Allora Gesù, riguardando intorno, disse ai suoi discepoli: Quanto è difficile a coloro che hanno ricchezze entrare nel regno di Dio! *I discepoli si stupirono di queste sue parole: Gesù però di nuovo ripeté: Figlioli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! *E’ più facile a un cammello passare per la cruna di un ago che a un ricco entrare nel regno di Dio.

. *Quelli allora, ancora più sconcertati, dicevano tra loro: E chi mai può salvarsi? *Gesù, fissandoli, disse: Agli uomini è impossibile, ma non a Dio, perché tutto è possibile a Dio. *Pietro gli disse: Vedi! Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. *E Gesù: In verità vi dico: nessuno ha lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o filgli o campi per me e per il angelo *senza ricevere il centuplo ora, al presente: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi e anche persecuzioni, e nel secolo futuro la vita eterna. *Molti dei primi saranno ultimi, e gli ultimi primi.

Il tema della ricchezza come ostacolo possibile al discepolato perfetto viene sollevato nel racconto dell’incontro di Gesù con il giovane ricco. Tutto il brano può essere collocato sotto il titolo: la via verso la vita per i discepoli di Gesù. La composizione dei versetti si articola in tre sezioni distinte, ma il tema è unitario. Nell’episodio iniziale della chiamata del giovane ricco, 10,17-22, appare subito l’argomento: condizioni per avere la vita eterna, definitiva; tema che viene ripreso da Gesù con i discepoli, 10,23-27, e ritorna nuovamente nell’appendice, introdotta dalla domanda.

La presentazione di un tale, che accorre sulla strada e si prostra davanti a Gesù e lo saluta con una formula inconsueta, è una caratterizzazione del personaggio. Essa contrasta fortemente con la mesta conclusione dell’incontro: Ma egli, fattosi triste a queste parole, se ne andò sconcertato, perché aveva molti beni. Tra questi due momenti si svolge il dialogo tra Gesù e lo sconosciuto. Innanzitutto Gesù precisa il valore dell’appellativo Maestro buono; egli replica: Perché mi dici buono? Nessuno è buono se non uno solo, Dio. La risposta di Gesù corrisponde perfettamente alla concezione biblica e giudaica, secondo la quale Dio solo è definito buono, perché usa misericordia, soccorre i poveri, difende i deboli.

Gesù nella risposta al suo interlocutore, indicando la via per avere in dono o in eredità la vita eterna presso Dio, cita soltanto i comandamenti che riguardano i doveri verso il prossimo: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non attestare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre, 10,19.

Qualcuno potrebbe obiettare: e i doveri verso Dio? La risposta della tradizione evangelica è nota: il modo concreto di amare Dio e di essere fedeli a Dio è di amare e di essere fedeli all’uomo, nel quale Dio è diventato nostro prossimo. A questo punto l’uomo dovrebbe essere sulla via della vita eterna. Al contrario Gesù gli propone il test definitivo: Và, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi, 10,21.

Da notare che il giovane ricco è un buon giudeo perché ha osservato i comandamenti fin da piccolo, ma non è ancora entrato in comunione con Gesù, non è diventato cristiano. Il segno distintivo dell’identità del discepolo è di seguire Gesù, in altre parole di coinvolgere il suo destino con quello di Gesù, vale a dire amare e di essere fedele agli altri fino alla testimonianza suprema della croce.

Non solo è difficile per il ricco entrare nel regno di Dio; è in concreto impossibile, come chiarisce il riferimento alla cruna dell’ago. La sorpresa dei discepoli è dovuta al fatto, 10,26-31, che essi ritenevano che la ricchezza fosse un segno del favore divino. Gesù insegna che nessuno può entrare nel regno di Dio grazie ai suoi possedimenti o ai suoi successi, il regno di Dio è un dono. Gesù vuole dai discepoli la povertà e l’obbedienza: povertà del distacco affettivo, ma spesso anche povertà effettiva, che dà libertà, che favorisce il distacco e lo rende evidente. “Cristo spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo, fatto obbediente fino alla morte” (Fil.2,7-8), e per noi da ricco che era si fece povero (2 Cor. 8,9)

Come portavoce, ancora una volta Pietro pone delle domande a proposito delle ricompense per chi accetta la sfida di Gesù ad una povertà radicale. Pietro fa il confronto tra sé e gli altri apostoli e il ricco che per amore delle ricchezze ha rinunciato a seguire Gesù e ne è soddisfatto. Pietro aveva lasciato la sua attività di pescatore in Galilea e la sua famiglia. I rischi e i sacrifici dei primi seguaci di Gesù non devono essere minimizzati. Nella “nuova era” del regno, essi condivideranno la gloria del Figlio dell’Uomo e saranno ricompensati con una comunità sociale e religiosa migliore. Gesù vede in loro il modello d’autentici cristiani e promette in cambio una ricompensa centuplicata: una fin da questo mondo, anche se avrà le sue ombre e non andrà esente da contrasti; e la ricompensa perfetta della vita eterna nell’altra. Non si rinuncia per rinunciare, ma in vista di una vita e dei beni più perfetti e abbondanti.

Terzo annuncio della morte e risurrezione
Cap.10,32-34

*Erano intanto in cammino per salire a Gerusalemme. Gesù li precedeva. Essi erano sbigottiti, e quelli che seguivano avevano paura. E presi nuovamente con sé i dodici, cominciò a dir loro ciò che stava per accadergli: *Ecco noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi, i quali lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani; *e lo scherniranno e gli sputeranno addosso e lo flagelleranno e l’uccideranno; ma dopo tre giorni risorgerà.

La terza predizione della passione è ambientata sulla strada che conduce verso Gerusalemme, che è situata in una regione montuosa. Questa predizione è più dettagliata delle due precedenti; Gesù sarà schernito, sputacchiato, flagellato, ucciso; e menziona esplicitamente i persecutori Giudei e pagani. Marco ci fa capire che la crocifissione sarà la modalità in cui avverrà la morte di croce (i romani uccidevano in questo modo i criminali). Ma ci dice anche che dopo tre giorni egli risorgerà.

La domanda dei due figli di Zebedeo
Cap. 10,35-45

*Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, gli si avvicinarono e gli dissero: Maestro, noi vogliamo che tu ci conceda quanto ti chiediamo. *Egli chiese loro: Che cosa volete che vi faccia? *Gli dissero: Concedici di sedere uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nella tua gloria. *Gesù disse loro: Voi non sapete ciò che domandate; potete voi bere il calice che io bevo o essere battezzati con il battesimo con cui io sono battezzato? *Risposero: Lo possiamo. Ma Gesù riprese: Il calice che io bevo lo berrete e col battesimo con cui io sono battezzato sarete battezzati; *ma quanto a sedere alla mia destra o alla mia sinistra, non sta a me concederlo, ma è per quelli ai quali è stato destinato.

*Allora gli altri dieci, che avevano inteso, cominciarono a sdegnarsi contro Giacomo e Giovanni. *Ma Gesù, chiamatili a sé, disse loro: Voi sapete che coloro che sono considerati principi delle nazioni le dominano, e che i loro grandi esercitano il potere su di esse. *Ma non così tra di voi; chiunque tra di voi voglia essere grande, sia vostro servo; *e chi tra di voi voglia essere primo, sia servo di tutti, * perché lo stesso Figlio dell’uomo è venuto non per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita per la liberazione della moltitudine.

Dopo il terzo annuncio della sua morte e resurrezione, i figli di Zebedeo offrono a Gesù l’occasione di parlare dell’autorità come servizio e del martirio come “bere il calice” del dolore. Il servizio, tanto rilevato da Marco, consiste nel dar la vita per gli altri. Tuttavia l’annuncio di Gesù è pieno di speranza: al termine della sua missione non c’è la morte, ma la vita, non l’insuccesso, ma la vittoria. Come Gesù, i discepoli non devono mirare al successo, magari litigando fra loro per i primi posti. Essi devono cercare unicamente la volontà di Dio, mettendosi al servizio degli uomini, facendosi piccoli, donando la propria vita agli altri. Questo comporta spesso l’umiliazione e l’insuccesso davanti all’opinione pubblica.

Entriamo più in dettaglio. La questione della condizione sociale nel regno futuro da parte di Giacomo e Giovanni, che inseguono ancora progetti di carriera accanto al Maestro, Gesù risponde che a) per avere parte al suo regno i discepoli devono condividere il calice della sua sofferenza, e b) non è sua prerogativa assegnare i posti nel regno. Certo ci vuole un bel coraggio ad avanzare la richiesta. Gesù ha appena elencato i successivi momenti di una degradazione che culminerà nella morte, e Giacomo e Giovanni, con una disinvoltura che a dir poco irrita gli altri dieci, chiedono di sedere accanto a Gesù, uno a destra e uno a sinistra. La risposta di Gesù si articola in due sentenze: bere il calice ed essere battezzati con il battesimo.

Bere il calice. Nella tradizione biblica significa non solo il destino, ma il destino di morte, di rovina, di distruzione riservato agli empi, al popolo infedele. Si tratta del calice della collera di Dio, in altre parole del suo giudizio di rovina sul peccato dei popoli. Egli berrà il calice che è il destino di un’umanità ubriaca e drogata di violenza, che si manifesta come prepotere, guerra, sfruttamento. La coppa che egli farà circolare tra gli amici nella cena d’addio, prima della morte, richiamerà questo suo impegno di solidarietà con l’umanità peccatrice. E nella preghiera del Getsemani il destino di morte violenta con i peccatori e per i peccatori gli si presenterà in tutta la sua drammaticità al punto che egli farà appello alla comunione intima d’amore che lo lega con Dio per superare l’angoscia: Padre! Tutto ti è possibile; allontana da me questo calice…”

Essere battezzati. Quella del battesimo, evoca il destino di una morte dolorosa. Essere battezzati o immersi è lo sprofondare dell’uomo perseguitato e tormentato nelle acque amare della morte; è l’immergersi nelle sofferenze della morte. L’uso che fa Gesù di questa espressione – essere battezzato – non può non richiamare il gesto con il quale egli ha inaugurato la sua attività pubblica: il battesimo di conversione per la remissione dei peccati nelle acque del Giordano. Quello era solo un gesto inaugurale e simbolico. Il vero battesimo si trova ora, alla fine della sua vita. Egli sarà veramente solidale con i peccatori in una situazione di morte, che è frutto immediato del peccato diventato struttura portante di potere. Il suo battesimo è la morte con i peccatori e per i peccatori.

Giacomo e Giovanni, con la stessa disinvoltura con la quale avevano avanzato lo loro domanda, ora si dichiarano pronti a condividere il destino di Gesù. Per Giacomo il martirio si realizzerà nell’anno 44 per opera d’Erode Agrippa, Giovanni invece avrà la sua parte di sofferenze e di tribolazioni, anche senza morire di morte violenta.

La domanda dei due fratelli ha uno strascico molto interessante, perché dà a Gesù l’occasione di precisare il significato e il valore dei ruoli nella comunità cristiana, con la risposta perentoria di Gesù. Gli altri dieci non sono migliori dei due fratelli più intraprendenti; anch’essi vivono in funzione della carriera e delle promozioni. Gesù presenta il nuovo progetto d’autorità per la comunità cristiana in due momenti. Prima di tutto egli esclude il modello d’autorità che si organizza come potere, del quale si avevano esempi abbastanza violenti nei vari regimi politici del suo tempo: non così tra di voi.

Quindi propone un tipo d’autorità che è l’antipotere, mediante immagini e modelli inequivocabili: il servo e lo schiavo. Questi sono i grandi nella comunità. Chi è veramente senza ruolo e senza prestigio e realmente serve gli altri, questi esercita l’autorità. La disponibilità al servizio è testimonianza della venuta del regno. Sono annunci del regno la predicazione di Gesù e la sua parola, le opere di lui, i suoi miracoli, la cacciata dei demoni, “ma innanzitutto il regno si manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo, venuto a servire e a dare la sua vita per molti, cioè per tutti”.

Guarigione del cieco di Gerico
Cap. 10, 46-52

*Vennero poi a Gerico. E mentre egli usciva da Gerico coi suoi discepoli e una grande folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, mendicante cieco, sedeva lungo la strada. *Udito che c’era Gesù di Nazareth, si mise a gridare e a dire: Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me! *E molti lo sgridavano perché tacesse; ma quello gridava più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me! *Gesù, fermatosi, disse: Chiamatelo. E chiamarono il cieco, dicendogli: Coraggio, alzati, ti chiama *Egli gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. *Gesù voltosi a lui, gli disse: Che cosa vuoi che ti faccia? E il cieco: Rabbunì, che io riabbia la vista! *Va’, gli disse Gesù, la tua fede ti ha salvato. E sull’istante quello recuperò la vista e seguiva Gesù sulla strada.

La guarigione di Bartimeo è l’ultimo miracolo compiuto da Gesù e con lui si chiude anche l’ampia sezione dedicata a far comprendere cosa significa essere discepoli di Gesù. Gesù non è in cammino da solo, con lui ci sono i discepoli e la folla. E’ con loro che sta compiendo il cammino verso Gerusalemme. Anche questa volta viene rilevato come il modo di fare di Gesù è molto diverso da quello di chi lo segue. Per i discepoli, il cieco che si mette ad urlare infastidisce, disturba. Per Gesù quel cieco è una persona da incontrare, da rispettare, da ascoltare. Già quest’aspetto ci dice come il seguire Gesù non è automaticamente garanzia di cambiamento ma si può fare, nostro malgrado, se ci si mette davvero alla scuola di Gesù e si fa quanto lui chiede.

Marco ci da tre indicazioni per farci capire la situazione in cui Bartimeo si trova: l’uomo è cieco, è seduto lungo la strada, è un mendicante. Queste realtà che a noi possono apparire solo limiti, invece, nascondono significati capaci di andare oltre e preannunciano le premesse giuste per il cambiamento dell’esperienza di Bartimeo. Più volte ho detto come proprio ciò che per noi è limite può diventare la sorgente della nostra forza, se permettiamo al Signore di agire in noi. Ed è questo che ci apprestiamo ad approfondire con la vicenda di Bartimeo.

Lui è cieco. Per un non vedente tutto è sempre buio, è sempre notte. Bartimeo non è però cieco dalla nascita se chiede a Gesù “Rabbunì, che io riabbia la vista”. Quest’uomo aveva assaporato la bellezza della luce e continua ad avere una profonda nostalgia di quella luce. Anche nei nostri bui più profondi se guardiamo bene, rimane la nostalgia della luce sperimentata, perché il Signore non gioca e non scatena black-out con la nostra vita, ma quando accende le “sue” luci, non le spegne più, anche se noi non ce ne accorgiamo.

E’ seduto lungo la strada. La strada solitamente è fatta per camminare e si percorre per raggiungere una meta. Bartimeo, invece, sulla strada non cammina, non ha una meta da raggiungere, lui è fermo mentre attorno a lui c’è molto movimento. Molte volte la vita è simboleggiata con l’immagine della strada, con il cammino. Allora possiamo affermare che Bartimeo si è seduto ai margini della vita, della sua esperienza, non ha chiaro dove andare. Nel momento in cui gli verrà donata la possibilità di assaporare il gusto della vita, sarà proprio il “seguire Gesù lungo la strada” a caratterizzare la sua esistenza.

Il mendicare. Abitudine a chiedere, a dipendere dalla generosità degli altri, tutto ciò indica una situazione di povertà e anche d’umiliazione per la persona. Proprio questa abitudine diventa però la sua possibilità e la sua umiliazione si cambia nell’umiltà di chiedere ciò di cui ha realmente necessità: riavere la vista. Molte volte per orgoglio o per altre ragioni commettiamo la stupidità di non chiedere ciò di cui abbiamo bisogno. Per queste possibilità nascoste dentro l’esperienza del proprio limite, nell’intimo del cuore di Bartimeo, non si è mai spento il desiderio di una vita nuova, di un incontro speciale. Per questo motivo è sempre attento ad ascoltare cosa accade intorno a lui.

Viene così a sapere che per la via sta passando Gesù, il Nazareno. Se prestiamo attenzione gli viene detto solo il nome e la città natale di Gesù. Non sono questi gli indizi capaci di fare di Gesù il Messia. Ma questo basta per far scattare l’incontro anelato e atteso da qualche tempo. Con ogni probabilità aveva già sentito parlare di Gesù e delle sue abilità taumaturgiche. Bartimeo inizia a gridare una vera e propria professione di fede personale: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me”. L’espressione “Figlio di Davide” dice tutta l’attesa messianica nascosta nel cuore di un giudeo. Per riconoscere il Messia non sono gli occhi fisici ma è necessario avere la luce interiore che illumina e guida. Alla fede si aggiunge l’invocazione d’aiuto: “Abbi pietà di me”, come a chiedere di manifestargli la realtà più vera dell’essere Messia, in altre parole andare incontro, usare misericordia, a chi è nel dolore, è misero, è povero.

Il grido di Bartimeo non significa solo la consapevolezza del suo bisogno di guarigione fisica. Esso dice la sua voglia di dare una svolta alla propria vita. Per questo lui non si blocca di fronte al suo male fisico, non rimane fermo a ciò che non può fare o non può avere. Semplicemente fa tutto quel che è in suo potere: urla forte, con quella parte di sé più vera. C’è una consapevolezza tenace in lui anche di fronte a tutti quelli che gli impongono di tacere: non solo grida ma “grida più forte”. Egli ha capito come l’incontro con Gesù può trasformare la sua esistenza e non vuole lasciarsi sfuggire quest’occasione.

Riflettiamo un istante sulle reazioni dei molti che stanno camminando con Gesù. Di fronte al grido di quest’uomo, lo zittiscono, lo sgridano. Quante volte i discepoli hanno pensato di dover proteggere Gesù dalle insistenze della gente che andava a lui. Poco prima lo hanno fatto con i bambini che gli facevano festa. Folla e discepoli diventano una possibile barriera nell’incontro dell’uomo con Gesù. C’è sempre contrasto tra il modo di agire di Gesù e le reazioni di chi lo segue.

La folla ha degli schemi di comportamento e Bartimeo deve superare anche questo blocco esterno. E’ il suo desiderio interiore che supera il limite imposto dall’esterno. D’improvviso la scena cambia, simile ad un procedere al rallentatore. Gesù si ferma. Lui non può essere sordo al grido di quest’uomo. Intorno cala il silenzio. Solo una parola si sente: “Chiamatelo!” Con l’imperativo è espresso, in modo delicatissimo, come Gesù è capace a cogliere ogni occasione per educare i suoi discepoli. Cambiano le parole, si modifica il tono di voce. Se poco prima c’era chi in modo autoritario e sprezzante voleva imporre il cieco al silenzio, adesso c’è un farsi vicino e sostenere l’uomo dandogli fiducia: “Coraggio! Alzati, ti chiama!”. Più stiamo con Gesù e ci lasciamo educare da lui, più anche i nostri modi di fare possono modificarsi. La chiamata di Gesù passa attraverso le persone che poco prima cercavano di tacitare il cieco e impedivano l’incontro. Sono proprio loro a favorire l’incontro con colui che chiama. Il fermarsi di Gesù ha cambiato il loro cuore.

Gesù si ferma e Bartimeo si muove, non perde tempo: “Getta via il mantello”. L’unica ricchezza del mendicante, che rappresenta un po’ tutto, casa, protezione, coperta. Quando si sente chiamato, Bartimeo getta via ogni sua sicurezza. E’ come un gesto di liberazione da qualcosa di troppo angosciante. Senza che Gesù glielo chieda, getta via il suo mantello e va da lui. Notate il contrasto con il giovane ricco che, poco prima, alla domanda di Gesù di condividere quanto aveva con i poveri, se n’era andato via triste perché incapace di staccarsi da tutti i suoi beni. Salta in piedi: la Parola che chiama provoca slanci, entusiasmi, fa scorgere ideali da raggiungere, mette in movimento, apre un nuovo orizzonte.

Va da Gesù, anche se ancora non vede non ha paura di inciampare perché ormai ripone tutta la sua fiducia in colui che lo ha chiamato. Questo è il suo orientamento sicuro. Finalmente Gesù e Bartimeo sono l’uno di fronte all’altro. Gesù gli chiede: “Cosa vuoi che io ti faccia?” Sembra assurda la domanda. Che cosa può volere un cieco? Eppure si tratta di una domanda centrale del vangelo: Gesù vuole rimettere la persona nella condizione di sapere realmente cosa desidera. Non sono sufficienti le parole immediate o superficiali, anche se essenziali. Attraverso una sola domanda vuole aiutare a fare verità. Bartimeo sa realmente cosa desidera.

Innanzitutto in fondo al cuore del suo desiderio c’è l’esigenza di una relazione intima e personale con Gesù. Lo comprendiamo dal modo con cui chiama Gesù: “Rabbunì”, cioè “Maestro mio”. Solo in seguito rende comprensibile la sua richiesta: “Che io riabbia la vista”. Tuttavia Gesù non è un distributore automatico di grazie, ma è il Maestro che sa cos’è realmente utile. Entrare in relazione con lui è la garanzia di ricevere ciò che maggiormente c’è necessario. Per questo la nostra preghiera di lode è chiamata innanzitutto ad essere una relazione intima e capace di elevarci ad una conoscenza profonda con Gesù. Se questo non ci riesce per i nostri egoismi, ci rimarrà l’amaro di una richiesta non esaudita o di una pretesa frustrata.

E’ ancora Bartimeo a dimostrarcelo. Gesù con lui non opera materialmente proprio nulla. Gesù si limita a costatare un miracolo già avvenuto: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Bartimeo è entrato in comunione con Gesù prima ancora di sapere se sarebbe stato esaudito; ha saputo avere una fede capace di invocare quando tutti l’obbligavano al silenzio, anzi ha avuto una fede capace di “gridare più forte” quando lo scoraggiamento o l’impedimento poteva predominare; ha lasciato quel poco che aveva e gettato spontaneamente il suo mantello per essere totalmente libero di andare da Gesù.

Molto semplicemente Bartimeo ha in sé quell’affidamento necessario per seguire Gesù. Non è stato guarito solo dalla cecità ma tutta la sua persona ha fatto esperienza della salvezza. Ormai questo ex cieco è capace di vedere, per questo comprende dove sta realmente il suo vero bene e, invece di andarsene, “prese a seguirlo per la strada”. L’incontro con Gesù lo ha messo in movimento e ora può seguirlo su quella strada che sale a Gerusalemme, al luogo dove l’amore troverà il suo compimento.

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