Sergio e Elena

Parte undicesima – La vita comunitaria

L’esistenza riprese il suo ritmo normale: lavoro, famiglia, parrocchia, suore con l’adorazione, e visite domiciliari. Però, qualche tempo dopo, le tensioni e gli stimoli emotivi stavano affievolendosi nei fratelli e nelle sorelle. ci accorgemmo che non vi era nulla della nostra esistenza di credenti che ci potesse liberare dalla tentazione di abituarci a Dio (peccato di superbia). In siffatta situazione l’immagine di Dio si impoverisce, sbiadisce, resta una specie di entroterra indecifrabile su cui si snoda una vita misurata dalla nostra quotidiana mediocrità, preoccupata di tutto fuorché di Lui. Il fatto è che siamo sempre tentati di ripiegarci su noi stessi, abituati alle nostre sconfitte, alle nostre sicurezze, ai nostri giudizi. E così a volte abbiamo strani modi di vivere la nostra fede. Vogliamo tenere aperte le strade per poterci ritirare da Dio appena Lui ci impegna troppo. Teniamo vive tutte le nostalgie di una vita senza Dio. Ascoltiamo tutti i dubbi che possono riguardare il suo amore. E’ in questa circostanza, cioè vivere e pensare come se Dio non ci fosse, che il serpente malefico ci insinua la possibilità che si possa farne a meno conservandoci quel cattivo fascino. Questa è la tentazione che distrusse la comunità di preghiera. L’insinuarsi del serpente malefico. Non riuscimmo, io e Elena, a fermare la diaspora (a distanza di anni, sono ritornati tutti, ma noi eravamo ormai lontani da Cremona).

Per continuare la nostra crescita, entrammo a far parte del Rinnovamento Carismatico della Chiesa Cattolica. Fummo incorporati in uno dei Cenacoli di preghiera. Conoscemmo tanti fratelli e sorelle che condividevano gli stessi ideali cristiani: preghiera di lode, invocazione dello Spirito Santo. Imparammo a pregare per gli altri e condividere i fardelli degli altri e tanto altro ancora, proprio come aveva detto San Paolo, “Tristi con chi è nel pianto, e gioiosi con chi è felice” Ci recavamo molto spesso a Peschiera del Garda, dove si riuniva la comunità tutta. Partecipammo a convegni di preghiera carismatica e a Messe carismatiche. La fratellanza, la comunanza con i fratelli e le sorelle ci fecero comprendere in profondità il significato di “portare il peso gli uni degli altri”. I canti gioiosi coinvolgenti, gli abbracci con sconosciuti perché fratello o sorella. I riposi nello Spirito. La manifestazione reale della nuova Pentecoste. Il desiderio di salire sui tetti e gridare al mondo che il Signore Gesù è vivo, è reale, è Risorto ed è in mezzo a noi, amandoci. I meravigliosi segni che avvenivano quotidianamente in chi aveva bisogno. La gioia traboccante di quegli anni ci è rimasta nell’anima, è una cosa che non si cancella più. Perché dove arriva Gesù, Lui fa nuove tutte le cose pur senza cambiarle.

Così ci mettemmo ancora in discussione per essere d’esempio agli altri. Guardammo in noi con rinnovata sincerità. Potevamo scordarci che nell’ascolto della Parola dapprima avevamo provato il tormento dell’inquietudine e poi la pace e la gioia? Anni addietro avremmo ipotizzato un cambiamento così repentino di mente e di cuore di questa portata? No, di certo! Se a quel tempo ci avessero detto e predicato la passione e la morte di Gesù Cristo in Croce per la salvezza dell’umanità, o della deleteria e nefasta presenza del demonio, non avremmo forse risposto di lasciarci in pace, che si facessero gli affari loro, che tutta la storia era superstizione e pazzia?

Approfondimmo l’indagine. Avevamo incontrato Dio, di questo non avevamo ombra di dubbio e ci trovavamo in questa situazione perché la Parola ci aveva messo in discussione, rimescolandoci le carte della vita. Il fatto, e quanta fatica a cedergli, è che Dio nella sua infinita bontà e misericordia ci aveva scelti in mezzo ad una generazione che più non lo conosceva, che come valore primario ha posto il denaro, il successo, il divertimento, secondo una traccia strana. Quindi non dovevamo avere né timore, né vergogna, né orgoglio per questo.

Dinanzi alla Parola ci eravamo aperti all’accoglienza docile, umile e fiduciosa. Il nostro atteggiamento interiore di amorevole obbedienza, di confidenti nell’amore di Dio stava diventando il pane del quale vivere ogni giorno. Ma ci mancava ancora qualcosa, quel qualcosa che ci avrebbe permesso di essere veramente strumenti di pace: la grazia del perdono. Frequentammo una serie di “lezioni” relative al movimento carismatico di preparazione per ricevere l’effusione dello Spirito. Cosa che avvenne il giorno 07/06/1998. Ambedue, Elena ed io, ricevemmo il battesimo nello Spirito, durante la cerimonia a Peschiera del Garda. I fratelli che pregarono per noi, oltre a invocare lo Spirito Santo su di noi, enunciarono una profezia e il richiamo di alcune letture Sacre:

“Salite la scala di questo cammino tenendovi per mano. Quando sarete sopra, voltatevi e vedrete la moltitudine che vi avrà seguito. Confidate sempre nella mia misericordia”.

Galati 5,22-23 – Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge.

Isaia 45,22-23 – Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non c’è un altro. Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua.

Atti 15,17 – “…perché anche gli altri uomini cerchino il Signore e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome,…”

Osea 14,10 – Chi è saggio comprenda queste cose, chi ha intelligenza le comprenda; poiché rette sono le vie del Signore, i giusti camminano in esse, mentre i malvagi vi inciampano.

A questo punto tutto l’impossibile divenne possibile.