La Liturgia – Cap 7

La liturgia attuazione del Mistero Pasquale

La S.C. riconosce che in Cristo si è attuato concretamente il disegno salvifico del Padre. Questa redenzione degli uomini, che è anche glorificazione di Dio, si compie al momento della morte-resurrezione-ascensione di Cristo, che la S.C. riassume con l’espressione “mistero pasquale”: “Quest’opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell’A.T., è stata compiuta da Cristo Signore, specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, resurrezione dai morti e gloriosa ascensione…” (S.C. 5).
Il Concilio dà dunque a questi momenti dell’opera di Cristo il comune denominatore di “mistero pasquale”.

La Pasqua centro della storia della salvezza

Con il nome di “Pasqua” nell’A.T. si indica l’intervento di Dio a favore degli uomini, che implica concretamente, la loro liberazione. Pasqua è, infatti, la liberazione d’Israele dall’Egitto, che non va solo vista come la fuga di un gruppo di persone per sfuggire all’oppressione, ma ha anche il significato di una vocazione, di una chiamata d’Israele a lasciare il culto idolatrino e a servire il vero Dio (Es.3,13-20; 6,7-8; 19, 3-6 ecc…).
Il fatto pasquale avrà un’importanza determinante nella storia del popolo ebraico, in quanto popolo di Dio, perché su di lui si fonderà la coscienza di un’alleanza eterna tra Dio e Israele e poi con tutti gli uomini. Prima di stipulare l’alleanza si farà sempre riferimento al fatto della Pasqua. Dio dirà: “Io ti ho liberato: ti ricordi?”.
Questa liberazione diventa così garanzia anche per il futuro, quando avverrà la vera, totale, definitiva liberazione del popolo, di cui quella dell’Esodo è solo un anticipo, una caparra.
Il senso della Pasqua trova la sua piena realizzazione in Cristo: in Lui, infatti, “liberazione” e “salvezza” non sono più soltanto parole annunciate, ma diventano parola “incarnata”. Cristo è salvatore e salvezza (Lc.2,11; Gv.4,42; At.5,31; Ef.5,23 ecc…): per mezzo di Lui l’umanità è entrata veramente in quella liberazione, che Dio dall’eternità pensava e voleva per tutti gli uomini.
Non si tratta più dunque di una Pasqua simbolica e portatrice di una promessa di salvezza, ma di una Pasqua perfetta e totale; una Pasqua eterna, la quale realizza una presenza e un passaggio del Figlio di Dio che, essendosi incarnato, non cesserà mai più di essere vera liberazione degli uomini: “Rimarrà con noi fino alla fine dei secoli” (Mt.28,20). La S.C. qualificando come Pasqua tutta l’opera redentrice di Cristo, le ha anche assegnato il posto centrale della salvezza.
Già nella storia d’Israele-popolo di Dio la Pasqua rappresenta il centro dinamico, in quanto tutta la predicazione profetica e la tradizione vi fanno riferimento. Tanto più Cristo, che porta a compimento la Pasqua antica, quando passa da questo mondo al padre (Gv.13,1); situa nel centro della storia della salvezza la sua morte-resurrezione-ascensione, che sono appunto i tre momenti della Pasqua vera e reale, diventata unica ed eterna per il mondo intero.

La Pasqua centro della liturgia

Pasqua non è soltanto il momento storico della liberazione dell’uomo da parte di Dio, ma anche il momento rituale di quell’avvenimento: “Allora i vostri figli vi domanderanno: che significa questo atto di culto? Voi direte loro: E’ il sacrificio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto…” (Es.12,26-27).
La Pasqua divenne così, fin dall’A.T., una delle grandi feste, in cui si celebrava un rito-memoriale. Che cosa significa? Attraverso il rito Pasquale, l’avvenimento delle origini ridiventava ogni anno una realtà presente, rendendo quasi contemporanee tutte le generazioni che a lui si accostavano (Es.12,14).
La centralità dei fatti pasquali era così trasferita nel rito e attorno a questo si radunava tutto Israele.
E’ chiaro che anche nel N.T. il momento rituale della Pasqua non solo non perderà la sua importanza, ma anzi l’accrescerà infinitamente, perché ora anche il momento rituale si situa a quel livello di realtà che è proprio della Pasqua di Cristo: “Ciò che era visibile nel nostro Redentore è passato nei riti sacri”.
La Pasqua di Cristo si attua ora nella liturgia, per mezzo dei segni reali ed efficaci, e cioè comunicanti la salvezza realizzata dal Redentore.
Se prima della Pasqua erano solo segni, ad esempio della purificazione (=battesimo), dopo l’avvenimento pasquale hanno efficacia, cioè diventano veicolo della reale salvezza esistente in Cristo e la realizzano in forza della sua morte-resurrezione.
I diversi aspetti della salvezza (=essere figli di Dio; portatori dello Spirito; avere la remissione dei peccati; essere sacerdoti ecc…) costituiscono nel loro insieme la Pasqua, che, nelle celebrazioni liturgiche, è annunciata e partecipata agli uomini. Così per il mistero pasquale della morte-resurrezione si rinasce nel battesimo figli di Dio (Rom.6,3-6); è comunicato lo Spirito Santo della Cresima (At.2,33); si rimettono i peccati (Gv.20,22-23).
Per questa ragione tutti i sacramenti, pur dando ognuno una particolare comunicazione al mistero totale di Cristo, sono in qualche modo legati all’Eucaristia: “Dal mistero pasquale tutti i sacramenti e sacramentali derivano la loro efficacia”.
Per questo nell’anno liturgico ogni mistero del Signore, dalla nascita all’ascensione-pentecoste, è celebrato nell’Eucaristia. Per questo si inculca ripetutamente che la celebrazione efficace del mistero pasquale è l’oggetto centrale di tutte le feste cristiane, anche di quelle dei Santi: “Con l’uccisione di Cristo, la Pasqua è diventata l’autentico ed unico sacrificio per liberare non un sol popolo dalla tirannia del Faraone, ma il mondo intero dalla schiavitù del demonio. E’ questo dunque, o miei cari, l’altissimo mistero (=sacramentum, segno efficace), cui fin dall’inizio sono stati subordinati tutti gli altri misteri. Ora, conclusa la serie dei diversi sacrifici carnali, è l’unica offerta sacrificale del tuo corpo e del tuo sangue ad integrare tutte le specie di vittime…ed in Te compi tutti i misteri, facendo nascere da tutte le nazioni un solo regno, come esiste al posto di tutte le vittime un solo sacrificio “(San Leone, Tract.59 e 60).

Liturgia e sacramentalità

Nella presentazione della S.C., la liturgia appare globalmente come una realtà sacramentale ed è costituita essenzialmente dal sacramenti veri e propri. In questo contesto è bene chiarire i rapporti che intercorrono tra Sacra Scrittura e Liturgia e tra rito e liturgia, proprio perché componenti ordinarie di ogni sacramento.

Sacra Scrittura e liturgia

Un legame tra Scrittura e liturgia è sempre stato affermato, se non altro perché quest’ultima è il luogo pubblico e ufficiale della Bibbia e della sua spiegazione.
La liturgia della parola, come parte dell’Eucaristia, si fa risalire all’uso vigente nella sinagoga ebraica. Il culto che in essa si esercitava era tutto incentrato, infatti, sulla Scrittura. Tuttavia questa spiegazione storica va ulteriormente approfondita. La redazione della Scrittura è avvenuta soprattutto in vista di una lettura-riflessione degli avvenimenti di salvezza nella liturgia. L’annuncio della Sacra Scrittura ha come contenuto Cristo, anche per l’A.T. (Lc.24,27-44). E’ quindi un annuncio perenne, che non si esaurisce. Ebbene: questo annuncio si avvera nella liturgia. Allora si può affermare che la Sacra Scrittura è l’annuncio perenne del piano di salvezza, la liturgia è l’attuazione di esso, nel rito, nel segno. Questo vale per tutti gli avvenimenti, anche quelli di Cristo: si avverano nella liturgia.
Quindi come la Scrittura, in tutte le sue fasi, è sempre annuncio della salvezza, così la liturgia, in tutti i suoi momenti, è sempre avveramento, realizzazione di essa sul piano rituale. Per cui si può assicurare che la liturgia cristiana sta alla Scrittura come la realtà di Cristo sta all’annuncio. Si possono sottolineare alcune importanti conseguenze:
– La liturgia, proprio per questo aspetto di avveramento di un annuncio, esige la lettura della Scrittura, non a scopo edificante, ma come componente indispensabile. Ecco perché ogni celebrazione sacramentale, dopo la riforma conciliare, ha sempre una liturgia della Parola.
– Siccome la liturgia è sempre rivelazione in atto, in quanto è il momento in cui “a Parola diventa carne e viene ad abitare in noi” (Gv.1,14), essa realmente ci trasforma, con la forza dello Spirito, nell’immagine di Cristo, dandoci una sempre più chiara comprensione di Lui (2^Cor.3,14-18).
– Allora la Scrittura nella liturgia cessa di essere morta parola scritta, per assumere sempre più il ruolo di annuncio-proclamazione di un avvenimento di salvezza che si fa attuale, presente, nell’oggi. Cristo da realtà annunziata diviene realtà comunicata, in forza della sua presenza reale e attiva nella liturgia cristiana. E’ la stessa S.C. ad affermarle, quando presenta la predicazione come: “…l’annuncio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza ossia nel mistero di Cristo, mistero che è in noi sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche”. In questo modo la conoscenza di Gesù, la rivelazione di Lui che la Bibbia ci dà, si fa esperienza di lui nella liturgia, la quale completa allora la Scrittura.

Rito e liturgia

Nel considerare la liturgia, bisogna evitare due estremismi:
– quello di vederla come un puro e semplice ordinamento di riti, di cerimonie ecc….
– quello di escludere automaticamente in essa ogni forma di rito, appellandosi allo spiritualismo del culto.
Il pericolo del ritualismo non deve quindi far dimenticare che il rito rientra in quella naturale esigenza che l’uomo ha di servirsi di segni per esprimere i propri sentimenti e atteggiamenti, tanto sul piano umano che divino. Soltanto in campo cristiano il rito non è anzitutto espressione di un sentimento umano sul piano religioso, ma piuttosto segno di quella speciale realtà divina che è Gesù Cristo. Insomma è segno non del rapporto che l’uomo cerca di stabilire con Dio, ma nel rapporto di Dio con gli uomini.
La salvezza, infatti, è divenuta realtà in Cristo, il quale è sacramento o immagine (cioè segno reale, carico di contenuto) di Dio invisibile (Col.1,15), cioè segno dell’amore con il quale Dio Padre agisce per la salvezza degli uomini. Tutto passa ormai attraverso di Lui (Col.1,15-20). In dipendenza da questo segno-sacramento che è Cristo stanno anche i segni liturgici del culto cristiano.
Questi sono espressione e attuazione del mistero di Cristo, reale e permanente. Dunque i riti cristiani sono segni reali, non solo intenzionalmente, ma oggettivamente, storicamente, in quanto attuano la stessa realtà a cui si riferiscono e cioè il fatto storico di Cristo.
I riti cristiani diventano come una continuata incarnazione, rendono permanente l’avvenimento di Cristo. Come le opere del Signore erano segni che esprimevano attuavano la volontà di salvezza del Padre, così le azioni liturgiche sono, sul piano rituale, i segni del perpetuarsi di questa rivelazione-attuazione della salvezza avvenuta in Cristo (Gv.2,11-23; 3,2; 6,26; 11,47; 12,37; 20,30).
In questo la liturgia cristiana si differenzia da qualsiasi altro culto. Questo, infatti, è solitamente inteso come un atteggiamento interiore di venerazione, che si esprime in gesti esteriori (sacrifici, offerte, uso di incenso, luci, canti, genuflessioni ecc…).
La liturgia cristiana non sconfessa tutto ciò, anzi, lo presuppone, a livello umano. Ma essenzialmente essa non è puro atto di culto, concepito come azione umana nei riguardi di Dio. Piuttosto essa è presenza di azione divina sotto forma rituale. Insomma: la liturgia cristiana non è un complesso di riti attraverso i quali l’uomo offre a Dio delle adorazioni per esprimere il proprio atteggiamento interiore. Al contrario è un complesso di segni che, inserendo nel mistero di Cristo i singoli uomini, li fa figli di Dio, i quali per la loro esistenza sul piano soprannaturale, rendono culto a Dio.
Attraverso la liturgia gli uomini sono quindi inseriti nell’azione santificatrice di Cristo e per questa via diventano “adoratori nella verità (=realtà di Cristo) e nello Spirito Santo” (Gv.4,23-24).
I riti cristiani diventano così segni-sintesi di un momento salvifico, cioè segni nei quali c’è contemporaneamente la presenza santificatrice del mistero di Cristo e la presenza santificata dei fedeli. Il rito cristiano, infatti, ha sempre avuto lo scopo diretto di consacrare e santificare l’uomo, perché questi diventasse, in tal modo, nella sua stessa persona ( e non attraverso un simbolo sostitutivo) realtà e luogo spirituale del culto di Dio.
A questo punto i riti liturgici non sono azioni organizzate a fianco della vita, ma costituiscono la ragione stessa dell’essere cristiani, cioè creando uomini che vivono in Cristo.
La liturgia diviene così espressione della fede, cioè di quell’atteggiamento con cui si accetta Dio prima di tutto, che in Cristo viene a contatto con gli uomini come salvatore.
E’ quanto afferma un notissimo prefazio del messale attuale:

“Tu non hai bisogno della nostra lode, ma per un dono
del tuo amore ci chiami a renderti grazie;
i nostri inni di benedizione non accrescono la tua
grandezza, ma ci ottengono la grazia che ci salva,
per Cristo nostro Signore”.

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