La Liturgia – Cap 1

In genere nei vocabolari della lingua italiana così si definisce la liturgia: “Complesso degli atti cerimoniali pubblici destinati al culto”.

Questo è infatti il significato che molte volte ha avuto ed ha nella mentalità comune. La liturgia così viene solitamente intesa come la scienza dei riti, e “liturgista” sarebbe colui che ha l’incarico di dirimere i casi controversi.

Soltanto a partire dal movimento liturgico, specialmente del secolo scorso, si è riscattata la liturgia da questa concezione così ristretta ed esteriore, riportandola, piano piano, al suo vero significato, che il Concilio ha così espresso:
“La liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù”.

Vale a dire che da semplice cerimonia esteriore, essa è divenuta, in realtà, luogo dell’azione di Dio, del suo incontro con le creature e delle creature tra loro, in comunione.

Con questa riflessione (o ricerca) è mio intendimento condurre un’indagine sul termine stesso e sul suo uso, per giungere poi ad analizzare la liturgia nella Bibbia, tanto nell’AT. che nel NT.

La testimonianza

Per capire una realtà così complessa come la liturgia, bisogna anzitutto rifarsi al significato etimologico del termine e vedere l’uso che n’è stato fatto nel corso dei secoli.

Quest’inchiesta sta alla base di una comprensione della liturgia nelle varie culture. E’ il punto di partenza per un’analisi storico-teologica.

Etimologia del termine

Il termine “liturgia”, oggi usato quasi esclusivamente per il culto, è legato alla lingua greca classica. Liturgia è, infatti, parola composta dalla radice “leit” (da “laos” = popolo) che significa genericamente “pubblico, appartenente al popolo”, e “ergon”, che significa “azione, opera”.

Il termine composto allora significa “opera, impresa per il popolo”, mettendo anche in risalto il valore “pubblico” dell’azione.

Il suo uso

Nell’uso del termine “liturgia” si assiste ad un’evoluzione considerevole di significato, che bisogna analizzare.

Nell’uso civile

Nel greco classico “liturgia” sta a significare originariamente un servizio pubblico in favore del popolo da parte di determinate persone particolarmente abbienti. Appare come un obbligo imposto a queste classi sociali superiori o come prestazioni libere, soprattutto in occasione di giochi o feste (=liturgie cicliche) o in situazioni particolarmente gravi in cui veniva a travasarsi la città (=liturgie straordinarie).

Nell’epoca ellenistica il termine “liturgia” sta ad indicare il servizio obbligatorio del lavoro, cui dovevano sottostare determinate comunità o categorie di persone, sia in cambio di particolari diritti o vantaggi, sia in pena d’eventuali rivolte contro l’autorità dello stato.

In seguito il termine acquisisce il significato di “servizio” in genere, perdendo persino il carattere pubblico che lo contraddistingueva.

Nell’uso religioso-culturale

All’epoca ellenistica “liturgia” appare anche nell’uso religioso-culturale, per indicare in genere il servizio che si deve rendere agli dei da persone incaricate allo scopo. Il termine compare soprattutto nelle iscrizioni che riguardano la cosiddetta “religione dei misteri”. IN questo contesto di “gruppo particolare” perde il suo significato d’azione pubblica per assumere quello più generico di “servizio” o volontario o comandato.
Tuttavia è da rilevare che, usato nel contesto cultuale, il termine assume un nuovo senso tecnico, quello appunto di “servizio di culto che si deve a Dio”.

Nella Sacra Scrittura

Nell’Antico Testamento il termine “liturgia” e i suoi derivati ricorre abbastanza frequentemente (circa 170 volte), e serve a tradurre sia il verbo “sherèt”, sia il verbo “cabhàd” e il sostantivo “cabhodàh”. Questi termini in ebraico sono legati all’idea di servizio reso a qualcuno; ma mentre “sherèt” esprime più i sentimenti che sono alla base del servizio, “cabahàd” è soprattutto sinonimo di servizio oneroso, spesso proprio dello schiavo. I due termini ebraici indicano sia il servizio in senso profano, sia il servizio religioso. Ma c’è da rilevare che i settanta, coloro i quali fecero la versione greca dell’AT., operarono una scelta voluta e cosciente.
Difatti ogni volta che i due termini in questione sono riferiti al culto prestato a Javhé dai sacerdoti e dai leviti sono costantemente tradotti con il verbo e il sostantivi greci “leiturghein – leiturghia”, quando invece stanno ad indicare il culto reso a Javhé dal popolo sono tradotti con i termini “latreuein – latreia”, “dulenein – duleia”
Nell’intenzione dei traduttori allora “liturgia” è il termine tecnico per indicare il culto levitino in quanto tale, e cioè:

  • l’azione di culto con cui si serve Javhé, nella sua tenda, nel suo tempio, al suo altare;
  • gli attori di questo culto, ossia i sacerdoti e i leviti, scelti da Dio per questo scopo;
  • l’unicità di questo culto, regolato da immutabili norme divine.

In altre parole, “liturgia” nella scelta dei LXX (settanta) indica il culto di Javhé, secondo una forma esteriore divinamente stabilita e affidata al sacerdozio levitino.
Cosicché, all’interno dei due termini ebraici, in parte sinonimi, i LXX operano una distinzione in base ai soggetti agenti del culto (leiturgheia per i sacerdoti-leviti; latreia-duleia per il popolo), evidenziando una differenza tra “rito” e il culto e, purtroppo a tutto vantaggio del primo.
Ora ci si può chiedere perché mai questi traduttori abbiano operato una tale scelta. Si può notare che la loro interpretazione di “Liturgia” non era per niente arbitraria, ma piuttosto fondata su un dato di fatto.

Con la creazione del sacerdozio levitino, infatti, il culto era passato a prerogativa di una particolare tribù (quella di Levi) e si reggeva su una forma istituzionalizzata. Per questo i LXX, anche quando il termine ebraico “abhàd-abhodàh” significa “servizio religioso” e implica sacrificio, non lo traducono mai con “liturgia”, se il testo non suppone già l’istituzione del sacerdozio levitino.
Certo, Israele sa di essere “il popolo di Dio”, un regno di sacerdoti e una nazione santa (Es.19,5-6) e di essere chiamato ad un culto spirituale, più che costituito da vittime animali. Ma, tolto forse qualche momento del periodo del deserto, quest’ideale non si era realizzato. Israele, in pratica, rinnegò questa sua vocazione ad un culto spirituale. A contatto con l’idolatria, dove i sacrifici costituivano il tutto dell’atto religioso, si servì di questi come simbolo, ma anche come sostituzione del culto vero, cui era stato chiamato, facendo così diventare il sacerdozio levitino un sacerdozio meramente esteriore e materiale (Num.16,9). I LXX, nella loro interpretazione non fanno che rispecchiare questo dato di fatto.

Nel Nuovo Testamento

Il termine “liturgia” (e i suoi derivati) ricorre appena 15 volte e precisamente come di seguito riportato:

:: in senso profano ::

  • Rm. 13,6 : i magistrati sono chiamati “leiturgoi” di Dio, nel senso di ministri;
  • Rm. 15,27 : i pagani neo-convertiti devono rendere un servizio nelle necessità materiali ai giudeo-cristiani,
    quasi per ripagarli del fatto che da questi è venuto loro di poter partecipare al cristianesimo;
  • Fil. 2,25 : Epafrodito è chiamato ministro (leiturgon) delle necessità dell’apostolo;
  • Fil. 2,30 : Epafrodito ha rischiato la morte pur di portare il suo servizio (leiturghia) all’apostolo per incarico
    dei fedeli di Filippi;
  • 2 Cor.9,12 : la colletta in favore dei cristiani di Gerusalemme è chiamata “servizio sacro” (diakonia tes liturghias), liturgia;
  • Ebr. 1,7 : gli angeli ( nella citazione del salmo 104,4) sono chiamati ministri in favore degli uomini;
  • Ebr. 1,14 :ancora gli angeli sono chiamati “spiriti incaricati di un ministero” (leiturghikà pneumata) per gli uomini.

:: in senso rituale-sacerdotale dellA.T. ::

  • Lc. 1,23 : si aprla di giorni di servizio di Zaccaria nel tempio di Gerusalemme;
  • Ebr.8,22 :si vede Cristo come ministro del santuario e della vera tenda. Benché si parli di Cristo Pontefice, tuttavia il termine “liturgo” deve essere inteso in funzione del termine di paragone, che è il pontefice ebraico;
  • Ebr.8,6 :Cristo ha ottenuto un ministero che non ha paragoni con quello ebraico, perché migliore è l’Alleanza di cui è mediatore…Mettendo in relazione questo versetto con il precedente si intravede già un’idea nuova di liturgia, quello appunto “superiore” di Cristo;
  • Ebr.9,21 :si parla degli arredi sacri del culto ebraico;
  • Ebr.10,11 :si afferma che ogni sacerdote ebraico si presenta ogni giorno a celebrare il culto.

:: in senso di culto spirituale ::

  • Rm. 15,16 : passo molto importante. L’apostolo afferma d’essere “ministro” di Gesù Cristo tra i pagani.
    Qui il termine “liturgo” equivale a colui che compie un’azione sacerdotale, in vista di un sacrificio da offrire. Soltanto che San Paolo non offre più, come i sacerdoti ebraici, un animale; ma i pagani stessi diventano “sacrificio gradito a Dio per opera dello Spirito”, dopo avere ricevuto l’annuncio del vangelo dallo stesso apostolo. Qui pur mutuando termini della liturgia ebraica, si è di fronte al culto spirituale, proprio del NT.
  • Fil. 2,17 : L’apostolo si dichiara disponibile ad essere versato in libagione per il sacrificio e per l’offerta della loro fede. Il termine “liturgia” è usato ancora in senso cultuale-sacerdotale proprio dell’AT.; ma, nello stesso tempo, è spostato su un piano spirituale, perché l’offerta non è costituita da una vittima animale, bensì dal cristianesimo vissuto (fides).

:: nel senso di culto rituale cristiano ::

Atti 13,2 : E’ l’unico testo del NT. In cui si potrebbe già scorgere il nome di quella che sarà la liturgia cristiana. Qui infatti “liturgia” indica l’insieme del culto cristiano. Alcuni ritengono che in questo testo “liturgia” significhi la celebrazione eucaristica. Altri si fermano a vedervi una specifica celebrazione liturgica cristiana, senza ulteriori precisazioni.
Si è comunque di fronte ad un linguaggio molto nuovo nei confronti di quello ricevuto dai LXX. Infatti è chiamata “liturgia” la celebrazione cristiana, nella quale non vi erano quasi sicuramente Né sacerdoti, né leviti. Dunque in Atti 13,2 c’è la volontà di presentare il culto cristiano come la continuazione del culto sacerdotale ebraico o come culto in analogia a questo.

Nel corso dei secoli

Nella Chiesa post-apostolica il termine “liturgia” serve a designare i riti di culto cristiano (Didaché 15,1). In alcuni scritti (es. Cor. 8,1; 3,2) indica soprattutto l’azione cultuale del Vescovo, del presbitero…ma anche il rito in se stesso.

Nell’oriente greco “liturgia” ha sempre indicato un’azione sacra rituale in genere; oggi anzitutto la celebrazione eucaristica. Nell’occidente latino il termine è stato completamente ignorato, forse per la carica troppo negativa che i traduttori latini della Bibbia greca dei LXX vi avvertivano.

Per molti secoli è stato sostituito da: officia divina, sancta ecclesiastica, celebrita (celebratio) sancta, ecclesiastica ecc…’ opus Dei, sacri ritus ecc…
Nel XVI secolo, in epoca rinascimentale, il termine comincia a riapparire anche in occidente, molto spesso nel senso di “riti e formulari della Messa”.

Nel linguaggio ecclesiastico ufficiale latino “liturgia” compare solo nella prima metà del secolo XIX con Gregorio XVI e Pio IX, e diventa usuale da Pio X, fino ad assurgere tutto un atteggiamento spirituale caratteristico dell’opera intrapresa e dell’epoca aperta dal Concilio Vaticano II°.

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