La Liturgia – Cap 8

Liturgia e antropologia

Premessa

L’incontro tra Dio e il suo popolo nella liturgia si realizza per mezzo del ministero di persone, membri dell’assemblea, le quali agiscono attraverso azioni simboliche, chiamate riti. Lo scopo e la natura propria dei riti nelle celebrazioni sono d’essere mezzo di comunicazione, nella fede, tra Dio e il suo popolo, per realizzare l’alleanza. Questi riti comportano parole e gesti. Questi ultimi, poi, implicano l’uso di determinate cose.
E’ dunque importante cercare di ottenere e promuovere una comunicazione il più possibile perfetta nell’esecuzione di quest’azioni-segno. Già Sant’Agostino rilevava la funzione sociale dei riti nella comunità cristiana, affermando che questa è riunita “attraverso una comunanza di segni e sacramenti visibili”.
Uno studio contemporaneo, poi, afferma che il recupero di una ritualità espressiva e aderente all’esperienza dell’uomo d’oggi è quanto mai urgente ed è problema molto importante, nota acutamente che alla radice dei fenomeni sempre più preoccupanti d’evasione, come quello della droga, c’è la mancanza di un’espressiva ritualità.
In queste brevi note, pertanto, cercherò di riassumere alcune indicazioni, che stimolino la ricerca e l’interrogativo sulla dimensione rituale della fede, soprattutto all’interno delle istanze secolarizzatici contemporanee. La convinzione di fondo è, infatti, quella che: “…sarebbe tragico se le Chiese, succubi del razionalismo imperante anti-mitico e anti-rituale, deponessero le armi e non lottassero per la riscoperta e la ristrutturazione della dimensione rituale della fede. L’uomo non vive di solo pane. I suoi bisogni non sono soltanto quelli di mangiare e di possedere una casa. La salvezza dell’uomo è legata allora a forme rituali da ripristinare e reinventare? In questo caso, il tradizionale e famoso assioma teologico che “senza i sacramenti non si ottiene la salvezza”, riacquisterebbe il suo spessore esistenziale e il suo profondo significato”.

Struttura antropologica dei riti cristiani

L’attenzione alla dimensione antropologica o umana dei riti si spiega con la preoccupazione di superare il cosiddetto dualismo tra i riti cristiani e la vita dell’uomo moderno. La situazione di crisi, di disaffezione o addirittura d’abbandono dei sacramenti è dovuta al fatto che per molti questi riti appaiono come vuoto formalismo, senza radici nella realtà umana concreta. Per questo si è diffuso un atteggiamento che tende ad esaltare il cristianesimo della vita vissuta, mettendo in dubbio il senso e l’importanza di un doppiaggio rituale. D’altra parte le moderne antropologie hanno riscoperto l’enorme importanza della dimensione simbolica dell’uomo, sottolineando come i simboli religiosi fondamentali non sono inventati da lui. Si tratta allora di rendere più credibile i riti sulla base di una più adeguata comprensione di ciò che l’uomo fa e intende esprimere attraverso i simboli religiosi.
Ecco perché necessita anzitutto puntualizzare il significato fondamentale dell’atteggiamento simbolico religioso.

Il rito è riconoscimento e presenza della trascendenza

Il rito religioso autentico nasce dalla consapevolezza che la vita dell’uomo non si esaurisce in beni di consumo, scienza, politica, ecc…, ma è confrontata con un’altra realtà, che conferisce un significato permanente all’esistenza. Di volta in volta questa realtà è chiamata: l’Altro, il Sacro, la Trascendenza, Dio…
Il rito religioso autentico è dunque un modo di riconoscere ed esprimere che l’esistenza è fondamentalmente coinvolta in un altro Ordine, che fa appello alla risposta umana, perché s’inserisca in lui, trovandovi il compimento. Il rito religioso apre pertanto l’uomo al mistero della Trascendenza, rendendo presente, attraverso i simboli, e quindi in modo simbolico, la realtà che è significata dai simboli stessi. Nella tradizione patristica “symbolon” era la tavoletta composta di due parti, che era valida quando le due parti venivano di nuovo ricomposte, perché solo allora appariva l’immagine per il cui segno uno era riconosciuto e ammesso come ospite ad un convito o assemblea. Il simbolo è dunque una doppia realtà, ossia qualcosa che esiste realmente o in due elementi o su due piani, che si richiamano a vicenda: è una cosa, un fatto, una persona che, oltre la realtà visibile che mostra, ne contiene in sé contemporaneamente una invisibile, alla quale la prima si riferisce. Il legame tra simbolo visibile e la realtà significata invisibile è convenzionale ed è assicurato dalla Parola. Attraverso la realtà che rappresenta, il simbolo si carica d’esperienza umana e la sua figura immaginaria mette in movimento l’affetto e il desiderio. Per questo la fede in Dio, l’ascolto, il rivolgersi a Lui…sono la matrice del rito religioso autentico. Altrimenti diventa formalistico o sacralizzazione di strutture sociali o economiche alienanti. Quindi i riti religiosi perdono il loro significato, quando non funzionano più come linguaggio, in cui persone viventi e credenti esprimono la loro comunione con Dio; quando cessano di essere il luogo dove l’uomo si apre e si dischiude, nell’ascolto e nell’impegno, a Dio, che sta all’origine della sua esistenza e lo chiama ad uscire da sé nel rinnovamento radicale della propria vita e della convivenza umana.

Il rito fa riferimento costitutivo ai grandi problemi esistenziali

La conoscenza e la comunione con Dio non si fanno senza l’esperienza originaria, in cui l’uomo si scopre creatura in cerca di una risposta ai problemi che determinano il senso della sua esistenza.
Il rito religioso, intrecciato sulle esperienze che sollevano il problema della trascendenza, diventa significativo quando l’uomo si scopre creatura bisognosa di salvezza e di redenzione. Cessa di essere tale, invece, quando i problemi esistenziali di fondo sono interpretati come problemi tecnici e risolti unicamente in senso orizzontale, con il solo apporto umano. Soprattutto la secolarizzazione ha contribuito a far prendere questa piega. Per questo, prima di poter introdurre ai riti religiosi e cristiani, ci vuole un’educazione alla percezione di tali problemi, che offrono la spazio concreto della dimensione religiosa. Non bisogna dimenticare, infatti, che non tutti disertano i riti per una presunta insensibilità simbolica dell’uomo moderno, ma perché temono il confronto con i simboli religiosi: soltanto questi mettono in questione l’uomo stesso nel profondo del suo essere, nonché l’autosufficienza della cultura secolarizzata.

Il rito espressione della vita umana di fronte a Dio

Va sottolineato anzitutto che il rito è un’azione umana, che ha il primato rispetto ai simboli materiali che sono adoperati. Sono, infatti, i comportamenti e le azioni simboliche, illuminati dalla Parola, che conferiscono alle cose il loro significato specifico. Il battesimo, ad esempio, non diventa tale perché si fa uso di acqua, che avrebbe già il significato naturale e simbolico di cancellare i peccati. L’acqua del battesimo, al contrario, prende un significato specifico dall’incontro dell’uomo credente con il mistero di Cristo: l’immersione nell’acqua diventa il simbolo della morte e della risurrezione di Gesù di Nazareth. Quando questo rapporto è rovesciato, allora il rito comincia a degenerarsi (=si insiste sugli oggetti sacri, sulle formule da pronunciarsi scrupolosamente, ecc..) apparendo più o meno esplicitamente come azione magica: basta porre determinati gesti e parola, secondo un preciso rituale perché sia prodotta la grazia o il cambiamento dell’uomo.
Inoltre il rito religioso autentico, poiché azione umana, esprime la vita vissuta di fronte a Dio. Infatti, il rito non solo risulta sfasato, ma anche incomprensibile e impossibile, se le sue realtà fondamentali non sono già presenti a livello di vita vissuta: lode, preghiera, adorazione, fedeltà, lotta contro il male, impegno per la carità, ecc…
La prima condizione per riavvicinare il rito religioso alla vita umana è dunque nel fatto che l’uomo viva realmente e concretamente quanto è poi celebrato. Certo, questo non significa che le celebrazioni liturgiche siano i luoghi adatti per cercare soluzioni tecniche ai tanti problemi dell’umanità. Ciò che deve essere presente nel rito, invece, è l’impegno concreto dell’uomo che lavora nei settori “profani” con l’intento di realizzare in tal modo un nuovo ordine umano, basato sull’amore, sulla carità, sulla pace e sulla giustizia. Il rito autentico deve riconoscere esplicitamente quest’impegno nelle sue articolazioni principali e più sentite, portandolo simbolicamente di fronte a Dio.

L’efficacia propria dell’azione simbolica

Ogni azione umana autentica non trasforma soltanto un oggetto a una cosa, ma anche l’uomo stesso. Così, in un rito religioso, in cui l’uomo si mette di fronte a Dio mediante azioni simboliche, il solo fatto di consacrare tempo alla partecipazione, può costituire una reale liberazione: sottrarre l’uomo al predominio dell’orizzontale e del funzionale..
Il rito autentico apre l’uomo al mistero fondamentale della sua esistenza: l’ascolto della parola di Dio getta una forte luce sull’orientamento di fondo della vita; l’offerta simbolica di se stesso fortifica la motivazione concreta per vivere nel senso voluto da Dio; il confronto con i grandi simboli religiosi lo obbliga a riflettere, a interrogarsi…Si può dunque affermare che l’uomo, il quale entra personalmente in un rito religioso autentico, svolge una attività che lo trasforma profondamente. In questo senso si può parlare di “promozione umana” nella liturgia, perché questa non è mai disincarnata, infatti, la liturgia abbraccia tutte le dimensioni storiche della salvezza: passato, presente e futuro; ogni atto liturgico riattualizza la missione radicata nel Battesimo: ci manda ai fratelli.
Difficilmente si può dire che l’efficacia, di cui parla la teologia dei sacramenti, sia del tutto dissociabile da quest’efficacia specifica, che si rivela a livello dell’analisi antropologica del rito. Dio sembra servirsi in modo particolare, anche se non esclusivo, di questi riti per realizzare la liberazione e trasformazione dell’uomo. Questa non è tanto sentimentale (=sento che sono diverso); ma a livello di comprensione, di motivazione, di decisione. E non è mai conquista autonoma dell’uomo: è opera di Dio, che si serve dell’uomo per liberarlo e trasformarlo.

Il legame con la comunità

Il rito è una forma di linguaggio, frutto di una convivenza umana che vi trova la sua espressione. Esso è dunque orientato verso le persone che attraverso tale linguaggio intendono comunicare nell’espressione religiosa della loro esistenza comune. Si tratta di un linguaggio esistenziale, non concettuale: per questo non può essere “parlato” in senso autentico, senza condividere con altri un determinato atteggiamento di vita. Per comprendere il rito e viverlo significativamente è dunque necessaria l’appartenenza a una comunità di fede vissuta nella concretezza del mondo. Altrimenti si è come turisti, spettatoti estranei. Bisogna però porre attenzione alla radice di tale fraternità, all’origine comune di tutti i suoi appartenenti.
Si è coinvolti, infatti, nella stessa esperienza, perché creati dallo stesso Dio, interpellati dallo stesso appello, coinvolti in uno stesso ordine, che va ancora realizzato attraverso l’impegno comune…Se non si trascura questa dimensione trascendente, il rito diventa sorgente di fraternità e di impegno comune nel mondo. Altrimenti, ridotto a puro fatto sociologico, può avere aspetti positivi e negativi, perché può anche funzionare come strumento di sacralizzazione e di conservazione di un determinato ordine sociale. E’ soprattutto l’Eucaristia a realizzare al massimo l’autentica dimensione comunitaria.

Conclusione

Di fronte al rito, al culto, l’uomo può assumere tre atteggiamenti divergenti:
1- Non vedendo il “mistero di Dio nel visibile” giungere a fare astrazione della sua dimensione trascendente, finisce per chiudersi in se stesso. Il rito apparirà allora come alienazione.
2- Vedendo solo il ” mistero di Dio” e collocandolo nell’invisibile, giunge a fare astrazione dalla vita concreta, per rifugiarsi in uno spiritualismo pietista e rituale.
3- Vedendo solo la sua soddisfazione spirituale immediata, giunge a fare astrazione della sua personalità, per quanto riguarda i problemi umani, per affondare in un ritualismo all’interno di una comunità chiusa, dove vive come in una serra.
La principale funzione del rito è appunto quella di permettere l’incontro tra Dio e l’uomo, in un modo che l’umano non sia assorbito dal divino, ma conservi la propria densità. Certo, tra l’uno e l’altro si crea tensione…Ma il rito permette alla realtà umana di rimanere ciò che è, pur orientandosi verso Dio.
Nel rito l’uomo può entrare in un evento oggettivo, che non dipende da lui, ma nel quale Dio viene a lui. Per mezzo del simbolo, essenziale per il rito, si realizza l’irruzione del mondo divino in quello umano, senza tuttavia permettere all’uomo di scoprire il primo. Il simbolo assicura soltanto la presenza del Dio assente (=invisibile), la manifestazione di un mondo invisibile in un segno visibile. E, nello stesso tempo, ha la funzione di formare il credente. Non c’è rito senza simboli, non c’è simbolo senza parola. Questo rende comprensibile il rito: non deve informare il fedele, comunicargli degli insegnamenti, ma formarlo, rivelandogli la promessa racchiusa nel rito, per invitarlo ad abbandonarsi totalmente a Colui che s’impegna con lui.
Il rito appare cos’ elemento costitutivo dell’autentica esperienza cristiana. La liturgia, che, a prima vista, sembrerebbe la segregazione, la separazione, l’entrare in Dio, isolandosi dalle realtà umane, quando è integrata in un’interpretazione cristiana, è il momento supremo della riconciliazione, dell’armonia, dell’unione di tutte le pluralità, che costituiscono la vita dell’uomo.

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