La Liturgia – Cap 3

Cristo e la liturgia

Nei Vangeli è ben sottolineato il fatto che Cristo, di fronte al culto ebraico, ha un suo particolare atteggiamento, che in parte è comune a lui e ai profeti e in parte è proprio a lui soltanto.

Esigenza di conversione-purificazione del culto ebraico

Cristo riprende e conferma l’antico discorso dei profeti sul culto. Anzitutto egli rivolge la propria attenzione al tempio e proclama solennemente che è la casa di Dio, la casa della preghiera (Mt.21,13). Di qui il gesto clamoroso della cosiddetta “purificazione”: un gesto che ha valore profetico, in quanto dichiara la prossima fine di un’istituzione, quale quella del tempio, che aveva subito grosse trasformazioni, divenendo un luogo commerciale.

Non è con questo che Cristo ripudi o intenda abolire i sacrifici del tempio. Anche se non ignora che, secondo l’insegnamento dei profeti (Ger.7,22; Mi.6,8) Dio non vuole sacrifici, ma piuttosto l’obbedienza alla sua parola e l’amore del prossimo (1 Sam.15,22; Sal.39,7-9; Os.6,6…), Cristo accetta che si continui ad offrire i sacrifici, ma avendo come premessa indispensabile la comunione con il prossimo nella riconciliazione e nell’amore (Mt.5,23-24).
Anche riguardo alla preghiera ha la sua posizione personale. Se da una parte partecipa alla riunione sinagogale del sabato (Mt.4,23; 13,54; Mc.1,38-39 ecc..) e fa una “sua” preghiera, sia in pubblico sia in privato (Lc.10,21-22; Gv.11,41-42; Mt.14,23; Mc.1,35; 14,36), dall’altra egli non vuole che la preghiera, come il digiuno, diventi un motivo di vanto di fronte agli altri, piuttosto che essere un atto di doveroso omaggio a Dio (Mt.6,5-6; Lc.18,10-12).

Proclama che è un culto insufficiente per appartenere al regno di Dio, quello di moltiplicare preghiere nel vano sforzo di veder compiuti i propri desideri, invece di cercare, nella preghiera, l’adempimento della volontà del Padre (Mt.7,21).
Lo stesso sabato è accettato da Cristo solo se non impedisce che siano salvaguardati la dignità e il bisogno dell’uomo (Mt.13,1-13; Mc.2,23-28; 3,1-6; Lc.6,1-10).
Nell’episodio di Marta e Maria (Lc.10,38-42), infine, Gesù mette in risalto due modi diversi di onorare Dio: quello di Marta, che consiste in una molteplicità di servizi; quella di Maria, che consiste nel mettersi in ascolto di Cristo e della sua parola. Privilegiando quest’ultimo, egli si rifà ancora una volta all’annuncio profetico (Ger.7,21-23; Mi.6,6-8).

Annuncio della fine del culto ebraico

Pur rispettando forme, luoghi e tempi del culto ebraico, Gesù tuttavia prende le distanze, facendo alcune riserve sull’atteggiamento che i suoi correligionari hanno: dimostrano di non avere ancora raggiunto quel traguardo di spiritualizzazione e d’interiorità, che già il libro dell’Esodo e i profeti avevano prospettato.
Pur avendo coscienza di essere venuto “non ad abolire, ma a compiere la Legge e i profeti” (Mt.5,17), Gesù tuttavia lascia capire che tale compimento si avvererà solo quando Egli avrà realizzato il vero contenuto della Rivelazione. Questo vuol affermare che anche il culto ebraico doveva subire una trasformazione profonda: avrebbe cessato d’essere culto dell’AT (culto ebraico) per cominciare ad esistere come culto del NT (culto cristiano).

E’ quanto Gesù esprime nel suo incontro con la Samaritana (Gv.4,7-26). Questa la interroga per sapere qual è il vero luogo e il tempo per adorare Dio. Gesù risponde prospettando il culto interiore e spirituale: “…i veri adoratoti adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori” (Gv.4,23).

Quest’espressione sta ad indicare un culto che non ha più bisogno di luogo (tempio di Gerusalemme o monte Garizim), per trovare il punto d’incontro con Dio.
Da quando è venuta l’ora di Cristo, il luogo del vero culto è all’interno stesso dell’uomo, nel quale è stato infuso lo Spirito Cristo (Gv.7,39; Rm.8,9-11); così l’uomo diventato figlio di Dio, adora Dio nello “Spirito” (Rm.8,15). Non si tratta quindi di una “spiritualizzazione” del culto, nel senso che questo sia esercitato solo “nello spirito” dell’uomo, escluso qualunque apporto del corpo. Ma è questione di un culto che nasce dall’uomo in quanto “figlio di Dio”, mosso dallo Spirito Santo di Dio” (Rm.8,14).

Questa nuova posizione che l’uomo acquista in Cristo dà al suo culto anche una nota di verità-realtà, che aveva il culto da Cristo offerto al Padre: un culto “reale”, vero, in quanto ha offerto “realmente” se stesso, senza la mediazione di sacrifici sostitutivi (Eb.10,5-10).

Ora il culto dell’uomo passa unicamente per quello di Cristo, unica via d’accesso al padre (Gv.14,6): infatti, anch’egli offre se stesso, la sua vita al padre, compiendo quel che manca alla passione di Cristo (Col.1,24).
Il luogo nuovo del culto, non è più il tempio di Gerusalemme, destinato alla distruzione per significare il tramonto di un’epoca (Mt.24,1-2; Mc.13,1-2; Lc.21,5-6); ma è il corpo stesso di Cristo, in cui Dio Padre abita in tutta la sua realtà. E’ quanto ci vuol far comprendere anche Gv. 2,21-22 affermando che Gesù parlava del tempio del suo corpo”, come luogo immateriale di un culto altrettanto immateriale, quale era quello che egli dichiarava do offrire già allora “in spirito e verità” (Gv.4,23).

Cristo iniziatore della liturgia cristiana

Anche se si era posto direttamente contro il ritualismo della religione ebraica, annunciandone la fine, Cristo non intendeva tuttavia porsi contro (o al di fuori) la natura del tutto particolare del rito ebraico. E siccome si era dichiarato “venuto per compiere e non per abolire” l’opera salvifica avviata da Dio, questo valeva tanto per la parola profetica dell’AT (Lc.4,17-21; 24,27-44), quanto per i riti. Basterà prendere brevemente in esame due riti fondamentali del NT: il battesimo e l’eucaristia.

:: Battesimo ::

Nell’AT era un rito di purificazione e segno di conversione, che introduceva o i pagani nell’ebraismo o gli ebrei nei “figli dell’alleanza (o battesimo di Qumran), oppure era un rito di preparazione ai tempi messianici (battesimo di Giovanni Battista).
Gesù presentandosi a Giovanni per ricevere il suo battesimo, afferma di fare questo, perché “deve compiere una giustizia” (Mt.3,15).
Il battesimo nello Spirito Santo, tipico del Cristo (Mt.3,11; Mc.1,8; Lc.3,15-16; Gv.1,33) non è allora un rito totalmente nuovo, ma compie, completa gli altri riti analoghi, perché introduce effettivamente nel regno di Dio e costituisce il vero segno del tempo messianico (Gv.1,19-28). Infatti, chi si battezzerà “nel nome di Cristo” non sarà solo purificato dal peccato (battesimo dell’AT9, ma “rinascerà” addirittura a nuova vita, in quanto si è, con Cristo, proclamati “figli amati da Dio” (Mt.3,17)

:: Eucaristia ::

Il pane e il vino della cena pasquale ebraica erano “segni memoriali” (ossia segni che riattualizzavano, rendevano di nuovo presente negli effetti di salvezza, come garanzia per il futuro), rispettivamente della liberazione dal dolore e dall’afflizione dell’esodo (Es.13,7-9) e dell’alleanza conclusa nel sangue degli animali offerti al Sinai (Es.24,8). Questo rito ebraico avrebbe trovato il suo “compimento” in un altro che, se da una parte lo continuava, dall’altra avrebbe avuto un contenuto nuovo: sarebbe stato “memoriale” della liberazione vera e definitiva avvenuta nella morte-resurrezione di Cristo.
E’ dunque indubbio che Cristo va considerato come il vero autore della liturgia cristiana, in quanto ha dato “contenuto” reale ai riti dell’AT che erano soltanto prefigurativi, profetici: annunciavano in altre parole una realtà che soltanto in Cristo si sarebbe avverata.

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