Sergio e Elena

Parte dodicesima – Idiosincrasia per defunti, ammalati, vecchi e portatori di handicap

In quei giorni tumultuosi subentrò in me, grazie a Elena, il mio angelo, un altro cambiamento molto importante. Fino dalla gioventù mi trascinavo il terrore dei defunti, e un senso di repulsione per i vecchi, gli ammalati e i portatori di handicap tanto che se mi capitava di sfiorarne uno mi lavavo le mani temendo chissà! Ebbene , oggi ringrazio Gesù Cristo per avermi scelto, per avermi plasmato, per avermi fatto suo strumento di pace.

Elena notò questa mia trasformazione profonda a casa di Rosanna. Non so esattamente affermare quando è accaduto, so solo che un giorno incrociai lo sguardo di Lino, il padre di Rosanna, incapace di proferire alcunché ed infermo nel letto da oltre un decennio, sembrava mi chiamasse e dicesse che era vivo, che esprimeva sentimenti e mi chiedeva perché non mi avvicinassi. Seguii il moto dell’anima e andai da lui piuttosto timoroso. Mi prese la mano nella sua, la baciò e mi sorrise amorevolmente. Accusai una fitta dolorosa al cuore e mi commossi. Compresi in quegli attimi intensi e interminabili che ero io quello che aveva bisogno di lui. Allora ricambiai quella stretta di mano e lo baciai sulla fronte. Poi conversai con lui e le risposte mi giungevano dai suoi occhi, Accanto a me c’era Elena che mi teneva il braccio e Rosanna e tutte e due piangevano dalla felicità

Gesù aveva compiuto un altro miracolo. Ero felice, le mie paure immotivate e le mie remore erano volatilizzate ed avevo compreso che ogni essere umano, soprattutto i più sfortunati e provati, hanno necessità di dolcezza, comprensione, misericordia, carità, in una parola sola di sentirsi amati da un amore vero ed incondizionato.

I segni. Le meraviglie del Signore.

Rammento che una mattina entrai nella locale farmacia del Borgo, per salutare il dottore che conoscevo da anni. Notai la vecchietta seduta su una sedia lamentarsi. Purtroppo la farmacia era piena di clienti. Allora mi avvicinai alla signora le presi le mani nelle mie e le sussurrai di stare tranquilla, che accanto a lei c’era Gesù, non le poteva accadere nulla di male. Il suo malessere passò all’istante, si alzò, salutò il farmacista e se ne andò.

Naturalmente la voce di ciò che era accaduto fece il giro del Borgo. Un’altra signora, nei giorni seguenti, mi accostò chiedendomi spiegazioni.. Io le narrai semplicemente cos’era accaduto. Lei ascoltò, quindi mi chiese di pregare per sua figlia, impegnata in un concorso per dei posti di educatrice. Le promisi che avrei pregato. L’indomani la ritrovai in Chiesa e all’istante mi chiese notizie. Io, anche per togliermela di torno, anche perché diventava assillante, le risposi che sua figlia si sarebbe classificata sedicesima e avrebbe ottenuto il posto. E questo fu il risultato., Dal canto mio ringraziai il Signore. Di fronte a queste cose mi schernivo, perché la tendenza a inorgoglirsi, in queste situazioni, è grande, io mi consideravo e mi considero come il servo della parabola che alla fine della sua giornata, non ha fatto altro che il proprio dovere. Periodo molto fecondo, perché assistetti la moglie di un amico ammalata di depressione suicida, a causa dell’inutilità della vita che conduceva. Oggi è guarita.

Poi iniziarono i ricoveri in ospedale. Il primo fu a San Camillo. Ricoverato per accertamenti, dal momento che accusavo dolori addominali .Ero disteso sul letto della cameretta dell’ospedale, quando la donna si avvicinò. Era entrata, con gli amici del figlio, ricoverato lui stesso, lasciandola presto sola. Mi disse, piuttosto esitante, che aveva bisogno di parlarmi. Mi rialzai sul letto, deposi il Vangelo sul comodino, e le strinsi la mano. In lei c’era qualcosa d’antico che la tormentava. L’invitai a confidarsi e così, tutto d’un fiato, confessò di avere abortito per ben due volte. Percepii, dalla tensione che vibrava ogni suo muscolo, la sofferenza di quel corpo, la lacerazione di quell’anima, il dolore del suo spirito lontano da Dio ormai da qualche tempo. Soffriva di sensi di colpa, di paure immotivate, di depressione e d’una situazione psicologica in frantumi. Era convinta, da quando aveva commesso i due crimini, che il Signore non l’amasse e l’avesse abbandonata, che il peccato commesso l’aveva perduta per sempre. Cercai di alleviare lo stato d’ansia rassicurandola, dicendole che il Signore, proprio in quella situazione drammatica le era accanto, che la sua misericordia e il suo amore sono talmente grandi da perdonare tutto, e che la parola fine nei suoi confronti non era stata pronunciata. Ma compresi anche che aveva una visione distorta di Dio.

Che ciò che le stavo dicendo rappresentava un inizio a conoscere davvero il Signore, e che se lo desiderava poteva avere un incontro con Lui, una relazione personale completamente nuova. Che Gesù era venuto sulla terra in forma umana proprio per aiutare gli ammalati, i peccatori, i senza speranza, liberandoci tutti dalla schiavitù del peccato. Le dissi che Dio la amava e il suo più grande desiderio era che lei conoscesse il suo amore, che doveva aprirgli la porta del cuore, accoglierlo, e lasciarsi amare da Lui, ricambiandolo con tutto il cuore. Aggiunsi inoltre che doveva scacciare l’idea del pensare comune che fa dire alla gente: “Non posso crederci. Io sono piena di difetti, di peccati, d’egoismo, non sono certa una santa, ho commesso due crimini atroci. Dio non può amarmi!”. Al contrario riaffermai invece che Dio voleva che sapesse che l’amava, proprio in quel momento, così com’era, e che anzi l’aveva sempre amata. Continuai a parlarle del Signore dicendole che Lui l’aveva voluta e desiderata; Lui aveva progettato la sua nascita, Lui l’aveva attesa immaginando e formando il suo volto, il suo corpo, il suo carattere. Le dissi che Dio le era Padre e che l’aveva accolta tra le sue braccia al momento della nascita, che Lui la seguiva ogni giorno della sua vita, sempre presente, anche nell’ora dei peccati, soffrendo con lei. Che il Signore le era sempre stato vicino, anche quando commetteva cose contrarie alla sua volontà. Così le consigliai di recarsi da un penitenziere in Duomo, implorare e abbracciare la Croce di Cristo Gesù chiedendogli, con umiltà, di perdonarla.

Oggi ripenso a quelle lacrime che le rigavano il volto chiedendomi fino a che punto giunge la stupidità dell’uomo quando si allontana da Dio. L’indomani ritornò a trovare il figlio. Sul suo volto di donna era scomparsa la vergogna e il dolore morale e spirituale della sua colpa e del suo misfatto. Fino al giorno prima stava morendo nel silenzio di una condanna, non trovando comprensione. Nel suo intimo, desiderava non avesse fatto quella scelta, non voleva ammetterlo perché sentiva che la sua colpa non trovava perdono, via d’uscita, riabilitazione, speranza. La strada intrapresa, il riscoprire l’amore di Dio, le aveva fatto rinascere la gioia della distensione e la pace interiore che le invadeva l’anima, lo spirito e il corpo dopo il perdono. La pace del cuore, le dissi, che è frutto del perdono misericordioso di Dio in Cristo Gesù, e aggiunsi, che si trattava di una grazia che ha il potere di mutare i cardini dell’esistenza. Lei stava male perché avvertiva il bisogno del perdono di Dio poiché la sua coscienza era esplosa diventando simile ad una polveriera a causa dei suoi disordini morali. Le spiegai che nel momento in cui il rimorso interiore sfugge ad ogni possibile controllo della coscienza, lo star male dell’anima pretende una risposta di verità o di condanna. Infatti, il disordine morale e il peccato non stanno mai da soli, ma si moltiplicano fino a divenire un modo o una maniera di vivere, quindi una condizione esistenziale tanto più suadente e persuasiva quanto più sa aggregarsi alla situazione di coloro che condividono la stessa sorte. Per concludere affermai che il male sa farsi pubblicità da solo. Infatti, la coscienza, accecata dalle passioni considera “progresso” ciò che è contro natura e contro la legge morale naturale, per il solo fatto che un numero crescente di persone, o la cultura vigente lo testimonia e lo rendono una moda, un costume.

Il giorno dopo venni dimesso.

Poi avvennero altri ricoveri, aventi tutti lo stesso copione. Persone che avevano bisogno di una presenza di fede. Cardiologia del quarto piano dell’ospedale. Dovevano applicarmi una macchinetta (holter, credo). Vennero due infermiere che battibeccavano tra loro. Nella stanza laboratorio, visto che non cessavano di brontolare. dissi loro che la macchinetta non funzionava su di me. Figuratevi, risero!. Uno, due e via. Niente la macchinetta non funzionava. La seconda, senza smettere di brontolare con la collega, le disse che non sapeva neanche fare un’operazione così semplice. Ci provò lei. E ancora una volta affermai che non funzionava. Infatti non dava segni di vita l’apparecchio. A questo punto mi guardarono con sospetto. Così parlai loro dicendo che non avevano ancora capito. Che il problema non ero io o le macchinette, ma il loro comportamento di fronte agli ammalati.. Dissi loro di sedersi davanti a me. Imposi loro le mani e intanto pregai in una lingua che mi era stata suggerita(locuzione interiore) al tempo dell’effusione dello Spirito. Terminato che ebbi, feci applicare le macchinette che, ora, funzionavano alla meraviglia. Loro…sorridevano felici. Si dicevano l’un l’altra che non avevano mai provato prima una cosa del genere. L’indomani vennero a trovarmi chiedendomi di rifare la stessa cosa del giorno precedente Dissi loro che non ne avevano più necessità che vivessero in pienezza di intenti verso i malati. Verso la fine della mattinata venni dimesso.

Tempo dopo venni ricoverato nuovamente in cardiologia, al quarto piano. La camerata dove venni assegnato era occupata da altri due pazienti. Salutai. Quello alla mia sinistra non mi degnò di uno sguardo. L’altro, quello alla mia destra bofonchiò, un’ imprecazione iniziando poi a tossire in maniera soffocante.

Mi sistemai nel letto assegnatomi, quindi presi la Bibbia e iniziai a leggere il testo del Siracide. Verso le cinque giunse in visita il cappellano dell’ospedale. Ero nuovo, quindi si avvicinò, per un saluto. Gli dissi che desideravo la Comunione. Mi ringraziò e stava per andarsene, quando il malcapitato imprecatore gli disse che anche lui desiderava la Comunione, ma prima voleva confessarsi. Il volto del cappellano si illuminò.

Era ricoverato da oltre due mesi, non riuscivano a trovare una cura per il suo male. L’indomani la dottoressa, raggiante, gli comunicò; che avevano trovato la cura e anche l’ospedale dove veniva effettuata. Io fui dimesso lo stesso giorno, prima di mezzogiorno. Rammento le parole del primario che disse . Righetti, ma che ci fai qua?

Credo fosse il 1998. Una notte, ancora prima di Natale, mi destai improvvisamente colto da un peso enorme che mi gravava in petto. Avevo il sentore di una tragedia che mi ricollegava a degli zii che abitavano sul confine svizzero. Elena percepì il mio agitarsi e mi chiese cosa avessi. Le narrai della strana sensazione. Mi consigliò di partire immediatamente per Domodossola.

Scoprii così cosa si celava in quello stare male. La figlia di mia cugina, che si era sposata qualche anno prima, matrimonio al quale avevo partecipato anch’io, non stava bene. Quando entrò in casa dei nonni, mi avvidi all’istante che qualcosa la turbava, qualcosa di grave. L’abbracciai, le parlai e le imposi le mani. Iniziò a piangere e tremare, qualcosa di molto brutto la teneva come legata. L’invitai a confessare dicendole che sapevo del suo problema col marito. La bomba deflagrò. Marito e suocera la costringevano a riti di magia nera e satanici. La portai, quando si fu calmata, dal suo parroco, cioè da colui che l’aveva unita in matrimonio. Lui intimò di allontanarsi immediatamente da quella casa e di non metterci più piede. Così si salvò. Gli zii, vedendo cosa era accaduto, mi riferirono che il marito di zia Letizia, aveva avuto un ictus e non parlava, oltre a non muovere più il braccio sinistro. Mi recai a trovarlo. Era proprio come mi avevano detto. Pareva un mummia. Lo guardai e so che mi riconobbe. Purtroppo non avevamo mai avuto dei grandi feeling, anzi era esattamente il contrario. Comunque sia, disse alle zie, di lasciarmi solo con lui. Mi portai dietro le spalle e gli imposi le mani pregando il Signore.. Improvvisamente la voce uscì dalla sua bocca chiamando sua moglie, Voleva un caffè e lo disse alzando il braccio sinistro. Le zie urlarono di gioia. Pregai loro di andare a Messa, pregare e confessarsi. Lo hanno fatto? Non lo so!. Lo stesso giorno rientrai a Cremona, altre persone mi attendevano.

Quante mani ho stretto tra le mie, ridonando speranza nel futuro. Quante conversioni sono seguite a quelle strette? Quante guarigioni? Non saprei. Non rammento tutti i nomi. Ero instancabile. Dalle suore, dove ricevevo le persone, si presentò una giovane coppia di sposi che erano in procinto di separarsi. Lui non voleva figli, e lei sì. Beh, per farla breve, sono ancora felicemente sposati e hanno un magnifico bambino. Il Signore è grande nel suo amore. Un domenica andammo io e Elena al campeggio (mi invitano ancora oggi) chiesero della nostra conversione e noi raccontammo di come Gesù ci trasse dalle tenebre portandoci alla luce della verità. E come ci incamminò sulla strada dell’amore. Li invitai a lasciarsi trasformare dall’amore. Ad un certo punto mi supplicarono di smettere di narrare. Piangevano a dirotto e dissero: “Ci fate morire!” Ma la gioia traspariva dai loro volti. Alcuni hanno proseguito nella strada indicata, altri sono ancora nel deserto dell’aridità spirituale.

I segni più recenti risalgono al 2008 in ospedale, poi in una farmacia per la guarigione delle mani e dello spirito di alcune persone, la testa di una donna, fino ai giorni nostri. Non so come, e neanche mi importa saperlo. Però so che sto servendo Gesù, come suo strumento, seguendo il moto dell’anima.. Le persone rimangono affascinate da come parlo loro, da come leggo la Parola. E l’opinione più comune che hanno di me è questa:

  • Che ho due grandi amori: Gesù e mia moglie Elena;
  • Sono una brava persona;
  • Una persona che lascia una scia di bontà;
  • Una persona che ha varcato il confine tra terra e cielo;
  • Una persona che proclamando la Parola di Dio suscita emozioni;
  • Una persona che parla con semplicità e umanità del Vangelo.